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COLOMBIA, URIBE E I PARAMILITARI
by garabombo Tuesday, Aug. 20, 2002 at 10:29 PM mail: garabombo@autistici.org

da ilmanifesto del 13 e 15 agosto.

COLOMBIA
Censura, intercettazioni, arresti, tasse di guerra Il primo atto del presidente Uribe è lo stato d'emergenza
Il presidente della Colombia Alvaro Uribe ha dichiarato lo stato d'emergenza. La misura prevede restrizioni alla circolazione e alla residenza e limiti a radio e televisioni, pone vincoli a riunioni e manifestazioni, facilita l'arresto di persone sospette e le ispezioni domiciliari. Inolre, lo stato di conmocion - stato precedente allo stato di sitio, assedio, cioè lo stato permanente della Colombia fino alla costituzione del `91 - permette al presidente di governare per decreto, superando il parlamento, e gli conferisce la possibilità di imporre prelievi fiscali. Secondo l'esperienza dei presidenti che l'hanno preceduto, censura repressione e tasse di guerra non serviranno a molto al neo-insediato Uribe. Proprio il bombardamento di mortaio sul palazzo della presidenza durante la cerimonia del giuramento, un affronto politico e insieme un massacro per la baraccopoli su cui è caduto uno dei proiettili, è stata la causa evidente del primo atto compiuto dal presidente, insieme al centinaio di vittime registrati negli ultimi giorni in scontri incrociati tra i gruppi guerriglieri (Farc e Eln) e le Auc, le squadracce di paramilitari che hanno fatto di Uribe il loro candidato. Il neo-presidente le conosce bene. Erano chiamate "Convivir" le ex cooperative di vigilanza che in realtà erano spie e miliziani anti-guerriglia: Uribe fece aprire una settantina di "Convivir" quando era governatore di Antioquia. E ora vuole rilanciare il progetto.

Bogotà, stato d'emergenza
Colombia Il primo atto del presidente Uribe. «Il paese vive in regime di terrore». Come in passato, non servirà a far finire la guerra civile ma solo contro la popolazione civile presa fra due fuochi
Tassa di guerra Fra i poteri che Uribe si è attribuito per 90 giorni, quello di governare per decreto presidenziale e imporre tributi. Critiche e preoccupazioni di Amnesty international
MAURIZIO MATTEUZZI
Tamburi di guerra in Colombia. Mercoledì si è insediato alla presidenza Álvaro Uribe, l'uomo delle squadracce paramilitari e degli americani, cinque giorni dopo - ieri - ha proclamato lo stato di conmoción interior. In sostanza, lo stato di emergenza. Presvisto dalla costituzione del `91 può essere proclamato in caso di grave perturbazione dell'ordine pubblico che attenti in modo immediato contro la stabilità costituzionale e la convivenza civile. Ha una durata di 90 giorni e può essere rinnovato due volte, 270 giorni.

Le ragioni addotte? L'umiliante attacco a colpi di mortaio in pieno centro di una Bogotà blindata da terra e dal cielo, mercoledì durante la cerimonia di investitura (i morti sono saliti a 20); il centinaio di vittime degli scontri incrociati, in diverse regioni del paese negli ultimi giorni, dei gruppi guerriglieri - Farc ed Eln - contro le Auc - le squadracce killer che hanno fatto di Uribe il loro candidato - e le forze armate; la campagna «dimissioni o morte» con cui le Farc nei mesi recenti hanno costretto alla fuga decine di sindaci. «Il paese è vittima di un regime di terrore in cui l'autorità democratica sta scomparendo», ha spiegato il ministro degli interni, Fernando Londoño.

Lo stato di emergenza prevede restrizioni a circolazione e residenza, a radio e Tv, a riunioni e manifestazioni; consente interecettazione delle comunicazioni, l'arresto di persone sospette, ispezioni domiciliari; l'imposizione di contributi fiscali e la possibilità di governare per decreto bypassando il Congresso.

In effetti il primo provvedimento annunciato è una «tassa di guerra»: i privati e le compagnie con beni immobili e capitali superiori ai 150 milioni di pesos, dovranno pagare il corrispettivo dell'1.2% del loro patrimonio per finanziare lo sforzo bellico di Uribe che tante preoccupazioni e critiche ha già suscitato in Amnesty e gli altri organismi di difesa dei diritti umani. Specie la creazione di una «milizia civile» di un milione di spie che dovrebbero lavorare in chiave anti-guerriglia (nacquero così anche i paramilitari delle Auc).

