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RAFFAELE CIRIELLO, UNO DI NOI
by Dino Frisullo Thursday, Mar. 14, 2002 at 10:12 AM mail: dinofrisullo@libero.it

Perchè molti occhi guardino ciò che lui non potrà più vedere...

Alla vigilia di molte partenze verso la Palestina o il Kurdistan, verso il Chiapas o la Colombia, chi non ha avuto un attimo di smarrimento al pensiero di poter non ritornare più?

Sentimmo il fischio dei proiettili nella repressione di "Time for Peace" a Gerusalemme, e Marisa Manno rimase cieca. Ci passarono sulla testa gli obici della guerra civile jugoslava nella spedizione di Mir Sada, e qualcuno che era con noi restò poi in quelle terre per sempre. Sentimmo la voglia di uccidere nei bastoni dei poliziotti turchi a Istanbul e a Diyarbakir, e una compagna tedesca non camminerà mai più senza zoppicare.

Ora è avvenuto. Un italiano è morto.

Non da corrispondente di guerra, come in Afghanistan, ma da osservatore di pace in tempo e luogo di guerra.
Non era in caccia di sensazionalismi di battaglia: stava solo fotografando ragazzi in fuga. Probabilmente, cercava di cogliere la paura e la fierezza nei loro volti.

Questo era Raffaele Ciriello, questo siamo stati e siamo tanti di noi.
Con o senza la Press Card in tasca. Impressionando pellicole o taccuini, o soltanto la retina, la memoria e il cuore.

Osservare, registrare, rompere il silenzio, testimoniare: è un crimine, che si può pagare con l'espulsione, con la galera, e anche con la vita. Ora lo sappiamo tutti.

Spesso in questi anni ho ripensato al parallelo con un'altra generazione, sulle cui memorie molti di noi si sono formati. Anni '30, guerra di Spagna. Migliaia di giovani che andarono a combattere, e spesso a morire, laddove non si poteva non esserci, perché là era in gioco l'alternativa fra civiltà o barbarie. Per un impulso civile, contrapposto all'ignavia di coloro che negli stessi anni seppero e tacquero sulle deportazioni e i lager.

Forse oggi occorre ancora più coraggio di allora per andare senz'armi, ma con una penna, un registratore o una fotocamera, con il proprio corpo nudo, laddove stridono le contraddizioni del dominio globale.

Questo coraggio l'hanno trovato, in questi anni, decine di migliaia di uomini e donne che hanno dato un senso nuovo alle parole solidarietà e condivisione.

Che ora non passi la paura.

Sarebbe la vittoria di coloro che hanno puntato dal mirino del tank il corpo e la macchina fotografica di Raffaele Ciriello, uno di noi, per mitragliare noi tutti, scomodi testimoni dei massacri e delle deportazioni, delle torture e delle sparizioni.

Che altre centinaia di persone decidano di prendere il suo posto, in questo marzo di piombo e di sangue, a Ramallah e nei campi di Gaza e Betlemme nella Giornata della Terra, così come una settimana prima nelle piazze di Istanbul e Diyarbakir per il grande Newroz di libertà dei kurdi.

Che centinaia di occhi ancora vadano a guardare e testimoniare ciò che Raffaele non può più vedere, ma che ha testimoniato con la vita.

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