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Newroz/Kurdi: Aggiornamento dalle delegazioni!
by UIKI (By M. Molotov) Saturday, Mar. 22, 2003 at 2:51 PM mail:

21 MARZO 2003 NEWROZ DI GUERRA IN KURDISTAN, DENTRO E CONTRO LA GUERRA Notizie e resoconti dalla delegazione di osservatori italiani in Turchia

OLTRE MEZZO MILIONE A DIYARBAKIR PER LA PACE E I DIRITTI DEI KURDI
Fonte: uiki.onlus@tin.it

In forse fino all'ultimo momento, allontanata dalla metropoli kurda di 15 km, circondata da posti di blocco nei quali si sequestravano bandiere e colori kurdi anche ai bambini, la grande manifestaione del Newroz si è tenuta a Diyarbakir. Sicuramente 500.000 persone, forse di più... Decine di osservatori italiani ed europei hanno partecipato, aprendo anche (con qualche tensione con la polizia turca) una bandiera della pace sul palco. Da ricordare che Diyarbakir è anche avamposto ed aeroporto di guerra proteso verso l'Iraq... Accenni di cariche di polizia anche quando sono state innalzate davanti al palco le bandiere della Dehap, la coalizione politica, peraltro legale, di cui fa parte il disciolto partito filokurdo Hadep: la gente ha risposto con le pietre, poi la tensione è rientrata. I colori sequestrati naturalmente si sono ricomposti in mille modi in piazza, è stata anche issata ad un certo punto la vietatissima bandiera del Kadek (ex Pkk) con slogan per il presidente Ocalan, isolato ad Imrali. Intorno alle 15.30 la selva di blindati che circondava l'enorme piazzza, all'estrema periferia di Diyarbakir, s'è mossa minacciosamente, ma la gente è rifluita con ordine evitando ogni provocazione.

ITALIANI SEQUESTRATI E ARRESTI DI MASSA A BINGOL

Dopo il fermo e il successivo rilascio di otto italiani il 20 marzo a Nusaybin, "colpevoli" di aver fotografato la rete artificiosa che delimita il Kurdistan siriano e quello turco, il giorno dopo nove osservatori italiani (sette sardi e due pisani) sono stati sequestrati insieme al loro accompagnatore kurdo, sotto la minaccia di armi spianate, nel loro albergo nella città di Bingol. Il governatore ha vietato nella città ogni manifestazione per il Newroz: si segnalano 170 arrestati fra coloro che hanno cercato di scendere ugualmente in piazza, fra cui il responsabile locale del Dehap, Korkut Ata. Gli italiani hanno avviato, nell'albergo, uno sciopero della fame di protesta. Arresti e cariche di polizia si segnalano anche nelle città di Siirt e Beyazit, mentre in altre città il Newroz è stato autorizzato e si è svolto pacificamente: così a Sirnak, Adiyaman, Kiziltepe e Nusaybin, nella metropoli di Adana con 50.000 profughi kurdi in piazza, ed a Batman (anch'essa sede di aeroporto militare appaltato agli Usa) dove hanno manifestato in 150.000.

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DIYARBAKIR - INCONTRO CON L'IHD - Associazione per i diritti umani in Turchia (Resoconto di Emilio)
La delegazione italiana e spagnola é stata ricevuta dal presidente di IHD di Diyarbakir, avvocato Selahattin Demirtas. La sede di Diyarbakir é la sede principale di IHD in questa regione e coordina il lavoro di altre dieci sedi, da cui giungono mensilmente a Diyarbakir i rapporti sulla situazione dei diritti umani per compilare poi i rapporti per l’intera regione.

Negli ultimi quattro anni si erano realizzati alcuni cambiamenti importanti: abolizione della pena di morte, permesso di usare la lingua kurda, abrogazione dello stato di emergenza durato per 23 anni. Tuttavia l’imminenza della guerra, giá da tre mesi a questa parte, é pretesto per il governo turco per reprimere i diritti del popolo kurdo. I kurdi possono usare la loro lingua in televisione ma non avere un proprio canale; ancora: se il parlamento aveva votato l’abolizione della pena di morte, é stato inasprito l’isolamento di Ocalan che da novembre non puó piú vedere i sui familiari e i suoi legali. Complessivamente si é verificata una riduzione delle libertá personali.

