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In contatto con Baghdad (39)
by robdinz Saturday, Mar. 29, 2003 at 8:56 PM mail: robdinz@hotmail.com

Bassora libera.

I colleghi italiani arrivati a Baghdad nel mattino, dopo il fermo di ieri a Bassora da parte dell’esercito iracheno, una notizia l’hanno portata: Bassora è libera.
Ma dagli americani e dagli inglesi che non sono mai riusciti ad occuparla.

Dopo un viaggio in jeep, senza alcuna scorta armata, durato tutta la notte e che ha portato la carovana di giornalisti “clandestini”lungo le strade sgombre di guerra e bombe che costeggiano le sponde del Tigri, lungo il confine iraniano, fino ad Amara e poi Kut. Tra piste sabbiose e larghe strade asfaltate sono entrati a Baghdad dal lato est superando, lì si, i pericoli delle bombe e dei missili sganciate a centinaia al giorno dalle truppe anglo-americane.

Stanchi, affaticati ma anche rincuorati dal buon trattamento riservato loro dai soldati, hanno affermato, durante improvvisate conferenze stampa ed incontri anche con i reporters indipendenti, di non essersi sentiti mai “progionieri”, di aver dormito allo Sheraton di Bassora e dopo il lungo viaggio notturno, un breve e formale interrogatorio nella sede del ministero della Difesa dove gli è stato offerto di rimanere nella capitale per documentare la guerra di aggressione che la città subisce esausta da giorni. Nessuna Espulsione. Rimanere a Baghdad, dunque, ma questa volta con tutti permessi del caso.

La notizia tuttavia più clamorosa e sconcertante allo stesso tempo è quella di aver svelato le bugie, le menzogne e la propaganda degli stati maggiori degli Stati Uniti e dell’Inghilterra che davano la Penisola di Fao e Bassora totalmente sotto controllo anglo-americano. I colleghi che – attenzione – vanno da “Il Corriere della Sera”a “Il Giornale”, da “Il Messaggero” a “L’Unità”, passando per “Il Resto Del Carlino” fino a “Il Mattino”ed “Il Sole 24 Ore, come dire storie personali e professionali diverse, con sensibilità e attenzioni diverse rispetto alla guerra, concordano, quasi in coro, che di truppe americane ed inglesi non ne hanno vista traccia. Bassora, ad esempio, pesantemente bombardata, privata dell’acqua e di cibo, piange un numero di vittime e feriti non calcolabile. Una città allo stremo, insomma, che ha respinto l’offensiva degli invasori. L’ha respinta con successo, pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane. Ma l’ha respinta. E non ce l’ha raccontato nessuno. Ed anche gli stessi colleghi che tentavano di arrivare da “clandestini” a Bassora, si erano imbarcati per l’avventuroso viaggio da Kuwait City convinti di finire la corsa tra le braccia degli americani e degli inglesi che da giorni, come andavano scrivendo seguendo i briefing dell’ufficio stampa degli Sati Maggiori, occupavano ed avevano “liberato” la città del sud Iraq.

La sorpresa, di non trovare neppure uno dei soldati “alleati”è stata pari a quella di essere fermati da una pattuglia di soldati iracheni, in normale giro di ronda.

E così le altre città, cittadine e paesi incontrate durante il lungo viaggio notturno: insediamenti urbani magari violati, colpiti, bombardati che nascondevano chissà quante storie, quante vittime che non finiranno mai sui giornali. Ma neppure un “liberatore”.

Ed ora, francamente, c’è da chiedersi, anche con un po’ di rabbia e sgomento, quale guerra, e con quale onestà intellettuale, ci viene raccontata dai grandi network televisivi, dalle “truppe” di giornalisti presenti in ogni dove. Dove raccolgono le loro notizie, quali sono i canali d’informazione accesi.

I miei contatti, mi dicono di essere rimasti sbalorditi ed increduli nel sentire che il poco o tanto che erano riusciti a captare seguendo da Baghdad i canali satellitari, le rare volte che è stato possibile, erano solo menzogne. Propaganda degna dei peggiori film di guerra.

Sarà interessante, mi dicono, dopo la giornata di oggi, con la testimonianza oculare (e vissuta sulla propria pelle) di sette colleghi di testate accreditate come “prestigiose”ed influenti per formare l’opinione di milioni di cittadini, vedere se la stampa “ufficiale”, i loro stessi giornali, le testate europee, cambieranno registro nel raccontare la guerra.

Ma la guerra non è un film. Baghdad è una città in ginocchio, martoriata, lacerata. ferita, che piange i propri morti.
Mi riferiscono e mi confermano che in effetti le linee telefoniche con le altre aree del paese sono interrotte e non ci sarebbe stato modo in questi ultimi giorni di potersi accertare delle reali condizioni del sud del paese.
E mi dicono di un paradosso del quale non riescono a liberarsi: persino i reporters indipendenti erano convinti dell’occupazione del sud Iraq, ma da notizie che provenivano dall’Europa, dai satelliti, e dalle comunicazioni dei familiari, degli amici. E persino dai mei velocissimi report che fornivo loro durante i nostri contatti.

Ma è ancora difficile descrivere, dar corpo, alla realtà di Baghdad, le storie dei cittadini, le distruzioni scientificamente provocate nei quartieri residenziali, il dolore, la rabbia, il sangue, le fosse nella terra nelle quali sono costretti a seppellire i propri cari in fretta e furia per paura di epidemie. La paura che si è impadronita di tutti. L’angoscia dell’attesa dell’arrivo dei combattimenti dentro la città che tutti pensano imminenti. Appena al di là di quella cortina di fumo, lampi e boati che disegna tutto l’orizzonte della capitale.

Tutta la giornata di oggi, è stata vissuta nell’attesa dell’arrivo a Baghdad dei giornalisti italiani. Poi l’incontro al “Palestine” hotel. Lo stupore della propaganda, l’indignazione per le menzogne.

Ma stasera continueranno le bombe, non si fermeranno i missili.

L’appuntamento per tutti è al “Palestine”dall’altra parte del fiume. Tutti insieme: reporters indipendenti, i colleghi dei grandi networks televisivi, delle testate “prestigiose”, i 7 “clandestini” italiani, gli“humans shields”.
Al “Palestine”ancora si può trovare qualcosa di decente da mangiare. Una sera ogni tanto ci vuole. Anche a Baghdad.

Poi di nuovo la notte, attraversare in tutta fretta il ponte o correre perché il giro è più lungo fino al cuore della città, dove ci sono le case ed i piccoli alberghi che ospitano tutti loro. Un saluto in fretta, un abbraccio. Mi raccomando, si dicono l’un con l’altro, domattina alle 9.30 ci vediamo al Ministero dell’Informazione. E’ questo, quasi un rituale, il primo appuntamento della giornata.

Anche se da ieri ci si incontra in strada, davanti al Ministero. Le bombe lo hanno piegato. Ma l’appuntamento è sempre lo stesso, tutti i giorni, come a ribadire con forza: noi ci siamo.

Che la notte sia leggera
r.

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