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La lotta contro il fascismo comincia con la lotta contro il bolscevismo
by tutto il potere ai soviet Monday, Aug. 22, 2005 at 11:41 PM mail:

La lotta contro il fascismo comincia con la lotta contro il bolscevismo (1938) Otto Rühle




I



La Russia dev'essere posta per prima tra gli stati totalitari. Fu la prima ad applicare i nuovi principi statali. Fu la più rapida nella loro applicazione. Fu la prima a stabilire una dittatura costituzionale, insieme al sistema di terrore politico ed amministrativo che va con essa. Adottando tutti gli aspetti dello stato totale, essa perciò divenne il modello per tutti quegli altri stati che furono forzati a tagliar fuori il sistema statale democratico e

pervenire ad un governo dittatoriale. La Russia fu l'esempio per il fascismo.

Nessun accidente è qui degenerato, né un brutto scherzo della storia. La duplicazione di sistemi qui non è apparente, ma reale. Ogni cosa suggerisce che c'è da occuparsi qui di espressioni e conseguenze di identici principi applicati a differenti livelli di sviluppo storico e politico. Che ai partiti "comunisti" piaccia o no, rimane il fatto che l'ordine statale ed il governo in Russia sono indistinguibili da quelli in Italia e Germania.

Essenzialmente sono uguali. Si può parlare di "stato sovietico" rosso, nero o bruno, come di fascismo rosso, nero o bruno. Sebbene certe differenze ideologiche esistano tra questi paesi, l'ideologia non è mai di primaria importanza.. Le ideologie, anzichenò, sono mutevoli e questi cambiamenti non necessariamente riflettono il carattere e le funzioni dell'apparato statale. Inoltre, il fatto che la proprietà privata esista ancora in Germania ed in Italia è solo una modificazione di secondaria importanza. L'abolizione della proprietà privata da sola non garantisce il socialismo. La proprietà privata all'interno del socialismo può anche essere abolita.

Ciò che attualmente determina una società socialista è, prima del farla finita con la proprietà privata dei mezzi di produzione, il controllo dei lavoratori sui prodotti del loro lavoro e la fine del sistema salariale.

Entrambe queste conquiste sono inadempiute in Russia, così come in Italia e Germania. Sebbene qualcuno potrebbe assumere che la Russia sia di un passo più vicina al socialismo degli altri paesi, a ciò non segue che che il suo "stato sovietico" abbia aiutato il proletariato internazionale ad avvicinarsi in qualche modo ai suoi risultati di classe. Al contrario, poiché la Russia si autodefinisce uno stato socialista, mistifica e delude i lavoratori del mondo. Il lavoratore pensante sa cos'è il fascismo e lo combatte, ma riguardo alla Russia, è solo troppo spesso incline ad accettare il mito della sua natura socialistica. Questa delusione inceppa una completa e determinata rottura col fascismo, perché blocca la lotta di principio contro le ragioni, le precondizioni e le circostanze che in Russia, come in Germania ed Italia, hanno portato ad un identico sistema statale e di governo. Così il mito russo volge ad un arsenale di controrivoluzione.

Non è possibile per gli uomini seguire due padroni. Né uno stato totalitario può fare una cosa simile. Se il fascismo serve interessi capitalistici ed imperialistici, non può servire i bisogni dei lavoratori. Se, a dispetto di ciò, due classi apparentemente opposte favoriscono lo stesso sistema statale, è ovvio che qualcosa dev'essere sbagliato. Una o l'altra classe dev'essere in errore. Nessuno può dire qui che il problema è solamente di forma e quindi di nessun significato reale, che, sebbene le forme politiche siano autentiche, i loro contenuti possano variare ampiamente. Questa sarebbe autodelusione. Per il Marxista queste cose non succedono; per lui forma e contenuto si compenetrano tra loro e non possono essere separate. Ora, se lo stato sovietico serve come modello per il fascismo, deve contenere elementi strutturali e funzionali comuni al fascismo. Per determinare quali siano dobbiamo andare indietro al "sistema sovietico" come stabilito dal leninismo, che è l'applicazione dei principi del bolscevismo alle condizioni russe. E se un'identità tra bolscevismo e fascismo può essere stabilita, allora il proletariato non può allo stesso modo combattere il

fascismo e difendere il "sistema sovietico" russo. Invece, la lotta contro il fascismo deve cominciare dalla lotta contro il bolscevismo.



II



Fin dall'inizio il bolscevismo fu per Lenin un fenomeno puramente Russo. Durante i molti della sua attività politica, non tentò mai di elevare il sistema bolscevico a forme di lotta in altri paesi. Era un socialdemocratico che vedeva in Bebel e Kautsky i leaders geniali della classe lavoratrice ed ignorava l'ala sinistra del movimento socialista Tedesco che lottava contro questi suoi eroi e tutti gli altri opportunisti. Ignorandoli, rimase in consistente isolamento circondato da un piccolo gruppo di emigranti Russi, e continuò a stare sotto l'influenza di kautsky persino quando la "sinistra" Tedesca, sotto la leadership di Rosa Luxemburg, era già impegnata in lotta aperta contro il kautskismo.

Lenin faceva riferimento solo alla Russia. Il suo obiettivo era la fine del sistema feudale zarista e la conquista del più grande ammontare d'influenza politica per il suo partito socialdemocratico all'interno della società borghese.

Comunque esso [il partito bolscevico - N.d.T.] realizzò che sarebbe potuto rimanere al potere e guidare il processo di socializzazione solo se avesse potuto sguinzagliare la rivoluzione mondiale dei lavoratori. Ma la sua attività a questo riguardo fu infelice.

Col ricacciare i lavoratori tedeschi all'interno dei partiti, sindacati e parlamento, e colla simultanea distruzione del movimento tedesco dei consigli (soviet), i bolscevichi diedero man forte alla sconfitta della risvegliantesi rivoluzione Europea.

Il partito bolscevico, formato da rivoluzionari professionisti da una parte e da numerose masse arretrate dall'altra, rimase isolato. Non poteva sviluppare un vero sistema sovietico all'interno degli anni di guerra civile, intervento, declino economico, esperimenti di socializzazione falliti, e l'improvvisata Armata Rossa. Sebbene i soviet, ch'erano stati sviluppati dai menscevichi, non si fossero fissati nello schema bolscevico, fu col loro

aiuto che i bolscevichi salirono al potere. Con la stabilizzazione del potere ed il processo di ricostruzione economica, il partito bolscevico non sapeva come coordinare il sistema sovietico alle proprie decisioni ed attività. Tuttavia, il socialismo era anche il desiderio dei bolscevichi, ed abbisognava del proletariato mondiale per la sua realizzazione.

Lenin pensava fosse essenziale vincere i lavoratori del mondo ai metodi bolscevichi. Era seccante che i lavoratori di altri paesi, nonostante il gran trionfo del bolscevismo, mostrassero poca inclinazione ad accettare per loro stessi la teoria e pratica bolscevica, ma tendessero piuttosto nella direzione del movimento dei consigli, che si levò in un numero di paesi, e specialmente in Germania.

Quel movimento dei consigli che Lenin non poteva più usare in Russia. In altri paesi Europei esso mostrava forti tendenze ad opporsi al tipo bolscevico di sollevazioni. A dispetto della tremenda propaganda di Mosca in tutti i paesi, le cosiddette "ultrasinistre", come Lenin stesso le apostrofava, si agitavano con più successo per la rivoluzione sulle basi del movimento dei consigli di quanto facessero tutti i propagandisti inviati dal partito bolscevico. Il partito comunista, seguace del bolscevismo, rimaneva un piccolo, isterico e rumoroso gruppo comprensivo in larga parte dei brandelli proletarizzati della borghesia, mentre il movimento dei consigli crebbe in vera forza proletaria ed agganciò i migliori elementi della classe lavoratrice. Per far fronte a questa situazione, la propaganda bolscevica doveva essere accresciuta; l'"ultrasinistra" doveva essere attaccata; la sua influenza doveva essere distrutta in favore del bolscevismo.

Dacchè il sistema sovietico era fallito in Russia, come poteva la "competizione" radicale osar tentare di provare che ciò che non potè esser completato dal bolscevismo in Russia avrebbe potuto esser realizzato molto meglio indipendentemente dal bolscevismo in altri posti? Contro questa competizione Lenin scrisse il suo pamphlet "L'Estremismo, Malattia Infantile del Comunismo", dettato dalla paura di perdere potere e dall'indignazione circa il successo degli eretici. Dapprima questo pamphlet apparve col sottotitolo "tentativo di esposizione popolare della strategia e tattica marxiana", ma più tardi questa dichiarazione troppo ambiziosa e sciocca fu rimossa. Era davvero un pò troppo. Questa aggressiva, cruda e odiosa bolla papale fu vero materiale per ogni controrivoluzionario. Di tutte le dichiarazioni programmatiche del bolscevismo, fu la più rivelatrice del suo reale carattere. Questo è il bolscevismo smascherato. Quando nel 1933 Hitler soppresse tutta la letteratura socialista e comunista in Germania, al pamphlet di Lenin fu permessa la pubblicazione e la distribuzione.

Riguardo ai contenuti del pamphlet, non ci occupiamo qui di ciò che dice in relazione alla rivoluzione Russa, alla storia del bolscevismo, alla polemica tra bolscevismo ed altre correnti del movimento del lavoro, o alle circostanze che permisero la vittoria bolscevica, ma soltanto dei punti principali tramite i quali al tempo della discussione tra Lenin e l'"ultrasinistrismo" vennero illustrate le differenze decisive tra i due opponenti.



III



Il partito bolscevico, originariamente la sezione socialdemocratica russa della Seconda Internazionale, fu formato non in Russia, ma durante l'emigrazione. Dopo la spaccatura di Londra nel 1903, l'ala sinistra della socialdemocrazia russa non era più di una piccola setta. Le "masse" dietro di essa esistevano solo nella mente del suo leader. Comunque, questa piccola avanguardia era un'organizzazione strettamente disciplinata, sempre pronta per lotte militanti e continuamente purgata per mantenere la sua integrità. Il partito era considerato l'accademia di guerra dei rivoluzionari professionisti. I suoi preminenti requisiti pedagogici erano l'autorità incondizionata del leader, il rigido centralismo, la disciplina d'acciaio, la conformità, la militanza ed il sacrificio della personalità per interessi di partito. Ciò che effettivamente Lenin sviluppò era un'elite di intellettuali, un centro che, una volta introiettato nella rivoluzione, avrebbe catturato la leadership ed assunto il potere. Non è il caso di provare a determinare logicamente ed astrattamente se questo tipo di preparazione per la rivoluzione sia giusto o sbagliato. Il problema dev'essere risolto ialetticamente. Altre domande devono essere sollevate: Che tipo di rivoluzione era in preparazione? Quale fu il risultato della rivoluzione?

Il partito di Lenin lavorava all'interno della tardiva rivoluzione borghese in Russia per rovesciare il regime feudale dello zarismo. Più centralizzata e più monocratica fosse stata la volontà del partito leader in una simile rivoluzione, più successo avrebbe accompagnato il processo di formazione dello stato borghese e più promettente sarebe stata la posizione della classe proletaria all'interno della struttura del nuovo stato.

Comunque, ciò che può essere stimato come una come una felice soluzione dei problemi rivoluzionari in una rivoluzione borghese, non può essere allo stesso tempo pronunciato per una rivoluzione proletaria. La decisiva differenza strutturale tra la società borghese e la nuova società socialista esclude un'attitudine simile.

Secondo i metodi rivoluzionari di Lenin, i leaders appaiono alla testa delle masse. Possedendo l'adatta scuola rivoluzionaria, sono capaci di comprendere situazioni e dirigere e comandare le forze combattenti.

Sono rivoluzionari professionisti, i generali di un grande esercito civile. Questa distinzione tra testa e corpo, intellettuali e masse, funzionari e privati corrisponde alla dualità della società di classe, all'ordine sociale borghese. Una classe è educata a governare; l'altra ad essere governata. Da questa vecchia formula di classe risultava il concetto di partito di Lenin. La sua organizzazione era solo una replica della società borghese. La sua rivoluzione è obiettivamente determinata dalle forze che creano un ordine sociale incorporante queste relazioni di classe, nonostante i risultati soggettivi accompagnanti questo processo.

Chiunque voglia avere un ordine borghese lo troverà nel divorzio tra leader e masse, avanguardia e classe lavoratrice, la giusta preparazione strategica per la rivoluzione. Più intelligente, scolarizzata e superiore è la leadership e più disciplinate ed obbedienti sono le masse, più sono le chances che una tale rivoluzione venga ad accadere. Nell'aspirare alla rivoluzione borghese in Russia, il partito di Lenin era il più appropriato

al suo risultato.

Quando, comunque, la rivoluzione russa cambiò il suo carattere, quando le sue caratteristiche proletarie diventarono più attuali, i metodi tattici e strategici di Lenin cessarono di avere valore. Se egli ebbe successo ugualmente non fu per la sua avanguardia, ma per il movimento dei soviet che non era stato tutto incorporato nei suoi piani rivoluzionari. E quando Lenin, dopo che la rivoluzione fu realizzata con successo dai soviet, esonerò ancora questo movimento, tutto ciò ch'era stato proletario in nella rivoluzione russa fu coesonerato. Il carattere borghese della rivoluzione venne ancora alla ribalta, trovando il suo naturale completamento nello stalinismo.

A dispetto del suo grande interesse nella dialettica marxiana, Lenin non era capace di vedere i processi sociostorici in maniera dialettica. Il suo pensiero rimaneva meccanicistico, seguente ruoli rigidi. Per lui c'era solo un partito rivoluzionario - il suo; solo una rivoluzione - la russa; solo un metodo - il bolscevico. E ciò che aveva prodotto risultati in Russia ne avrebbe prodotti anche in Germania, Francia, America, Cina ed

Australia. Ciò che era corretto per la rivoluzione borghese in Russia sarebbe stato corretto anche per la rivoluzione proletaria mondiale. La monotona applicazione di una formula una volta scoperta portò in un circolo egocentrico indisturbato da tempo e circostanze, gradi di sviluppo, standards culturali, idee ed uomini. In Lenin venne alla luce con grande chiarezza il ruolo dell'età delle macchine in politica; egli era il "tecnico", l'"inventore", della rivoluzione, il rappresentante dell'onnipotente volontà del leader. Tutte le caratteristiche fondamentali del fascismo erano nella sua dottrina, nella sua strategia, nel suo "planning" sociale e nella sua arte di comportamento con gli uomini. Non poteva vedere il profondo significato rivoluzionario del rigetto delle tradizionali politiche di partito da parte della sinistra. Non poteva comprendere la reale importanza del movimento dei soviet per l'orientamento socialista della società. Non ha mai imparato a conoscere i prerequisiti della liberazione dei lavoratori. Autorità, leadership, forza esercitati da una parte, e organizzazione, quadri, subordinazione dall'altra parte, - questa era la sua linea di

ragionamento. Disciplina e dittatura sono le parole più frequenti nei suoi scritti. È comprensibile, allora, perché non potè comprendere né apprezzare le idee e le azioni dell'"ultrasinistra", che non accettò la sua strategia e che pretese ciò che era più ovvio e più necessario per la lotta rivoluzionaria per il socialismo, menzionatamente che i lavoratori una volta e per tutte prendessero il loro destino nelle proprie mani.



