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3000 militari italiani in Iraq
by MICAELA BONGI Wednesday April 16, 2003 at 08:08 PM mail:  

Missione Iraq, arrivano i nostri Il parlamento dà il via libera all'invio di 3000 militari. Il governo: scorteranno gli aiuti umanitari. Mezzo Ulivo si astiene, la Casa delle libertà ricambia, Berlusconi incassa


Da Atene Silvio Berlusconi incassa soddisfatto. Il governo italiano corre per arrivare primo nella lista degli willings, i volenterosi al fianco di Bush, e porta a casa il via libera del parlamento alla «missione umanitaria d'emergenza» in Iraq. Ovvero - ottenendo anche l'astensione della maggioranza dell'Ulivo - all'invio di 2.500-3000 militari a fianco delle truppe d'occupazione. Ovvio che, nel suo intervento, il ministro degli esteri Frattini la metta in altri termini. I militari avranno l'unico scopo di assolvere a un «obbligo morale», quello di intervenire al più presto per far sì che gli aiuti umanitari alla popolazione irachena arrivino a destinazione: «Senza la componente militare, il nostro contributo all'emergenza sarebbe decisamente velleitario». Una scorta di notevoli dimensioni, insomma, ma una scorta, «per salvaguardare l'incolumità degli operatori di pace», preciserà nella replica il ministro Giovanardi. E, prosegue dal canto suo Frattini, poco importa attendere l'avallo dell'Onu («oggi non è in grado di esprimersi con concretezza») o di quell'«organizzazione regionale» che si chiama Ue (al Consiglio europeo di Atene non sarà aperta una discussione sul futuro dell'Iraq, spiega). Perché non sono tollerati ritardi, «non possiamo permettere che il dopoguerra rischi di fare più vittime della guerra». La guerra angloamericana in realtà, nel discorso di Frattini, rimane nell'ombra. Il ministro sembra descrivere un paese colpito da una catastrofe naturale e non dai bombardamenti, mai citati. Pur confezionando un discorso tutto teso a ottenere l'«ampio consenso» del parlamento, Frattini, nonostante l'urgenza, non entra nello specifico dei tempi («dieci giorni, un mese...», dirà a fine giornata). Né, come sottolinea il ds Mussi, il titolare della Farnesina cita le agenzie internazionali e Ong alle quali si potrebbero trasferire subito soldi e mezzi. E ancora, il ministro non dice niente sulla catena di comando. Ma Margherita, maggioranza ds, Udeur e Sdi decidono di astenersi alla camera e di non partecipare al voto in senato (dove l'astensione è un no) per «sospendere il giudizio» sul governo in attesa di chiarimenti su status giuridico dei soldati, rapporti con le altre organizzazioni e catena di comando. Chiarimenti che dovrebbero arrivare con il decreto che darà il via libera alla missione e la finanzierà (è l'annuncio della tassa per l'Iraq a cui aveva già alluso Berlusconi).

Il governo, nonostante una maggioranza agguerrita che ne farebbe a meno e che fino a poco prima del voto aveva picchiato durissimo contro l'opposizione, punta con forza a arrivare a un pronunciamento quanto più possibile bipartisan, che risulterebbe gradito anche al Quirinale. E così, per ottenere l'astensione della maggioranza ulivista, basta cambiare una parola nel dispositivo della mozione del centrodestra (il governo si impegna a «sviluppare» anziché «proseguire» le linee indicate da Frattini). E' poi Giovanardi a chiarire che se l'Ulivo chiederà di votare la sua mozione per parti separate, su una di quelle parti il governo si rimetterà al parere dell'aula. E' Pino Pisicchio, dell'Udeur, a farsi carico della sollecitazione. E così, con l'astensione del Polo (tutta la Lega vota contro, come 26 di An, compresi La Russa e Gasparri, tre forzisti e due Udc) passa anche la parte della mozione di Ds, Margherita, Udeur e Sdi che impegna il governo a promuovere in ogni sede dell'Ue e nelle sedi internazionali il contributo dell'Italia all'arrivo degli aiuti e alla riabilitazione dei servizi fondamentali, sostenendo le organizzazioni già in Iraq. E a promuovere un'iniziativa affinché il consiglio di sicurezza Onu riassuma il suo ruolo in tempi rapidi.

