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Inchiesta sulla Colombia-Parte Terza
by Collettivo AgItAzIoNe-Indymedia Montale Thursday, Aug. 08, 2002 at 3:02 PM mail:

Terza parte dell'inchiesta sulla Colombia

queste, cosa che incrementerebbe il peso dei costi politici che Washington dovrebbe assumersi, soprattutto se consideriamo che l'opinione pubblica negli USA non è esente dai postumi della "sindrome del
Vietnam". Va aggiunta un'altra considerazione: lo scenario più probabile non sarebbe quello di una balcanizzazione (visto che la presenza delle FARC e il loro progetto hanno un palese carattere nazionale), ma quello di un'inevitabile vietnamizzazione del conflitto colombiano in cui si produrrebbe una guerra patriottica che vedrebbe la partecipazione di un ampio ventaglio di organizzazioni e settori sociali e popolari, così come essi stessi hanno dichiarato.

I processi di costruzione della disinformazione strategica relativa al conflitto colombiano.

Come dimostrato precedentemente, una costante nella storia del conflitto colombiano ha a che vedere col tentativo permanente di occultare la vera natura e le cause dello stesso.
Le classi dirigenti del paese, fin da quando nacquero le guerriglie come risposta del popolo alla violenza dello Stato, hanno fatto di tutto per screditarle. Anche quando le guerriglie medesime costituivano semplicemente gruppi di autodifesa e lottavano per il diritto alla difesa della terra e
della vita stessa, i contadini che avevano costruito forme autogestite e comunitarie di sviluppo furono accusati di aver dato vita a "repubbliche indipendenti", identificate con "l'incarnazione del pericolo del comunismo internazionale" (leggasi Marquetalia).
Concretamente, fino a quando è esistito il "campo socialista", non solo il movimento guerrigliero ma anche le organizzazioni popolari, sociali e di sinistra sono state chiamate "agenti del comunismo, o di Mosca", sotto l'egida della concezione della lotta al "nemico interno" prescritta dalla Dottrina della Sicurezza Nazionale, e screditate in particolar modo mediante il pretesto secondo cui rappresentavano ed introiettavano idee, posizioni, valori e interessi stranieri e dannosi per la nazione.
A partire dalla diffusione delle coltivazioni della foglia di coca, che in Colombia non costituisce a livello massivo un prodotto ancestrale per la popolazione come in altri paesi dell'arco andino, e grazie al "contributo" dell'allora ambasciatore statunitense a Bogotà ai tempi del governo di
Virgilio Barco, Levis Tamb, il quale coniò la definizione di "narcoguerriglia", il regime bipartitico ha iniziato una campagna variamente articolata per legare l'immagine e la natura del movimento insorto al narcotraffico. Questa campagna sul piano interno è stata accompagnata, non gratuitamente e non a caso, da una campagna internazionale di "narcotizzazione" della Colombia, con la pretesa di mostrare il narcotraffico come causa ed essenza del conflitto e dei problemi che gravano sul paese.
In Colombia, la risposta armata della popolazione alla violenza esercitata dal potere, esisteva già molto prima che si sviluppasse il narcotraffico.
La coltivazione della foglia di coca a livello diffuso si è data a partire dalla necessità di sussistenza di migliaia di contadini privati delle loro terre e obbligati a nascondersi nelle selve o in regioni remote, e a causa dell'inesistenza di infrastrutture di comunicazione e di sostegno da parte dello Stato alla produzione e alla commercializzazione di prodotti "leciti", situazione che si é andata aggravando con l'affermazione neo-liberista del meccanismo del "vantaggio comparato", che vede l'importazione da altri paesi di molti prodotti agricoli. Si tratta dunque di un problema strutturale la cui risoluzione può darsi solo attraverso una riforma agraria integrale, con misure di tipo sociale ed economico e non di carattere militare e repressivo. In tale direzione il 29 e 30 giugno del 2000 le FARC-EP hanno
presentato una proposta integrale di sostituzione delle coltivazioni della coca, che coinvolge la comunità internazionale nella soluzione di tale problema.
