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Comunicato di Vis à Vis : DIETRO IL BACCANO MEDIATICO E LE PROVOCAZIONI
by Vis à Vis Tuesday November 04, 2003 at 10:36 PM mail: karlettom@libero.it 

DIETRO IL BACCANO MEDIATICO E LE PROVOCAZIONI, UNA QUESTIONE DA NON LASCIARE ALLA CRITICA RODITRICE DEI TOPI

Le altisonanti dichiarazioni di Sergio Segio, già militante di Prima
Linea, poi "dissociato" ed infine riciclato nel cosiddetto (assai
malamente!) movimento dei movimenti, hanno scatenato un baccano
mediatico, alimentato dai soliti più o meno impresentabili addetti ai
lavori, cui hanno dovuto rispondere svariati esponenti del "movimento".

In merito alle "premurose" esternazioni di Segio, replichiamo anzitutto
che ai media NON si deve concedere mai l'opportunità di
spettacolarizzare singoli aspetti delle dinamiche implicite nei
movimenti sociali. Una simile generosità d'animo, alla fine, diviene
immancabilmente occasione per strumentali mistificazioni, direttamente
funzionali alla criminalizzazione che puntualmente lo stato tende, per
sua natura, a scatenare contro l'eresia, per esso insopportabile, di una
pratica diretta di massa.

In ogni caso, al di là dei suoi intenti specifici più o meno consapevoli
(e/o eterodiretti) e comunque difficilmente "spendibili" sul versante
del movimento, Segio ha fatto delle affermazioni che, malgrado lui,
impongono un approfondito ragionamento e non possono essere
semplicemente cestinate.

E' stato infatti toccato un nervo scoperto, non a caso quasi mai emerso
nella riflessione collettiva degli ultimi anni: il rapporto tra
movimento e l'uso della forza. Una simile questione può essere rimossa
soltanto da chi rinuncia alla radicale trasformazione dell'esistente, o
da chi si illude che un uso, per di più stravolto, del gandhismo possa
non condurre di fatto al "disarmo" unilaterale e preventivo della
critica anticapitalistica. Purtroppo non deve sorprendere che tale
ordine di problemi sia stato rimosso: per sciogliere nodi di tale
portata occorrerebbe definire in modo sufficientemente chiaro quale sia
l'opzione strategica complessiva del nostro agire politico, la natura
del nostro avversario e, conseguentemente, i mezzi necessari per
raggiungere i nostri fini.

Ovviamente non ci occuperemo di tutto ciò in questa sede. Cercheremo
piuttosto di fare chiarezza su alcuni punti, in certo senso preliminari.


In primo luogo rifiutiamo il ragionamento per cui in passato l'opzione
lottarmatista sarebbe stata, se non giusta, almeno giustificabile,
mentre solo oggi sarebbe diventata una follia perché "tutto è cambiato".
Cosa mai sarebbe cambiato, infatti? Il dominio capitalistico è in realtà
rimasto, nella sostanza, identico, sebbene gli aspetti fenomenici di
esso abbiano subìto rilevanti modificazioni, nel senso di un ulteriore
restringimento degli spazi di agibilità politica, sindacale, sociale
ecc. Da questo punto di vista, dunque, nessuna conferma può venire alla
tesi che stiamo criticando.

Ma c'è un altro aspetto che va considerato: l'espressione soggettiva
dell'antagonismo. In questo senso "la sconfitta storica di tutta
un'ipotesi rivoluzionaria" (per usare le parole di Barbara Balzerani)
avrebbe creato una cesura netta, non più recuperabile, tra i passati
movimenti e quelli presenti. Su questo punto, magari giustificandolo in
modo diverso, finiscono per convergere in molti. Tanto Bertinotti quanto
Casarini sostengono, infatti, che questo movimento sarebbe totalmente
estraneo alla storia della tradizione rivoluzionaria novecentesca.

Ma, in fin dei conti, in cosa consisterebbe questa cesura? Riteniamo
che, in sostanza, essa sia la testimonianza di un'arbitraria convinzione
o di una maliziosa speranza: in estrema sintesi, sarebbe venuta meno,
rispetto al passato, la possibilità che il sociale esprima autonomamente
e consapevolmente, al di fuori della mediazione astrattizzante della
politica, un'opzione strategica, di complessiva e radicale alterità
rispetto allo stato di cose presenti, ineluttabilmente destinata a
scontrarsi con quelle istituzioni che presiedono alla tutela dell'ordine
costituito.

