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Le intervcettazioni del Buffone di Savoia e dei suoi amici di An
by news Monday, Jun. 19, 2006 at 9:33 AM mail:

Da http://www.corriere.it

Le carte dell'inchiesta di Potenza disegnano i retroscena dell'intreccio di mondi diversi che alla fine finiscono per convergere su un unico obiettivo: fare soldi con il gioco d'azzardo. E così, questa è l'accusa, il gruppo criminale capeggiato dalle famiglie dei Migliardi e dei Tancredi, da una parte sfrutta le entrature di Vittorio Emanuele ritenuto «il leader del sodalizio» e dall'altra si affida agli uomini di Alleanza Nazionale che vengono «lautamente ricompensati». Due strade parallele che alla fine, grazie al pagamento di tangenti ai dirigenti dei Monopoli di Stato, arrivano allo scopo: ottenere le licenze per piazzare in tutta Italia le slot machine
truccate. Un affare miliardario che l'organizzazione ha cercato di estendere anche all'estero prendendo contatto con le autorità di Libia e Bulgaria e che ha alimentato anche con «operazioni di riciclaggio». E si scopre che alla corte del principe Savoia ci sono anche le forze dell'ordine. Le intercettazioni telefoniche svelano che numerosi carabinieri, poliziotti, finanzieri, 007 e doganieri sono stati disponibili a mettersi «a disposizione». C'è chi prendeva 5.000 euro per rinnovargli il passaporto in due ore. E chi invece sperava in un avanzamento in carriera.

LA MEDIAZIONE DI AN
Ruolo chiave per ottenere le licenze dai Monopoli di Stato è, secondo l'accusa, quello di Salvatore Sottile e di Francesco Proietti Cosimi, rispettivamente portavoce e segretario di Gianfranco Fini. Scrive il Gip: «Non sfugge che Sottile, da profondo conoscitore della realtà siciliana, abbia in più occasioni mostrato, colloquiando col suo "socio" Tullio Ciccolini, di essere perfettamente a conoscenza degli illeciti interessi perseguiti dal Migliardi e dai suoi sodali, e che, ciò nonostante, non si sia fatto alcuno scrupolo nel coinvolgere la Vice-Presidenza del Consiglio dei Ministri, quale organo mediatore dei suddetti illeciti interessi dello stesso Migliardi». Il 12 aprile 2005 Ciccolini parla con Sottile.
Sottile: «si?»
Ciccolini: «ehi!»
S.: «ciao frocio!»
C.: «senti una cosa, due cose. Una, al novantanove per cento quella cosa va bene, e poi dopo mi devi dire quello che devo fare»
S.: «come al novantanove per cento, eh»
C.: «e oggi pomeriggio mi danno la risposta... Poi, invece, l'altra. Hai chiamato i Monopoli? Col cazzo!»
S.: «no. Devi aspettare giovedì, perché deve farlo Checchino»
C.: «va bene»
C.: «(ride) No, però, però, di (...) merda c'è solo uno»
S.: «tu».
C.: «no, Ve... Vendola, Vendola! Vendola! (ride)»

SOLDI A SOTTILE
Dopo qualche giorno De Luca torna da Catania «con la somma necessaria a corrompere i funzionari dei Monopoli e si premura di stringere serrati contatti con questi ultimi». Secondo il giudice «il faccendiere intrattiene una fitta serie di colloqui con Ciccolini, il quale, grazie alle influenti amicizie di cui gode negli ambienti istituzionali romani, gli ha consentito di allacciare i rapporti e di essere ricevuto con tutte le sperate attenzioni presso gli uffici dei Monopoli di Stato. Invero, Ciccolini, attraverso l'influenza e le pressioni esercitate del suo amico Sottile nonché, soprattutto, dal compagno di partito di questi, Francesco Proietti Cosimi riesce ad arrivare e a "raggiungere" il più alto dirigente dei Monopoli di Stato, il direttore generale Giorgio Tino e la dirigente Anna Maria Barbarito (compagna e convivente del medesimo Tino), responsabile dell'ufficio deputato al rilascio dei nullaosta. Emerge in maniera lampante come, proprio grazie all'intervento, lautamente retribuito, di Sottile e Proietti parta l'input per i Monopoli di Stato. A tal riguardo, tuttavia, appare fondamentale sottolineare come la persona dell'onorevole Gianfranco Fini, non risulti direttamente coinvolta nella inquietante vicenda in esame; nessun indizio e nessuna indicazione, anche minima, vi è in tal senso. Appare, però, parimenti pacifico come il collegamento e il fondamentale approccio alla dirigenza dei Monopoli di Stato sia avvenuta attraverso la fondamentale mediazione, ampiamente retribuita, di uomini strettamente legati al suddetto leader politico di Alleanza Nazionale, i quali, appunto, per tale approccio, hanno ovviamente sfruttato la posizione e "il potere contrattuale", evidentemente ricevuto dal loro inconsapevole referente politico». E infatti in una conversazione Ciccolini ribadisce a De Luca che « Tino è stato contattato da Palazzo Chigi e cioè da Proietti e Sottile, e che