IV



Prendere il loro destino nelle proprie mani - parola chiave, questa, di tutte le questioni di socialismo - fu la vera controversia in tutte le polemiche tra l'ultrasinistra ed i bolscevichi. Il disaccordo sulla questione del partito fu parallelo al disaccordo sul tradeunionismo. L'ultrasinistra era dell'opinione che non vi fosse più posto per i rivoluzionari nei sindacati; che era piuttosto necessario per loro sviluppare le proprie forme organizzazionali all'interno delle fabbriche, i comuni posti di lavoro. Comunque, grazie alla loro immeritata autorità, i bolscevichi sono stati abili nelle prime settimane della rivoluzione tedesca a riportare i lavoratori nelle capitalistiche reazionarie trade unions. Per combattere le ultrasinistre, per denunciarle come stupide e controrivoluzionarie, Lenin nel suo pamphlet ancora una volta fa uso delle sue formule meccanicistiche. Nei suoi argomenti contro la posizione della sinistra non si riferisce alle trade unions tedesche, ma alle esperienze sindacali dei bolscevichi in Russia. Che ai loro primi inizi le trade unions fossero state di grande importanza per la lotta di classe proletaria è un fatto generalmente accettato. I sindacati in Russia erano giovani e ciò giustificava l'entusiasmo di Lenin. Comunque, la situazione era differente in altre parti del mondo. Utili e progressive ai loro albori, le trade unions nei paesi capitalistici più vecchi erano diventate ostacoli sulla via della liberazione dei lavoratori. Erano diventate strumenti di controrivoluzione e la sinistra tedesca trasse le sue conclusioni da questa mutata situazione.

Lenin stesso non poteva aiutare dichiarando che nel corso del tempo s'era sviluppato uno strato di una "strettamente tradeunionista, imperialisticamente orientata, arrogante, vana, sterile, egotistica, piccoloborghese, corrotta e demoralizzata aristocrazia del lavoro". Questa gilda di corruzione, questa gangster leadership, oggi governa il mondo sindacale mondiale e vive sulla schiena dei lavoratori. Era di questo movimento sindacale che l'ultrasinistra stava parlando quando richiedeva che i lavoratori avrebbero dovuto isolarlo. Lenin, comunque, rispose demagogicamente indicando il giovane movimento sindacale in Russia che non aveva in comune il carattere dei sindacati da lungo stabilizzati in altri paesi. Impiegando una specifica esperienza a un dato periodo e sotto particolare circostanza, pensava fosse possibile trarre da essa conclusioni di mondiale applicazione. I rivoluzionari, arguiva, devono essere sempre dove sono le masse. Ma in realtà dove sono le masse? Negli uffici delle trade unions? Ai meetings dei membri? Ai meetings segreti della leadership coi rappresentanti dei capitalisti? No, le masse sono nelle fabbriche, nei loro posti di lavoro; e li è necessario effettuare la loro cooperazione e rafforzare la loro solidarietà. L'organizzazione di fabbrica, il sistema consiliare, è la vera organizzazione della rivoluzione, che deve soppiantare tutti i partiti e sindacati.

Nelle organizzazioni di fabbrica non c'è nessun posto per la leadership professionale, nessun divorzio dei leaders dai seguaci, nessuna distinzione di casta tra intellettuali e base di classe, nessun terreno per egotismo, competizione, demoralizzazione, corruzione, sterilità e filisteismo. Qui i lavoratori devono prendere il loro destino nelle proprie mani.

Ma Lenin pensava altrimenti. Voleva preservare i sindacati; per cambiarli dall'interno; per rimuovere i burocrati socialdemocratici e rimpiazzarli con burocrati bolscevichi; per rimpiazzare una burocrazia cattiva con una buona. Quella cattiva si sviluppa in una socialdemocrazia, quella buona in bolscevismo. Vent'anni d'esperienza hanno intanto dimostrato l'idiozia di siffatto concetto. Seguendo il parere di Lenin, i Comunisti han provati tutti e vari metodi per riformare i sindacati. Il risultato è stato nullo. Il tentativo di formare propri sindacati è stato parimenti nullo. La competizione tra lavoro sindacale socialdemocratico e bolscevico è stata una competizione in corruzione. Le energie rivoluzionarie dei lavoratori furono esaurite in questo proprio processo. Invece di concentrarsi sulla lotta contro il fascismo, i lavoratori furono impiegati in una sperimentazione senza senso e senza risultato nell'interesse di diverse burocrazie. Le masse persero confidenza in se stesse e nelle "loro" organizzazioni. Si sentirono ingannate e tradite. I metodi del fascismo, dettare ogni passo dei lavoratori, impedire il risveglio dell'autoiniziativa, sabotare tutti gl'inizi di coscienza di

classe, demoralizzare le masse attraverso innumerevoli sconfitte e renderle impotenti - tutti questi metodi - erano stati già sviluppati in vent'anni di lavoro nei sindacati in accordo coi principi bolscevichi. La vittoria del fascismo fu così facile perché i leaders del lavoro nei sindacati e nei partiti avevano preparato per loro [ossia per i fascisti europei, rimanendo nel limite cronologico di questo scritto, e chi li sosteneva - N.d.T.] il materiale

umano adatto ad essere inserito nello schema di cose fascistico.



V



Anche sulla questione del parlamentarismo Lenin appare nel ruolo del difensore di una istituzione politica decaduta che era diventata un ostacolo per un più veloce sviluppo politico ed un danno all'emancipazione proletaria. Le ultrasinistre combatterono il parlamentarismo in tutte le sue forme. Rifiutarono di partecipare ad elezioni e non rispettarono le decisioni parlamentari. Lenin, comunque, pose più sforzo nelle attività parlamentari ed attribuì ad esse più importanza. L'ultrasinistra dichiarò il parlamentarismo storicamente passè sia pure come tribuna per l'agitazione, e vide in esso non più che una continua risorsa di corruzione politica sia per parlamentari che per lavoratori. Esso smorzò la consapevolezza rivoluzionaria e la

consistenza delle masse colcreare illusioni di legalistiche riforme, e nelle occasioni critiche il parlamento si trasformò in un'arma di controrivoluzione. Doveva essere distrutto o, quando null'altro fosse stato possibile, sabotato. La tradizione parlamentare, ancora giocanti una parte nella coscienza proletaria, doveva essere combattuta.

Per ottenere l'effetto opposto, Lenin operò con lo stratagemma di fare una distinzione tra le istituzioni storicamente e politicamente passè. Certamente, arguì, il parlamentarismo era storicamente obsoleto, ma questo non era politicamente il caso, e si sarebbero dovuti fare i conti con ciò. Si sarebbe dovuto partecipare perché ciò giocava ancora una parte politicamente.

Che argomento! Il capitalismo, anche, è solo storicamente e non politicamente obsoleto. Secondo la logica di Lenin, non è allora possibile combattere il capitalismo in una maniera rivoluzionaria. Piuttosto un compromesso dovrebbe essere trovato. Opportunismo, mercanteggiamento, commercio dei cavalli politico - ciò sarebbe la conseguenza della tattica di Lenin. La monarchia, pure, è storicamente ma non politicamente sorpassata. Secondo Lenin, i lavoratori non avrebbero nessun diritto di farla finita con essa ma sarebbero obbligati a trovare una soluzione di compromesso. Come la stessa storia sarebbe vera riguardo alla chiesa, pure solo storicamente ma non politicamente sorpassata. Inoltre, il popolo appartiene in grandi masse alla chiesa. Come rivoluzionario, Lenin fece notare, uno deve dev'essere dove sono le masse. La consistenza lo forzerebbe a dire "Entra nella chiesa, è il tuo dovere rivoluzionario!" Alla fine, c'è il fascismo. Un giorno, altresì, il fascismo sarà storicamente sorpassato ma politicamente ancora in esistenza. Cosa è allora da fare? Accettare il fatto e realizzare un compromesso col fascismo. Secondo il ragionamento di Lenin, un patto tra Stalin ed Hitler illustrerebbe solo che Stalin attualmente è il miglior discepolo di Lenin: e non sarebbe del tutto sorprendente se nel prossimo futuro gli agenti bolscevichi salutassero il patto tra Mosca e Berlino come la sola vera tattica rivoluzionaria [si rimarca che circa un anno dopo l'uscita di tale scritto ci sarebbe stato il patto Molotov - Ribbentropp…- N.d.T.].

La posizione di Lenin sul parlamentarismo è solo un'addizionale illustrazione della sua incapacità di comprendere i bisogni essenziali e le caratteristiche della rivoluzione proletaria. La sua rivoluzione è interamente borghese; è una battaglia per la maggioranza, per posizioni di governo, per un impossessamento della macchina legislativa. Egli allo stato delle cose riteneva importante crescere di più voti possibile alle campagne elettorali, avere una forte frazione bolscevica in tutti i parlamenti, aiutare a determinare forme e contenuti della legislazione, prender parte nel ruolo politico. Non notava del tutto che il parlamentarismo di oggi è un mero bluff, una vuota finzione, e che il reale potere della società borghese si posa in luoghi interamente differenti; che nonostante tutte le possibili sconfitte parlamentari la borghesia avrebbe ancora in mano sufficienti mezzi per assertare la sua volontà ed interesse in campi non parlamentari. Lenin non vide i demoralizzanti effetti che il parlamentarismo aveva sulle masse, non notò il posizionamento delle morali pubbliche attraverso la corruzione parlamentare. Corrotti, venduti, e spaventati, i politici parlamentari erano paurosi per le loro entrate. C'è stato un tempo nella Germania prefascista in cui i reazionari potevano passare ogni desiderata meramente con la minaccia di causare la dissoluzione del parlamento. Non c'era niente di più terribile per i politici parlamentari che una simile minaccia che implicava la fine dei loro facili introiti. Per evitare una simile fine, avrebbero dovuto dire si a qualsiasi cosa. E come va oggi in Germania, in Russia, in Italia? Gli iloti parlamentari sono senza opinioni, senza volontà, e non sono nulla più che volenterosi servi dei loro padroni fascisti.

Non c'è dubbio che il parlamentarismo sia interamente degenerato e corrotto. Ma perché il proletariato non ferma questo deterioramento di un sistema politico che è stato una volta usato per i suoi scopi? Fermare il parlamentarismo tramite un'eroico atto rivoluzionario sarebbe stato molto più utile ed educativo per la coscienza proletaria che il miserabile teatro in cui il parlamentarismo è finito nella società fascistica. Ma un simile proposito era interamente estraneo a Lenin, come è estraneo oggi a Stalin. Lenin non era interessato alla libertà dei lavoratori dalla loro schiavitù mentale e fisica; non era turbato a causa della falsa coscienza delle masse e dalla loro umana autoalienazione. L'intero problema per lui era nulla più ne meno che un problema di potere. Come un borghese, questi pensava in termini di crescite e perdite, più o meno, credito e debito; e tutte le sue computazioni business - like trattano cose esterne: immagini dei membri, numero di voti, seggi in parlamento, posizioni di controllo. Il suo materialismo è un materialismo borghese, trattante con meccanismi, non con essenze umane. Non è realmente capace di pensare in termini sociostorici. Il parlamento per lui è il parlamento; un concetto astratto con un vacuo significato ritenuto uguale in tutte le nazioni, in tutti i tempi. Certamente riconosce che il parlamento passa attraverso stadi differenti, e lo mostra nelle sue discussioni, ma non usa la propria conoscenza nella sua teoria e pratica. Nelle sue polemiche proparlamentari si nasconde dietro i parlamenti protocapitalisti nello stadio ascendente del capitalismo, in

modo da non restar senza argomenti. E se attacca i vecchi parlamenti, è dal punto di vantaggio dei giovani ed a lungo antiquati. In breve, decide che la politica è l'arte del possibile. Comunque, la politica per i lavoratori è l'arte della rivoluzione.



VI



Rimane da trattare la posizione di Lenin sulla questione dei compromessi. Durante la guerra mondiale la socialdemocrazia tedesca si vendette alla borghesia. Tuttavia, più contro il suo volere, essa ereditò la rivoluzione tedesca. Ciò fu possibile in larga misura per mezzo dell'aiuto della Russia, che fece la sua parte nello sbarazzarsi del movimento consiliare tedesco. Il potere che era caduto nel grembo della socialdemocrazia non fu usato per niente. La socialdemocrazia semplicemente rinnovò la sua vecchia politica di collaborazione di classe, soddisfatta col dividersi il potere sui lavoratori con la borghesia nel periodo di ricostruzione del capitalismo. I lavoratori radicali tedeschi respinsero questo tradimento con questo slogan, "Nessun compromesso con la controrivoluzione". Qui era un caso concreto, una situazione specifica, demandante una decisione chiara. Lenin, incapace di riconoscere i reali sbocchi della posta, fece di questa concreta specifica questione un caso generale. Con l'aria di un generale e l'infallibilità di un cardinale, provò a persuadere le ultrasinistre che i compromessi con gli oppositori politici sotto tutte le condizioni sono un dovere rivoluzionario. Se si leggono quei passaggi occupantesi di compromessi nel pamphlet di Lenin, si è inclinati a comparare le osservazioni di Lenin nel 1920 con la presente politica di compromessi di Stalin. Non c'è nessun peccato mortale della teoria bolscevica che non sia diventato realtà

bolscevica sotto Lenin.

Secondo Lenin, le ultrasinistre avrebbero dovuto aver la volontà di firmare il trattato di Versailles. Comunque, il partito comunista, ancora in accordo con Lenin, realizzò un compromesso e protestò contro il Trattato di Versailles in collaborazione con gli hitleriti. Il "nazionalbolscevismo" propagandato nel 1919 in Germania dal sinistro Lauffenberg fu nell'opinione di Lenin "un'assurdità piangente verso il cielo". Ma Radek ed il partito comunista - ancora in accordo col principio di Lenin - conclusero un compromesso col nazionalismo tedesco, e protestarono contro l'occupazione del bacino della Rühr e celebrarono l'eroe nazionale Schlageter. La Lega delle Nazioni era, secondo le stesse parole di Lenin, "una banda di ladri e

banditi capitalisti", che i lavoratori avrebbero potuto solo combattere fino all'amara fine. Comunque Stalin - in accordo con le tattiche di Lenin - realizzò un compromesso con questi stessi banditi, e l'U.R.S.S. entrò nella Lega [1934, N.d.T.]. Il concetto "popolo" o "gente" è nell'opinione di Lenin una concessione criminale all'ideologia controrivoluzionaria della piccola borghesia. Questo non impedì ai leninisti, Stalin e Dimotrov, di realizzare un compromesso con la piccola borghesia in modo da lanciare il bizzarro movimento del "fronte popolare". Per Lenin l'imperialismo era il più grande nemico del proletariato mondiale, e contro di esso tutte le forze dovevano essere mobilitate. Ma Stalin, ancora in vera voga leninistica, è impegnato quasi a scodellare un'alleanza con l'imperialismo di Hitler [vedasi ns. parentesi d'osservazione nel par. V - N.d.T.]. È necessario offrire altri esempi? L'esperienza storica insegna che tutti i compromessi tra rivoluzione e controrivoluzione possono servire solo la seconda. Essi conducono solo alla bancarotta del movimento rivoluzionario. Tutta la politica di compromesso è una politica di bancarotta. Ciò che iniziò come un mero compromesso con la socialdemocrazia tedesca trova la sua fine in Hitler. Ciò che Lenin giustificò come un compromesso necessario trova la sua fine in Stalin. Nel diagnosticare il non compromesso rivoluzionario come "Una Malattia Infantile Del Comunismo", Lenin stava soffrendo della malattia senile dell'opportunismo, di pseudocomunismo.



