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La guerra all'Iraq e la strategia geopolitica degli Usa
by indyan Wednesday, Dec. 25, 2002 at 8:48 AM mail:

Interessante articolo su Umanita Nova che riprende e fa sua l'analisi di Sbancor sulle origini geopolitiche della prossima guerra all'Iraq

Da "Umanità Nova" n. 43 del 22 dicembre 2002

Operazione Babilonia/1
Guerra all¹Iraq o all¹Arabia Saudita?




Pubblichiamo la prima parte di un lungo saggio di Giacomo Catrame dedicato
al contesto geopolitico in cui si inserisce la guerra che gli Stati Uniti si
accingono a scatenare contro l'Iraq.

GUERRA ALL'IRAQ O ALL'ARABIA SAUDITA?

Come è ormai ampiamente noto gli Stati Uniti hanno vinto la prima mano della
partita denominata "guerra all'Iraq". La risoluzione dell'ONU, infatti, non
autorizza l'automatico intervento militare contro l'Iraq, come ufficialmente
richiesto dagli USA e dalla Gran Bretagna, ma pone tali condizioni al
governo del dittatore Saddam Hussein da permettere qualsiasi provocazione da
parte di un qualsiasi agente della CIA travestito da ispettore dell'ONU.
D'altra parte è abbastanza chiaro che Bush e Blair hanno puntato su una
posizione massimalista per ottenere da Francia, Russia e Cina una
risoluzione ufficialmente più morbida ma le cui conseguenze portano
esattamente alle stesse conclusioni volute da Londra e Washington.

La guerra, quindi, per ora è rimandata ma sicuramente ci sarà. È solo
questione di tempo.

La pervicacia con la quale l'amministrazione Bush (e quella del maggiordomo
Blair) cercano il conflitto definitivo con lo stato mediorientale non si può
spiegare né con le menzogne utilizzate da questi governi come
giustificazioni, né con l'analisi più in voga nella stampa indipendente che
vede questa volontà nascere dal semplice desiderio anglo-americano di
appropriarsi di alcuni giacimenti petroliferi.

Il petrolio, infatti, centra, ma non tanto come semplice obiettivo, quanto
come vero e proprio strumento di guerra per ottenere la risistemazione della
carta geopolitica del Medio oriente secondo gli interessi della superpotenza
globale e del suo fido alleato europeo.

La visione geopolitica che si è affermata a Washington negli ultimi anni ha
subito una drammatizzazione con gli attentati dell'11 settembre, ma è
maturata ben prima del doppio schianto aereo dello scorso anno.
I motivi che hanno portato alla costruzione di questa nuova visione
dell'ordine del Medio Oriente da parte degli americani sono da ricercarsi
nella crisi di fiducia di questi ultimi verso la leadership saudita,
motivata dai dubbi sulla tenuta della famiglia Saud, dal tentativo della
diplomazia di Riyad di intromettersi nel conflitto israelo-palestinese,
dall'incerta situazione economica americana che abbisogna di ulteriori
riduzioni dei prezzi petroliferi oggi come oggi impediti dall'OPEC e dal
rischio di incontrollabilità del Golfo Persico attualmente una delle vie
principali di trasferimento del greggio verso l'Occidente.

Con la dichiarazione di "Guerra infinita al terrorismo" gli Stati Uniti
hanno costruito uno scenario mondiale inedito all'interno del quale hanno
assunto il ruolo di protagonisti assoluti. La prima priorità che il governo
di Washington ha assunto in questo quadro è stata quella dell'indipendenza
energetica, con la conseguenza di costringerli ad aprire il "dossier Arabia
Saudita". Come i governanti americani ben sapevano, infatti, i sauditi
finanziano da almeno due decenni le reti terroristiche internazionali legate
alla corrente islamica wahabita (la stessa alla quale appartengono i
regnanti sauditi) e lavorano fin dal 1980 alla diffusione delle proprie reti
politico-religiose in quell'Asia Centrale che sembra destinata a diventare
particolarmente importante dal punto di vista energetico nel futuro
immediato.