All'improvviso, con l'indicazione di Giovanardi, si chiariscono le idee anche ai parlamentari di maggioranza, che cambiano decisamente toni. Il portavoce forzista, Sandro Bondi, si felicita: «Una parte dell'opposizione ha battuto un colpo». Ed è ancora Frattini a enfatizzare il risultato: «Apprezzo la convergenza che si è realizzata fra maggioranza e opposizione con le astensioni incrociate. Avevo auspicato il superamento delle divisioni del passato e vedo che, seppure in parte, questo si è realizzato». Il ministro per le attività produttive Marzano passa invece direttamente alla fase due: «La prospettiva, più avanti, è anche di partecipare alla ricostruzione».


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uffa
by supplemento Wednesday April 16, 2003 at 08:52 PM mail:  

titolo: Missione Iraq, arrivano i nostri
testata: il Manifesto
data: 16 aprile 2003

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bisogna impiccare
by machno Wednesday April 16, 2003 at 11:59 PM mail:  

Penso che tutti gli strozzini governanti e dei politici che hanno mandato dei ragazzi in Iraq, dovrebbero essere impiccati.
Questi fetenti non ci vanno, fanno andare. Questa e' la piu' grande vigliaccheria che si possa sentire in un paese cenerentola come l'Italia. Si ringrazia la Quercia per le loro stronzate.
Ma questi sono italiani, europei o vermi?

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x machno
by fabrizio Wednesday April 23, 2003 at 06:31 PM mail:  

CARO AMICO,

VORREI FARTI SAPERE CHE IO SONO UNO DEI TANTI RAGAZZI MANDATI DAL GOVERNO IN MISSIONI UMANITARIE, SONO UN EX-PARA INCURSORE DEL COL. MOSCHIN.

VORREI CHE TU SAPESSI CHE PER NOI, E QUALCUNO CI HA LASCIATO LA PELLE LA', E' STATA UNA GRANDE ESPERIENZA CHE RIFAREI VOLENTIERI, PARTIRE CON LA SPERANZA DI ESSERE UTILI.

QUINDI A TUTTI QUEI RAGAZZI IN MISSIONE VA IL MIO CUORE , IN AFGANISTAN, IN BOSNIA ADESSO IN IRAQ E AUGURO A LORO UN BUON RITORNO.

NOI SIAMO STATI FIERI DI FARLO, COME LORO LO SARANNO ADESSO, SIAMO STATI PREPARATISSIMI ( ERO PREPARATO AL PEGGIO ED ADDESTRATISSIMO), DEVO DIRE CHE ABBIAMO ANCHE GUADAGNATO MOLTO BENE E LA COSA NON GUASTA.

SIAMO ITALIANI E FIERI DI ESSERLO, NON DIMENTICARLO MAI.

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Stati Uniti e Nazioni Unite: una rinnovata intesa?
by rex516 Tuesday April 20, 2004 at 11:46 AM mail:  