VII



Se si guarda con occhio critico al quadro del bolscevismo fornito dal pamphlet di Lenin, i seguenti punti principali possono esser riconosciuti come caratteristiche del bolscevismo:

1. Il bolscevismo è una dottrina nazionalistica. Originariamente ed essenzialmente concepita per risolvere un problema nazionale, fu più tardi elevato a teoria e pratica di scopo internazionale ed a dottrina generale. Il suo carattere nazionalistico viene alla luce anche nella sua posizione sulla lotta per l'indipendenza nazionale delle nazioni oppresse.

2. Il bolscevismo è un sistema autoritario. Il picco della piramide sociale è il punto più importante e determinante. L'autorità è realizzata nella persona onnipotente. Nel mito del leader l'ideale della personalità borghese celebra i suoi più alti trionfi.

3. Organizzativamente, il bolscevismo è altamente centralistico. Il comitato centrale ha responsabilità per per tutta l'iniziativa, la leadership, l'istruzione, i comandi. Come nello stato borghese, i membri leader dell'organizzazione giocano il ruolo della borghesia; il solo ruolo dei lavoratori è di obbedire agli ordini.

4. Il bolscevismo rappresenta una politica di potere militante. Esclusivamente interessato nel potere politico, non è differente dalle forme di governo nel senso tradizionale borghese. Parimenti nella propria organizzazione non c'è autodeterminazione tramite i membri. L'armata serve al partito come grande esempio d'organizzazione.

5. Il bolscevismo è dittatura. Lavorando con la forza bruta e misure terroristiche, dirige tutte le sue funzioni attraverso la soppressione di tutte le istituzioni ed opinioni non bolsceviche. La sua "dittatura del proletariato" è la dittatura di una burocrazia o di una singola persona.

6. Il bolscevismo è un metodo meccanicistico. Aspira alla coordinazione automatica, alla conformità tecnica assicurata ed al più efficiente totalitarismo come risultato dell'ordine sociale. L'economia centralisticamente "pianificata" confonde coscientemente i problemi tecnico - organizzativi con questioni socioeconomiche.

7. La struttura sociale del bolscevismo di natura borghese. Non abolisce il sistema salariale e rifiuta l'autodeterminazione proletaria sui prodotti del lavoro. Rimane con ciò fondamentalmente all'interno della struttura di classe dell'ordine sociale borghese. Il capitalismo è perpetuato.

8. Il bolscevismo è un elemento rivoluzionario solo nella struttura della rivoluzione borghese. Incapace di realizzare il sistema dei soviet, è al riguardo incapace di trasformare essenzialmente la struttura della società borghese e la sua economia. Non stabilisce il socialismo, ma il capitalismo di stato.

9. Il bolscevismo non è un ponte che porta eventualmente alla società socialista. Senza il sistema dei soviet, senza la totale radicale rivoluzione di uomini e cose, non può esaudire la più essenziale di tutte le esigenze socialistiche, che è terminare l'autoalienazione umana capitalista. Esso rappresenta l'ultimo stadio della società borghese e non il primo passo verso una nuova società.

Questi nove punti rappresentano una invalicabile opposizione tra bolscevismo e socialismo. Dimostrano con tutta la necessaria chiarezza il carattere borghese del movimento bolscevico e la sua stretta relazione al fascismo. Nazionalismo, autoritarismo, centralismo, dittatura del leader, politiche di potenza, governo del terrore, dinamiche meccanicistiche, incapacità a socializzare [quest'ultimo è un riferimento economico, N.d.T.] - tutte queste essenziali caratteristiche del fascismo erano e sono esistenti nel bolscevismo. Il fascismo è maramente una copia del bolscevismo. Per questa ragione la lotta contro l'uno deve iniziare con la lotta contro l'altro.

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provaci ancora sam
by un comunista Tuesday, Aug. 23, 2005 at 12:04 AM mail:


Perchè cara Sam ste stronzate non le pubblichi sul tuo sito
che spammi in fondo?

http://WWW.C.C.C.P.ORG

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La rivoluzione non è un affare di partito!
by un comunista dei consigli Tuesday, Aug. 23, 2005 at 10:48 AM mail:

LA RIVOLUZIONE NON E’ AFFARE DI PARTITO

La rivoluzione del 1848 fu fermata alla base. Ma l'ideale dell'era borghese, la repubblica democratica, fu eretto. La borghesia, impotente e molle per natura, non mostro alcuna volontà di realizzare questo ideale nella lotta. Ammainò la bandiera davanti alla monarchia e alla nobiltà, si contentò del diritto di sfruttare le masse economicamente e ridusse il parlamentarismo ad una parodia. Ne risultò allora per la classe operaia il dovere d'inviare propri rappresentanti al parlamento. Essa riprese dalle mani perfide della borghesia le rivendicazioni democratiche, le propagandarano energicamente e tentarono di inscriverle nella legislazione. La socialdemocrazia si diede in questo compito un programma democratico minimo. Un programma di rivendicazioni attuali e pratiche, adatte all'epoca borghese. La sua azione parlamentare era dominata da questo programma, dalla preoccupazione di ottenere, cose, per la classe operaia, e per la sua attività politica, i vantaggi di un campo d'azione legale, costruendone e completandone la democrazia formale borghese-liberale. Allorchè Wilhelm Liebknecht propose l'assenteismo si trattò di misconoscenza della situazione storica. Se la socialdemocrazia vuole essere efficacie come partito politico, deve entrare in parlamento. Non aveva nessuna altra possibilità d'agire e farsi valere politicamente. Allorchè i sindacalisti deviarono dal parlamentarismo e predicarono l'antimilitarismo, fecero conoscere la vanità e la corruzione crescente della pratica parlamentare. Ma, in pratica, esigevano dalla socialdemocrazia qualcosa di impossibile. Esigevano che si prendesse una decisione che si opponesse alla necessità storica, che la socialdemocrazia rinunciasse a se stessa. La socialdemocrazia non poteva accettare questo punto di vista, poichè‚ era un partito politico che doveva andare in parlamento.

Anche il KPD è diventato un partito politico. Un partito nel senso storico, come i partiti borghesi, come la SPD e l'USPD. I suoi capi vi hanno la parola per primi, parlano, promettono, seducano, comandano. Quando le masse ci sono si trovano davanti al fatto compiuto, devono mettersi nei ranghi e marciare al passo. Devono credere, tacere, pagare, ricevere gli ordini, le istruzioni e eseguirle. Devono votare! I loro capi vogliono andare in parlamento. Devono dunque essere eletti. Dopo di che, attenendosi le masse ad una sottomissione muta e ad una passività devota, sono i capi che fanno un alta politica in parlamento. Pure il KPD è diventato un partito politico. Pure il KPD vuole andare in parlamento. La centrale del KPD mente quando dice alle masse che vuole andarvi per distruggerlo. Mente quando dice che non vuole compiervi alcun lavoro positivo. Il KPD non distruggerà nessun parlamento, non lo vuole e non lo può. Vi farà un lavoro positivo perchè vi è costretto e perchè lo vuole. Il KPD è diventato un partito politico come gli altri. Un partito di compromesso, di opportunismo, della critica e giostra oratoria. Un partito che ha cessato di essere rivoluzionario.

Guardate! Ritorna in parlamento. Riconosce i sindacati. S'inchina davanti alla costituzione democratica. Fa pace col potere dominante. Si piazza sul terreno dei rapporti di forza reali. Prende parte all'opera di restaurazione nazionale e capitalista. Che cosa lo differenzia dall'USPD? Critica al posto di negare. Fa dell'opposizione invece di fare la rivoluzione. Mercanteggia invece di agire. Chiacchiera invece di lottare. Tutto perchè smette di essere una organizzazione rivoluzionaria. Diventa un partito socialdemocratico. Non si distingue dai Scheidemann e dai Daumig che per sfumature. E questo sarà la sua fine.

Alle masse resta una consolazione: vi è sempre una opposizione! Questa opposizione non si candida per il suo posto nel campo controrivoluzionario! Che cosa poteva fare? Che cosa fa? Si riunisce e si unifica in una organizzazione politica. Era necessario? Gli elementi più maturi politicamente, più decisi e più attivi da un punto di vista rivoluzionario hanno il dovere di formare la falange della rivoluzione. Non possono compiere questo dovere che sotto forme di falange, vale a dire di formazione chiusa. Sono l'elite del proletariato rivoluzionario. Per il carattere chiuso della loro organizzazione guadagnano forze e acquistano una sempre maggiore capacità di giudizio. Si manifestano in tanto che avanguardia del proletariato, come volontà d'azione fianco a fianco degli individui esitanti e confusi. Nel momento decisivo formano il centro magnetico di ogni attività. Sono una organizzazione politica. Ma non un partito politico. Non un partito nel senso tradizionale. La sigla del Partito Comunista Operaio Tedesco (KAPD) è l'ultima traccia esteriore, ben presto superflua, di una tradizione che un semplice colpo di spugna non basta disgraziatamente a cancellare da una ideologia politica di massa, ieri ancora vivente, ma oggi sorpassata. Ma anche questa traccia gli sarà cancellata. L'organizzazione delle prime linee comuniste della rivoluzione non deve essere un partito abituale, sotto pena di morte, sotto pena di riprodurre la sorte che toccò al KPD. L'epoca della fondazione dei partiti è passata, perchè è passata l'epoca dei partiti politici in generale. Il KPD è l'ultimo partito. La sua bancarotta è la più vergognosa, la sua fine la più povera di dignità e di gloria. Ma che accade alla opposizione? Che accade della rivoluzione?

La rivoluzione non è affare di partito. I tre partiti socialdemocratici hanno la follia di considerare la rivoluzione come loro proprio affare di partito. La rivoluzione è affare politico e economico di tutta la classe proletaria. Solo il proletariato in quanto classe può condurre la rivoluzione alla vittoria. Tutto il resto è superstizione, demagogia, ciarlataneria politica. Si tratta cioè di concepire il proletariato come classe e di scatenare la sua attività per la lotta rivoluzionaria. Sulla base più larga, nel quadro più ampio. Perciò tutti i proletari pronti alla lotta rivoluzionaria, senza preoccuparsi della provenienza ne della base sulla quale si reclutano, devono raccogliersi nei luoghi di lavoro in organizzazioni rivoluzionarie di fabbrica, e essere riuniti nel quadro dell'Unione Generale dei Lavoratori (AAU). L'Unione Generale dei Lavoratori non è un < non importa chi > , un miscuglio qualsiasi, ne è una formula fortuita. E' il raggruppamento di tutti gli elementi pronti ad una attività rivoluzionaria, che si dichiarano per la lotta di classe, per il sistema dei consigli e per la dittatura. E' l'armata rivoluzionaria del proletariato. Questa Unione Generale dei Lavoratori prende radici nelle fabbriche e si edifica secondo i rami dell'industria, dal basso in alto, federativamente alla base e organizzato in alto col sistema degli uomini di fiducia rivoluzionaria. L'Unione spinge dal basso verso l'alto, si eleva conformemente e a partire dalle masse operaie: è la carne e il sangue del proletariato: la forza che spinge è l'azione delle masse: la sua anima il soffio bruciante della rivoluzione. L'Unione non è una creazione di capi. Non è una costruzione sottilmente congegnata. Non è un partito politico dalle chiacchiere parlamentari e dei bonzi pagati. Non è più un sindacato. E' il proletariato rivoluzionario.

Cosa vuol fare il KAPD ? Creare delle organizzazioni rivoluzionarie di fabbrica. Propagherà l'Unione Generale dei Lavoratori. Costruendo di fabbrica in fabbrica, di ramo in ramo delle industrie, formerà i quadri delle masse rivoluzionarie. Li formerà per l'assalto, li rinforzerà e darà loro le energie per il combattimento decisivo fino a quando ogni resistenza da parte del capitalismo, in via di disfacimento, potrà essere vinta. Immetterà nelle masse combattenti fiducia nelle proprie forze, garanzia di tutte le vittorie nella misura in cui questa fiducia li libererà dai capi ambiziosi e traditori. E a partire dall'Unione Generale dei Lavoratori, cominciando dalle fabbriche, estendendosi sulle regioni economiche, e finalmente su tutti i paesi, si cristallizzerà un movimento comunista. Il nuovo < partito > comunista che non è più un partito. Ma è, per la prima volta, comunista!

Rappresentiamoci il processo in maniera concreta. Vi sono 200 uomini in una fabbrica. Una parte di questi appartiene all'AAU e ne fa propaganda, all'inizio senza successo. Ma alla prima lotta, nella quale i sindacati naturalmente mollano, rompe i vecchi vincoli. Ben presto 100 uomini sono passati all'Unione. Fra di loro 20 sono comunisti essendo il resto composto da gente dell'USPD, e dai sindacalisti e disorganizzati. All'inizio l'USPD ispira molta fiducia. La sua politica domina la tattica delle lotte che sono condotte in fabbrica. Tuttavia lentamente, ma sicuramente, la politica dell'USPD si rileva falsa, non rivoluzionaria. La fiducia che i lavoratori hanno per l'USPD si attenua. La politica dei comunisti si afferma. I 20 comunisti diventano 50, poi 100 e più, ben presto il gruppo comunista domina politicamente in tutte le aziende, determina la tattica dell'Unione, domina nelle lotte per l'obiettivo rivoluzionario. E' cosi in piccolo e in grande. La politica comunista s'impianta di fabbrica in fabbrica, di regione economica in regione economica. Si realizza, raggiunge il comando, diviene il corpo, la testa e l'idea direttrice del movimento. E' a partire dalla cellula dei gruppi comunisti nelle fabbriche, a partire dai settori delle mosse comuniste nelle regioni economiche che si costituisce, nell'edificazione del sistema consiliare, il nuovo movimento comunista. Dunque: una < rivoluzionarizzazione > dei sindacati, una < ristrutturazione > ? E quanto durerà questo processo ? Degli anni ? Decine d'anni ? Per caso fino al 1926 ? Niente di tutto questo. Il compito non sarà quello di demolire, di annientare il colosso d'argilla delle centrali sindacali coi loro sette milioni di aderenti, per ricostruirlo dopo sotto un altra forma. Il compito è di impadronirsi delle leve di comando nelle fabbriche chiavi dell'industria, del processo di produzione sociale, e pertanto decisive per l'esito della lotta rivoluzionaria. D'impadronirsi della leva che può buttare all'aria il capitalismo in interi rami industriali e intere regioni economiche. La disponibilità risoluta all'azione di una sola organizzazione può quando il caso gli si presenta avere più efficacia di uno sciopero generale. Là il David della fabbrica abbatte il Golia della burocrazia sindacale.

