... Il migrante non ha un valore oggettivo, una propria dignità d'uomo. L'essere umano che si sposta è estraneo perchè estraneo al mercato, se la necessità che lo muove non è quella comune e condivisa della macchina della produzione...
AMORE & DIBATTITO [1.0]
Leggo curioso. Dalla fine all'inizio. Un breve spaccato di una o due mailing-list. Direi che il
periodo è la seconda metà di settembre. Ma io inizio a leggere oggi, dopo avere finalmente
stampato le parole. Leggere su carta è comunque un'altra cosa.
Cerco pertanto di rintracciare l'amore.
Comincio con qualche riga tratta dal "manifesto" di Versitudine, che
non intende ... operare una riduzione omologante di complessità culturale, ma piuttosto,
cercare di mettere in relazioni forme di vita altre per farle convivere in uno spazio
comune.
Un accenno alla convivenza, forse direttamente una delle forme aperte di realizzazione prammatica
dell'amore. Eppure, subito dopo, si parla del terzo numero del giornale (del foglio,
sorry), e con
l'Europa dell'essere, dello stare, dell'abitare, delle distanze e delle prossimità
non leggo l'Europa dell'amare (nè dell'amore).
Rintraccio una prima diagnosi subito dopo. A proposito del "Castello-Europa" - infatti - ciò che
ne blocca l'accesso viene definito
censura del super-io paranoico degli europei che si interdicono un possibile incontro con lo
sconosciuto-migrante.
Si tratta evidentemente di una mia proiezione, se non - più propriamente - di una mia
euro-paranoia, ma leggo come di un apparente distacco dell'io-europeo dall'io tout-court, che
dirò io (e basta), insomma me stesso; infine: me. La censura di cui riconosco l'influenza è
un'autocensura, di quelle del genere preventivo; di quelle insomma dell'artista (non che io lo
sia: solo un esempio...) che rispetto alla commissione di stato, a un qualunque genere di
minculpop, a una qualsiasi forma di committenza, o ancora, alla paura della fame (o, più
garbatamente, della relativa povertà), rivede fino a stravolgerla, la propria opera d'arte.
E non solo d'arte, si parla.
Più da presso all'amore, e con esso alla relazione interpersonale, poco importa a mio parere che
l'altro sia straniero perchè extra-comunitario. L'altro, solo perchè altro, proprio perchè altro,
è strano, quindi straniero. Io europeo paranoico lo vedo, lo sento, lo percepisco minaccioso già
perchè non è me. E io stesso con me, a volte, sempre più spesso, sono minaccioso e disumano.
Paranoico e schizofrenico alla mattina davanti allo specchio, e poi in metropolitana, se mi
guardano/se mi guardo riflesso al finestrino, e poi davanti alle vetrine (non solo benettoniche),
osservo sconvolto l'immagine di me. L'immagine di me che mi pare gli altri abbiano di me.
Sconosciuti come amanti, tutti minacciosi... E forse solo per caso (o in base a un preciso
disegno?) non ancora coalizzati per eliminarmi, per ignorarmi.
E' probabilmente quest'aspetto, che segna la differenza con il differente: gli xenofobi fanno
presto amicizia fra loro, e nell'odio per lo straniero si amano di un amore trascendente,
sacro.
Io purtroppo sono bianco, indo-europeo, praticamente ariano. Insomma solo. Quello che mi unisce
agli altri, all'altro, nell'amore e - di più (o di meno?) - nel sesso, è molto meno che odio,
molto meno che paranoia o schizofrenia.
Non è neppure denaro: paradossalmente io il sesso non lo pago (almeno non con il denaro). Sesso
solo per amore, al limite solo per piacere.
Eppure il veloce avvicendarsi di soggetti/oggetti sessuali nel mio letto ha a che vedere con il
denaro, con il mercato, con la pubblicità, con lo zapping veloce e rincoglionito di un
qualsiasi mercoledì sera, molto più di quanto io non sia disposto ad ammettere (o in grado! di
riconoscere).
Il pagamento è in solitudine contante, sonante (di un silenzio assordante). Un pagamento che
frutta altra solitudine con rendimenti esponenziali, depauperandomi velocissimamente
d'umanità.
Rintraccio qualcosa di quest'intimità perduta nelle singolarità di cui si dice più avanti [nel
manifesto], singolarità che
si contaminano con altre singolarità (movimento dei movimenti) per dare vita ad una sfera
pubblica comune delle singolarità.
Non può non venirmi in mente lo scorso sabato sera, trascorso tra alcool e auto e chiassosi
affollati locali pubblici da ballo. Nessuno sconosciuto mi ha guardato negli occhi. Però in
centinaia riproponevano tutti la magia atavica della danza, solo in apparenza propiziatoria di
compagnia, di comunanza, di amore.
Solo in apparenza.
Invece interpretevano - e in sostanza - il movimento convulso del crollo di
borsa, con mossette e gesti analoghi a quelli disorientati dei piccoli risparmiatori rovinati
dalle speculazioni dei grossi operatori. Movenze copiate alla perfezione dalle coreografie
ripetute fino al parossismo nei video pubblicitari e musicali.
L'europa minore allude a forme di vita dis/identitarie e dis/topiche. L'europa minore non è un
luogo o un non luogo ma un passaggio.
Ma non è la vita stessa un passaggio?
Se sì, lo è solo a bordo dell'ultimo modello di veloce berlina super-accessoriata. E se non puoi
permettertela dovrai (!) ballarne la colonna sonora. Anche solo ascoltarla (o sentirla passare
alla fermata dell'autobus).
Sottrarsi a questo disegno non è sottrarsi al neo-liberismo; è piuttosto sottrarsi alla vita. E
subirne la sottrazione, morire.
I profughi, i migranti, che - pur in
parte - condividono lo spostamento nello spazio con le merci, merce non sono. Il migrante non ha
un valore oggettivo, una propria dignità d'uomo. L'essere umano che si sposta è estraneo perchè
estraneo al mercato, se la necessità che lo muove non è quella comune e condivisa della macchina
della produzione. I bambini in fin di vita che fanno capolino da ogni scena di guerra proposta
dai telegiornali non si muovono a tempo, sono scoordinati. Spesso l'unica colonna sonora della
loro sofferenza è il commento asettico di un giornalista che di lì a poco li finirà con un
"cambiamo argomento". Quel "voltiamo pagina" li precipita in fono alla classifica di gradimento,
oltre il centesimo posto nelle charts. Ultima la speranza di un incidente finalmente
mortale, magari sotto le ruote larghe di un fiammante fuoristrada.
E l'amore?
Di quale preferite parlare, adesso? Di quello a pagamento delle nigeriane minorenni di via Roma?
O di quello delle poche coppie interrazziali in guerra in ogni momento di ogni giorno con il
pregiudizio della città normalizzata?
In effetti non lo so proprio. Sconosco il motivo per cui si dovrebbe parlare di amore quando si discorre di
desiderio, di ricombinazione delle risorse condivisibili in un presunto progetto di resistenza al
fascismo del capitale.
Eppure... Amore, amore, amore.
Proprio perchè assente da ogni relazione che non sia egoista; proprio perchè rinchiuso a doppia
mandata, murato, seppellito, umiliato nelle parole vuote di quattro/quattromila teste di minchia
con un microfono in mano e un ricco conto in banca.
Con amore materno incondizionato
Onnivora
10 ottobre 2002
www.onnivora.net
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