Stati Uniti e Nazioni Unite: una rinnovata intesa? E’ utile analizzare con particolare attenzione la posizione degli Stati Uniti nei confronti della Liberia. Come abbiamo già avuto modo di notare, la Liberia nasce dalla volontà dell’American Colonization Society (1822) di dare una patria in Africa ai numerosi schiavi neri affrancati: dagli Stati Uniti provengono, dunque, i padri fondatori dello Stato africano e, per citare un esempio più recente, anche l’attuale Presidente Charles Taylor è un americano-liberiano. Questa “special relationship”, o piuttosto “protettorato morale” di Washington nei confronti di Monrovia è stato più volte chiamato in causa dall’opinione pubblica mondiale così come è stato sollecitato un intervento al fine di porre termine alla pluriennale situazione di anarchia e conflitto armato. Benché non esista alcun legame propriamente coloniale fra i due Stati, un’azione risolutiva è stata auspicata dalla comunità internazionale, sul modello degli interventi della Francia e del Regno Unito nei confronti delle guerre civili, rispettivamente, in Costa d’Avorio e in Sierra Leone. Gli Stati Uniti fanno parte dell’ICGL, insieme a Regno Unito, Francia, Nigeria, Senegal, Marocco, Nazioni Unite, Unione Europea, Unione Africana ed ECOWAS, e si sono impegnati nel sostenere i negoziati di pace in Ghana agli inizi di giugno fra ribelli e forze governative. Tuttavia, non sembra che Washington sia intenzionata a spendere molte energie per la pacificazione della Liberia e le spiegazioni possono essere molteplici: è, innanzitutto, utile ricordare che Charles Taylor è giunto in Liberia, dopo essere fuggito da una prigione federale statunitense e quest’elemento non rappresenta certo un punto a suo favore nel rapporto con gli USA. Inoltre, i rapporti fra i due Stati sono peggiorati sensibilmente per l’appoggio che il Presidente ha accordato ai movimenti antigovernativi dei Paesi vicini nelle guerre civili, con lo scopo di destabilizzare l’intera area e riorganizzarla secondo i propri interessi, mentre durante gli ultimi due anni sono emersi numerosi sospetti sui possibili collegamenti tra il presidente liberiano ed esponenti del terrorismo internazionale. Dal punto di vista economico, gli interessi americani in Liberia non sono tali da giustificare un intervento diretto, come in altre aree del mondo (i principali prodotti esportati sono quelli derivanti dall’agricoltura di piantagione, i diamanti, la bauxite, ma soprattutto legname di vari tipi). Gli Stati Uniti, quindi, vedrebbero di buon grado un cambio di regime a Monrovia, ma non sono disposti a compromettersi appoggiando direttamente i movimenti di liberazione, la cui democraticità e integrità morale è per molti versi paragonabile a quella dello spietato regime tayloriano (il tentato coup d’état del 5 giugno sembrava aver ottenuto l’appoggio ufficioso dell’Ambasciata americana, defilatasi poi ai primi segnali di fallimento). La strategia americana sembra, dunque, volta a sostenere la propria posizione attraverso un’azione nella cornice delle Nazioni Unite che, tuttavia, stentano ad imporre sempre soluzioni durevoli ed efficaci. Sanzioni ed embargo Il 6 maggio 2003, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso all’unanimità l’estensione dell’embargo contro la Liberia sul commercio di armi e di diamanti, così come ha prorogato il divieto di movimento all’estero per gli ufficiali delle Forze Armate; inoltre ha minacciato di procedere con l’embargo sul commercio di legnami, principale fonte di ricchezza per l’economia liberiana. L’adozione di tali misure risale al 2001, quando il Consiglio di Sicurezza decise di sanzionare il sostegno di Monrovia ai ribelli del RUF in Sierra Leone. Successivamente, il 25 novembre 2002, al momento della verifica emersero consistenti prove delle continue violazioni dell’embargo (traffici illegali di armi e di diamanti attraverso i confini porosi con la Sierra Leone, la Guinea e la Costa d’Avorio) e portarono ad una riconferma di quei provvedimenti; stessa decisione (embargo fino al maggio 2004) è stata adottata nel maggio di quest’anno per le medesime ragioni. È comunque innegabile che una così unanime condanna da parte del Consiglio di Sicurezza – organo che di recente ha stentato a trovare compattezza nelle decisioni riguardanti questi problemi- sia un segnale evidente della riprovazione crescente attorno al regime di Charles Taylor. Conclusioni L’azione delle Nazioni Unite si è dunque conclusa con il rinnovo delle sanzioni che però in passato non hanno mai prodotto efficaci risultati, mentre ciò che sarebbe stato risolutivo, ossia un energico intervento diplomatico americano, non si è ancora realizzato. Tuttavia, le prospettive per il Presidente Taylor ed il suo regime sono tutt’altro che rosee, considerando l’isolamento e le minacce incombenti.

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Le ultime notizie provenienti dalla Liberia
by rex516 Tuesday April 20, 2004 at 11:47 AM mail:  

