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I dubbi sulla liberazione
by www.repubblica.it Friday June 11, 2004 at 01:43 PM mail:  

non ci sono solo le dichiarazioni di Strada. Qualche interrogativo in piu'!

Una frase su un foglietto il giallo del video tagliato

di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO

Nel tentativo del governo di "tagliarsi una fetta della torta" per la liberazione degli ostaggi c'è un messaggio rimasto segreto e destinato ad un'organizzazione umanitaria (Emergency o Croce rossa). Un tassello che non ha spazio nella necessità di Palazzo Chigi di trovare un ruolo alla nostra diplomazia, all'intelligence militare e alle scelte dell'esecutivo. Un tassello assente, come vedremo, in una ricostruzione che ha avuto finora diversi capitoli. Il primo è l'angoscia con cui a Palazzo Chigi sono stati consumati gli ultimi giorni. Con il corollario di partenze "con il cuore in gola" del presidente del Consiglio. O, ancora, di "infiltrazioni" della nostra intelligence nel gruppo dei sequestratori

Conviene elencare allora i punti fermi e qualche questione contraddittoria per il governo. Sostenuti gli uni e le altre da più fonti direttamente coinvolte nell'operazione.

Contrariamente a quanto assicurato dall'esecutivo, la nostra intelligence militare, con la liberazione degli ostaggi, non ha nulla a che fare. Ci sono tre circostanze che lo confermano. Le testimonianze degli ostaggi. Il racconto delle forze speciali polacche. I cable inviati dall'intelligence americana di Bagdad a Washington. Le cose sono andate così. Da quando il generale Ricardo Sanchez, comandante del teatro operazioni iracheno, ha avvisato il nostro ambasciatore Gianludovico De Martino della decisione del blitz, sono trascorsi soltanto 50 minuti per incassare il via delle autorità di governo italiane ("... e il vostro ambasciatore avrebbe potuto essere anche più rapido"). A quel punto, sono intervenute soltanto le forze americane. Anche le teste di cuoio del "Grom" polacco sono state tenute lontane dal terreno. Racconta il portavoce del ministero degli esteri di Varsavia, Boguslaw Maievsky: "Gli americani hanno segretato l'intera operazione. La decisione, a quanto ne sappiamo, è delle Forze speciali che hanno condotto l'operazione. Noi non possiamo che adeguarci e attendere che ci venga riferito cosa è accaduto". "La verità - aggiunge il generale di divisione Mieczyslaw Bieniek - è che i Grom non sanno neanche fino in fondo dove e che cosa hanno organizzato le forze speciali americane per liberare con i tre italiani il cittadino polacco".

A Washington, come ovvio, non svelano il segreto dell'operazione, ma nelle unità di intelligence interessate all'affare, trapela un frammento di verità. "Si è trattato di un'operazione facile facile. Non è stato sparato un colpo. Tutto è finito in pochi minuti e con un volo di elicottero di dieci minuti ci siamo riportati gli ostaggi a Bagdad". Dunque gli ostaggi non erano nel sud della capitale irachena come, per tutta la giornata di martedì hanno ripetuto Palazzo Chigi e la Farnesina, ma nell'area di Ramadi, a nord ovest della città. Più o meno centodieci chilometri da Bagdad. Più o meno, appunto, dieci minuti di volo in elicottero. Lo confermano anche i tre ostaggi italiani che ieri sono stati interrogati dai pm Franco Ionta, Pietro Saviotti e Erminio Amelio. "Eravamo rinchiusi in un appartamento in un'area urbana. Ci hanno prelevato gli americani. Siamo rientrati a Bagdad in elicottero".
Riepiloghiamo. Soltanto americani sul terreno. Soltanto americani accanto agli ostaggi. Operazione segretata. Il protagonismo pieno delle teste di cuoio americane giustifica l'assoluto vuoto di notizie riguardo al numero dei carcerieri e alla loro identità. E' un'altra circostanza che conferma l'assenza della nostra intelligence dall'operazione. Allo stato delle cose, il Sismi non è stato ancora in grado di riferire al Governo e alla magistratura quanti uomini, al momento del blitz, tenessero sotto sorveglianza gli ostaggi, né chi fossero.

Maurizio Agliana, Umberto Cupertino e Salvatore Stefio, con la loro testimonianza, ridimensionano la ricostruzione ufficiale di Palazzo Chigi.
Il governo ha spiegato che domenica 6 giugno il Sismi localizza la prigione grazie allo spostamento degli ostaggi. Ma domenica 6 giugno gli ostaggi - come hanno riferito ieri ai magistrati - non sono stati spostati da quell'appartamento nell'area urbana in cui sono stati rintracciati. Anzi - hanno concordato negli interrogatori individuali - Agliana, Cupertino e Stefio hanno detto di aver cambiato più prigioni, ma "l'ultima volta è stato 4, 5 giorni prima della liberazione".