Nessun dubbio che il "movimento" sospinto dal vento di Seattle non abbia
fin qui espresso tale opzione strategica. Ma ciò non significa ch'esso
non possa giungere a farlo. Riteniamo, anzi, che un simile salto di
qualità sia necessario, benché non scontato, se esso vorrà superare
l'attuale situazione di impasse e recuperare la capacità di incidere
nell'attuale contesto, segnato da una feroce offensiva capitalistica su
scala globale.

Se ciò accadrà, si riproporrà fatalmente ed in modo dispiegato il
problema del rapporto tra conflittualità sociale, pratiche di piazza e
uso della forza, in un'oggettiva intersecazione con l'area tematica
delineata dal pur delirante discorso del lottarmatismo. Quest'ultimo,
infatti, è comunque "ascrivibile" alla sfera della conflittualità
sociale, pur costituendone una perversa deriva degenerativa. Esso
prescinde dal materiale esprimersi dello scontro di classe, ma
oggettivamente vi allude e in qualche modo lo implicita, del tutto
strumentalmente, come fonte di legittimazione virtuale per la propria
stessa autodefinizione in chiave politico-progettuale.

D'altronde, riteniamo che, per orientarsi in tale coacervo di
problematiche, vada preventivamente ribadito un punto assolutamente
centrale, che troppo spesso viene dato sbrigativamente per scontato e/o
tendenzialmente rimosso tout court: ogni volta che la critica
pratico-teorica di massa pone in questione gli equilibri di potere fra
le classi, normativizzati negli istituti statuali del comando, si palesa
un'implicita ma sostanziale messa in mora del ciclo della
rappresentanza. Su di questo si fonda la legittimità stessa del
cosiddetto stato di diritto, basata sulla delega "democratica"
all'esercizio della "sovranità popolare", e proprio l'uso di tale delega
viene contestata nei momenti in cui i "cittadini" non agiscono più
singolarmente, attraverso la dinamica del voto, ma scelgono di attivarsi
direttamente, in una ripresa di parola dal basso e di massa, al di fuori
della mediazione politico-istituzionale.

In situazioni siffatte, il "sociale" riprende forma direttamente, fuori
dalla mediazione astrattizzante e disciplinatrice della politica: la
monade isolata del "cittadino" si dissolve e riemerge la materialità
delle determinazioni specifiche di classe degli individui. E in tale
momento di autentica "catastrofe", il proletariato tende ad
autodeterminarsi in un processo fusionale di ricomposizione del soggetto
collettivo rivoluzionario: tale nuovo soggetto si riconosce come
antitesi dell'esistente, come sua dirompente eccezione, e
nell'articolare il proprio percorso di lotta, è inevitabile che esso
"pratichi la piazza", ponendo in essere anche azioni di attacco, contro
oggetti ad alta valenza simbolica, in cui riconfermare l'autopercezione
di sé e, a maggior ragione, giunga a mettere in atto comportamenti di
autodifesa contro la scontata reazione statuale, più o meno "teppistica"
che sia.

In tale processo non può che riemergere la fitta trama di violenza che
impregna l'intera formazione storico-sociale capitalistica: quando la
finzione della mediazione astrattizzante della politica lascia il passo
alla reale valenza dispotica del dominio di classe, inverato nella
forma-stato, non può che riemergere la violenza incistata nel cuore
stesso dei rapporti sociali di produzione del capitale ed intrinseca al
rapporto capitale-lavoro . E tale rapporto, sul versante capitalistico,
infatti, tende immediatamente a dispiegarsi sotto le forme dell'opzione
militaresca, posta a fondamento dello stato stesso, da sempre
autodefinitosi come detentore del monopolio dell'uso della forza.

Ed è qui che, appunto, si biforcano le strade fra i seguaci
dell'autonomia del politico e quelli dell'autonomia di classe. Laddove i
primi pretendono di surrogare quelle che considerano deficienze
costitutivamente intrinseche al sociale, autoerigendosi a rappresentanti
del proletariato e impegnandosi come una élite d'avanguardia
iperspecializzata nell'"arte della politica". E in tal senso essi hanno
due alternative: o la socialdemocratica via del compromesso, abilmente
contrattato con l'avversario, o l'opzione pseudorivoluzionaria che porta
fino agli estremi esiti il "proseguimento della politica con altri
mezzi", di clausewitziana memoria. Dall'autonomia della politica
all'autonomia del militare il passaggio è solo formalistico, dal momento
che nella "sostanza" permane l'astrattizzazione della società della
merce e la conseguente drastica negazione di qualsivoglia capacità di
autodeterminazione da parte di quel proletariato oggi fattosi infine
universale, in forza della stessa globalizzazione del capitale.