Nella zona occidentale della Turchia si puó manifestare liberamente contro la guerra, qui no. A Diyarbakir non è stata autorizzata nessuna manifestazione contro la guerra. La popolazione ha capito questa nuova situazione: ci sono molte proteste spontanee contro la guerra e contro il carcere duro riservato a Ocalan. Queste manifestazioni vengono represse con la forza. Ci sono giá segnali che fanno pensare ad una possibile ripresa di guerra interna: il persistere dell’isolamento di Ocalan, la recente uccisione in questa regione di dodici guerriglieri, la guerra che diventa motivo per la Turchia per attaccare i militante e i dirigente del Kadek (ex Pkk) che si trovano nel Nord Iraq.

Negli ultimi due mesi sono state arrestate 938 persone di cui 74 sono ancora in carcere. Degli arrestati 98 hanno dichiarato, una volta rilasciati, di essere stati torturati. Se si fa una comparazione tra questi dati e quelli degli ultimi dieci mesi, si capisce come il governo turco stia usando in modo strumentale la guerra in Iraq per tornare indietro in materia di diritti umani e specificamente di diritti dei kurdi.

Un diritto umano fondamentale é quello di poter essere accolti in un altro paese quando si debba fuggire dal proprio per persecuzione o guerra. In questi giorni 40.000 soldati turchi sono giá in Iraq dove hanno giá allestito quindici campi profughi. Questi campi hanno la funzione di impedire ai kurdi che vengono dall’Iraq di entrare in Turchia e di poter esercitare il diritto di asilo. é contrario alle leggi internazionali che sia un singolo stato, e non le Nazioni Unite, a costruire campi profughi fuori del proprio territorio. Inoltre questi campi sono costruiti vicino alla linea del fonte, ove non puó essere garantita la sicurezza delle persone; ció é ancora contrario alle leggi internazionali. I turchi prevedono di recludervi 200 000 persone, con i problemi che si potrebbero produrre nell’evoluzione dei rapporti tra Turchia e kurdi del Nord Iraq. Infatti i militari turchi hanno il compito di costringere dentro i campi profughi i kurdi fuggitivi, in attesa di attaccare militarmente ogni ipotesi di entità autonoma kurda nel dopoguerra, come gli stati maggiori turchi hanno giá fatto dichiarato.

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DIYARBAKIR - INCONTRO CON IL DEHAP - Partito Democratico del Popolo (Resoconto di Valerio)

(Il Dehap è una coalizione democratica formata per le ultime elezioni politiche fra il partito filokurdo Hadep, disciolto d'autorità pochi giorni fa, e due piccoli partiti della sinistra turca)

La delegazione italiana é stata ricevuta da un membro dell’Assemblea generale del partito, l’avvocato Firat Anli. Svolge il suo lavoro ad Ankara e si trova a Dyarbakir per l’organizzazione del Newroz.

L’incontro si é aperto con una panoramica sulla situazione dei kurdi in Turchia con vari focus sulla cittá di Diyarbakir e la sua provincia. Siamo stati informati della guerra che per quindici anni ha contrapposto i kurdi al governo turco, interrotta unilateralmente nel 1999 con il cessate il fuoco proclamato da Ocalan. Nei quattro anni successivi si sono aperti degli spiragli legati ad una situazione di maggiore distensione: l’eliminazione delle leggi di emergenza, della pena di morte e la tolleranza della lingua kurda. Il governo turco tuttavia ha perso un’ occasione storica per risolvere democráticamente la questione kurda.

La volontà del popolo di risolvere questo nodo é stata confermata dai dati delle ultime elezioni. Il numero dei votanti é aumentato notevolmente. Su scala nazionale il DEHAP ha ottenuto il 6,2% dei voti non superando lo sbarramento imposto del 10%; ben diversi i risultati a Diyarbakir dove ha ottenuto il 57% dei voti.