Anche qui, quindi, la ricostruzione ufficiale del governo fa acqua. E, soprattutto, nel bilancio dei fatti di queste ore manca un tassello essenziale, collegato all'ultimo video conosciuto, Al Jazeera, 31 maggio scorso. In quelle immagini c'è un vuoto nero. Repubblica è in grado di ricostruirlo. E' Salvatore Stefio che parla. Mostra un foglietto. Sul foglietto c'è scritto: "Bisogna vivere sempre sognando l'impossibile. A presto!". Mostrando il foglietto, si ascolta il suono di un campanello. Sono i due segnali convenuti per dire all'organizzazione umanitaria che sta trattando che ha trovato il canale giusto e che l'approdo può essere vicino. Al Jazeera non manda in onda questo frammento. Ritiene troppo sfocata l'immagine del foglietto e inutile orpello il suono del campanello. Sta di fatto che questa circostanza dimostra che il 31 maggio un'organizzazione umanitaria (Emergency? Croce rossa?) era a un passo dalla soluzione del sequestro. A quale prezzo, ammesso che ci fosse un prezzo da pagare?

In realtà, dunque, questo caso degli ostaggi, non ha misteri "in coda". Per dirla con i polacchi, "casualmente, fortunosamente, inaspettatamente", l'intelligence di Varsavia ha trovato con Jerzy Kos, imprenditore della ditta "Jedynka" di Wroclaw, gli ostaggi italiani. La fonte utilizzata dai polacchi indica la banda dei sequestratori, non il luogo. Al luogo si arriva grazie ad una fonte prezzolata degli americani e di cui gli americani si fidano, ma non tanto da tirare l'affare per le lunghe (esistevano indicazioni che quella stessa fonte si preparasse a "comprare gli ostaggi" per poi aprire una nuova trattativa).

Il resto, come si può leggere qui accanto, è storia di un Predator decollato dal Qatar, di un blitz di 120 soldati della prima divisione corazzata, sostenuti da una quindicina di uomini della Delta Force. La grancassa mediatica del presidente del Consiglio per un'intera giornata, alla fine non trova né un appiglio, né una conferma. Nessuna tormentata "direzione politica di Silvio Berlusconi", nessun "nuovo modello di integrazione tra diplomazia, intelligence, aiuti umanitari e forze armate" (ministro degli Esteri Franco Frattini). Nessuna "decisiva attività di informazione del Sismi". Sono, questi, capitoli di propaganda elettorale.

I misteri di questo affare restano legati alla prima fase del sequestro. Fu pagato un riscatto nei primi giorni alle persone sbagliate? Quali erano i canali che avevano assicurato a Palazzo Chigi l'imminente liberazione degli ostaggi, al punto da convincere Berlusconi a dichiarare il suo ottimismo e il suo staff ad annunciare la soluzione del caso "ad horas"? Per quale motivo tutti gli operativi del Sismi, perlomeno dalla fine di maggio, hanno ricevuto l'ordine di abbandonare Bagdad e quindi il terreno delle operazioni? E chi, nell'intelligence o nel governo, ha rafforzato la convinzione raccolta poi dai media e dalla maggioranza che nel gruppo dei sequestratori di Agliana, Cupertino e Stefio e degli assassini di Fabrizio Quattrocchi ci fosse un cittadino italiano determinato a condizionare l'agenda politica del nostro Paese?

Non c'era nessun italiano. E' un altro fatto certo. Confermato dalle testimonianze degli ostaggi e finalmente anche dall'unità di crisi della Farnesina: "Non c'è mai stato nessun cittadino italiano tra i sequestratori". Ma, come riferito dagli ostaggi, "soltanto un arabo che comprendeva l'italiano e lo parlava a stento".

(10 giugno 2004)


e ancora.....

Un documento con cinque crepe e le contraddizioni del governo

di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO

ACCADE tutto in poche ore. E' tardo pomeriggio e la notizia che a Badgad possa essere circolato molto denaro prima della liberazione degli ostaggi trova qualche autorevole conferma. Come le parole del commissario della Croce Rossa a Repubblica: "A metà maggio, la liberazione era ormai cosa fatta quando qualcuno ha proposto di pagare 15 milioni di dollari". Conferma che sia stato pagato un riscatto di 9 milioni di dollari, Gino Strada. La faccenda si fa seria per il governo perché quegli interrogativi - è stato pagato un riscatto? gli ostaggi potevano tornare a casa anche prima della vigilia elettorale? - acquistano una maggior consistenza di un pregiudizio politico-ideologico.