Purtroppo, anche oggi questo passaggio può di nuovo indurre in
tentazione. La ristrutturazione dei processi produttivi, incessantemente
attuata dal capitale da più di un ventennio, ha scomposto la classe e
l'ha gettata in una condizione di atomismo forse mai così diffuso e
penetrante. Oggi più di ieri, quindi, le deficienze soggettive del
proletariato possono apparire insormontabili e bisognose di un
intervento "esterno" da parte degli specialisti della politica e del
militare. Altro che "tutto è cambiato" !

Non ci possiamo dunque esimere da un'aspra battaglia contro
l'avventurismo ipersoggettivistico degli specialisti dell'autonomia del
politico, così come del militare. Ma tale battaglia NON deve mai in
alcun modo "servirsi" delatoriamente della repressione statuale, per
eliminare dalla scena della conflittualità sociale quelli che risultano,
oggettivamente, avversari dell'autonomia di classe. La necessaria
conseguenza sarebbe infatti un rafforzamento oggettivo dello stato, dal
quale non si potrebbe poi certo sperare di ottenere in cambio una
qualche assurda "legittimazione" al proprio preteso antagonismo,
rispetto ad esso e al suo vero padrone, il capitale.

Lo stato infatti pretende l'abiura, non già delle metodologie adottate
dai lottarmatisti, ad esso sostanzialmente omologhe, ma della critica
pratico-teorica di massa cui l'opzione comunista tende, dentro i
processi di autodeterminazione del soggetto collettivo rivoluzionario,
fuori e contro la mediazione alienante della politica, laddove davvero
si gioca la partita storica per l'estinzione dell'astrattizzazione della
merce e dello stato stesso.

A questo punto un'ultima considerazione si impone, sebbene assai
scomoda, quasi indicibile.

Fermo restando che lo stato sempre e comunque, per chi si pretenda
comunista, NON ha legittimità alcuna ad incarcerare e reprimere
chicchessia, rimane il fatto che la solidarietà a tutti i costi, "senza
se e senza ma", con chiunque si autodefinisca "compagno rivoluzionario",
è un retaggio mistificante da abbandonare: esso è infatti
sostanzialmente omologo al perverso strumentalismo per cui "il nemico
del nostro nemico ha da essere comunque nostro amico" !

Rimaniamo invece convinti che i compagni di strada si debbano scegliere
sulla base di discriminanti saldamente ancorate alla definizione dei
fini e delle pratiche prescelte. Fini e pratiche che noi individuiamo
nell'opzione comunista libertaria e nell'autodeterminazione del soggetto
collettivo rivoluzionario. Coloro che propugnano di fatto un "socialismo
da caserma" e lo vogliono raggiungere espropriando l'autonoma
decisionalità dei movimenti sociali non possono che essere nostri
avversari.

Quindi, pur di fronte alla ferocia repressiva dello stato, non possiamo
scordare il prezzo politico che costoro ci hanno fatto e ci faranno
pagare, e riserviamo loro esclusivamente la solidarietà dovuta a tutti
gli uomini e le donne privati della propria libertà in quella disumana
istituzione disciplinare chiamata carcere, del tutto indipendentemente
dal motivo per cui ci sono stati sbattuti dentro.

4 novembre 2003

Vis-à-Vis

Quaderni per l'autonomia di classe

<http://web.tiscalinet.it/visavis>



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Ci sono 7 commenti visibili (su 7) a questo articolo
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Titolo Autore Data
iniziative Arturo Wednesday November 05, 2003 at 04:36 PM
frecciatina amica ;-) nais Wednesday November 05, 2003 at 02:02 PM
nè con lo stato.... domopak Wednesday November 05, 2003 at 09:51 AM
una delle poche cose sensate che ho letto europpositore Wednesday November 05, 2003 at 09:27 AM
un punto fermo per la discussione leopoldo Tuesday November 04, 2003 at 10:12 PM
anche il linguaggio e' cambiato anno 2003 Tuesday November 04, 2003 at 10:12 PM
condivisione Meletta Tuesday November 04, 2003 at 09:44 PM
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