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IL SISMI DI CALIPARI E IL SISMI DI MANCINI
by rivoluzionario Thursday, Jul. 20, 2006 at 5:34 PM mail:

Lotta, movimento dialettico, all'interno del Sismi. Il Sismi democratico, fedele, filo-europeo e il Sismi al servizio degli USA.



La divisione del funzionario che salvò Giuliana Sgrena era in aperto conflitto con quella dei sequestratori di Abu Omar, ma il generale Pollari ha scelto gli amici della Cia

dal "manifesto" del 17 luglio 2006


Chissà perché, a noi del manifesto non è mai stato presentato Pio Pompa, il «portavoce» assunto con chiamata diretta dal direttore del Sismi. Quello che teneva i contatti con i giornalisti «amici», spiava i «nemici» come Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo di Repubblica e pagava Renato Farina, alias «fonte Betulla», il vicedirettore di Libero incaricato tra l'altro di scoprire le carte della procura di Milano che indagava su Abu Omar. Un'altra ombra di Farina-Betulla la racconta oggi Girolamo De Michele su http://www.carmillaonline.com: fu tra i primi ad arrivare in piazza Alimonda a Genova, 11 minuti dopo l'uccisione di Carlo Giuliani, al momento degli sfregi sul suo corpo e del primo rozzo depistaggio, quel vicequestrore ripreso dal tg5 mentre inseguiva un manifestante gridando «l'hai ucciso tu con il tuo sasso». Dal misterioso Pompa, titolare dell'ufficio «parallelo» di via Nazionale 230 a Roma, avremmo capito molte cose. Anche perché Pompa è «un compagno» o poco meno, un ex dipendente della Telecom o meglio della Sip, piuttosto conosciuto nella Cgil abruzzese. E la sua vicenda ribolle nel pentolone scoperchiato dai procuratori aggiunti Ferdinando Pomarici e Armando Spataro.
Tocca al generale Nicolò Pollari, capo del Sismi. E prima era toccato a Marco Mancini e Gustavo Pignero, ex direttori della prima divisione erede del famigerato reparto D del Sifar, la corazzata di Forte Braschi che ha competenza planetaria su controspionaggio, terrorismo e criminalità (in sigla Cs-t-ot). Entrambi ex carabinieri - anzi Mancini era un semplice brigadiere ed è al Sismi da oltre vent'anni - sono cresciuti all'ombra del colonnello Umberto Bonaventura, allievo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e protagonista di pagine importanti ma non sempre edificanti di un'altra epoca di lotta al terrorismo, fino al «pentimento» di Leonardo Marino che inchiodò i vertici di Lotta continua per l'omicidio del commissario Luigi Calabresi. Pignero, il più vecchio, era a capo della prima divisione quando avrebbe ricevuto da Jeff Castelli, all'epoca responsabile della Cia a Roma, una lista di «obiettivi operativi» nella quale figurava Abu Omar, alla fine del 2003. Mancini, il più giovane, avrebbe mobilitato la struttura del Sismi nel nord Italia, della quale era responsabile, nella partecipazione all'operazione portata a termine il 17 febbraio 2003 a Milano e per la quale la magistratura italiana chiede da oltre un anno l'arresto di 26 cittadini Usa, tra i quali Castelli e l'allora capo della Cia a Milano, Robert Seldon Lady.
La responsabilità penale è personale, non conosciamo gli sviluppi dell'inchiesta. E lo stesso Mancini non è l'uomo nero, è anzi un investigatore capace e un uomo coraggioso, venuto su in una democratica famiglia romagnola, con mille relazioni ovunque. E' uno che non si tira indietro: poteva fare la stessa fine di Calipari già un anno prima, all'epoca del sequestro del gruppo di Quattrocchi. Senza le sue indiscutibili qualità non sarebbe mai arrivato alla guida della prima divisione, aspirazione di generali e ammiragli che lo guardavano storto. Ma il marcio c'è. Come funziona almeno una parte del Sismi l'ha spiegato al telefono, con una battuta intercettata dai magistrati, uno degli inquisiti, il capocentro di Trieste Lorenzo Pillinini: «In fondo vorrei dire cinicamente, dai servizi segreti cosa ci si aspetta? Che facciano qualcosa che non ha a che fare con la legge, no?... Per una presunta ragion di stato... se no sarebbero normali brigadieri, marescialli e funzionari, no?».