Il nuovo ministro della difesa, Marta Lucia Ramirez, ha spiegato che i 780 milini di dollari della «tassa di guerra» serviranno per il reclutamento immediato di 10 mila nuovi poliziotti e dei primi 100 mila uomini delle milizie civili, e per l'addestramento di due nuove brigate mobili d'élite di 3 mila uomini. Uribe aveva subito battuto cassa con gli amici americani, da cui riceve già 1.3 miliardi di dollari del Plan Colombia. Ma Bush ha dovuto frenare perché il Congresso di Washington gli ha fatto sapere che se i colombiani vogliono la pace devono rassegnarsi a pagare di più di tasca loro. Oltre che in termini di sangue, anche in denaro.

Lo stato di emergenza, a giudizio di molti, non serve a niente nella guerra civile che da quasi 40 anni sta dissanguando la Colombia. Lo stesso ex presidente Pastrana aveva pensato di farvi ricorso due mesi fa, rinunciandovi per questo. Come non servì con i presidenti Gaviria e Samper che invece lo proclamarono. L'unico risultato è stato quello di rendere sempre più tragico lo stato dei diritti umani per la popolazione presa fra due fuochi. Anche Londoño ha riconosciuto che ci vuole altro e per questo Uribe cercherà di arrivare al passo successivo - lo stato di assedio -, senza tuttavia ricorrervi formalmente. Quel termina suona male dentro e fuori la Colombia, dove è statto sempre in vigore dalla metà del secolo scorso fino alla nuova «costituzione democratica» del `91. Con i risultati sotto gli occhi di tutti.

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Alvaro Uribe, l'uomo dei paramilitari
La seconda parte della storia del presidente guerrafondaio della Colombia quando era governatore del dipartimento di Antioqia. E usava i paramilitari contro i sindacati. Un neoliberismo sfrenato condito di soprusi e violenze
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La politica economica e sociale di Álvaro Uribe Vélez - quando era governatore in Antioquia - fu decisamente neoliberale, miope e imposta con la forza. Il suo asse principale fu la «sburocratizzazione»: Uribe si vantò di avere soppresso i due terzi dei funzionari, facendo passare gli effettivi da 14.000 a 5500. Il suo metodo? Il disprezzo per la tutela dei lavoratori, le pressioni sui sindacalisti e l'aiuto dei paramilitari

«Sburocratizzare» a forza

Con lo stesso criterio, il servizio di manutenzione delle strade del dipartimento venne ridotto, in meno di un anno, da 1400 a 500 impiegati. Dapprima Uribe utilizzò la maniera dolce, proponendo pensioni anticipate e dimissioni. Gli operai non accettarono, e lui mise alcuni lavoratori in pensione di fatto; alcuni di loro avevano appena 36 anni. Il metodo era illegale, ma il governatore non era al suo primo sopruso, come provano i ricorsi alla giustizia (tutelas) depositati contro la sua amministrazione: un terzo delle 3100 tutelas depositate contro le istituzioni pubbliche nel 1997 in Antioquia furono contro il dipartimento. Poche sono arrivate a sentenza, ma come ha notato la Confederazione internazionale dei sindacati liberi (Cisl), molti dei giudizi non sono andati fino in fondo; sono state piuttosto delle «sentenze politiche che hanno favorito il governatore».

Nonostante fosse illegale, ad Álvaro Uribe il sistema del pensionamento forzoso non sembrava abbastanza rapido. Così, il 22 maggio 1997 annunciò l'intenzione di licenziare tutto il personale la settimana successiva. Nel frattempo, un po' dappertutto nel dipartimento, i paramilitari erano entrati nei campi degli operai. A Salgar, tra l'Urabá e il Medio Magdalena avevano addirittura minacciato gli impiegati e le loro famiglie perché accettassero «le proposte del Governatore». »Non vi vogliamo più vedere qui», ripetevano gli uomini armati.

«La loro alternativa era "o ve ne andate o ve ne andate"», ricorda Rangel Ramos, allora presidente di Sintradepartamento, il sindacato degli impiegati della regione. Più di 550 operai furono costretti a lasciare il loro accampamento per la sede del sindacato a Medellín, dove restarono per più di due mesi. Si moltiplicarono le manifestazioni, malgrado le minacce delle autorità: «Il generale della polizia, Jaimes, faceva il gesto di premere il grilletto e mi diceva che sapeva come regolare i nostri problemi», racconta ancora Rangel. All'epoca, i sindacalisti erano costretti a prendere sul serio questi gesti: in Antioquia, nel 1996, ben 198 di loro erano stati assassinati. L'anno dopo erano diventati 210. Cifre senza precedenti, anche se il dipartimento era sempre stato una delle regioni più pericolose per i sindacalisti.