Il KPD ha smesso di essere l'incarnazione del movimento comunista in Germania. Ha voglia di richiamarsi rumorosamente a Marx, Lenin, a Radek ! Il KPD non forma che l'ultimo anello del fronte unico contro-rivoluzionario. Ben presto si presenterà in buon accordo con la SPD e la USPD nel quadro di un fronte unico per un governo operaio < puramente socialista > . La sua assicurazione di un ' < opposizione leale > verso i partiti assassini, traditori degli operai, ne è una tappa. Rinunciare a combattere in modo rivoluzionario gli Ebert e i Kautsky ( cf. Die Rote Fahne del 21 marzo 1920 ) , è già allearsi tacitamente con loro. Ebert-Kautsky-Levi. L'ultimo stadio del capitalismo morente. L'ultimo < soccorso politico > per la borghesia tedesca. La fine. La fine anche dei partiti, della politica, degli imbrogli, del tradimento dei partiti. E' il nuovo inizio del movimento comunista. Il Partito Comunista Operaio. Le organizzazioni di fabbrica rivoluzionarie, raggruppate nell'Unione Generale dei Lavoratori. I consigli rivoluzionari. Il congresso dei consigli rivoluzionari. Il governo dei consigli rivoluzionari. La dittatura comunista dei consigli.

Otto Ruhle 1920

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VAIAFFANCULO anonimo cagnolino
by Paolo Dorigo n.19 progressivo Tuesday, Aug. 23, 2005 at 10:57 AM mail: paolodorigo@alice.it

Porsi il problema del bolscevismo e firmare tutto il potere ai soviet significa non capire cosa fu il bolscevismo e cosa dovrebbe essere oggi un processo rivoluzionario.
Oggi siamo in una società socialista ? No. Perchè discetti di cosa sarà il domani senza porti il problema di come cambiare l'oggi, se non per "confutare" ... sic ... la teoria leninista (che sino alla rivoluzione culturale era il massimo punto di sviluppo storico del proletariato), se non perchè stai cercando polli da schedare ? Prima di discettare, studia bene facendoti qualche anno di fabbrica o di galera, d'accordo ? Per il resto, è scandaloso che ci siano anonimi che discettano con stronzate su persone che a queste cose han dedicato la vita muovendo e sospingendo milioni e milioni di proletari in un unico cuneo di forza trasformativa.
Perchè gli storici ci tengono al loro nome ?
Proprio per distinguersi dagli stronzi come te.
by by

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tutto il potere ai consigli
by autonomia proletaria Tuesday, Aug. 23, 2005 at 12:24 PM mail:

'sto giro, Paolo, hai pisciato fuori dalla tazza!
Secondo te i consigli operai in Germania e in Italia e i soviet in Russia non sono storia? Non li ha inventati Lenin, ma proprio quegli operai che si facevano il culo e le mani callose in fabbrica e che poi sono finiti nelle patrie galere o ammazzati dalla borghesia e anche dai grandi storici-teorici del partito che si dicevano leninisti.
Non ci sei finito solo tu in gabbia. Un po' di autocritica suvvia, e di dialettica magari (alla Lenin per intenderci) farebbero bene!
Uno che ha sostenuto la tua lotta

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comunismo radicale e consigli operai
by Gemeinwesen Tuesday, Aug. 23, 2005 at 5:15 PM mail:

Note di preistoria contemporanea

Individuare la genealogia di Comontismo non ci interessa certo per riaffermare una continuità, ma anzi per chiarire (anche a noi stessi) come esso nasca proprio dalla necessità di una rottura con il passato. Questa rottura è diretta conseguenza dell'estensione al quotidiano del dominio del capitale, il quale, ponendo esso stesso il terreno per il riappropriarsi della totalità da parte degli uomini, ha imposto alla nostra coscienza soggettiva l'abbandono di tutte quelle forme organizzative contrastanti con le esigenze di rivoluzione moderna. In questo senso la risposta all'eventuale domanda "chi siamo" non è determinata in noi dal bisogno di definirci come un "ismo" tra i tanti, merce ideologica più o meno nuova sul mercato del com-sumismo, e quindi di rivendicare novità sconvolgenti all'interno di vetuste tradizioni, ma dalla volontà di chiarire cosa effettivamente significhi per noi il superamento di un passata esperienza, in favore non di una nuova ideologia ma di una riaffermazione coscientemente vissuta e creativa della teoria rivoluzionaria.

LE ORIGINI DI COMONTISMO
Le origini immediate di Comontismo risalgono a tutti quei gruppi che genericamente si definiscono, e furono definiti, consiliari. Genericamente, poiché i Consigli storicamente intesi e la "teoria" che ne fu l'espressione ben poco di comune ebbero con i recenti gruppi consiliari, i quali, pur indicando nei Consigli la forma organizzativa del proletariato e con ciò la possibilità pratica dell'autogestione della società da parte dei proletari stessi, cercavano di andare al di là della semplice affermazione della tematica consiliare ed aspiravano a forme di espressione ed a contenuti più radicali e moderni. Nei fatti però l'ambiguità fu mantenuta sino alle sue conseguenze estreme, poichè venne riaffermata schematicamente la forma Consiglio, mentre si era incapaci di derivarne gli insegnamenti storici con tutte le conseguenze che essi imponevano. Perciò è necessario un chiarimento minimo su cosa fu e su cosa significò l'esperienza consiliare in sè, ancor prima che per i suoi epigoni e quindi per noi.

La nascita storica dei Consigli coincide con un preciso periodo dello sviluppo del capitale e della sua organizzazione conseguente. Infatti essi nacquero e si determinarono in rapporto al periodo di transizione, imposto dalla crisi che la riproduzione del capitale su scala allargata comportava come sua interna conseguenza. La contraddizione fondamentale del capitale (cioè quella tra processo di valorizzazione e necessariamente conseguente processo di devalorizzazione), lo spinse alla conquista di nuovi mercati, alla riorganizzazione interna del mercato ed alla ricomposizione organicamente sociale della popolazione, alla difesa armata degli interessi dei singoli capitali nazionali ed ancor più alla ristrutturazione della produttività operaia. Tutto ciò non fu sufficiente ad impedire l'estendersi e l'approfondirsi delle contraddizioni stesse, che esplosero violentemente nella prima guerra mondiale e, più tardi, nella grande crisi internazionale del 1929 che trovò la sua risposta storica nel New Deal e nella NEP, prima forma di omogenea ripartizione e riorganizzazione del mercato e dell'economia mondiali. In seguito a ciò il capitale, sino ad allora libero di svilupparsi in maniera parzialmente irrazionale ed empirica, fu costretto a porsi come soggetto dell'intero tessuto sociale e delle forme di produzione e realizzazione del valore. La democrazia, forma politica finalmente riscoperta appieno in tale processo, ne espresse, nella sua caratteristica di momento popolare, la tendenza generale (almeno sino a che le esigenze di globalizzazione non spinsero il capitale a scegliere il fascismo come sua forma necessaria per lo sviluppo ordinato ed armonico delle potenzialità produttive). Essa significò infatti il conglobamento di tutti i ceti e le classi socialinella logica del capitale per cui il suo proprio sviluppo poteva essere spacciato per progresso generale dell'umanità ridotta a funzione economica. L'esperienza consiliare si pone all'inizio di tale processo, soprattutto come reazione alle conseguenza delle crisi interne, periodiche, estensive ed intensive della produzione e della circolazione di merci. Solo sulla base di questo sommario inquadramento storico è possibile cercare di comprendere i ritardi di un'epoca e di coloro che ne furono i protagonisti.

CONSIGLI OPERAI E LENINISMO
I Consigli operai furono, all'interno della dinamica delle lotte anticapitaliste che sconvolsero l'Europa dagli inizi del '900 sino alla caduta della Repubblica Bavarese dei Consigli e poi alla guerra civile spagnola, la prima forma, sia pure incompiuta e spesso contraddittoria, teorica-pratica di organizzazione autonoma del proletariato in quanto classe in sè. Storicamente essi si imposero come forza organizzata in settori diversi della geografia mondiale del capitale. Essi infatti si affermarono come primo movimento radicale e generalizzato in un paese capitalisticamente arretrato come la Russia del 1905, dove l'assemblea diretta e spontanea (Soviet) fu la forma del primo porsi del proletariato con propri interessi e rivendicazioni specifiche (nonostante i tentativi di controllo di burocrati e di quel presidente del Soviet di Pietroburgo che era Trockij). Tale fu la facilità di generalizzazione, nonché di radicalizzazione spontaneamente organizzata del movimento dei Consigli che, nella rivoluzione russa del 1917, essi furono la struttura portante della partecipazione proletaria all'assalto bolscevico al potere. E solo quando Lenin, con le astute Tesi di Aprile, elaborate per fini di gestione e recupero, comprese la loro reale importanza, il partito bolscevico cominciò a contare un seguito popolare e proletario non più minoritario rispetto ad altri partiti, in specie menscevico e socialista-rivoluzionario. "Tutto il Potere ai Soviet" divenne lo slogan capace di rendere omogeneo un movimento che, data l'arretrata struttura dei rapporti di produzione in Russia, al di là di una pur reale rivendicazione di liberazione completa, non trovava, né lo poteva, il terreno per svilupparsi sino alla vittoria totale, nel rispetto dei caratteri anti-burocratici e anti-capitalisti che ne erano stati i termini fondanti e determinanti.

I penosi risultati di questa sconfitta i proletari europei la pagarono pochi anni dopo con la Resistenza, dove i blocchi partigiani, che avevano avuto le loro premesse in Spagna, significarono il blocco unito di operai e capitalisti, sotto l'occhio vigile dei burocrati affossatori delle volontà rivoluzionarie espresse da rari gruppi di proletari radicali, per la ricostruzione "democratica" dell'economia capitalista, cioè per l'estensione a tutti gli aspetti della vita di quel dominio capitalista che il fascismo aveva saputo così abilmente "modernizzare".

IL SENSO POSITIVO DEI CONSIGLI
I Consigli furono dunque la forma che il proletariato espresse tutte le volte in cui storicamente si pose come classe soggettivamente cosciente. In quanto tale, il presupposto dei consigli proletari fu l'abolizione immediata, all'interno dell'organizzazione rivoluzionaria, della reificazione capitalista fondata sulla divisione pratica delle funzioni. Infatti il Consiglio proletario nasce come momento autonomo unificante in cui si fondono dialetticamente, all'interno della lotta, la funzione direttiva e quella esecutiva, la qualificazione politica e la rivendicazione economica; all'interno della dittatura proletaria, il momento esecutivo e quello legislativo, conciliando così funzioni storicamente separate. In questo senso, il Consiglio rappresenta la prima forma autenticamente vissuta degli scopi della rivoluzione: l'abolizione della divisione del lavoro (anche se non si giunse mai a proporre l'abolizione del lavoro tout court), la riunificazione delle funzioni, il superamento della falsa antitesi voluta dal capitale tra "individui autonomi" e comunità sociale. Il che in altri termini significa che il proletariato, nella misura in cui raggiungeva coscienza di sé, all'interno della lotta divenuta finalmente rivoluzionaria,esprimeva immediatamente come per sé necessaria l'esigenza della creazione di una comunità d'azione autenticamente proletaria, che si poneva contemporaneamente come momento autonomo di lotta e come superamento, già in sé configurato, della comunità reificata del capitale. Queste furono essenzialmente le caratteristiche della forma Consiglio, anche se i contenuti specifici che essi portarono avanti dipesero evidentemente dalle situazioni particolari in cui fiorirono e si diffusero.

LE CONTRADDIZIONI DEI CONSIGLI
Ma nei Consigli ciò che contraddiceva a questi principi era, paradossalmente, proprio la forma storica del Consiglio stesso. Rispetto infatti alle esperienze burocratiche (dalla IIa Internazionale alle degenerazioni leniniste),che ancora vedevano come necessaria o perlomeno imprescindibile ai fini della lotta, la divisione tra essere e coscienza, il Consiglio si poneva più come un allargamento quantitativo del principio democratico, che come un'estensione qualitativa del concetto di comunità. Si pensava infatti che la democrazia, condotta alle sue estreme conseguenze, potesse perdere i propri connotati eminentemente borghesi. Democrazia poteva invece ancora significare una rivendicazione sostanzialmente proletaria,anche se solo tattica, nella misura in cui i1 capitale non si era ancora costituito completamente in comunità materiale, non aveva ancora coinvolto nella sua logica, come partecipi effettivi alla gestione economica ed ideologica dell'esistente, tutti i ceti e gli strati della popolazione. Quando ciò materialmente avvenne, la democrazia si pose come risposta reificata alle esigenze di comunità autogestita, rendendole spettacolo vanificato di sé, in cui l'apparenza non è altro che la copertura reale dell'interiorizzazione divenuta cosciente del proprio sfruttamento, all'interno di strutture volte a pianificarlo o a mantenerlo.

L'USO CAPITALISTA DEI CONSIGLI
In questo senso il Consiglio nacque già in forma ambigua e, in quanto tale, si ebbe dalla storia la verifica della sua inadeguatezza rispetto al compito che esso stesso si pose coscientemente. Inadeguatezza che permise, in ultima analisi, che i Consigli, da momento autonomo dell'organizzazione del proletariato divenissero di fatto momento fondamentale del suo recupero e della sua sconfitta.


IL MOVIMENTO DEI CONSIGLI IN ITALIA
In Italia il movimento dei Consigli fu geograficamente limitato ai centri industriali del Nord ed in special modo alla cerchia di Torino, dove essi assommarono in sé la maggior combattività ed i contorni più caratteristici di organizzazione autonoma. In effetti vi furono alcuni tentativi, da parte dei gruppi operai più radicali, di estendere la qualità del movimento a zone proletarie della città (esemplare il caso di Borgo San Paolo a Torino, dove spesso il Consiglio, nato in grandi fabbriche come la Lancia, cercò di coinvolgere tutta la popolazione proletaria nei suoi obiettivi di riorganizzazione eversiva della vita sociale). Ciononostante la vita dei Consigli rimase perlopiù confinata nelle fabbriche, sia materialmente che come prospettive di lotta. Questo fu uno dei motivi fondamentali, accanto alla nefasta influenza delle preesistenti organizzazioni burocratiche e riformiste, per cui non riuscirono a superare la contraddizione tra capitale e lavoro, se non riorganizzando per sé la produzione nelle fabbriche occupate. La critica al lavoro, perciò, fu sviluppata ancora in nome del lavoro e non per la sua abolizione, la lotta all'esistente ancora all'interno dei meccanismi di produzione esistenti. Tutto ciò consentì ad un recuperatore come Gramsci di teorizzare questi limiti individuando nei Consigli un semplice organismo di democrazia operaia e di gestione aziendale all'interno delle forme intangibili del partito leninista.