Altra cosa è invece il narcotraffico, business cosostanziale all'economia di mercato e che funziona come una multinazionale che concentra la produzione della materia prima in alcuni paesi andini, la sua amministrazione negli Stati Uniti e la distribuzione del prodotto finito in tutto il pianeta. La maggior percentuale dei profitti generati dal narcotraffico viene riciclata all'interno dell'economia dei paesi più sviluppati, che al contempo sono i principali produttori delle sostanze chimiche necessarie alla trasformazione della foglia di coca in cocaina.
Le misure militari e repressive adottate dagli Stati Uniti per combattere il narcotraffico non mirano a una soluzione, in quanto poco viene fatto contro la distribuzione e il consumo mentre viene combattuta principalmente la produzione, applicando metodi di spargimento di prodotti chimici, sulle zone in cui la coca viene coltivata, che causano grandi problemi alla popolazione e che attentano all'ambiente.
Di fatto, si danno una manipolazione e una mistificazione intenzionali, la cui sostanza ha a che vedere con la non differenziazione tra le coltivazioni della coca e il narcotraffico. La politica "antidroghe" degli USA è diretta, in modo calcolato, pianificato e razionale, a contrarrestare l'avanzata delle lotte popolari che emergono in vari paesi andini contro modelli economici e regimi politici che calpestano i diritti dei popoli.
In Colombia il movimento guerrigliero si è andato sviluppando in modo inversamente proporzionale all'evoluzione generale che ha avuto il movimento comunista internazionale a partire dalla fine degli anni '80, delegittimando così l'argomentazione delle "idee straniere".
E' stato fatto ricorso alla disinformazione, all'asserzione del rapporto narcotraffico-guerriglia per occultare la natura del conflitto, facilitare l'ingerenza straniera e scaricare la responsabilità dello Stato, presentando quest'ultimo come "super partes" nonché vittima compressa dagli "opposti
estremismi".
Inutile dire che il regime, negli ultimi decenni, ha continuamente tentato di far passare il terrorismo di Stato e il paramilitarismo, strutturati sulla base di un approccio repressivo strategico di "guerra di bassa intensità", "controrivoluzione preventiva" e "azione controinsurrezionale",
per "legittima difesa della nazione, della democrazia e della popolazione civile di fronte agli abusi dei terroristi, dei narcobanditi e degli agenti del narcotraffico".
Nel tentativo (che peraltro ha avuto una scarso successo) di isolare il movimento guerrigliero e di occultare la natura politica delle sue posizioni, piattaforme e proposte di pace, è stato manipolato alla radice il concetto stesso di "pace", identificata dall'establishment con il mero silenzio delle armi e con la semplice assenza di conflitto, e non con la rimozione delle cause che lo hanno generato.
Il 7 gennaio 1999, successivamente alla smilitarizzazione di una zona comprendente cinque municipi ed estesa all'incirca come la Svizzera (di 42.139 km²), è iniziato ufficialmente un processo di pace tra il governo di Andrés Pastrana e le FARC-EP. In questo processo di dialoghi, disseminato di ostacoli e trappole dall'imperialismo e dai settori più militaristi e guerrafondai del paese, la discussione si sta snodando sulla base di un'agenda e vede la partecipazione di diversi settori della società attraverso assemblee pubbliche, incentrate sui temi relativi alla necessità di un miglior impiego delle ricchezze del paese da parte di tutti, dell'eliminazione dello Stato escludente, di nuove Forze Armate prive di
dottrine repressive, di un vero sistema giudiziario per la pace e di una riforma agraria che contempli la soluzione delle coltivazioni della coca.
Però questo processo di dialogo non contempla la smobilitazione della guerriglia né la consegna delle sue armi, posto che l'uso o meno delle stesse verrà determinato dai passi in avanti in merito alle trasformazioni che dovranno essere messe in moto attraverso un governo pluralista di riconciliazione e ricostruzione nazionale, in cui tutti partecipino.
La costruzione di una pace duratura dipenderà, in primo luogo, dalla possibilità per noi colombiani di costruire autonomamente il nostro futuro, senza ingerenze straniere.