Le ultime notizie provenienti dalla Liberia, timidamente e poco credibilmente smentite dagli organi di stampa del Governo, mostrano uno Stato sull’orlo del crollo per una serie di concause che si alimentano a vicenda: la minacciosa avanzata delle forze ribelli, l’incombente crisi umanitaria, le crepe all’interno dell’establishment presidenziale, i problemi giudiziari che gravano su Taylor, così come la diffusa ostilità degli Stati Uniti e della comunità internazionale. L’autorità centrale di Monrovia sta progressivamente perdendo il controllo del territorio, messa in scacco dalle varie formazioni di ribelli. Secondo il portavoce del Programma Alimentare Mondiale, l’8 giugno i ribelli erano ormai giunti a pochi chilometri dal centro di Monrovia: oltre alla capitale, il LURD ha acquisito il controllo di altri territori nella parte nordoccidentale del Paese e lungo il confine con la Guinea. Il 10 giugno, le truppe ribelli sono entrate a Monrovia, tagliando ogni via di fuga alla popolazione civile e alle forze governative, a parte il mare. Cinicamente, l’avanzata delle forze antigovernative e l’acerrimo scontro fra le parti avviene proprio mentre si svolgono ad Accra, in Ghana, i colloqui di pace, cui ha rifiutato di partecipare l’altra fazione anti-tayloriana in guerra, nata nelle ultime settimane ma già affermatasi con prepotenza. Quest’ultimo gruppo, il Movimento per la Democrazia in Liberia – MODEL, non ha preso parte con nessun esponente ai suddetti incontri. I ribelli del MODEL hanno invece occupato Harper, secondo porto del Paese, e il capoluogo costiero di Greenville: l’occupazione di questi strategici crocevia commerciali rischia di mettere in ginocchio la già disastrata economia liberiana e pone in maniera definitiva l’est del Paese fuori dal controllo delle truppe governative. Il problema dei rifugiati La drammaticità della situazione non è data esclusivamente dal duro confronto fra l’esercito regolare e i gruppi di ribelli, quanto piuttosto dai flussi di rifugiati che si spostano attraverso il Paese, premendo alle frontiere con Guinea, Sierra Leone e Costa d’Avorio, che già ospitano campi profughi saturi ed in condizioni sanitarie precarie. La disastrosa situazione umanitaria non è, tuttavia, una questione che riguarda esclusivamente la Liberia e la recrudescenza nelle ostilità, ma si assomma alle sanguinose vicende della Sierra Leone e della Costa d’Avorio, che hanno generato oltre un milione di profughi disseminati in campi nei vari Stati dell’Africa occidentale, molti dei quali nella stessa Liberia. Negli ultimi anni, il solo conflitto liberiano ha prodotto oltre 300 mila rifugiati in Guinea e Sierra Leone e 100 mila in Costa d’Avorio; da aggiungere ci sono poi i rifugiati di questi Paesi, che avevano precedentemente trovato ospitalità in Liberia, ma che ora ne fuggono le violenze. Le organizzazioni umanitarie e religiose, oltre a testimoniare la sistematica violazione dei diritti umani da entrambe le parti e ad essere direttamente minacciate nelle loro funzioni, hanno denunciato le numerose carenze nei settori dell’educazione, sanità e condizioni di lavoro: per risollevare le sorti del popolo liberiano le Nazioni Unite hanno lanciato una campagna di donazioni con l’obiettivo finale di raccogliere 42-43 milioni di dollari. Le condizioni ed i metodi di condotta dello scontro peggiorano ulteriormente lo stato della popolazione civile in fuga: manca infatti una chiara linea di fronte, così come corridoi sicuri per coloro che cercano riparo dai combattimenti e che vengono a trovarsi nel mezzo del fuoco delle fazioni opposte, o vengono bloccati dalle guardie di confine degli Stati limitrofi che ne impediscono il passaggio. I dissensi politici di Taylor con tali Stati, dovuti ai tentativi di Monrovia di insinuarsi in maniera dirompente nei loro affari interni, hanno provocato un drammatico isolamento regionale per la Liberia che ora ne paga duramente le conseguenze. Le altre minacce al regime di Taylor Contemporaneamente all’offensiva del LURD nella capitale liberiana, il Presidente ha affrontato con successo un tentativo di colpo di stato, organizzato da ambienti governativi vicini all’Ambasciata americana. Approfittando dell’assenza di Taylor (in Ghana per i negoziati di pace sponsorizzati dall’International Contact Group on Liberia - ICGL e dalla Comunità economica degli Stati africani dell’ovest - ECOWAS), i putschisti hanno tentato di estromettere Taylor dal potere, ma, grazie all’intervento delle Forze Armate, l’iniziativa è fallita e il Vicepresidente Moses Blah, ritenuto il principale responsabile,è stato arrestato. Occorre tuttavia ricordare che le notizie dell’accaduto sono tuttora confuse, così come la dinamica e gli attori del presunto putsch sono ancora poco chiari. Inoltre, al fuoco dei ribelli su Charles Taylor, si è aggiunto negli ultimi giorni anche quello giudiziario del Tribunale Speciale per la Sierra Leone. Questa Corte, creata dal Governo di Freetown e dalle Nazioni Unite, ha emesso il 4 giugno un mandato d’arresto internazionale, accusando il Presidente liberiano per i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, perpetrati durante la guerra in Sierra Leone dal Fronte Unito Rivoluzionario (RUF), gruppo ribelle sostenuto e finanziato da Monrovia.