I CONSIGLI IN GERMANIA
Il paese in cui la forma Consiglio trovò maggiore sviluppo, e che per ciò stesso presentò caratteristiche più differenziate, mettendo più chiaramente in luce la propria realtà e i propri limiti, fu la Germania. A Berlino, a Monaco ed in seguito in molte altre regioni, in specie della Germania centrale, i Consigli toccarono il momento più alto di coscienza proletaria fino ad allora espresso, costituendo la forma con cui i proletari difesero la loro collocazione di classe, allorché il proletariato era ancora una classe particolare al fianco di altre classi. Tuttavia anche in Germania il movimento non superò le sue contraddizioni sia a livello di organizzazione sociale alternativa, sia a livello teorico. Per quanto riguarda l'organizzazione sociale i Consigli non seppero rompere del tutto la dimensione aziendale e corporativa e quando tentarono di farlo rimasero inchiodati alle scadenze capitaliste, per cui i momenti insurrezionali, pur estremamente combattivi e talora eroici, furono assai più spesso esplosioni di rabbia per la sconfitta che stava maturando che non generalizzazioni di livelli teorici e pratici già raggiunti dal proletariato come classe per sè. D'altra parte anche i teorici "estremisti" del K.A.P.D., che pur individuando nei consigli la forma organizzativa più efficace per il proletariato occidentale e che correttamente criticarono il Partito Comunista ufficiale e burocratico - pedissequamente legato agli schemi leninisti - non seppero rompere del tutto con la vittoriosa concezione bolscevica della rivoluzione e perciò con le divisioni tra la sfera economica (gestita essenzialmente dall'A.A.U.D.) e quella più propriamente politica, riservata al partito. Solo l'A.A.U.D.-E., nata da una scissione, (ed Otto Rhule in primis) tentò di superare la forma partito e di dare al Consigli un carattere totale e totalizzante. Ma anch'essa, sia per i contraddittori rapporti con il K.A.P.D. sia per la sua relativamente debole influenza, finì per impantanarsi nelle generali contraddizioni del movimento e nelle sue sconfitte. Esemplare a questo titolo il tentativo insurrezionale del marzo '21 (che Ruhle fu tra i pochi ad analizzare con coerente lucidità critica) in cui la delirante politica dell'Internazionale Comunista con la demente e velleitaria obbedienza del K.P.D. (pronto però a rimangiarsi in fretta il tutto) portò alla sanguinosa sconfitta del proletariato tedesco, con i militanti del K.A.P.D. e delle sue organizzazioni di fabbrica incapaci, nonostante eroici tentativi, di sfuggire al ruolo di "carne da cannone" loro assegnato dai bolscevichi. In definitiva, come tendenza generale e nonostante i tentativi sopraddetti, i Consigli non uscirono, se non in rari momenti ed in singole regioni, da una prospettiva riformista e, in ultima analisi, confacente alle esigenze di riorganizzazione del capitale tedesco uscito menomato dal conflitto mondiale: anzi il capitale riuscì a non accollarsi da solo il compito di ricostruzione e di ristrutturazione della potenza germanica, lasciando che gli strati proletari, e soprattutto i loro "rappresentanti", partecipassero in prima persona alle responsabilità di governo e di gestione.

LA COLLETTIVIZZAZIONE IN SPAGNA
Ad ulteriore dimostrazione di come la forma Consiglio, con contenuti specifici differenziati di volta in volta, si fosse estesa in regioni diverse dell'Europa, le collettività spagnole nate dalla rivoluzione del '36 e che diedero il senso complessivo a tutta la guerra civile, si presentano come ultima forma dell'ultimo esistere del proletariato come classe particolare. Ma la guerra civile spagnola, colossale provocazione antiproletaria, doveva portare alla stroncatura, almeno per un lungo periodo, del movimento proletario internazionale, chiuso com'era nella morsa di fascismo, stalinismo e riformismo. Per cui ai nostri occhi le collettività spagnole oggi rappresentano la forma estrema di difesa dello spirito rivoluzionario ancora sopravvissuto alla controrivoluzione degli anni trenta. L'inevitabile sconfitta non fu dovuta soltanto ai tradimenti interni, dalla feroce repressione e provocazione controrivoluzionaria dei "comunisti" stalinisti ai vili compromessi governativi di molti dirigenti anarchici. Ma essa fu causata, ancor più dallo stato dì debolezza e di confusione del proletariato mondiale, che non seppe offrire una effettiva solidarietà di lotta ai rivoluzionari spagnoli. Da ciò tutte le contraddizioni intrinseche al movimento di collettivizzazione in Spagna, che unì a momenti di elevata socializzazione rivoluzionaria, come in Catalogna ed in Aragona, momenti di chiara gestione proletaria del capitale e del lavoro alienato, così com'era voluto dal fronte unitario, certamente antifascista a livello formale ma non anticapitalista a livello reale.


Da forma primitiva esprimente nei contenuti il superamento dell'ordine reificato del capitale, essi divennero forma definitoria del loro opposto, cioè dell'organizzazione del capitale stesso nella sua forma più avanzata. In effetti il capitale desunse dalle forme organizzative direttamente proletarie i caratteri fondamentali della sua offensiva antiproletaria, e ciò non solo per la logica interna di sviluppo del capitale, che trova sempre forza ed impulso dal porsi storico del proletariato, ma anche per le forme e i contenuti storicamente limitati dell'azione proletaria che offrirono oggettivamente lo spunto per questa opera di recupero e di riconversione.

Tutte le forze e tutti i gruppi rivoluzionari che in seguito vollero dire qualcosa di significante e tentare di esprimere una continuità storica, dovettero fare i conti con la precedente esperienza consiliare. Questa tematica la vediamo infatti imporsi come fondamentale in quei gruppi (tedeschi, olandesi, italiani, belgi, inglesi, francesi, bulgari ed americani) che direttamente o indirettamente erano maturati nell'esperienza delle lotte degli anni '20, sia soprattutto in quei gruppi che riscoprirono il significato dei Consigli dalla rivolta proletaria ungherese del '56. Tuttavia in gruppi tipo Socialisme ou Barbarie, che peraltro ebbe un'influenza importante su molte delle esperienze successive, la tematica consiliare rimase fine a sé stessa, legandosi a prospettive di autogestione che si limitavano a criticare le forme del lavoro alienato senza peraltro proporre l'abolizione del lavoro stesso. Perciò le sconfitte storiche del movimento dei Consigli per costoro divennero pateticamente delle proposte vincenti. Essi stessi si resero in parte conto delle contraddizioni in cui si erano impelagati , ma cercarono di superarle con un "modernismo" ideologico che li spinse tra le losche braccia del culturalismo di sociologi laidamente recuperatori, tipo Edgar Morin. Oggi ovunque, ed in specie in Francia, la tematica consiliare è ripresa da moltissimi gruppi di cui tuttavia non vale la pena di parlare, poichè la loro rozzezza ideologica ed il loro operaismo gruppuscolare li squalificano di per sé, relegandoli al ruolo di stanchi ripetitori di esperienze storiche che, sia pure in modo contraddittorio, espressero ben altra vitalità. Ben diversa qualitativamente è l'esperienza teorica che ha fatto capo all'Internationale Situationniste. In effetti l'I.S. seppe partire dall'esigenza di una critica radicale dell'esistente sociale, ponendo in primo piano la critica della vita quotidiana, la lotta contro l'ideologia, l'analisi della società mercantil-spettacolare e la riscoperta del senso della vita contro l'organizzazione della sopravvivenza. Per giungere però a riproporre come sbocco rivoluzionario i Consigli Operai, schematicamente ripescati dalla storia, ricadendo in quegli errori di operaismo e di ideologia che essa stessa aveva correttamente criticato. L'incapacità di sviluppare l'analisi dell'ideologia in quanto struttura portante dell'attuale dominio capitalista ha impedito ai situazionisti di comprendere sino in fondo le loro stesse intuizioni riguardo ai connotati del proletariato moderno e delle sue forme di lotta, rispolverando quei Consigli Operai che, sconfitti come organizzazione storica del proletariato in quanto classe particolare, si presentano come forma inadeguata rispetto al porsi dell'umanità stessa in quanto classe in sè e, soprattutto, per sè, unica risposta possibile all'organizzarsi del capitale in comunità materiale. Quindi una critica che tendeva alla totalità ma che non è riuscita ad andare sino alle conseguenze estreme dei suoi presupposti ha potuto, anche per la degenerazione di tipo politico del gruppo dei situazionisti, soddisfarsi di una soluzione che più che altro funziona da statico modello mal compreso e peggio riproposto.


LE NOSTRE ESPERIENZE CONSILIARI
Queste le fondamentali esperienze organizzative e teoriche di cui si possono ritrovare le tracce nei gruppi di cui alcuni di noi sono stati membri, in special modo LUDD e l'Organizzazione Consiliare di Torino. La tematica dei Consigli ebbe comunque in Ludd e nell'O.C. una funzione essenzialmente ideologica, mal connettendosi con l'insieme delle posizioni espresse. Ideologica poichè perlopiù funse da riferimento acritico, da schema interpretativo, da parametro statico con cui misurare le tendenze e le espressioni del proletariato moderno. Ai di là della tematica consiliare Ludd rappresentò invece un tentativo, peraltro ancora incoerente, di riscoprire e rendere cosciente il vero significato della rivoluzione, riprendendo l'eredità del pensiero rivoluzionario che, nel frattempo, l'organizzazione istituzionale del recupero aveva cercato di occultare in ogni modo. Alla base della critica di Ludd restava il fondamento di riconoscere la coscienza (nel senso di coscienza della possibilità oggettiva) come momento inseparabile della prassi, in quanto soggetto di essa, e quindi inconciliabile con ogni separazione (coscienza-proletariato, partito-masse, economia-politica). Il che significa ricollocare il proletariato al centro del movimento che riconduce alla totalità, negando nella prassi tutti quei momenti fittizi che traggono origine proprio dalla parzialità (avanguardie & partiti). In questo senso andava rifatta una lettura critica di Marx, attraverso le esperienze della Luxemburg, di Korsch, di Lukacs, dì Pannekoek, di Ruhle, fino a giungere alla tematica di Socialisme ou Barbarie, ed all'identificazione dell'autogestione cosciente come momento dì riunificazione della classe. Ludd non poteva che negare la validità di qualsiasi esperienza che, non andando al di là della parzialità imposta dal capitale come momento necessario alla produzione, teorizzasse la separazione come momento "necessario" dell'organizzazione, contrapponendo a ciò l'esigenza della riunificazione del proletariato non più come oggetto dell'organizzazione, ma come soggetto della propria emancipazione.

LUDD
In Ludd le intuizioni critiche sulla realtà oggettiva dello sviluppo del capitale, per quanto reali fossero, nella misura in cui non trovarono mai le connessioni con la pratica che da esse deve derivare come necessaria, restarono a livello di momenti di ideologizzazione puramente soggettiva, a cui faceva riscontro un'oggettività totalmente annessa alla pratica sociale del capitale, dove le differenziazioni (di gruppo) erano un momento puramente descrittivo delle leggi di produzione. In questo senso la critica, il più delle volte mutuata da realtà ben più vitali, era il semplice pretesto dietro a cui si mascherava la passiva accettazione di strutture viste come immodificabili, per cui la rivoluzione, momento finale di una dialettica inesistente se non nelle teste di chi la pensava, escludeva da sé ogni partecipazione autonomamente autodeterminatasi. Così molti "ludditi", da distruttori dell'universo reificato delle macchine, poterono senza apparente rottura di continuità, diventare i difensori "radicali" del loro possesso. Nonostante la critica della politica e dell'ideologia dominanti, Ludd restò nel campo dell'espressione ideologica e politica, ed al suo interno gli individui mantennero inalterati i rapporti inorganici che l'attuale struttura sociale impone come unici possibili, senza nemmeno cercare la ragione reale del loro superamento all'interno di "teorie" che formavano soltanto, per chi lo esprimeva, il necessario "bagaglio culturale" del moderno produttore e consumatore di prodotti ideologici predeterminati.

L'ORGANIZZAZIONE CONSILIARE
L'Organizzazione Consiliare, per quanto cercasse di rovesciare 1'inesistente pratica di Ludd, ritrovando il senso coerente dell'organizzazione come momento qualitativamente superiore, ed in questo senso riscoprisse per prima la realtà autonoma delle nuove forme di espressione del proletariato moderno, non più a livello di modelli a-storici ma nella realtà della pratica criminale sovversiva della quotidianità, restò ugualmente prigioniera dei limiti ideologici di tutti i gruppi consiliari, protraendo la propria esistenza al di là della sua necessità, fino a che la degenerazione dell'organizzazione, ancora una volta autonomizzatasi in forme alienate, non ne impose agli individui più coscienti l'immediato scioglimento.

I COMONTISTI
Il superamento che i comontisti intendono realizzare rispetto a questo loro recente passato, prima che essere una conseguenza teorica trae la propria necessità dalla pratica e da questa principalmente può essere desunto. Infatti la comunità di intenti e d'azione, alla cui costruzione Comontismo tende, più che il prodotto di una continuità storica è il frutto e l'espressione coerente della rivoluzione in atto, che rompe ogni continuità, anche se riconosce in certe forme rivoluzionarie del passato, le sue premesse, sia pure in forme incoerenti. Dal momento che essa non può riconoscere altra pratica ed altra finalità che quella del piacere coscientemente vissuto e organizzato, necessariamente antitetico alla reificazione ed alla sopravvivenza, la comunità d'azione non è più in alcun modo ricollegabile alle passate organizzazioni consiliari, e per ciò stesso non può essere ridotta a vuoto feticcio dai mille usi (cfr. l'uso strumentale ed indiscriminato delle tesi consiliari da parte di tutta la sinistra tradizionale, dal PSI fino al Potere Operaio attraverso la mediazione neogramsciana del Manifesto e di simili gruppi tardoconsiliari). Al contrario, poiché la comunità d'azione si pone con il proprio modo di vita, con l'intera sua quotidianità in un'ottica dove ogni parzialità, ogni separazione tra soggettivo e oggettivo, tra teorico e pratico, tra nucleo eversivo e rivoluzione globale, tende dialetticamente a risolversi, essa costituisce col solo limite quantitativo (e per ciò, trattandosi di individui coscienti, qualitativo) che il livello attuale dello scontro anticapitalista impone, la più completa espressione della nascente "classe umana" (erede storica del proletariato rivoluzionario), negatrice del capitale, del dominio delle cose sugli uomini.

Tratto da "Comontismo - Per l'Ultima Internazionale" (1972): http://www.nelvento.net/archivio/68/isocluddcom/comontismo/index.htm

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La controrivoluzione antifascista
by Gemeinwesen Tuesday, Aug. 23, 2005 at 5:26 PM mail:

La controrivoluzione antifascista
di Joe Fallisi e Francesco Santini (1975)


"L’antifascismo è il peggior prodotto del fascismo"(Amadeo Bordiga)

1. Tra il 1917 e il 1923 il proletariato rivoluzionario tentò di realizzare nuovamente e per l’ultima volta il suo progetto storico di dittatura di classe sulla società per una trasformazione socialista e quindi comunista (transizione anti-mercantile al comunismo attraverso il socialismo inferiore) del modo di produzione e di vita. Questo movimento su scala europea, e in prospettiva mondiale, indebolito all’interno dall’ideologia gestionaria, se riuscì inizialmente ad affermarsi in Russia, rovesciando l’autocrazia zarista, venne represso in modo implacabile dagli altri Stati, tutti capitalistici, borghesi e democratici. In Germania e in Italia, il tentativo rivoluzionario fu stroncato in prima persona rispettivamente dal governo operaio socialdemocratico di Ebert-Scheidemann, e da quello illuminato e liberale di Giovanni Giolitti, con la collaborazione attiva in entrambi i casi delle grandi centrali sindacali.