Uno dei problemi a cui il DEHAP cerca di dare risposta é l’aumento sproporzionato della popolazione, dovuto all’assorbimento dei profughi provenienti dai villaggi distrutti dall’esercito. In pochi anni la popolazione ha superato il milione di persone, con enormi problemi occupazionali, di povertá ed un rallentamento generale dello sviluppo. A questa situazione di disagio si sommano alcuni ostacoli posti dal governo centrale di Ankara che riserva a questa regione un “trattamento speciale”: per esempio i fondi destinati allo sviluppo sono solo l’1%, si vogliono costruire qui le dighe che daranno energia elettrica al paese mentre per contro i prezzi della fornitura elettrica sono i piú alti dei tutta la Turchia, cosí come per la benzina. Vengono minate alla base le attivitá di sostentamento primario del popolo kurdo che abita da secoli la parte piú ricca del Medioriente: il governo sta imponendo ai contadini di cessare la coltura del tabacco e l’allevamento del bestiame. Anche il turismo, attivitá marginale ma comunque importante, viene limitato dalla mancanza di sovvenzioni per i restauri e dalla non valorizzazione dei siti presenti.

Il futuro del DEHAP dipende da ció che accadrá nel Medio oriente in questa guerra. L'eventuale creazione di una federazione di stati indipendenti in Iraq porterebbe ad una dura repressione della popolazione kurda che vive in Turchia. Con la sentenza della Corte europea dei diritti umani riguardo al processo di Ocalan, la fobia del governo turco é che i kurdi possano essere sostenuti dai governi europei nella costituzione di un loro stato autonomo. La volontá di isolare la zona é una delle principali cause della titubanze del governo turco a concedere agli Usa il passaggio di truppe di terra. L’aumento dei diritti per una qualsiasi delle comunitá kurde presenti tra Iran, Iraq,Turchia e Siria significherebbe repressione totale per le altre. I kurdi sono in contatto tra di loro tramite le loro associazioni e i partiti e aspirano alll’eliminazione delle barriere e ad una maggiore libertá di movimento, in quest’ottica si puó comprendere il significado della festa del Newroz.

Negli ultimi tre anni nella cittá di Diyarbakir l’autorizzazione per i festeggiamenti è sempre stata concessa, ma oggi le autoritá chiedono che la festa si svolga a 15 km da Diyarbakir, in un sito diverso da quello dello scorso anno, che non vi partecipino minerenni e che non vengano esposti dalle donne i colori del Kurdistan. Per i kurdi é impensabile sottostare a queste imposizioni, la festa riguarda tutti i membri delle famiglie. Volendone mantenere l’independenza i kurdi sarebbero disposti a festeggiarlo ognuno nel proprio quartiere. I permessi sono stati comunque concessi definitivamente soltanto il 20 marzo nel pomeriggio, alla vigilia del Newroz.

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DIYARBAKIR - INCONTRO CON LE "MADRI PER LA PACE" (Resoconto di Roberta)

La delegazione italiana é stata ricevuta da una rappresentanza di sei donne dell’associazione “Madri per la pace”. La sede di Diyarbakir esiste da due anni, é costituita ufficialmente da una responsabile e due aiutanti, ma in realtá ne fanno parte venti donne. Questo perché é considerata illegale l'esistenza autonoma dell’asociazione, cui é consentito di esistere solo come “filiale” di quella di Istanbul. Non vi sono legami con gruppi o partiti politici e tutta l’attivitá é autofinanziata.

Le Madri per la pace della sede centrale sono in contatto con altre asociazióni di donne, per quanto riguarda l’italia con le Donne in nero, e partecipano ad incontri e conferenze in Europa, come sta accadendo proprio in questi giorni. Pubblicano un giornale dove riportano i contatti intrapresi e l’attivitá di denuncia dell’associazione, promuovono conferenze stampa sulla mancanza del rispetto dei diritti umani. L’incontro ha avuto un grande impatto emotivo sulla nostra delegazione: le storie di donne che hanno perso figli, mariti e in genere sono vissute vedendo i loro familiari uccisi e torturati, costrette a scappare dai villaggi di origine perché bruciati dall’esercito turco, eppure proprio per questo drammático vissuto determinate a cercare di contribuire ad un futuro di pace. Cosí come i loro figli erano in passato decisi nel portare avanti la loro lotta, cosí queste madri sono oggi determinate nel perseguire il progetto di un mondo di pace: “Come nessuno ha potuto fermare i nostri figli, ora nessuno puó fermare noi”.