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Liberians United for Reconciliation and Democracy
by rex516 Tuesday April 20, 2004 at 11:49 AM mail:  

Liberia: “fuoco incrociato” sul Presidente liberiano Taylor Centinaia di cittadini stranieri, soprattutto europei ed americani, sono stati evacuati nei giorni scorsi dalla capitale liberiana, assaltata dalla forze ostili al Presidente Charles Taylor. Nonostante la disponibilità del Governo e del principale movimento ribelle (LURD - Liberians United for Reconciliation and Democracy) ad impegnarsi in colloqui di pace, la situazione interna sembra tutt’altro che in via di pacificazione: le forze presidenziali si stanno duramente scontrando con i ribelli, ma appaiono incapaci di fronteggiare la loro avanzata a Monrovia, così come nella Liberia nordoccidentale e al confine con la Costa d’Avorio. (Matteo Benatti)

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vergognatevi
by gio Wednesday April 21, 2004 at 01:03 PM mail:  

vergognatevi,gli assassini siete voi,no global da strapazzo, se ve ne stavate a casa non sarebbe successo niente, lanciando sassi ed estintori...se siamo in iraq e per fare qualche cosa di buono.
voi pacifisti da strapazzo perche non venite qua invece di parlare dai vostri salotti radical chic...!!!
ve ne state al calduccio dei vostri salotti. venite vi stanno aspettando...!!!!!
come pensate che marciando in un milione,rappresentiate tutta la popolazione italiana???
siete ipocriti...

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x gio
by Alfredo Thursday April 29, 2004 at 11:17 PM mail: incursore@aliceposta.it 

Giò, sono pienamente d'accordo con te!! Voi pacifisti l'unica cosa che sapete fare è (S)parlare...quei 3000 soldati che sono li sono 10000000 di volte meglio di tutti voi nullafacenti messi assieme. Voi non rappresentate neanche l'1% degli italiani. Io fuori dal balcone ho appeso il tricolore perchè sono con tutti i soldati in missione all'estero, ciao ragazzi!!!

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risponte pronte per punti morti
by rex516 Sunday June 13, 2004 at 09:39 PM mail:  

Ideologie: Es geht darum, den "imperialistischen Staat" mit allen Mitteln zu bekämpfen. Dabei wurde die offensichtlich aussichtslose Situation nicht in Betracht gezogen. Die RAF und die Brigate Rosse bezeichneten sich als Kommunisten, obwohl ihr Aktionismus auf eine anarchistische Philosophie schließen lassen würde. Erwähnenswert finde ich, dass sich, zumindest die sogenannte "1. Generation", vom Terrorismus, den sie mit der Involvierung unbeteiligter definiert, distanziert und ihn sogar verurteilt. Natürlich ist der "bewaffnete Kampf" eine Form des Terrorismus. Ziel sei es keinesfalls durch einen Putsch die Macht im Staat an sich zu reißen, sondern der Aufbau einer Guerilla, die den "weltweiten revolutionären Prozess" unterstützen soll. Speziell den Roten Brigaden geht es laut Selbstdefinition um die "bewaffnete Propaganda", also um ein gewaltsames auf sich Aufmerksammachen. Dadurch soll die PCI gestärkt werden. Es ist jedoch fraglich, ob die Kommunistische Partei nicht eher trotz des Terrorismus, als durch ihn in den 70er Jahren an Boden gewann. Ein gravierender Unterschied zwischen RAF und BR besteht im enormen Hass, den die RAF der "Spießbürgergesellschaft" entgegenbringt. Kurz gesagt wollten sie den offenen Krieg gegen den verhassten Staat.