E' a questo punto che, come d'incanto, una "fonte investigativa" (molto probabilmente un ufficiale del Sismi) consegna ai magistrati romani la rivendicazione firmata dalla "cellula per le esecuzioni delle brigate Al Quds" che avrebbe dovuto accompagnare il video dell'esecuzione di Stefio, Cupertino e Agliana. Le "fonti investigative" riferiscono ai pubblici ministeri che hanno intercettato il testo "nel sito di Ansar Al Islam" già oscurato dopo la decapitazione di Nick Berg.

Questo sito è riapparso con un nuovo indirizzo - www. ansarnet.ws/vb. La rivendicazione, a 48 ore, dal voto è un formidabile jolly. Ipotizziamo che ci fosse una crepa in quel che è accaduto martedì scorso. Ipotizziamo che, da quella crepa, salti fuori una prova attendibile che il governo si fosse pagato la liberazione degli ostaggi. Se Stefio, Agliana, Cupetino dovevano morire, l'11 giugno, come era stato già deciso, chi avrebbe potuto opporre una sola critica a un esecutivo che ha salvato la vita di tre italiani per qualche milione di dollari? In Italia è addirittura routine pensar male.

Qui conviene, stare ai fatti. Anzi, al fatto più importante del giorno: la rivendicazione dell'assassinio degli italiani sul sito www. ansarnet. ws/vb della "cellula per le esecuzioni delle brigate Al Quds". Un primo vaglio di questo documento svela cinque incongruenze, alcune inquietanti, altre penose.

Uno. Non si tratta del sito del gruppo terroristico Al Ansar Al Islam, ma del sito di Al Ansar Al Islamia. "Come confondere il destino con il delfino". Il sito delle Br con il sito della comunità dei fedeli di Cristo perché Al Ansar Al Islamia è, appunto, un "foro" on line dei seguaci dell'Islam.

Due. Il sito non permette l'accesso. E' momentaneamente indisponibile perché "in aggiornamento". E' naturale chiedersi: che senso ha offrire la rivendicazione di un assassinio politico da un sito a cui nessuno ha accesso?

Tre. Non esistono tra le formazioni terroristiche islamiche le "cellule per le esecuzioni". "Uccidere l'infedele" non è una specializzazione tecnica, ma un dovere religioso individuale. Pensare che possano esistere "cellule per le esecuzioni" è tipico della cultura occidentale, dove esiste la mente e il braccio. Lo stratega e l'assassino.

Quattro. Le Brigate Al Quds non hanno nessun rapporto conosciuto con il gruppo Al Ansar Al Islam (il cui sito è stato oscurato dopo l'orrenda esecuzione di Nick Berg). Né le Brigate Al Quds hanno alcun rapporto con le Brigate Verdi di Maometto che, anche se sconosciute nel triangolo Bagdad-Falluja-Ramadi, hanno gestito il sequestro degli italiani.

Cinque. Il testo della rivendicazione diffuso dalle "fonti investigative" non è completo. Se si entra in possesso della schermata (che pubblichiamo in queste pagine) è facile rendersi conto che non di rivendicazione si tratta. Ma di un "forum" in cui ciascuno rovescia in rete quel che pensa, immagina, strologa. C'è da dire che la rivendicazione non ha ottenuto gran successo in quel forum. Subito dopo il testo della presunta "cellula per le esecuzioni" c'è chi oppone: "Proprio strano... Questa liberazione degli ostaggi, a tre giorni dall'annuncio della loro uccisione... ". Quindi, la rivendicazione viene messa in rete l'8 giugno, il giorno stesso della liberazione degli ostaggi. Non devono essere delle aquile gli "esecutori di Al Quds", visto che rivendicano pubblicamente una sconfitta.

Sono incongruenze che devono trovare una ratio. Ma una più forte evidenza deve trovare il comportamento del governo e in particolare del Presidente del Consiglio. Anche qui conviene stare ai fatti. Già nelle ore successive alla liberazione di Stefio, Cupertino e Agliana, il ministro dell'interno e della difesa sostenevano pubblicamente che i sequestratori stavano per "uccidere gli ostaggi".