Dopo quarant’anni passati sotto la repressione, lo stato di emergenza non é piú in vigore da novembre 2002 in tutta la regione di Diyarbakir; ció nonostante esse denunciano che nulla é cambiato nella raltá e anzi la situazione sta peggiorando: vi é sempre un regime da incubo, carrarmati (visti da tutti noi) per la cittá, sparizioni di persone, uccisioni, pressióni di ogni tipo da parte della polizía, isolamento del presidente Ocalan.

Il fazzoletto bianco che tutte portano sul capo, e che indica nella tradizione del popolo kurdo l’aver subito un lutto in famiglia, é l’emblema scelto dalle Madri per la pace, símbolo di colore bianco come la nitidezza del loro impegno. Alla fine dell’incontro a tutte le donne della delegazione é stato regalato questo símbolo con una sola accorata richiesta: parlare al mondo di quello che le Madri per la pace di Diyarbakir fanno continuamente per denunciare le quotidiane violenze di uno stato turco sempre ugualmente oppressivo. Si deve denunciare al mondo ció che sucede in Kurdistan per rompere l’isolamento.

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RESOCONTI DAL QUOTIDIANO "LIBERAZIONE" (http://www.liberazione.it)

GIOVEDI' 20 MARZO: "A ISTANBUL CON I KURDI CHE RESISTONO" di Michele De Palma

I primi incontri della delegazione italiana ad Istanbul. La "Coalition against war", già presente a Firenze, insediata in una sorta di Casa del popolo e protagonista dell'impegno pacifista dei giovani, e il Forum Sociale di Istanbul, con un minuto di silenzio all'inizio dell'incontro in memoria di Carlo Giuliani. La visita alla redazione di "Azadiya Welat" (Patria libera), la perseguitatissima rivista kurda in kurdo che ospita anche il supplemento satirico kurdo "Pine" premiato a Forte dei Marmi, e l'impatto con il dramma delle carceri e della tortura nell'incontro con l'IHD, l'Associazione turca per i diritti umani...

VENERDI' 21 MARZO: "CAPODANNO BLINDATO PER I KURDI" di Michele De Palma

Intervista da Nusaybin, dopo l'arresto e il rilascio dello stesso Michele e di altri sette italiani per aver scattato foto vietate. La situazione di estrema militarizzazione, la tensione palpabile, l presenza visibile anche dei soldati Usa...

VENERDI' 21 MARZO: "NEL GRIGIO DI BATMAN" di Angela Bellei e Stefania Ceccarelli

Servizio degli osservatori italiani a Batman, città di 260.000 abitanti di cui moltissimi profughi dai villaggi devastati dalla guerra, con altissime percentuali di disoccupazione e suicidi ma anche con una grande speranza nell'amministrazione gestita dal Dehap e nella società civile organizzata all'opposizione. L'incontro con l'associazione dei familiari dei detenuti, la Thay-Der, e la realtà del carcere di Batman, con 524 prigionieri politici di cui il 15% donne e con una condizione carceraria che, ben lungi dall'amnistia, precipita verso l'isolamento e l'atomizzazione dei detenuti.

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IL CONTESTO: "L'ATTESA DISPERATA DEI KURDI" di Dino Frisullo (da Liberazione 19.3.03)

Diyarbakir, Batman, Mardin, Mus, Antep. Sono, insieme alla grande base di Incirlik, gli aeroporti nel Kurdistan turco ristrutturati dall’Us Air Force per rovesciare nei prossimi giorni tonnellate di bombe in territorio irakeno e kurdo. Sono anche, con l’aggiunta dei capoluoghi Sirnak, Siirt e Hakkari, le province in cui per motivi di “ordine pubblico” i militari hanno reintrodotto lo stato d’emergenza abrogato da appena un mese.

Lo stato d’emergenza in turco ha una sigla: “Ohal”. Un nome sinistro. Significa pieni poteri ai militari, sparizioni, arresti, tortura. Due settimane fa Amnesty International denunciava la persistenza della tortura sessuale negli uffici di polizia e l’Associazione diritti umani di Diyarbakir conta, solo nei primi giorni di mobilitazioni contro la guerra, quarantadue denunce di tortura su quattrocento arresti. Ma il colpo mortale alle speranze di democrazia l’ha assestato il procuratore Vural Savas (un nome e un programma: “Bastone Guerra”), ottenendo la messa fuorilegge del partito democratico Hadep, maggioritario in tutte le province kurde, e l’interdizione dei suoi dirigenti.