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un 'artolo interessante
by rex516 Sunday June 13, 2004 at 09:45 PM mail:  

Internationale Kontakte3: 1978 wurden zum ersten Mal Kontakte zu anderen Stadtguerillas geknüpft wie der RAF geknüpft. Wegen unterschiedlicher Positionen wurden diese jedoch nicht fortgeführt. Nach der Moro- Entführung nahmen die ETA, die RAF, die PLO, die IRA und französische Gruppen Kontakt mit der BR auf. Es fanden einige Treffen in Paris statt. Speziell mit der RAF wurden zu dieser Zeit Waffen getauscht. Der Grund, warum später Theorien aufkamen, dass die Brigate Rosse für alle möglichen Geheimdienste gearbeitet haben soll, ist ein Brief, in dem der Mossad der BR seine Wertschätzung anlässlich der Moro- Aktion ausdrückt. Intensivere Beziehungen waren zur PLO und IRA vorhanden (Waffenhandel). Ab 1982 beteiligte sich die BR- PCC gemeinsam mit der RAF, der französischen „Action Directe" und der belgischen CCC (Kämpfende Kommunistische Zellen) am „Aufbau einer antiimperialistischen Front" in Westeuropa.

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articoli vecchi
by rex516 Sunday June 13, 2004 at 10:17 PM mail:  