ARMA E 007
Tra i collaboratori più stretti del principe c'è Achille De Luca «personaggio inquietante — lo definisce il Gip — e dal passato pieno di misteri (pluripregiudicato è già imputato per associazione a delinquere, truffa e bancarotta fraudolenta)». È lui a contattare gli uomini delle forze dell'ordine. Ma non è l'unico. Nell'ordinanza si sottolinea «l'episodio in cui il principe, tramite un amico milanese, identificato poi in Alberto Pederzani, si rivolge al capo della Digos di Asti e al caposervizio del Sisde a Milano, commissionando loro un'indagine sui trascorsi di alcuni suoi collaboratori. In seguito a tale richiesta, Vittorio Emanuele sarebbe venuto in possesso, proprio grazie ai predetti alti funzionari, di un voluminoso e dettagliato dossier. In una conversazione intercettata il suo segretario Gian Nicolino Narducci afferma: « Questi qui gli hanno fatto avere subito tutto... un malloppo di documenti... proprio dell'Arma, proprio timbrati ». Il 9 febbraio 2006 è il turno dell'ispettore Raffaele De Luca, della Dia di Torino che dice di essere stato contatto da un amico comune e poi assicura al principe di essere «a sua completa disposizione».

MAZZETTE AI DOGANIERI
«L'attività investigativa, e in particolare il monitoraggio delle linee telefoniche in uso a Vittorio Emanuele e agli uomini del suo entourage — sottolinea il Gip — ha consentito di apprendere come il principe e i membri della sua famiglia, specificamente in occasione dei loro frequenti viaggi in Italia, si sottraggano sistematicamente ai controlli transfrontalieri, corrompendo — in modo assolutamente sistematico — gli addetti ai posti di frontiera, lautamente remunerati, affinché costoro "chiudano un occhio", in occasione dei controlli effettuati sul bagaglio trasportato al seguito».
Il 3 novembre 2005 Vittorio Emanuele contatta un personaggio che chiama Pico.
Vittorio Emanuele: «Io sono a Milano, rientro oggi... è martedì... per giovedì volevo sapere se giovedì il nostro amico è alla frontiera... mi fa passare...».
Pico: «Non c'è problema! Io chiamo e lo chiedo quanto e poi ci...e poi la richiamo e glielo dico».
Si sentono dopo poco e concordano tempi e prezzo del «transito agevolato».
V.E.: «Poi le devo, quanto? Novecentomila? Mille, esatto. E... così facciamo i conti appena ci vediamo».
P.: «Quando arriva dopo... dopo... il Monte Bianco mi chiama così ci diamo appuntamento».

QUATTRO SACCHI DI SOLDI
Non basta al principe che l'affare delle slot machine sia circoscritto ai locali. Vuole allargare i propri interessi ai casinò e in particolare a quello di Campione. E così «spasmodicamente allettato dalle prospettive di lauti guadagni, coordina la strategia affinché il suo amico Ugo Bonazza ottenga l'incarico come procacciatore d'affari». E al telefono gli dice: « Mi raccomando bisogna prendere tutto. Ripeto, prendere tutto, tutto quello che si può prendere. Sono milioni che si può guadagnare lì. Io ci tengo molto a questa storia di Campione, lì sono un quattro sacchi di soldi ».
Fiorenza Sarzanini 19 giugno 2006