E’ in questo clima che il 21 marzo, Newroz (Nuovo giorno) di primavera e di libertà ma anche probabile data d’inizio del massacro in Iraq, centinaia di migliaia di kurdi e kurde manifesteranno per la libertà e la pace, che giunga o no l’autorizzazione del governo e dei governatori locali. Con loro, duecento osservatori europei fra cui ottanta italiani: sindacalisti come Benzi della Cgil, giovani comunisti e disobbedienti, pacifisti e “donne in nero”, militanti di Azad e di altre reti, amministratori locali. Partiti domenica da Roma e Milano, hanno incontrato a Istanbul i pacifisti, il Social Forum, le associazioni delle donne, dei profughi e della nuova cultura kurda. Da oggi si distribuiranno in zona di guerra: a Diyarbakir e Batman, con i loro aeroporti militari, e poi a Bingol e Nusaybin, sul lembo di confine invaso da colonne di blindati diretti a sud. Forse il tanfo di guerra risparmierà le nevi dell’Ararat dove, a Dogubeyazit, i cooperatori marchigiani stanno edificando la Casa delle donne.

Dall’altra parte del confine è iniziato il grande esodo. Colonne di profughi si spostano dalle aree di Mosul e Kirkuk verso Duhok e il confine turco e da Suleymanye verso i villaggi di montagna sul confine iraniano, a precedere le bombe angloamericane e la temuta rappresaglia irakena. Presso Mosul restano indifesi i diecimila profughi del campo di Mahmura, per metà bambini, reduci da dieci anni di fughe dalla Turchia e dal Kurdistan irakeno.

I kurdi d’Iraq temono non solo le bombe ma la prospettiva di un’invasione turca. I loro leader Barzani e Talabani da ieri sono ad Ankara a colloquio con i generali turchi, i turcomanni e l’emissario Usa Khalilzad. Powell ha diffidato la Turchia da “atti unilaterali” nei confronti dei kurdi, assicurando minacciosamente che ai guerriglieri del Kadek (ex Pkk) “ci penseranno gli Usa”, ma è tutta sceneggiata. Il protettorato turco in Nord Iraq e la violenta compressione di ogni velleità autonomistica dei kurdi è il prezzo pattuito da Washington per l’apertura del Fronte Nord, riproposta ieri in parlamento da un governo Erdogan ripulito da tutti i ministri non bellicisti.

Del resto per i kurdi si moltiplicano i segnali preoccupanti sui futuri assetti irakeni. Ad Ankara che chiede il loro disarmo fa eco l’ex ministro irakeno Pakaki, oggi “dissidente”, che delegittima il vertice kurdo di Salahuddin. E ieri il fulmine a ciel sereno: serebbe ad Ankara, fuggito dalla residenza coatta in Danimarca, l’ex capo di Stato maggiore irakeno Al-Kahazraji, massacratore di kurdi, sciiti e comunisti. L’avrebbero fatto fuggire gli Usa (come paventava da mesi l’opposizione danese) per metterlo alla testa del dopo-Saddam.

Se la paura della guerra e del dopoguerra e il rigetto dell’invasione turca da parte dei kurdo-irakeni si saldasse con il rifiuto della guerra e della repressione turca nel Kurdistan turco, si aprirebbe la strada all’unità nazionale invocata dal Kadek, ex Pkk. Finalmente incontrato dai suoi avvocati dopo oltre tre mesi d’isolamento totale, teso e con problemi respiratori, Abdullah Ocalan ha predetto amaramente “cent’anni di guerra” se i turchi varcheranno in forze il confine e se i kurdi non sapranno unirsi. Nei prossimi giorni i suoi avvocati turchi saranno in Italia. Potrebbe essere l’occasione per riproporre al Viminale, sulla scorta delle sentenze della magistratura romana ed ora della Corte di Strasburgo, il quesito sull’asilo politico al leader kurdo “accantonato” quattro anni fa con il pretesto del suo allontanamento forzoso.

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Titolo Autore Data
beh.. befree Tuesday, Mar. 25, 2003 at 6:55 PM
Risposta Everest Saturday, Mar. 22, 2003 at 3:26 PM
domandina...quizzz uno Saturday, Mar. 22, 2003 at 3:17 PM
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