2. Con l’enorme slancio produttivo ricevuto dalla Prima Guerra mondiale, la società capitalistica si avviava a sostituire in maniera definitiva i propri presupposti verso la realizzazione del dominio reale del capitale: passaggio dal plusvalore assoluto al plusvalore relativo; trasformazione della legge del valore nella legge dei prezzi di produzione; concentrazione e centralizzazione dei capitali e delle aziende; sviluppo del capitale monetario finanziario e fittizio e generalizzazione del sistema del credito; scomparsa del borghese-capitalista in quanto personaggio storico, sostituito dal funzionario-capitalista; mistificazione del proletariato nelle classi medie; distruzione delle antiche classi medie e produzione delle nuove; formazione della comunità materiale; definitiva conquista dello Stato da parte del capitale e sua metamorfosi da semplice "comitato d’affari della classe dominante" a impresa capitalistica, funzionario di enormi monopoli ed esso stesso monopolio-racket; statalizzazione dei sindacati, che si trasformano in apparati polizieschi di controllo sul lavoro e di gestione dell’economia; predominio del lavoro morto sul lavoro vivo in tutti gli aspetti della "vita" associata e all’interno dell’individuo stesso; "antropomorfosi" del capitale (1).

3. A questo punto, la prima forma di democrazia rappresentativa, modo specifico di gestione nel periodo di dominio formale, e la sua politica, che mediava il conflitto costitutivo della società borghese tra interessi individuali e interessi generali, diventano inadeguate. Ora è il capitale stesso che direttamente unifica gli uomini per sottoporli al suo dominio; la politica, da suo strumento per affermarsi contro il modo di produzione precedente (e proprio in questa lotta, era ancora possibile, nel quadro della democrazia, un qualche intervento autonomo della classe oppressa), diviene suo prodotto immediato per la mistificazione e l’oppressione diretta.
La comunità popolare (Gemeinschaft) nazi-fascista, orrendo sostituto della Gemeinwesen, realizzò, attraverso il corporativismo e l’apologia del lavoro, in quanto accessorio del capitale (unità armonica capitale-lavoro), la mistificazione democratica (democrazia = potere del popolo) (2). Se nel fascismo il principio democratico sembra annullarsi, è perché in realtà esso si invera.

4. "[Il fascismo] non è altro che la generalizzazione del dispotismo di fabbrica all’intera società capitalista. Le vere unità riconosciute come operanti non sono più gli individui, ma le imprese, con la loro dualità democratica padroni-operai, o capitale-lavoro. Con ciò stesso, il capitale vuol mettere in rilievo un aspetto di cooperazione al fine di negare la lotta delle classi. In fondo il fascismo può essere definito come una forma politica che gestisce una società e tende a negare il comunismo nel momento stesso in cui lo genera. Si tratta del potere politico del capitale. In questo senso, il fascismo non distrugge il dualismo; ma al contrario lo materializza e lo costituisce. Non è come si vorrebbe la distruzione della democrazia, ma piuttosto il suo affinamento in forma di democrazia sociale. Infine, è il mezzo atto a conciliare l’antagonismo tra capitale sociale e capitale particolare"(3).
Fascismo, nazismo, stalinismo, Fronti Popolari e New Deal organizzano, a diversi livelli, la fase centrale del passaggio, nell’area euro-nordamericana, dal dominio formale al dominio reale del capitale.
"È attraverso il fascismo che il capitale ha realizzato il proprio accesso al dominio reale, in cui esso domina il suo aspetto lavoro. Il fascismo fu il movimento necessario al capitale per distruggere la forza del proletariato in quanto negazione del capitale e far trionfare il proletariato come essere di cui il capitale ha bisogno per realizzare il suo progetto vitale: di qui l’esaltazione del proletariato e la glorificazione del lavoro da parte dei fascisti ("Il lavoro rende liberi", era scritto all’ingresso di Auschwitz). Ecco perché il linguaggio fascista si è generalizzato; sebbene il fascismo sia ormai un fatto del passato. [Il fascismo] si presentò come l’artefice, l’operatore, di una trasformazione sociale che doveva condurre l’umanità al di là del capitalismo; così pure esso si levò (per lo meno ai suoi inizi [Sansepolcristi e sa] contro il capitalismo come fenomeno mondiale [la lotta alle potenze plutocratiche]"(4).Di fatto, rese possibile la perfetta realizzazione del dominio reale del capitale e fu uno degli elementi essenziali della sua generalizzazione a livello mondiale.

5. Il fascismo, sintesi arcaico-avveniristica dell’"irrazionale" accumulato e compresso nella storia e dell’inesorabile "ratio" totalitaria della moderna macchina produttiva (5), può e deve realizzare la mistificazione democratica e la "comunità del lavoro" là dove la negatività operaia era andata vicina alla propria affermazione (Italia e Germania): contro la democrazia e il lavoro salariato, per la vera comunità umana. In ciò esso fu un movimento controrivoluzionario, e annientò, col massiccio e incondizionato appoggio degli apparati statali democratici, l’autentica resistenza del proletariato, riuscendo a distruggere per un arco storico che va ben oltre il quadro angusto del regime le potenzialità di superamento antiborghese proprie del movimento operaio tradizionale. Le "organizzazioni storiche" di quest’ultimo furono all’altezza dei tempi: mentre in Italia il "patto di pacificazione" stabilito dai "socialisti" non bastava a impedire un’accanita autodifesa, per alcuni anni, del proletariato, in Germania invece, nella ben diversa atmosfera degli anni Trenta, l’opera ancor più micidiale dello stalinismo avrebbe consegnato la vittoria ai nazisti quasi senza colpo ferire (6).

6. Il potere al fascismo implicava però l’assorbimento totalitario di tutte le rappresentazioni politiche nello specchio deformante dello Stato del capitale, ed escluse quindi i politicanti borghesi, liberali cattolici e socialdemocratici. Dopo il conflitto del ‘39-’45, l’araba fenice della "nuova democrazia" saprà a sua volta far proprie le tecniche dell’organizzazione, propaganda e pubblicità fasciste dello spettacolo sociale e politico, ma alla fragile rigidità dell’unico specchio (o con me o contro di me), riuscirà a sostituire un "libero" sistema labirintico di identificazioni prestabilite (o con me o "contro di me", ma sempre con me).

7. L’affermarsi, all’interno, del fascismo, portò con sé all’esterno, nella crisi socio-economica mondiale, la realizzazione delle necessità espansionistiche dei capitalismi soffocati dalla "pace" di Versailles (Germania, Italia, Giappone), e cioè la guerra alle democrazie occidentali. Nel quadro generale ormai controrivoluzionario, la guerra (genocidio il cui "senso" è racchiuso nella repressione di Varsavia, condotta insieme da nazisti e stalinisti) non poteva costituire l’occasione per rompere, com’era avvenuto vent’anni prima, l’incatenamento dei lavoratori. L’opera dello stalinismo dopo il banco di prova spagnolo trionfava. La classe operaia si schierò dalla parte dello "Stato socialista", in lotta a fianco dei due più mostruosi colossi capitalistici, Gran Bretagna e America (l’asse Mosca-Washington eredita la funzione storica della Santa Alleanza ottocentesca Londra-Pietroburgo).

8. In tutta Europa le organizzazioni "socialiste" e "comuniste" si impegnarono poi fino in fondo nella guerriglia partigiana (dopo averla iniziata solo al seguito dell’aggressione statunitense), sacrificando le forze del proletariato nella "Liberazione" del territorio nazionale, in stretto collegamento con la propria borghesia "progressista" e con gli eserciti alleati (metodo di lotta condannato fin dal 1848 da Marx, secondo cui i proletari rivoluzionari non hanno patria e sanno di lottare, soli, contro il capitalismo della propria nazione, senza sperare o richiedere l’aiuto di altri Stati). La "Resistenza" che aveva visto nel fascismo, seguendo Gramsci, non il fenomeno storico mondiale d’avanguardia, ma la riscossa della piccola borghesia e dei "baroni agrari" espressione dell’"arretratezza" italiana e del suo "insufficiente" sviluppo capitalistico , identificò la propria lotta con un nuovo Risorgimento come se l’Italia, sede di un antichissimo capitalismo commerciale e anche manifatturiero, non avesse compiuto la propria rivoluzione democratico-borghese già da ottant’anni , e "raccolse" a tutto pro’ dei padroni nazionali e degli invasori anglo-americani, il "tricolore lasciato cadere nel fango dalla borghesia" (Togliatti). Il 25 aprile gli operai salvarono le fabbriche dal sabotaggio dei nazisti per consegnarle agli sfruttatori di sempre. L’insurrezione armata finì nella "caccia all’uomo" al contempo, in Francia, la parola d’ordine dei "comunisti" era: "A chacun son boche" (7) , il cui simbolo "festoso" fu la macabra messa in scena conclusiva di piazzale Loreto. Insieme si compì il massacro delle opposizioni allo stalinismo non integrabili nell’"ordine nuovo". Caddero così sotto le calunnie e il piombo dei partigiani democratici "le quinte colonne di Hitler" (8), cioè quei pochi internazionalisti e quei pochissimi anarchici che avevano avuto il disperato coraggio di opporsi alle SS al di fuori del CLN e contro i convertiti dell’ultima ora, e poi di sabotare e denunciare apertamente l’avvento della Repubblica della sua Costituzione e delle sue Camere come il ritorno sotto altra forma del dominio precedente, mascherato di qualche illusoria libertà.

9. Dopo la crisi, e nella continuità reale di regime, la mistificazione e sconfitta del proletariato avvenuta in modo completo, le forme di terrore scoperto proprie del fascismo vengono dislocate nel museo degli orrori del capitale, sempre adatte, all’occorrenza, a tornare operanti.
Alla temperie tragica del nazifascismo può succedere la farsa "permissiva" della democrazia cristiana e socialista.
La Repubblica "nata dalla Resistenza" cercò infine di portare a compimento il contenuto del programma socioeconomico fascista, ma rivestendolo di un involucro politico-spettacolare ancora più complesso e perfezionato. Oggi più di ieri il connubio operai-capitale si realizza attraverso il sindacato, la cogestione e l’apologia controrivoluzionaria del lavoro.

10. Nella presente atmosfera cupa si apprestano nell’ombra le bande degli sfondatori di teste. Fascisti e "antifascisti" raffinano le spranghe. All’aperto, crepita la grancassa dei vecchi e nuovi partigiani: "W la Resistenza, W l’Unità Nazionale, W Garibaldi, De Gasperi e Togliatti!"; "W Badoglio e il coraggioso Emanuele!", urla stralunato Sogno; "W don Minzoni!", tuona la vipera Fanfani; "Secchia, Secchia!", ringhiano ottusi Capanna e Corvisieri; "Curiel, Curiel!", ribatte Berlinguer. Persino Almirante, il fucilatore, arringando nuovi plotoni, sentenzia che: "La Liberazione è patrimonio della coscienza democratica di tutti i veri Italiani". C’è una disputa accanita sui colori: chi giura sui martiri capitalizzati che ve n’era uno di fondamentale; il rosso; chi, più "lucido", spergiura, anche sulle tombe di famiglia, che i colori erano e sono tre, senza possibilità di sottrazione: il bianco, il rosso e il verde.

11. Alla turpe "credibilità" dei mediocri attori, nella maggior parte ex fascisti essi stessi, attualmente (o fra non molto) al potere, fa da supporto la liturgia mortifera degli acefali spaccateste "neo-partigiani". Il vero nemico sarebbero dunque i guastatori del MSI e dei suoi gruppuscoli, o i rottami del naufragio democristiano, e non la reale dittatura anonima del capitale e del suo Stato, non i sindacati e tutti i partiti, guardiani del lager sociale, non l’interiorizzazione degli imperativi dell’economia politica, non la struttura carceraria della vita quotidiana. La ripetizione in chiave se possibile peggiorata della tragedia dei loro "eroi", la "guerra per bande", mentre all’orizzonte si profila inequivocabile la crisi definitiva del sistema, realizza l’attuale progetto capitalistico della guerra civile in vitro (9) (cfr. Irlanda del Nord), pilotata dalla classe dominante e da tutti i suoi falsi oppositori "di sinistra" e "di destra" per deviare su obiettivi illusori la rabbia proletaria, recuperandone il potere di negazione, con lo scopo di prevenire e arginare la vera guerra, finalmente possibile e sempre più necessaria, dopo il risveglio gioioso del Maggio francese. Tutti i contro-poliziotti, torvi segugi e persecutori allucinati delle varie "trame", combattono l’"eversione fascista" per stroncare sul nascere l’eversione rivoluzionaria.

12 "È ancora necessario dilungarsi in commenti sull’abbandono, da parte di tutte le varianti del marxismo attuale, del progetto di Marx? In URSS, in Cina, a Cuba, cosa c’è di comune con la costruzione dell’uomo totale? Poiché la miseria in cui si alimentava la volontà rivoluzionaria di un superamento e di un cambiamento reale si è attenuata, una nuova miseria è arrivata, fatta di rinunce e di compromissioni. Abbandono della miseria e miseria dell’abbandono. Non è forse il sentimento di aver lasciato che il suo progetto si frammentasse e si realizzasse a brani che giustifica il motto arguto di disinganno di Marx: "Io non sono marxista"?
Perfino il fascismo immondo è una volontà di vivere negata, ritorta, come la carne di una unghia incarnata, una volontà di vivere divenuta volontà di potenza, una volontà di potenza divenuta volontà di obbedienza passiva, una volontà di obbedienza passiva divenuta volontà di morte. Perché cedere di un pollice sul qualitativo è cedere sulla totalità di esso. Bruciare il fascismo e sia, ma che la stessa fiamma dia fuoco alle ideologie senza eccezione e ai loro valletti" (10).