Era il 12 maggio scorso, Pillinini temeva le intercettazioni e parlava in modo prudente, lui che prudente non è tanto da farsi inchiodare dai colleghi del centro Sismi di Trieste che lo avevano sentito confessare la partecipazione al sequestro di Abu Omar come se nulla fosse, in ufficio, davanti alla macchinetta del caffé. Già a fine aprile gli 007 indagati davano la caccia ai colleghi che potevano aver testimoniato contro di loro. Avevano individuato il colonnello D'Ambrosio, l'ex capocentro di Milano rimosso proprio perché, secondo l'accusa, si era opposto al progetto di rapire Abu Omar. «E se la chiave di volta fosse proprio D'Ambrosio?», chiedeva il 28 aprile il maresciallo Ciorra in un sms al coindagato Regondi, ex poliziotto. «Penso che non sappia di Lorenzo», rispondeva l'altro. Lorenzo dovrebbe essere Pillinini il «chiacchierone».
A Trieste, che ha «giurisdizione» sulla base Usa di Aviano (Pordenone) dalla quale partì l'aereo con Abu Omar, Pillinini aveva preso il posto del colonnello Fedrigo, altro ufficiale leale come D'Ambrosio. «Mancini mi parlò di attività non ortodosse», ha riferito ai magistrati. Questa storia di funzionari pubblici che prendono di mira uno straniero sottoposto a indagini giudiziarie, mandano a casa chi non ci sta e alla fine lo caricano su un furgone, emerge anche grazie alla collaborazione di chi, all'interno del Sismi, ha pagato per non accettare la filosofia di Pillinini.
Sono funzionari fedeli alla democrazia, alla Costituzione e alla legge, come quelli che abbiamo conosciuto, da Nicola Calipari in giù, durante il sequestro di Giuliana Sgrena. Lo stesso generale Pollari, in modo convinto e rassicurante, aveva detto ai parlamentari del comitato sui servizi (Copaco) di non aver mai saputo di proposte di sequestro di persona in Italia. Piuttosto che aderirvi, spiegava, si sarebbe dimesso, perché lui non è «uomo per tutte le stagioni». E si era regolato alla stessa maniera, ricordava, anche quando si era trattato di prendere con le cattive, in Nicaragua, un noto ex brigatista, Alessio Casimirri, il decimo componente, l'unico mai arrestato, del commando di via Fani.
Durante il sequestro Sgrena percepimmo nettamente un contrasto all'interno del servizio, precisamente tra la prima divisione e l'ottava, quella diretta da Calipari e impegnata nelle mediazioni. Fra noi per capirci parlavamo di «Sismi 1» e «Sismi 2». Se una partita si è giocata tra «i due Sismi», la sparatoria di Baghdad l'ha chiusa. E Mancini è andato a prendere Giuliana, ferita: la foto di Ciampino è tornata su tutti i giornali il giorno del suo arresto. Ma un navigatore di lungo corso di quegli ambienti, che peraltro vuol bene al'ex capo della prima divisione, ci aveva avvisati fin da subito: «C'è il Sismi di Calipari e il Sismi di Mancini. E questi ultimi - diceva l'amico 007 - sono capaci di inventarsi di sana pianta un'operazione...».
Molti sospetti gravano oggi sull'attentato che il Sismi avrebbe sventato in Calabria, nel 2004, contro il sindaco di Reggio, uomo di An, Giuseppe Scopelliti. E lo stesso Calipari aveva manifestato le sue perplessità, affidandole tra gli altri a Sandro Provvisionato del tg5, direttore di Misteri d'Italia, anche sulla madre di tutte le operazioni antiterrorismo, quella che avrebbe «risparmiato all'Italia il suo 11 settembre»: un camion-bomba, nel 2004, era pronto a lanciarsi a tutta birra contro la nostra ambasciata nella capitale libanese, place de l'Etoile. «Ma allora Nicola sbagliava. Quel terrorista libico, Miqati, l'ho visto con i miei occhi davanti all'ambasciata», dice uno che c'era, uno di quelli che davanti al caso Abu Omar oggi si chiedono: «Ma con chi abbiamo lavorato in tutti questi anni?». A Beirut però finì con un morto nelle camere di sicurezze libanesi e con il sequestro di un quantitativo di esplosivo ben inferiore ai cento chili che avrebbero dovuto armare il camion.