Curiosamente, dello "scenario peggiore, il più temuto e angosciante, l'uccisione dei nostri connazionali", Berlusconi non sa nulla. Nella maratona mediatica che lo ha visto impegnato l'8 giugno, il capo del governo ha più volte sostenuto che i tre italiani non erano in immediato pericolo di vita. Che "si poteva attendere ancora qualche giorno" per arrivare "a una soluzione concordata con i leader politici e le autorità religiose irachene".

Perché attendere se i sequestratori avevano già "deliberato" l'assassinio? E se questa informazione, alla vigilia della liberazione, non era ancora in possesso dei due ministri, lo è stata sicuramente l'8 di giugno, quando il "forum" internet viene intercettato. E allora: perché non comunicarlo al presidente del Consiglio? Le domande potrebbero continuare.

Quel che conta ora dire è che c'è puzza di bruciato. Ci sono troppe incongruenze nel comportamento del governo. Sono troppe le contraddizioni tra la ricostruzione del governo, questa rivendicazione che dovrebbe dirci che l'assassinio era imminente e le testimonianze che è stato possibile raccogliere. Tutte concordano su un punto. Sabato 5 giugno (i presunti assassini si preparano ad uccidere dopo aver già scritto la rivendicazione) è stato il giorno in cui la liberazione è maturata.

Lo riferisce Maurizio Scelli: "Sabato mi chiama l'Ulema Al Kubaissi e mi dice che è questione di ore e Stefio, Cupertino e Agliana mi saranno consegnati". Lo confermano le forze americane che, in quel sabato, hanno la prova documentale che i tre italiani sono vivi insieme al prigioniero polacco, quasi ormai privi di sorveglianza. Lo raccontano gli stessi ostaggi ai magistrati di Roma: "Almeno un carceriere, negli ultimi giorni, tentò di far fuggire uno di noi". Lo riferisce a Repubblica Gino Strada: "L'Imam di Falluja ci avvertì, sabato, che era fatta. La liberazione era questione di qualche giorno".

Sabato 5 giugno è quindi il giorno della "pacificazione" e non il giorno della morte. Se si prendono in considerazione le parole dei testimoni diretti e indiretti e non un breve testo estrapolato da un forum di un sito inaccessibile, firmato da una misteriosa e inedita "cellula per le esecuzioni".

L'inaspettato arrivo sulla scena mediatica, addirittura della rivendicazione di un'esecuzione imminente, ha l'indubbio pregio di far scivolare in secondo ordine quel che, durante la giornata, poteva diventare una rogna per il governo. Anche qui, conviene stare ai fatti e alle testimonianze dirette.

Maurizio Scelli, come raccontiamo in queste pagine, è furibondo. Dicono che a stento riesce a controllare la sua ira. Per un motivo comprensibilissimo. Il commissario straordinario della Croce rossa si sentiva a un passo dal successo della sua faticosa iniziativa umanitaria. Lo abbiamo già detto: sabato 5 giugno, Al Kubaissi lo informa che la liberazione è ormai cosa fatta. Fortunatamente sarà così.

Gli ostaggi saranno liberati, ma soltanto per la favorevole circostanza che insieme a loro è un polacco; che l'intelligence polacca ha fatto un buon lavoro; che quei risultati si sono sovrapposti e incrociati con le informazioni delle forze armate americane che hanno individuato, grazie a una fonte prezzolata, il covo". Due minuti di blitz e tutto è fatto.

Scelli rimane con le mani vuote. Eppure egli è convinto che la crisi degli ostaggi italiani poteva essere risolta in venti giorni se non ci fossero stati dei personaggi "che volevano comprare con 15 milioni di dollari la vita dei sequestrati". Ora, non c'è nessun privato cittadino o filantropo ricchissimo che di sua spontanea volontà raggiunge Bagdad con 15 milioni di dollari per trattare la soluzione di un sequestro.

Il buon senso ci impone di pensare che chi, come racconta Scelli, se ne andava in giro per Bagdad promettendo quel denaro era l'emissario di un governo. Il buon senso ci impone di pensare che quell'emissario o quegli emissari fossero del governo italiano. A meno di non pensare che ci sia al mondo un altro governo interessato alla liberazione dei nostri ostaggi.

Anche Gino Strada conferma che Bagdad era diventata un suk e racconta come "quando la vicenda era ormai risolta qualcuno, ci è stato detto, ha pagato 9 milioni di dollari. Per concludere, non si tratta di allungare ombre su una storia limpida per partito preso. Si tratta di farsi raccontare finalmente la storia. Perché quel che ci è stato detto finora sta in piedi come un sacco vuoto.

(11 giugno 2004)

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