Note
1. Cfr. Jacques Camatte, Il capitolo VI inedito del Capitale e l’opera economica di Karl Marx, Edizioni International, Savona, 1972.
2. Cfr. György Lukács, Amadeo Bordiga, Jacques Camatte, La mistificazione democratica, Edizioni La vecchia Talpa, Napoli, 1974.
3. Jacques Camatte, Il capitolo VI inedito del Capitale e l’opera economica di Karl Marx, cit., p. 178.
4. Ibidem, continuazione della nota a p. 154.
5. Cfr. Wilhelm Reich, Psicologia di massa del fascismo, Mondadori, Milano 1974, e parallelamente le analisi della Scuola di Francoforte e della Sinistra comunista d’Italia.
6. In realtà, in Germania, dopo gli anni rivoluzionari (1918-’23), continuò fino all’avvento del Terzo Reich a manifestarsi una capillare insubordinazione contro l’ordine capitalistico, ma l’opera congiunta di socialdemocrazia, stalinismo e nazismo (le repressioni parallele di Mussolini impallidiscono di fronte all’implacabile e metodica eliminazione fisica di qualunque avversario politico di sinistra, da parte di Hitler: circa un milione di morti) rese impossibili, alla presa del potere (1933), episodi di resistenza proletaria aperta, di massa e organizzata, come invece era avvenuto in Italia. Vedi a questo proposito: Appello contro la reazione fascista, Appello ai lavoratori organizzati nei sindacati per l’unità proletaria, Appello alle confederazioni sindacali per la difesa e la risposta proletaria contro l’offensiva borghese e Direttive e norme per l’azione sindacale, in Manifesti ed altri documenti politici; Libreria editrice del P.C. d’Italia, Roma, 1921, Reprint Feltrinelli, pp. 33-6; Il fronte unico, "Il comunista", 28 ottobre 1921; discorso di Bordiga sul fronte unico, "Rassegna Comunista", anno II, n. 30-31, 31 ottobre 1922; seconda e terza parte del rapporto del P.C. d’Italia al Komintern, "Lo Stato operaio", anno II, n. 6, 6 marzo 1924; La riunione del Comitato Allargato del giugno 1922, "Lo Stato operaio", anno II, n. 6, 6 marzo 1924; Risoluzione confidenziale redatta da Zinov’ev, "Lo Stato operaio", anno II, n. 7, 13 marzo 1924; Amadeo Bordiga, Dalla Comune alla Terza Internazionale, "l’Unità", n. 24, 9 marzo 1924; Schema di tesi sull’orientamento e il compito del Partito Comunista d’Italia presentato dalla Sinistra del Partito alla Conferenza Nazionale, "Lo Stato operaio", n. 16, 16 maggio 1924; Bordiga Il pericolo opportunista e l’Internazionale, "l’Unità", 30-9-1925; Le Parti Communiste d’Italie face a l’offensive fasciste (1921-1924), "Programme Communiste", juillet-septembre 1969, n. 45; ibid., octobre-decembre 1969, n. 46; ibid., janvier-mars 1970, n. 47; ibid., avril-septembre 1970, n. double 48-49, ibid., octobre 1970 mars 1971, n. 50; Communisme et fascisme (serie: "Les textes du Parti Communiste International", n. 1), Editions Programme Communiste, Parigi 1970; In difesa della continuità del programma comunista (serie "I testi del partito comunista internazionale", n. 2), Edizioni "Il Programma comunista", Milano 1970, Partito e classe (idem, n. 4), id. 1972, Introduction (A propos des deformations de l’historiografie "de gauche"), "Programme Communiste", 19e année, julliet-aôut-septembre 1975, n. 67, pp. 33-54.
Di contro per una critica rivoluzionaria di Bordiga e degli Internazionalisti, v. La Gauche Communiste d’Italie et le Parti Communiste International, "Invariance", n. 9, année III, decembre 1970, pp. 148-53 (trad. italiana in opuscolo ciclostilato, Genova 1971); Le fil du temps, "Invariance", n. 10, année IV, avril 1971, pp. 41-4; Bordiga e la passione del comunismo, introduzione (pp. 3-32) ad Amadeo Bordiga, Testi sul comunismo, La Vecchia Talpa Edizioni Crimi, Napoli-Firenze, 1972; J. Camatte, Affirmation et citation, "Invariance", année VI, serie II, n. 3, IV trimestre 1973, pp. 114-21; Camatte, Post-face janvier 1974: du parti-communauté, Jaca Book, Milano 1975; introd. di Camatte ad Amadeo Bordiga, Structure économique et sociale de la Russie d’aujourd’hui, Ed. de l’Oubli, Parigi 1975; Dialogue avec Bordiga, "Invariance", n. special, novembre 1975; introduzione di Camatte a Bordiga, Russie et révolution dans la théorie marxiste, Spartacus, Paris, 1978.
7. "A ciascuno il suo crucco!".
8. La reale alternativa rivoluzionaria si manifestò allora debolmente (p. es. in lotte chiaramente anticapitaliste oltre che antifasciste come alcuni scioperi nel Nord Italia). A causa dello spietato regime di occupazione nazista, della propaganda e della pratica bassamente nazionaliste dei partigiani mancarono allora in modo totale le condizioni dell’emergere dei contenuti rivoluzionari: disfattismo contro e dentro gli eserciti, fraternizzazione tra soldati nemici e tra soldati e popolazione in rivolta (nella gran parte della Russia occupata dagli Imperi Centrali nel 1917, il partito bolscevico e le altre correnti rivoluzionarie non proclamarono alcuna "resistenza" ma la disfatta dell’esercito russo e la fraternizzazione col "nemico", che infatti riportò in patria la rivoluzione); le uniche eccezioni di cui siamo a conoscenza furono il gruppo Arbeiter und Soldaten sorto in Francia tra le truppe tedesche, e la limitatissima azione del Partito Comunista Internazionalista in Italia.
9. Con relativa produzione del "tipo" subumano, carogna neutra automatizzata adatto a combatterla.
10. Raoul Vaneigem, Saper vivere. Trattato ad uso delle giovani generazioni, seguìto da Terrorismo o rivoluzione e altri scritti, cicl., Genova, maggio 1973.

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A PROPOSITO DI BOCCALI E TAZZE DI CESSO
by Paolo Dorigo n.20 progressivo Wednesday, Aug. 24, 2005 at 3:00 AM mail: paolodorigo@alice.it

A PROPOSITO DI TAZZE DI CESSO
In effetti cagnolino è un'offesa.
Ma io a te non permetto di rivolgerti anonimamente con un termine forse per voi fuori normale, ma che a me fa girare il sangue, e non perchè "son stato in galera" (ma chi ti dice ste stronzate ?), bensì perchè mi bolle il sangue, e non da adesso.
Autonomia Proletaria è una cosa collettiva che scassa tutto che deforma le blindature della società borghese, a me i consigli operai vanno eccome, ma certo non vanno a genio quelli che tiran fuori dal cilindro un testo del 38 di uno che umilmente ammetto di non conoscere (mi interesso già a molte cose e preferisco José Diaz a questo qua) per sputare sentenze sull'Internazionale Comunista e sul PC(b)R. Personalmente a parte quel famoso 30% di Stalin criticato dai compagni cinesi, e Jagoda, Trotsky con la sua fuga e gli anarchici sparatori di Lenin e di Barcellona (ma non per esempio Durruti che apprezzo), credo che prima di sputar sentenze sull'I.C. ed il bolscevismo (certo se uno lo fa per "sparare" sul Bolscevico di calò con le loro delazioni assurde poi per es. sui carc, allora può andar bene tutto), ma non mi sembrava vero, avevo trovato, stamattina, modo di dire la mia a qualcuno. Comunque a parte gli scherzi, quando potremo, ci incontreremo se non ti esprimi così anche di persona che sennò non possiamo parlarci, (tu capisci ?) e potremo parlare di Morandi, Tronti, Alquati, Assemlee autonome ecc. ecc. magari poi se mi mandate qualche vostro documento e giornale (quando ero a Biella notai che appena mi mandaste Zona Industriale, giù perquise, ma ho denunciato queste tattiche allucinanti di chi mi tortura con il controllo mentale, già nel http://www.paolodorigo.it/comunicati/33-ter.html).
Abbracci e grazie della critica (telefonami, 041 5600143)
Paolo

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Gemeinwesen - ANTIFASCISMO AVANTI TUTTA
by paolo Dorigo n.21 progressivo Wednesday, Aug. 24, 2005 at 3:12 AM mail: paolodorigo@alice.it

Bordiga era un compagno questo è indubitabile. Però sull'antifascismo ha sbagliato a non partecipare direttamente alla resistenza, e questo la sua stessa posizione politica la ha pagata, perchè se è vero che Togliatti con la svolta di Salerno ha venduto il culo alla borghesia, è vero anche che le masse proletarie e popolari italiane (e gli immigrati di guerra) parteciparono alla resistenza ed è inoltre vero che la resistenza fu un movimento che tendeva a qualcosa di più di ciò che si è avuto.
Se poi Questo Gemeinwesen regala l'"antifascismo" alla socialdemocrazia borghese, non capisco chi possa essere, da dove viene 'sto discorso, dove porta ?
I fascisti non hanno argomenti contro di noi comunisti nemmeno quando si camuffano da anarcoidi (dire anarchici in questo caso sarebbe offensivo per gli anarchici).
L'antifascismo è una delle caratteristiche del movimento proletario della fase imperialista, ove la borghesia non si può più accontentare solo della gestione del potere precedentemente data da una certa mediazione (che poi non va confusa la democrazia rappresentativa borghese dei primi 3 decenni del secolo XX con quella degli ultimi decenni, seppure io pensi ancor peggio di quella di oggi, ma in altro senso). NON ESSERE ANTIFASCISTI E' ESSERE AMORFI ESSERI INCAPACI DI RIVOLUZIONARE ALCUNCHE'.
Saluti comunisti
Paolo

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Gemeinwesen: anarcoide?????????
by +++ Wednesday, Aug. 24, 2005 at 12:49 PM mail:

ma veramente la parola tedesca Gemeinwesen è uno dei termini marxiani per eccelenza, non mi sembra molto anarchica o anarcoide

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x dorigo
by io Thursday, Aug. 25, 2005 at 1:30 PM mail:

Se l'"antifascismo", come esperienza storica, è stato il tentativo, in gran parte riuscito - grazie soprattutto alla mediazione dei partiti della sinistra storica - di cooptare il proletariato europeo all'interno di un'alleanza con i settori più avanzati - e in prospettiva vincenti - del capitale, l'"antifascismo", come ideologia, è stato utilizzato in seguito tempo come strumento di legittimazione ideologica delle democrazie occidentali e in particolare, in Italia, come mito fondativo della repubblica.

Ora, al di là del fatto che a livello delle strategie del dominio non esiste alcun "pericolo fascista" (stanti gli attuali rapporti di forza nella società, oltre al fatto che, come spiega molto bene uno dei testi che ho postato, molte delle caratteristiche dei regimi fascisti sono state integrate all'interno del normale funzionamento della macchina democratico-spettacolare), mi si dovrebbe spiegare perchè essere comunisti e rivoluzionari debba implicare l'essere antifascisti, quando è palesemente vero il contrario?

Criticare l'antifascismo non significa essere fascisti o amici dei fascisti, bensì tenere ben salda la memoria di quella che è stata una delle esperienze storiche e delle sconfitte più disastrose per il movimento proletario internazionale (si pensi soltanto alla Spagna del '36); e rifiutare l'ideologia che ha contribuito a determinare quella sconfitta e che in seguito, per molti decenni, è stato un prezoso strumento del dominio.

Per concludere, caro Dorigo, se tutti quello che sai fare è bollarmi come "fascista camuffato anarcoide", non posso che risponderti come segue:

ma va' a cagare stalinista della minchia!!

Saluti comunisti

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disaccordo
by libertcomunista Sunday, Aug. 28, 2005 at 8:47 PM mail:

ma quale mito fondativo della Repubblica, solo gli imbecilli possono avere creduto a questa stronzata colossale.

non bisogno avere la laurea per sapere che Scelba rimise al suo posto i fasci e tolse i partigiani dalle forze armate e nemmeno per sapere che togliatti amnistiò i fascisti.

sostere che l'antifascismo sia reazionario e lasciarlo alle strumentalizzazioni delle forze repubblicane (continuatrici del regime mussoliniano così come il regime mussoliniano fu continuatore della monarchia parlamentare)sarebbe come abbandonare l'idea di comunismo ai propri detrattori, x intenderci coloro che sostengono che il comunismo sià già esistito e si sia incarmato nella dittatura sovietica.

così come non si può permettere che l'idea comunista venga scambiata per il socialismo e macchiata di crimini mai commessi, non possiamo permettere che l'antifascismo sia fagocitato dai fascisti al potere (che si dicano di destra o di sinistra o di centro)

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Il peggior prodotto del fascismo è l’antifascismo
by TRATTO da www.anarcotico.net Tuesday, Aug. 30, 2005 at 4:32 PM mail: maraMAO perchè sei morto???








La questione dell’antifascismo, negli ultimi anni, si è posta quasi esclusivamente come reazione a gravi attacchi neofascisti. La risposta è stata per lo più un proliferare di dichiarazioni roboanti di lotta contro il neofascismo.
Il problema è che la maggior parte di questi eventi reattivi mostrano la corda dell’antifascismo come ideologia con il suo inevitabile bagaglio di retorica, mitizzazione, enfasi, ecc.
L’antifascismo, come altri campi d’azione (anche militanti) animalismo, antimilitarismo, antirazzismo, antisessismo, ecc. sono limitati e limitanti alla reazione antagonistica, ma progettualmente sono pari allo zero.
Qualsiasi percorso che non sia teso alla sovversione totale, all’autodeterminazione, è tragicamente destinato al fallimento. La resistenza ha un futuro democratico non rivoluzionario e non previene alcuna perdita di libertà né quelli che consideriamo attacchi liberticidi; gli attacchi neofascisti, così come lo sfruttamento di uomini, animali e risorse naturali, crescono sul terreno fertile delle ideologie, dell’omologazione e della pace sociale cui così sovente ci si adatta.
La mancanza di prospettive rivoluzionarie ci spinge inevitabilmente e lo farà sempre più verso il conformismo del male minore, ma ciò determina un lento e inesorabile avanzamento verso ulteriori perdite di libertà.
In questa situazione, spicca pericolosamente l’atteggiamento di quelli che preferiscono essere considerati vittime piuttosto che fautori di sovversione, forse incomprensibile alle masse, le stesse masse cui si ammicca con proclami populistici o vittimistici. Sono antifascisti anche coloro che riscrissero la sorte dell’anarchico Ferrero, vendendone la salma come quella di “comunista”. Sono antifascisti anche coloro che hanno voluto i CPT, l’intervento in Kossovo, la legalizzazione degli spazi occupati e che hanno chiuso entrambi gli occhi di fronte alla repressione del pm Marini contro gli anarchici e all’operazione Cervantes. Coloro che di fronte a metodologie di attacco diverse dalle proprie, o forse solo più radicali, prestano il fianco alla delazione; sono antifa anche gli esteti amanti del gesto bombarolo e del pugnale solo se distante da casa propria. Anche i pompieri insomma, sono antifascisti.
Nel fronte antifascista c’è spazio per ogni tipo di autoritarismo e ambiguità.
Non c’è quindi da stupirsi se una lotta così parziale incide solo in modo simbolico.
Le coltellate fasciste sono solo la punta dell’iceberg, ma senza una cultura e soprattutto una critica e una pratica antiautoritaria sarà impossibile non solo una reazione alle violenze, ma anche un attacco alle fondamenta da cui sorgono.
È chiaro altresì che muoversi sul terreno dell’emergenza, del particolare, fa il buon gioco di tutti i politicanti che, sventolando la propria bandierina, mirano esclusivamente a limitare gli episodi più eclatanti per avallare non solo la pace sociale nella quale prosperano ma, con la scusa dell’ormai mitico e storicamente tragico “Fronte Antifascista”, per omologare qualsiasi forma di lotta alla partecipazione democratica e istituzionale, recuperando e schiacciando le tensioni più radicali sotto l’egida dell’unità tout court.
O l’antifascismo s’inserisce in una prospettiva antiautoritaria, o è semplicemente una formalità rituale.