In altre occasioni avevano ragione ma non erano stati creduti, come nel novembre 2003: la strage dei soldati e dei carabinieri a Nassiriya era stata preceduta da informative che avrebbero potuto evitarla. Ma non c'è dubbio che il Sismi, su indicazione del goverrno di Silvio Berlusconi, in questi anni ha moltiplicato, reclamizzato ed enfatizzato oltre misura gli allarmi-terrorismo, come raccontano Bonini e D'Avanzo ne Il mercato della paura (Eindudi, marzo 2006), e ha nutrito numerose indagini giudiziarie, molte delle quali senza esito. Più equilibrato è stato il Sisde, riorganizzato dal generale Mori, che non produce lo stesso numero spropositato di segnalazioni ma ha anche ispirato «montature» come quella dei carabinieri contro i pescatori egiziani di Anzio. Più volte la polizia ha dovuto rincorrere, più che improbabili «cellule pronte a colpire», l'allarmismo del Sismi. C'è un vasto campionario, da San Petronio a Bologna fino all'allarme elettorale che avrebbe potuto pesare come un macigno sul voto del 9 e 10 aprile scorso, magari regalando a Silvio Berlusconi la manciata di voti mancanti. Da lì era arrivata la segnalazione di un possibile attentato islamista a un seggio elettorale milanese, analizzata e cestinata per tempo solo grazie a una fortuita triangolazione con l'antiterrorismo di Berlino, che l'ha rigirata a tutti gli organi di polizia: quando il pacchetto stava per finire sui giornali, avevano già concluso che non stava in piedi.
Si parla già di «servizi deviati» ma nessuno può davvero credere che i servizi predispongano da soli, ai livelli intermedi, le loro «deviazioni». Gli stessi indagati devono spiegare ai magistrati i ripetuti riferimenti alle «coperture politiche» e agli «avalli politici» che compaiono, sia pure in frasi incomprensibili, nelle intercettazioni. E intanto a difendere il Sismi non è solo Silvio Berlusconi ma anche gran parte del centrosinistra: Luciano Violante per primo ha parlato di una possibile «cellula deviata». Ce n'è abbastanza per ipotizzare una copertura politica «bipartisan» di quest'apparente operazione congiunta Sismi-Cia, che magari - come già si vocifera in ambienti dell'intelligence e giudiziari - sarà attribuita a una struttura dipendente direttamente dalla Cia nella quale qualcuno del Sismi faceva il «doppio lavoro». A essere cattivi si potrebbe pensare perfino a un via libera del governo Berlusconi previa consultazione di esponenti del centrosinistra.
La storia è sempre quella, apparati fuorilegge e tutt'altro che «deviati», nel senso che rispondono a un comando politico o beneficiano di adeguate «coperture», a volte anche internazionali ovvero statunitensi. Vale per la sanguinosa repressione e le prove false alla scuola Diaz di Genova, per le quali sono alla sbarra altissimi dirigenti della polizia. Così come per l'importazione di tecnici dal Centramerica per impiantare raffinerie di cocaina in Abruzzo, fatterelli ascrivibili alla presunta associazione a delinquere per la quale sono imputati, proprio a Milano, il generale Gian Paolo Ganzer e numerosi ufficiali del Ros, oggi in parte al Sisde. Vale a maggior ragione per il sequestro dell'imam. O per la presunta «centrale» delle intercettazioni illegali.

Mantovani (manifesto)

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