BREVE STORIA DELLE BRIGATE ROSSE (1970-1987) L’humus in cui nascono le Brigate rosse è quello che contraddistingue il biennio 1968-1969, un biennio di lotte operaie e studentesche. Nell'area milanese, al fianco di quelli che saranno i “gruppi storici” della nuova sinistra si formano molti Comitati Unitari e Collettivi Autonomi. Si tratta di formazioni esterne al controllo parlamentare e alle organizzazioni sindacali. Il coordinamento di un certo numero di esse, nell’autunno del 1969, prende il nome di Collettivo Politico Metropolitano (CPM), che raccoglie operai e tecnici presenti, in particolare, in due stabilimenti: Sit Siemens e Pirelli. Ad essi si affiancano studenti di diversa estrazione: figli della piccola e media borghesia, ma anche figli di operai. I due filoni principali - che da lì a poco andranno a fondare il gruppo armato - provengono dalla Libera Università di Trento (Curcio, Cagol, Semeria) e da Reggio Emilia (Franceschini, Gallinari, Ognibene, Paroli, Pelli). Questi ultimi – i Ragazzi dell’appartamento - sono tutti giovani usciti dalla FGCI, l’organizzazione giovanile del PCI. Ad essi si uniranno giovani provenienti da altre esperienze, come le lotte operaie della fine degli anni (Bassi, Bertolazzi) o quello che diventerà prima il Superclan e poi – usciti dalla formazione clandestina - la scuola Hyperion di Parigi (Mulinaris, Berio, Simioni) o ancora l’immigrazione dalla provincia (Moretti). Ad accomunare i militanti del CPM – il cosiddetto nucleo storico delle Brigate Rosse – è il marxismo-leninismo nella versione della Terza Internazionale, rinverdita dall’analisi maoista. Ma molti militanti del CPM provengono dall’esperienza cattolica. Un anno più tardi una parte del CPM dà vita al gruppo Sinistra Proletaria. Dopo la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969), interpretata da gran parte dei movimenti del tempo come strage di stato intesa a dissuadere, con metodi terroristici, il cammino delle lotte operaie e studentesche, il dibattito già in corso sull'uso della violenza, trova in molte formazioni extraparlamentari sollecitazione ed impulso. In Sinistra Proletaria esso si traduce nella scelta da un lato di dare vita ad un giornale (Nuova Resistenza), mentre dall’altro si forma, alla Pirelli di Milano, la prima Brigata Rossa (novembre 1970). Il passaggio sul terreno del terrorismo avviene nell’autunno del 1970, in un convegno che si svolge a Chiavari, in Liguria. In quella sede vengono gettate le basi delle Brigate Rosse che inizialmente puntano alla propaganda armata: con gesti eclatanti, ma non sanguinari (attentati incendiari, sequestri lampo, gogne, rivendicazioni e proclami), il gruppo armato intende scuotere le coscienze rivoluzionarie Tra il novembre 1970 ed il maggio 1972, nascono Brigate rosse in alcune grandi fabbriche milanesi (Pirelli, Sit-Siemens) ed in alcuni grandi quartieri (Lorenteggio, Quarto Oggiaro). Le loro posizioni sono esposte, oltre che dai volantini che accompagnano i loro interventi, in brevi documenti o con autointerviste. La prima azione delle Brigate Rosse che abbia un certo peso avviene nella notte del 25 gennaio 1971: otto bombe incendiarie vengono collocate sotto altrettanti autotreni sulla pista prova pneumatici di Lainate dello stabilimento Pirelli. Tre autotrenivengono distrutti dalle fiamme. La prima azione BR che invece ha come obiettivo una persona avviene a Milano il 3 marzo 1972, quando l'ing. Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens, viene prelevato di fronte allo stabilimento, fotografato con un cartello al collo e sottoposto ad un interrogatorio di alcune ore sui processi di ristrutturazione in corso nella fabbrica. Il 2 maggio 1972, a Milano, scatta la prima rilevante operazione di polizia contro le BR. La maggior parte dei militanti ricercati, tuttavia, riesce a sottrarsi all'arresto. Da questo momento la semiclandestinità si trasforma per la nascente organizzazione in vera e propria scelta clandestina. Nell'agosto-settembre 1972 le BR, sul modello organizzativo proposto in Uruguay dall'organizzazione guerrigliera urbana dei Tupamaros, costituiscono a Milano e a Torino due colonne, ognuna delle quali composta da più brigate operanti all'interno delle fabbriche e dei quartieri. Inoltre con la distinzione tra forze regolari (militanti di maggior esperienza politica totalmente clandestini) e forze irregolari (militanti di tutte le istanze che fanno parte a tutti gli effetti dell'organizzazione senza essere totalmente clandestini), viene precisata la definizione dei livelli di militanza. Intanto si consolidano accordi organizzativi con collettivi del lodigiano e dell'Emilia-Romagna. Tra il 1972 ed il 1974 le due colonne di Milano e Torino cercano di verificare il seguente assunto: o le colonne riescono ad affermarsi nei rispettivi poli e le brigate nelle rispettive fabbriche, o la loro esistenza non ha ragione di essere. Nell'autunno 1973, in un incontro tra esponenti della colonna di Milano e di Torino viene deciso di articolare il lavoro delle colonne in tre settori: settore delle grandi fabbriche; settore della lotta alla controrivoluzione; settore logistico. A Milano la brigata di fabbrica della Sit-Siemens incoraggia la formazione dei Nuclei Operai di Resistenza Armata (NORA) con una propria autonomia operativa. I NORA, la cui prima azione è del 2 maggio 1973 e l'ultima del 28 gennaio 1974, compiono alcuni attentati incendiari contro beni di fascisti della fabbrica (in genere automobili) e contro alcune sedi della polizia. A Torino, in breve tempo, le BR trovano adesioni in tutti gli