L'Arabia Saudita, quindi, si presenta con le caratteristiche di "stato
canaglia" per gli USA ben più di Iraq e Iran. Inoltre l'amministrazione
americana è sempre stata perfettamente a conoscenza dell'operato saudita dal
momento che la CIA ha attivamente collaborato alla costruzione di queste
reti ai tempi della "Guerra santa" contro l'URSS e che il finanziamento di
Washington è stato fondamentale per la loro attivazione.
Il problema centrale per gli Stati Uniti, ampiamente incomprensibile per i
sostenitori delle teorie che hanno il loro centro nella negazione del ruolo
degli stati, è la connessione tra l'Arabia Saudita e l'Occidente fatta di
filiere finanziarie internazionali e del ruolo di calmiere del prezzo
petrolifero assunto da questo paese.

L'intenzione americana di punire l'Arabia Saudita per il ruolo di
opposizione coperta alla politica americana non può quindi consistere in una
guerra contro lo stato della penisola arabica, ma inizia ad assumere in modo
scoperto le fattezze della demolizione del meccanismo di controllo del
prezzo petrolifero incarnato dall'OPEC. L'operazione geopolitica americana è
quella di colpire le opposizioni arabe al proprio dominio incontrastato in
Medio oriente tramite il petrolio, immettendo sul mercato significative
quantità di greggio capaci di far saltare il delicato meccanismo che governa
l'offerta (e, quindi, il prezzo) di petrolio. Queste risorse, però, per
ottenere lo scopo preventivato devono provenire da ricchi giacimenti a basso
prezzo di estrazione e vicini alle infrastrutture di trasporto. Al mondo
esiste solo un luogo che assommi queste caratteristiche: l'Iraq. Per punire
l'Arabia Saudita, quindi, agli americani serve l'Iraq e il suo petrolio.

IL SISTEMA DEI TRE MARI

La guerra americana per rendersi indipendenti dal punto di vista energetico
è iniziata con la guerra del Golfo del 1991. Allora gli USA pensarono che la
"liberazione" del Kuwait, la distruzione del potenziale bellico dell'Iraq e
l'occupazione di fatto dell'Arabia Saudita (da allora sono presenti sul
territorio saudita sono presenti 35.000 soldati americani) bastasse a
garantirsi il controllo delle risorse energetiche dell'area.
A partire dalla metà degli anni novanta, però, gli Stati uniti hanno
iniziato a rendersi conto che la prima guerra contro Saddam non era bastata
né a stabilire il controllo sulle risorse mediorientali, né a risolvere le
questioni legate alle risorse energetiche alternative a quelle della
penisola arabica presenti in Asia Centrale.
Risale a quell'epoca il battesimo del sistema geopolitica detto dei "Tre
mari" (Adriatico, Nero e Caspio) dal quale dipende il controllo del
trasporto del greggio dell'Asia Centrale e l'avvio della battaglia per
stabilire il dominio di Washington su di esso. Inizialmente gli USA hanno
giocato la carta della contrapposizione contro la Russia il cui episodio più
significativo è stata la guerra del Kosovo. L'obiettivo di questa
continuazione della Guerra Fredda era quello di valorizzare e rendere
commercializzabili attraverso il Mediterraneo le risorse petrolifere del
Caspio non russo né iraniano. La base di quest'operazione è stato
l'Azerbaigian, tramite il quale Washington ha "agganciato gli altri stati
dell'area (Georgia, Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan) sottraendoli
all'orbita di Mosca. Naturalmente questa operazione ha rafforzato il ruolo
della Turchia, principale alleato di Washington nell'area, secondo esercito
della NATO e affidabile traghettatore del petrolio centroasiatico. Non a
caso in quegli anni nasce in Turchia il progetto "grande Turan" che mirava a
costruire una sorta di Commonwealth tra le popolazioni turcofone dell'Asia
Centrale con base ad Ankara. A quest'operazione, fatta di investimenti per
percorsi per il trasporto energetico che evitassero il territorio russo e
quello iraniano e di sabotaggio dell'uso degli oleodotto e dei gasdotti
russi, non è estranea nemmeno la guerra in Cecenia, dal momento che la
guerriglia cecena è stata per anni addestrata e finanziata (in un rapporto
di collaborazione e insieme di competizione) da turchi e sauditi sotto la
supervisione della CIA e la longa manus di Condoleeza Rice, oggi ministro
dell'amministrazione Bush e allora consigliera per l'area della compagnia
petrolifera Chevron-Texaco. Il progetto americano dell'epoca era quello di
replicare in seguito questa operazione in Asia Centrale, questa volta in
funzione anticinese. Inizialmente l'operazione in Afganistan dopo l'11
settembre è stata coerente con questa visione, soprattutto per quanto
riguarda l'opposizione alla crescita della Cina come potenza regionale. I
rapporti russo-americani, però, hanno avuto un significativo mutamento nel
corso dell'anno seguito all'11 settembre. In primo luogo sono mutati i
rapporti tra le compagnie petrolifere anglo-americane presenti nell'area
(Chevron-Texaco, Shell) e i due giganti russi, Lukoil e Jukos, oggi
orientati a una stretta collaborazione basata sul riequilibrio degli
interessi economici dei due paesi, pagato dalla Russia con l'accettazione
della propria marginalità sul piano geopolitica globale.