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Per chiarire la posizione di Bordiga
by nnnnn Sunday, Sep. 04, 2005 at 11:50 PM mail:

Comunismo contro fascismo e antifascismo

Mentre tutti gli schieramenti politici ritengono che il fascismo rappresenti un cambiamento qualitativo nella forma del potere, Bordiga lo nega e mette in luce la continuità fisica del governo borghese con le nuove esigenze dell'esercizio del potere stesso. Si viene così ad aggiungere un altro elemento di divergenza all'interno del partito e con l'Internazionale.

Bordiga studia la natura del fascismo in un arco di tempo molto ampio, che va dalle prime manifestazioni aperte, politiche e violente in Italia nel 1919-20 fino al 1970, data del suo ultimo intervento pubblico poche settimane prima di morire.

La sua analisi del fenomeno fascista diventa inseparabile da quella di tutti gli altri fenomeni del capitalismo maturo almeno dal 1922, all'epoca del suo rapporto al IV Congresso dell'Internazionale Comunista. Egli risponde innanzitutto a Radek sulla interpretazione che questi dà dei rapporti fra PCd'I e fascismo. Radek (ma è la posizione dell'Internazionale) dimostra di dare un'interpretazione del tutto politica, cioè contingente, del fascismo. Nel criticare l'atteggiamento del PCd'I, gli rimprovera di voler rimanere un partito piccolo, elitario, dedito più alla sua organizzazione che alle grandi questioni politiche del momento.

Bordiga risponderà in altre occasioni che le grandi questioni politiche, la tattica, la strategia del partito non sono disgiunte dal ferreo possesso della teoria rivoluzionaria, e che le oscillazioni tattiche per un partito (ma questo valeva anche per l'IC) sono deleterie quanto una sconfitta sul campo.

Il fascismo, dice dunque Bordiga nel 1922, non è un fenomeno dovuto alla nascita e all'azione di un movimento politico particolare: è già presente in Italia almeno dal 1914-15, quando una parte della borghesia decide di entrare in guerra. I gruppi sono eterogenei, ma sono guidati dagli interessi della grande borghesia industriale, che ha in Salandra il suo esponente politico e che, prima di invocare l'intervento a fianco dell'Intesa contro Austria e Germania, aveva addirittura raccomandato una guerra contro di essa. Vi sono comunque anche gruppi repubblicani irredentisti, sindacalisti rivoluzionari e anarchici, radicali liberali. Nel rapporto successivo, al V Congresso dell'IC nel luglio 1924, Bordiga ribadisce che fu l'ala estrema, quella anarco-sindacalista ed estremista socialista rinnegata "a fornire al fascismo post-bellico il suo stato maggiore generale".

Il fenomeno fascista non si deve analizzare a partire dalle sue componenti politiche, anche se queste daranno l'impronta ai discorsi e ai documenti nell'azione quotidiana. La componente essenziale del fascismo è la borghesia industriale con il suo Stato. La smobilitazione postbellica, la riconversione industriale, il pericolo di una rivoluzione interna, pongono alla borghesia un "problema gigantesco. Essa non poteva risolverlo né dal punto di vista tecnico, né da quello militare mediante una lotta aperta contro il proletariato; doveva risolverlo dal punto di vista politico".

La borghesia fece dapprima delle concessioni al proletariato attraverso i ministeri liberal-riformisti di Nitti e Giolitti. Nello stesso tempo istituiva un secondo esercito, la Guardia Regia, che non era una polizia e nemmeno un esercito vero e proprio. E continuava a pagare gli ufficiali smobilitati che andavano ad istruire l'apparato militare fascista.

Ma perché la borghesia stava intraprendendo questa strada?

Una prima risposta è che voleva e doveva evidentemente evitare la rivoluzione. Il fascismo dunque prende come primo aspetto quello della guardia bianca controrivoluzionaria. Questo è un aspetto immediato, importante, ma non essenziale. Il fascismo non ha un programma specifico, non ha una sua ideologia, ma risulta dall'insieme delle ideologie della borghesia e delle classi medie che rappresentano la manodopera armata. Al momento (1922) si adagia perfettamente nel gioco parlamentare. Non rappresenta una "destra" della borghesia, bensì una unione di tutte le esigenze borghesi. Non vuole ideologicamente il predominio violento di una classe sull'altra, ma copia dalla democrazia borghese la massima collaborazione fra le classi. Quando i fascisti formularono un programma organico non inventarono nulla di nuovo, esposero semplicemente un miscuglio di istanze socialdemocratiche e riformiste, condite con un linguaggio un po' più demagogico di quello dei democratici. Il fascismo si è avvalso anche dell'esperienza rivoluzionaria russa, copiando ciò che gli serviva in fatto di organizzazione, disciplina, centralizzazione, partito unico di una classe.

L'essenza del fascismo, però, non è in questi suoi aspetti sovrastrutturali, anche se la borghesia ne ha bisogno perché rappresentano la giustificazione politica della controrivoluzione. La risposta che dà Bordiga al perché la borghesia stesse intraprendendo questa strada è che il fascismo è la struttura di ogni differente forma di governo borghese nell'epoca dell'imperialismo. L'imperialismo è la fase "suprema", cioè l'ultima. A questa fase corrisponde un modo di governo dei fatti economici e sociali determinato dalla maturità delle condizioni economiche. Non può essere un modo qualsiasi, né può essere un modo adeguato a periodi precedenti della storia del capitalismo. La fase suprema del capitalismo pretende una fase suprema del modo di governo. Il processo è irreversibile, quindi la nuova forma di dominio borghese è irrinunciabile da parte della borghesia.

Questa non è una "invenzione" bordighiana. L'analisi approfondita, seppure non ancora esplicita, della necessità del fascismo la troviamo in Lenin e precisamente nell'Imperialismo, fase suprema del capitalismo. Per Lenin l'aggettivo "supremo" ha lo stesso significato di "putrefatto" come egli spiega più volte. Il testo finisce con questa osservazione: l'imperialismo, cioè la putrefazione del capitalismo, è la fase suprema, cioè quella della socializzazione della produzione. Si tratta di capitalismo di transizione, cioè di capitalismo morente.

È per cercare di non morire che il capitalismo deve darsi questa estrema forma di dominio sintetizzata nella parola "fascismo", che Bordiga utilizza come un comodo riferimento dietro il quale vi è però una ricostruzione materialistico-dialettica del processo storico che porta al superamento del capitalismo. Egli non ha paura di affermare che il fascismo non è un ritorno indietro nella storia; che non rappresenta per il proletariato una sconfitta maggiore di quanto non la rappresenti la democrazia; che anzi, più sono moderni e semplificati i rapporti di classe, meglio è per la rivoluzione futura: "Per il movimento che avesse rigata la via diritta [il fascismo] sarebbe stato, come sarà [riconosciuto] un giorno, il regalo migliore della storia". Grande scandalo, naturalmente tra gli opportunisti, ma Bordiga non si scompone: tutto è già scritto per esempio nel 18 brumaio di Marx. Quando l'esecutivo borghese si erge contro il parlamento, con ciò stesso si isola di fronte alla rivoluzione che non avrà altri ostacoli da abbattere. Ma invece di gridare con Marx "ben scavato, vecchia talpa!", invece di prepararsi alla risposta armata contro la guardia bianca, l'opportunista ritorna vigliaccamente alla difesa della democrazia e del parlamento. Mentre la storia pone su di un piatto d'argento la semplificazione della via rivoluzionaria, l'opportunista la complica tornando a legami sociali precedenti. Il fascismo non è reazionario in sé più di qualsiasi altra aggiornata forma di governo borghese: esso lo diventa a causa della reazione antifascista che getta il proletariato nell'alleanza mortale con altri strati sociali in difesa della democrazia borghese: "Il risultato peggiore, per le sorti della classe proletaria, è l'entrata nel tronfio affasciamento antifascista della parte proletaria che aveva finalmente imboccata la via originale ed autonoma, sicché tutti, ognuno a modo suo, si sono rimessi a rifare lo sviluppo del primo Risorgimento. Merito, questo, controrivoluzionario, che pesa un secolo, se quello di Mussolini ha pesato un ventennio. Ma il secondo ha pesato in senso controrivoluzionario perché così l'hanno interpretato i maneggioni della politica opportunista".

Il fascismo ha usato violenza e assassinio né più né meno di quanto abbiano fatto i regimi precedenti o successivi, in Italia e altrove. Ma sarebbe sciocco moralismo fermarsi a considerazioni quantitative sulla violenza manifesta o potenziale confrontando le forme di governo. Invece è materialismo dialettico dimostrare che la violenza contro l'umanità non è dovuta alla forma fenomenica del capitalismo ma al capitalismo stesso.

Al V Congresso dell'IC, Bordiga offre già una spiegazione completa del fascismo nel suo lunghissimo rapporto. Ideologicamente, si è visto, il fascismo non porta nulla di nuovo, si limita a copiare ciò che gli serve da ciò che già esiste, a destra e soprattutto a sinistra. Ciò che di veramente nuovo introduce è una nuova organizzazione dello Stato, un unico partito borghese centralizzato, una poderosa organizzazione militare e sociale che coinvolge il proletariato stesso.

Nel 1924 Bordiga vede ancora una contraddizione mortale tra la necessità organizzativa e centralizzatrice dello Stato borghese e l'ideologia ultraliberista professata dai fascisti. Si tratta di una contraddizione tra il fascismo e chi lo impersona. Se le cose stanno così, dice Bordiga, non possono durare, "il fascismo è condannato al fallimento in forza dell'anarchia economica del capitalismo, malgrado il fatto che abbia preso saldamente in pugno le redini del governo".

Nel 1924 i fascisti sono effettivamente in crisi poiché non riescono a sfruttare la vittoria elettorale per rilanciare l'economia e ristrutturare completamente lo Stato. L'assassinio di Matteotti provoca una generalizzata ribellione operaia che sembra prefigurare la possibilità di una ripresa di classe. La previsione di Bordiga sul fascismo condannato al fallimento si riferisce all'apparato fascista e non al suo modo di governo, ed è dovuta al fatto che egli vive direttamente gli avvenimenti e non può sapere che di lì a poco il fascismo compirà il suo capolavoro: razionalizzerà l'intervento dispotico in economia, regolando da una parte l'anarchia capitalistica e dall'altra la tendenza naturale al monopolio. Viene ammortizzata la contraddizione fondamentale dell'anarchia produttiva e distributiva, ma viene anche combattuta la tendenza alla eccessiva concentrazione monopolistica, fattore di espropriazione e di limitazione del "libero mercato". Lo Stato acquisterà le aziende sofferenti a causa della concorrenza, le chiuderà o rinnoverà a seconda delle loro condizioni, quindi le restituirà al mercato. Verrà regolato il credito, verranno progettati ampi lavori pubblici.

A dimostrazione del fatto che l'economia volgare cerca solo a posteriori di dare una spiegazione ai fenomeni economici, Keynes razionalizzerà tutto ciò in un sistema teorico formale soltanto dodici anni dopo, cioè più tardi ancora delle prime applicazioni del fascismo tedesco. Del resto un fenomeno materiale, un'esigenza vitale del capitalismo non poteva rimanere un'eccezione: "Noi siamo del parere che il fascismo tenda in certo modo a diffondersi anche fuori d'Italia... In generale noi possiamo attenderci all'estero una copia del fascismo italiano che s'incrocerà con forme di estrinsecazione della ondata democratica e pacifista", dice Bordiga nel 1924.

Fascismo e ondata democratica e pacifista? I delegati europei, seduti a congresso, educati alla democrazia e al pacifismo devono aver pensato: questo è matto. I delegati russi non compresero e combatterono la Sinistra pagando a caro prezzo il loro errore. In Italia la socialdemocrazia tentò un patto di pacificazione con i fascisti e, ricevendone legnate in risposta, passò all'antifascismo parolaio. In Germania i socialdemocratici Scheidemann e Noske avevano già aperto la strada della repressione. Più tardi i plotoni di esecuzione staliniani eliminarono, dopo regolare e democratico processo, la vecchia guardia bolscevica. La sequenza continua con gli eserciti antifascisti in Spagna che uccisero più anarchici che franchisti, con il patto Hitler-Stalin e la crociata partigiana a fianco dell'imperialismo anglosassone.

L'accentramento politico ed economico fascista non era una novità in Italia. La destra storica che governò l'Italia dopo l'unificazione nazionale fu l'ultimo esempio di governo borghese liberista coerente. Ma fu già accentratrice e unificatrice delle spinte particolaristiche. Scomparve una volta per tutte nel 1876, quando fu vinta dalla sinistra borghese demagogica e parolaia, incapace di riformare il suo Stato. Il fascismo non fu un ritorno a situazioni pre-unitarie e pre-borghesi, fu invece fenomeno moderno capace di riforma; fu in realtà il realizzatore dialettico delle vecchie istanze del riformismo socialista.

Non aver capito questo, fu un disastro per il movimento operaio mondiale, che precipitò sotto l'influenza di un prodotto sociale peggiore del fascismo stesso: l'antifascismo piagnone e democratoide.

"Quando il primo esempio del tipo di governo totalitario borghese si ebbe in Italia col fascismo, la fondamentale falsa impostazione strategica di dare al proletariato la consegna della lotta per la libertà e le garanzie costituzionali nel seno di una coalizione antifascista manifestò il fuorviarsi totale del movimento comunista internazionale dalla giusta strategia rivoluzionaria. Il confondere Mussolini e Hitler, riformatori del regime capitalistico nel senso più moderno, con Kornilov o con le forze della restaurazione e della Santa Alleanza del 1815, fu il più grande e rovinoso errore di valutazione e segnò l'abbandono totale del metodo rivoluzionario".

L'antifascismo portò forze proletarie a massacrarsi, prima in Spagna poi nei paesi occupati dalle forze dell'Asse, non a favore della rivoluzione, ma a favore di due schieramenti statali borghesi contrapposti che mantenevano truppe regolari e irregolari sulla nota spese dei loro governi. Il partigiano quindi non fu in realtà un combattente rivoluzionario come a volte egli stesso credette in buona fede di essere, ma una nuova specie di soldato di ventura, un mercenario che, invece di ricevere denaro per le sue prestazioni, ricevette l'illusione di combattere per un ideale.

La sequenza storica del progresso sociale, nota Bordiga, non è: fascismo-democrazia-socialismo, dove il fascismo rappresenta un momento retrogrado rispetto alla democrazia. Nell'epoca dell'imperialismo il fascismo viene dopo la democrazia e la serie progressiva è dunque democrazia-fascismo-dittatura proletaria-socialismo. All'antifascista democratico e ipocrita egli dice ironicamente: se vuoi essere progressista nell'ambito del capitalismo, abbi il coraggio di essere fascista, altrimenti invece di proletari pronti alla rivoluzione fabbricherai "zimbelli dell'imbonitura americana, quando nella corsa al fascismo effettivo sotto l'etichetta della libertà gli anglosassoni avranno battuto i russi, a cui manca, più che quello dell'energia nucleare, il controllo del dollaro, sicché saranno forse comprati prima di essere sconfitti".


http://digilander.libero.it/diesel43/

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