stabilimenti della Fiat ed in molte altre grandi fabbriche (Pininfarina, Bertone, Singer). Con il contratto aziendale integrativo dell'autunno-inverno matura il sequestro del capo del personale della Fiat Ettore Amerio (10 - 18 dicembre 1973). Nel febbraio-marzo 1974 avviene il primo salto di qualità: una riflessione congiunta delle due colonne sull'esito delle lotte operaie alla Fiat, porta alla decisione di dare respiro strategico all’organizzazione, proiettando la sua forza contro le istituzioni politiche e contro lo stato. La fase della propaganda armata è finita. Comincia l’attacco al cuore dello Stato. Dalla necessità di coordinare a livello nazionale i Settori nascono due Fronti: il Fronte delle grandi fabbriche ed il Fronte della lotta alla controrivoluzione. Il 18 aprile 1974, a Genova, viene sequestrato il magistrato Mario Sossi, già inquisitore del gruppo XXII Ottobre. Questa azione è la prima operazione nazionale progettata dal Fronte della lotta alla controrivoluzione. Nel corso del sequestro le BR chiedono la liberazione di alcuni detenuti della formazione armata genovese, ma libereranno l’ostaggio senza contropartite. Oltre ai volantini, durante il sequestro, viene diffuso l'opuscolo: “Contro il neo-gollismo portare l’attacco al cuore dello Stato”. Tra il 1973 ed il 1974, le BR allargano i loro rapporti organizzativi in varie regioni: consolidando i contatti con operai dei Cantieri Navali Breda e del Petrolchimico viene inaugurata la tera za colonna, la colonna veneta; in Liguria, con alcuni operai dell'Italsider, dopo la Campagna Sossi, viene creata la prima istanza della nuova colonna genovese; nelle Marche si stringono relazioni con esponenti dei Proletari Armati in Lotta, alcuni dei quali daranno vita al comitato marchigiano delle BR. Il 17 giugno 1974, a Padova, nel corso di un'incursione nella sede rnissina di via Zabarella, restano uccise due persone, Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola. Per le Br si tratta della prima azione mortale, anche se – con ogni probabilità – non programmata. Il nucleo veneto gestisce l'evento, rivendicandolo all'interno della pratica dell'antifascismo militante. Le Brigate Rosse, a livello nazionale, pur assumendone la responsabilità, ribadiscono che la questione centrale dell'intervento armato è l'attacco allo Stato e non l'antifascismo militante. Nell'estate 1974 l'espansione delle BR, seguita alla campagna Sossi, porta alla decisione di creare un terzo Fronte - il Fronte logistico - al fine di affrontare, in modo più adeguato, oltre al coordinamento dei settori logistici di ciascuna colonna, anche i problemi della scuola quadri e del finanziamento. Nel documento dell’estate 1974 (“Alcune questioni per la discussione sull'organizzazione" tra l'altro si legge: “All'origine della nostra storia c'è un nucleo di compagni che, operando scelte rivoluzionarie, si è conquistato nel combattimento un ruolo indiscutibile di avanguardia... Oggi con la crescita dell'organizzazione e della sua influenza... questo nucleo storico è di fatto insufficiente. Si impone cioè una ridefinizione e un ampliamento del quadro dirigente complessivo dell'organizzazione. Si propone pertanto alla discussione dei compagni la formazione di un consiglio rivoluzionario che raccolga e rappresenti tutte le tensioni e le energie rivoluzionarie maturate nei fronti, nelle colonne e nelle forze irregolari. Questo consiglio dovrà essere la massima autorità nelle Br”. L’8 settmbre 1974 primo duro colpo per le BR: grazie da un infiltrato, il falso Frate Mitra, Silvano Giorotto, i carabinieri del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa arrestano due capi dell’organizzazione, Renato Cucio ed Alberto Franceschini. Il 13 ottobre 1974, alla cascina Spiotta di Arzello, Aqui (AL), si riunisce la prima Direzione strategica delle BR. L'ordine del giorno riguarda la ridefinizione delle strutture e dell'intervento alla luce degli arresti dei due dirigenti dell’organizzazione. Nell'inverno 1974 si riunisce, nel veneto, la seconda Direzione strategica. All'ordine del giorno è la liberazione dei prigionieri. Viene deciso l'assalto al carcere di Casale Monferrato, che viene effettuato il 18 febbraio 1975 e porta alla liberazione di Renato Curcio. Nel marzo 1975 vengono riallacciati i contatti presi negli anni precedenti con alcuni militanti di Roma, provenienti da varie aree ed esperienze politiche (Potere Operaio, marxisti-leninisti), e viene dato avvio alla costruzione della colonna romana. Nell'aprile 1975 viene diffusa la prima Risoluzione della Direzione strategica. Il 15 maggio 1975, nel quadro della campagna contro il neo-gollismo, viene “gambizzato” il consigliere comunale della DC milanese, Massimo De Carolis. Il 4 giugno 1975, primo sequestro per autofinanziamento: l'industriale Vallarino Gancia. Nel corso di questa operazione, il 5 giugno, in un conflitto a fuoco viene ferito mortalmente l'appuntato dei carabinieri Giovanni d'Alfonso, mentre resta uccisa Margherita Cagol Curcio "Mara". La colonna di Torino assumerà il suo nome. Sempre nel corso del 1975, il confronto politico con i Nuclei Armati Proletari (NAP) porta ad una campagna congiunta che si concretizza in due momenti offensivi: contro le strutture dell'Arma dei carabinieri con azioni in varie città italiane (1 marzo 1976);

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LINCK
by rex516 Sunday June 13, 2004 at 10:20 PM mail:  

http://library.iea.org/dbtw-wpd/Textbase/stats/nmcindicators.asp?nonoecd=Iraq&COUNTRY_LONG_NAME=Iraq

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