Rangel Ramos, la cui casa era sorvegliata da uomini in moto, cambiava continuamente domicilio e in giugno si era imbattuto in alcuni uomini armati davanti alla sede del sindacato. Il governatore, tuttavia, aveva accettato di negoziare e le delegazioni di Sintradepartamento erano andate più volte alla sede amministrativa del dipartimento. «Lì, al terzo piano, il capo di gabinetto Juan Pedro Moreno, ci faceva filmare dagli uomini delle Convivir in gilet blu, armati di fucili», ricorda Rangel Ramos.

Il 26 giugno Álvaro Uribe credette di aver trovato la soluzione: bisognava «comprare»la direzione del sindacato. Propose, quindi, due milioni di pesos ai rappresentanti in cambio del loro assenso al piano di licenziamento dei lavoratori della regione. Il rifiuto dei sindacalisti sembrò innervosirlo. «Cominciarono a trattare la nostra organizzazione come un covo di guerriglieri» ribadisce Ramos, che sottolinea sarcastico come il presidente oggi gli si rivolga con un caloroso «mio caro Rangel». I negoziati furono un fiasco e i sindacalisti continuarono ad essere minacciati: il 30 dicembre, a Betania, alla vigilia della fine del mandato del governatore di Uribe, le raffiche di una mitraglietta uccisero, sul posto di lavoro, il sindacalista Rodrigo Murillo.

In un anno, il governatore aveva soppresso 900 posti nel servizio di manutenzione delle strade. «Ad una vertenza sindacale era stato riservato un trattamento paramilitare», non poteva che constatare la Cisl in un rapporto dell'anno successivo.

Privatizzazioni e inefficienza

Per assolvere i compiti dei funzionari licenziati o mandati in pensione, il governatore aveva chiesto aiuto ad alcune imprese private o a cooperative. Un manager di una multinazionale lo definirebbe outsourcing: pagare un servizio a un'impresa piuttosto che - a un prezzo maggiore - regolare i salari e i compiti degli impiegati. Nel linguaggio di Uribe, è «lo Stato comunitario», mescolanza di neoliberalismo e di gestione a breve termine. Il governatore aveva anche proposto ad alcuni dei vecchi impiegati del dipartimento di creare delle cooperative di lavoratori ai quali avrebbe assicurato dei contratti fino alla fine del suo mandato, il 31 dicembre 1997. Alcuni contratti, però, erano perlomeno ambigui: nel Nordest antioquegno, per esempio, i lavoratori avevano denunciato che i contratti erano stati affidati a cooperative controllate dalle pattuglie di sicurezza privata Convivir. In ogni caso, i lavoratori avevano perso la loro stabilità. Al contrario, il dipartimento nel cambio sembrava averci guadagnato poiché alle cooperative pagava per un chilometro di strada un prezzo inferiore rispetto a quello precedente (2,5 milioni di pesos contro i 3 di prima). Ma il calcolo era un po' troppo superficiale: le cooperative lavoravano con le attrezzature del dipartimento, che non ricevevano più manutenzione diventando ben presto inutilizzabili. Il risultato? «Durante la gestione di Uribe, i lavoratori del dipartimento non hanno prodotto un metro d'asfalto», conclude Rangel Ramos. Uribe aveva pagato i pochi impiegati che erano rimasti perché stessero a braccia conserte e provassero così l'inefficacia delle istituzioni pubbliche.