A mo' di sintesi.

Potrei concludere dicendo che all'interno del piano di disinformazione strategica, il narcotraffico è l'elemento principale usato dagli Stati Uniti per legittimare l'attuale intervento e creare un clima favorevole a un'invasione in Colombia, nel quadro di un conflitto in cui la guerra psicologica rappresenta un ramo scientificamente organizzato, come dimostra il contenuto degli stessi manuali approvati dalla CIA e dal Pentagono: l'"Istruzione per l'azione politica e sociale nella lotta
controinsurrezionale" e il "Manuale di controguerriglia ed operazioni psicologiche in tempo di guerra", nei quali sono contemplati l'orientamento di fronte allo sviluppo politico e la sua incidenza nelle manifestazioni psico-sociali della popolazione, i vantaggi derivanti dall'uso delle sue espressioni più sensibili e spontanee, il condizionamento dei comportamenti psicologici e "l'utilizzo di metodi ad alto impatto e mobilitazione che facciano emergere comportamenti manipolabili all'interno di conglomerati
sociali, quali i simboli, gli slogan, le immagini, la controinformazione, l'infiltrazione di manifestazioni e la tergiversazione delle parole d'ordine per provocare scontri, attentati selettivi o indiscriminati e azioni di terrore, e per contrapporre comportamenti", tra gli altri, che "di fronte a una situazione di instabilità facilitino una strumentalizzazione finalizzata agli scopi prefissati".
Altri strumenti di disinformazione sono attinenti alla presunta "difesa della democrazia", "della sicurezza interna e degli interessi degli USA", tutti usati per esercitare pressioni e consolidare un'egemonia su scala internazionale relativa a una posizione che affermi la necessità di una risoluzione del conflitto mediante un intervento previamente accettato e legittimato.
Un potente strumento di manipolazione delle opinioni e di formazione di consenso sono stati e continuano a essere i mass-media, che in Colombia, nel corso di questi decenni, sono appartenuti maggioritariamente a poche famiglie ed imprese potenti. Non è azzardato dire che tali mezzi
rappresentano e riflettono strutturalmente interessi particolari e di classe, cosa resa ancora più palese dall'atteggiamento di sabotaggio del processo di pace da parte della grande stampa, che ha creato un clima di sfiducia e di scetticismo rispetto a una soluzione politica e negoziata del conflitto, caratterizzato dall'assenza di etica e professionalità evidenziata dalla continua ricerca di scoop e di sensazionalismo e da una messa a fuoco della situazione del paese che, lungi dall'essere obiettiva e
imparziale, finisce con l'essere distorta. Inoltre i mass-media, essendo stati e continuando ad essere organicamente legati a quei meccanismi di raccolta di informazioni da parte dello spionaggio militare e del paramilitarismo, fanno parte dell'apparato di guerra del sistema nel suo insieme. E come se ciò non bastasse, essi sono monopolisticamente l'impalcatura di una cassa di risonanza delle versioni e dichiarazioni degli alti comandi militari colombiani, funzionalmente alla negazione della reale evoluzione della guerra e conformemente all'esigenza delle Forze Armate di dimostrare schiaccianti quanto presunte vittorie sulla guerriglia.
A livello internazionale i colossi dei network, controllati dal gran capitale, hanno adottato uno stratagemma bicefalo: da un lato hanno consacrato il ruolo degli USA nei confronti della Colombia in qualità di gendarme della sicurezza mondiale (così come hanno fatto nel caso della guerra nei Balcani), contribuendo decisamente a mondializzare la narcotizzazione dell'immagine del paese; dall'altro hanno sfumato per anni la situazione drammatica esistente in Colombia in materia economica e sociale, ma soprattutto hanno occultato l'intervento (che è già una realtà)
e il rischio concreto di un'invasione, della quale il silenzio può essere uno dei più pericolosi alleati.
Senza dubbio la disinformazione strategica, come processo graduale, multiforme e permanente, non contribuisce per nulla allo sviluppo di un approccio equilibrato e costruttivo di fronte al conflitto colombiano, che sia a livello nazionale che della comunità internazionale contribuisca alla soluzione politica e pacifica dello stesso, nel percorso di costruzione di una nuova Colombia, in pace e con giustizia sociale.
Lucas Gualdron
Membro della Commissione Internazionale politico-diplomatica delle Forze
Armate Rivoluzionarie della Colombia- Esercito del Popolo, FARC-EP.”

I documenti potrebbero andare avanti all’infinito, ma lo spazio, purtroppo, infinito non è. Come possiamo vedere, l’imperialismo è determinato a stroncare la resistenza dei guerriglieri colombiani con ogni mezzo, comprese le massicce campagne di disinformazione, volte ad “uccidere” lo spirito critico di chi fruisce delle notizie.

5) Breve conclusione. Come le FARC-EP sono tornate di attualità in seguito all’elezione a presidente della Colombia di Alvaro Uribe

Notizia degli ultimi giorni, l’elezione alla presidenza della Colombia di Alvaro Uribe. Visto il clima politico del luogo (siamo in pieno svolgimento delle operazioni del Plan Colombia) i media “ufficiali” ne hanno approfittato per criminalizzare ulteriormente le FARC. Hanno sottolineato il fatto che il padre di Uribe rimase ucciso in un agguato proprio dalle FARC. Hanno provveduto ad enfatizzare il fatto che l’insediamento del neo presidente sia avvenuto in concomitanza con alcuni attentati. In poche parole, hanno descritto la Colombia come un paese “assediato” dagli attacchi dei terroristi politici.
Se avete letto questa controinchiesta vi sarete resi conto della vera situazione della Colombia. Delle repressioni politiche. Delle diffamazioni contro chi combatte per la propria liberazione. Del giogo dell’imperialismo che impedisce ad un paese di svilupparsi.

Alla luce di questi fatti, può ancora essere credibile l’immagine del guerrigliero delle FARC costruita artificiosamente da decenni di disinformazione, ossia l’immagine di un sanguinario assassino? E ancora, si può continuare a credere all’immagine degli USA come difensori della libertà?

Giudicate voi

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