La Russia, comunque, ha portato a casa alcuni importanti risultati per
quanto riguarda la questione degli oleodotti: la realizzazione
dell'oleodotto Tengiz (in Kazakistan) ­ Novorossijsk (porto russo sul Mar
Nero) grazie all'impegno di un consorzio internazionale, la modernizzazione
(svolta in condominio con le compagnie angloamericane) della rete energetica
dei paesi ex sovietici dell'Asia Centrale, la spartizione delle piattaforme
petrolifere con Azerbaigian e Kazakistan e la costruzione del gasdotto
sottomarino Bluestream che congiunge Russia e Turchia attraverso il Mar
Nero. Costruzione quest'ultima svolta dall'Eni. Inoltre la Russia è
rientrata nel sistema di trasporti petroliferi che toccano l'Adriatico (dal
quale era stata espulsa con la guerra del Kosovo e la successiva caduta di
Milosevic) grazie all'accordo con la Croazia che permette l'aggancio del
circuito petrolifero Russia-Europa con quello che da Belgrado porta a
Zagabria e da lì all'Italia.

Gli americani, per la loro parte, hanno ottenuto la partecipazione russa (e
quindi la non opposizione di Mosca) alla costruzione del megaoleodotto Baku
(nell'Azerbaigian) - Ceyhan (porto turco sul Mediterraneo. Se il "gioco dei
tre mari" cambia le sue carte, trasformando l'avversario di ieri
(debitamente ridimensionato) in alleato, non cambia però il nome del maggior
beneficiario dell'area, quella Turchia che vede ampliarsi il suo ruolo
nevralgico come custode degli oleodotti principali (e di molti di quelli in
costruzione) della regione.

In questo modo gli americani hanno raggiunto il primo dei loro obiettivi,
stabilizzando il sistema dei tre mari, convogliando la gran parte delle
risorse energetiche dell'area verso il principale alleato mediorientale: la
Turchia. La sicurezza americana all'interno di questo settore del "gioco" è
tale che a marzo di quest'anno anche il gas iraniano ha ricominciato a
fluire verso la Grecia tramite la Turchia. Il risultato di stabilizzazione è
stato tale che l'intera politica energetica americana in Medio Oriente può
essere descritta in questo slogan: "far confluire il greggio e il gas del
Medio oriente verso il mediterraneo, evitando a ogni costo che si diriga
verso il Golfo Persico". Ritornando alla principale questione di
quest'articolo, la prossima guerra in Iraq, bisogna ricordare che l'intero
sistema di trasporto energetico di questo paese è direzionato sia verso il
Mediterraneo che verso il Golfo; in coerenza con la politica dei tre mari
quando si trattò di decidere quale dovesse essere l'oleodotto da utilizzare
per far fluire il petrolio necessario all'attivazione del programma Oil for
Food gli americani fecero pesanti pressioni fino ad ottenere la scelta della
tratta Kirkuk-Ceyhan a scapito di quella Bassora-Fao (porto sul Golfo
Persico).

Giacomo Catrame

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ED ECCO PERCHE' LA TURCHIA DEVE ENTRARE NELLA UE sickofitall Wednesday, Dec. 25, 2002 at 10:28 PM
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