La «Rivoluzione educativa»

Nello stesso momento, il governatore aveva messo a punto una strategia di privatizzazione dell'istruzione, affidando per contratto la scolarizzazione di 100.000 bambini ad alcune ong, ad alcune diocesi e a collegi privati. «I contratti erano concessi senza alcuna valutazione della qualità o dei risultati dell'istruzione», ha testimoniato un membro della ong Corpo Region, che aveva studiato il tema. «E non erano esenti da corruzione i poteri pubblici». Oggi, questi mezzi effimeri hanno mostrato i loro limiti: 250.000 bambini non ricevono istruzione per la mancanza di fondi del dipartimento, che non ha potuto pagare nuove ong. La cattiva gestione, cinque anni dopo la fine del mandato, è ancora imputabile ad Álvaro Uribe. Nella sua furia privatizzatrice, infatti, il governatore, nel 1996, aveva affidato a due imprese private la distribuzione dei liquori che, fino a quel momento, rappresentavano il 70% delle entrate dell'amministrazione. Ma la privatizzazione aveva fatto prosperare il contrabbando di alcol all'interno della stessa Antioquia. Fu una scelta che mise in pericolo le finanze del dipartimento per gli anni a venire. L'attuale presidente si era fatto anticipare, infatti, dalle imprese distributrici i ricavi di diversi anni. La somma messa insieme così, gli aveva permesso di dichiarare per quell'anno l'avvenuta creazione dei 100.000 posti scolastici promessi, ma lo aveva costretto a sotterrare i suoi successori sotto montagne di debiti. Così se Álvaro Uribe nel suo mandato presidenziale applicherà la stessa politica, si possono prevedere per il suo successore nel 2006 numerosi mal di testa

Uribe e i contadini

Quando nel 1977, Alberto Uribe Sierra, padre di Alvaro, comprò l'azienda La Mundial, decise di diminuire i vantaggi in natura dei salariati e di pagare solo a cottimo, senza salari fissi. Subito, 76 lavoratori iniziarono a scioperare paralizzando la fattoria per quindici giorni. Uribe decise allora di lasciar gestire l'azienda al sindacato per due mesi, a conclusione dei quali si riprese la fattoria licenziando tutti i lavoratori. La questione finì in tribunale e Uribe scelse di negoziare, lasciando la fattoria agli impiegati per compensare i contributi sociali che doveva loro. Trascinò, però, la vertenza per tre anni, finché l'atto di vendita venne firmato il 30 dicembre 1982.

«È a partire da quel momento che abbiamo subito rappresaglie dai militari e dai paramilitari», spiega un membro del sindacato, oggi rifugiato a Medellín. Il 14 luglio 1983, inoltre, Julio Medina, uno degli iscritti al sindacato, venne prelevato da alcuni poliziotti. Non sarebbe riapparso mai più.

In un'altra occasione, «alcuni paramilitari erano entrati nella fattoria e ci avevano obbligato a stenderci, con le mani legate, poi, ci avevano dipinto sulla schiena la sigla delle pattuglie di autodifesa, trattandoci come ladri e guerriglieri».

Più tardi, nel 1989, due membri del sindacato vennero uccisi. Tre anni dopo, l'esercito invase la fattoria. Cinque elicotteri crivellarono di pallottole le canne da zucchero. Per quindici giorni i soldati rimasero sul posto, rastrellando i lavoratori e scattando foto. Secondo le testimonianze di alcuni abitanti raccolte nel rapporto dell'ong Nunca más, i grandi proprietari della regione, tra cui Álvaro Uribe Vélez, foraggiarono a partire dagli anni `80 il posto di polizia dislocato in una fattoria vicina a La Mundial, La Manada. I poliziotti uscivano di notte, incappucciati, per intimidire i contadini. «Non a caso Álvaro Uribe aveva promesso in pubblico che si sarebbe ripreso la fattoria», ricorda un testimone.


Bombardamenti e intercettazioni
Forte dei poteri eccezionali attribuitisi con lo stato di emergenza proclamato lunedì, il presidente Alvaro Uribe è passato all'offensiva contro la guerriglia. Nella notte su martedì le forze aeree hanno bombardato tre «accampamenti e laboratori per processare la droga» delle Farc e martedì ha ordinato il sequestro dei telefoni cellulari e le intercettazioni delle telefonate. «Il punto è rendere più efficace la lotta dello Stato contro la delinquenza e proteggere la cittadinanza», ha detto il vice di Uribe, Francisco Santos. Per il nuovo governo guerriglia, narco-traffico e delinquenza sono la stessa cosa. I cellulari pare siano usati dai detenuti per continuare a coordinare dal carcere sequestri ed estorsioni, come pure possono servire per attivare bombe a distanza. I bombardamenti aerei hanno colpito nel Caquetà, sud, dove secondo informazioni dei militari sarebbero stati uccisi «un centinaio di guerriglieri»; nella zona rurale di Cocornà, al nord di Bogotà; e nel Guaviare, sud-est colombiano.

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