All'origine c'è la necessità di organizzare la truffa dei video-giochi, la voglia di guadagnare soldi — tanti soldi — e qualche abitudine sessuale, come quella di preferire le bionde. L'intreccio tra la «banda» che doveva piazzare le macchinette truccate nei casinò e nei bar con Vittorio Emanuele di Savoia nasce da lì, come si evince dalla telefonata del 30 novembre 2004 tra il principe e Ugo Bonazza, l'anello di congiunzione con i promotori dell'affare. A chiamare è il principe.
Vittorio Emanuele: «Sto andando a Milano, in città... e adesso c'ho tre quarti d'ora... e volevo andare a puttane».
Bonazza: «Se mi chiamava stamattina (ride) vuole andare?... Dica dica».
V. Emanuele: «Andare sempre, come si chiamava quella là?».
Bonazza: «Alice, Alice».
Bonazza fornisce l'indirizzo: «È lì, suona il campanello, numero 18, c'è scritto Yoga, si ricordi...».
V. Emanuele: «Gli do 200 euro e non di più, eh?».
Bonazza: «No, no, anche niente (...). Gli faccia un salutino, un bacino e basta. Gli dica che mi arrangio io, dopo». Poi cambia argomento: «Senta, mi permetta adesso una parolina sola di lavoro. Una cosa (...). Io avrei bisogno che lei mi presentasse, o se lei potesse parlare con un generale, qua, della Finanza, perché c'è un grosso affare, business, grosso, grosso, grosso».
V. Emanuele: «Ma cosa vuole? Chi vuole?... Un carabiniere o una fiamma gialla?».
Bonazza: «Fiamma gialla, fiamma gialla».
V. Emanuele: «Ok, sarà fatto».
In un'altra occasione, nel giugno 2005, dopo un colloquio con Vittorio Emanuele, Bonazza telefona a una ragazza, Sonia.
Bonazza: «Sei libera stasera?... Ci sarebbe da andare a Ginevra... praticamente la persona è importante(...). Vabbè posso dirti, è il principe Vittorio Emanuele di Savoia».
Sonia: «Uhm, uhm».
Bonazza: «Sei italiana te?».
Sonia: «Uhm, di origine. Per metà solo. Sono araba per metà». (...) Bonazza: «Come sei? Alta, bassa, piccola giusta? Ah?».
Sonia: «Sono alta un metro e settanta».
Bonazza: «Però! Buono! Giovane?».
Sonia: «Ventidue anni». I due si accordano per risentirsi e organizzare la serata.


LE TANGENTI

Ma per gli affari che interessano ai soci di Vittorio Emanuele la Finanza non serve, è a Roma che bisogna muovere le acque. I Migliardi confidano in Vittorio Emanuele — «il principe tutte cose sblocca» — ma poi qualcosa s'inceppa, e Bonazza lo comunica all'erede Savoia il 14 dicembre.
Bonazza: «A Roma hanno bloccato tutto, non so per cosa...».
V. Emanuele: «Bah, perché sono i soliti stronzi!».
Bonazza: «I soliti stronzi italiani anche qua!».
V. Emanuele: «(...) Mi deve dare il prezzo reale».
Bonazza: «Tutto quanto, tutto, tutto».
V. Emanuele: «Il prezzo con la commissione sopra».
Stando a molti altri elementi raccolti dall'accusa, Vittorio Emanuele è coinvolto a pieno titolo nell'affare ed è lui a mettere fretta, come Bonazza dice al segretario dei Savoia, Gian Nicolino Narducci. Il quale sbotta: «Perché lui... ha questa bramìa di guadagnare»; in un altro colloquio è quasi irriverente: «Lui sai, incomincia a pensare a dollari... Sai che Paperone aveva i dollari negli occhi? Lui lo stesso».
L'affare, secondo la ricostruzione di pubblico ministero e giudice, va in porto attraverso la corruzione che giunge fino ai Monopoli di Stato, passando per il mondo politico romano a cui fanno riferimento gli «intermediari» come il «faccendiere» Achille De Luca. Ci sono consegne di soldi filmate dagli investigatori e ci sono accenni a «pasticcini» e «frutta» che nascondono le tangenti. Il 4 febbraio 2005 Gian Nicolino Narducci telefona a De Luca che gli dice: «L'intervento del principe ha sbloccato tutto... Lui, in più verrà servito diversamente, perché gli verrà favorito in altri modi, oltre quelli che ci ha chiesto, hai capito?».
Nel frattempo Vittorio Emanuele aveva avviato altri progetti, compresi affari in Libia di cui parla direttamente con Rocco Migliardi il 25 ottobre 2004.
V. Emanuele: «Glielo voglio dire poi, è sempre... io ho parlato giù, vero? In Libia».
Migliardi: «Sì?».
V. Emanuele: «Con quella gente lì... Tutti d'accordo. Loro sarebbero d'accordo di vederci per dargli l'esclusiva... L'esclusiva totale per quel Paese».
Migliardi: «È una cosa buona».
V. Emanuele: «E che nessun altro possa fare chicchessia, soltanto lei (...). "Il gioco è la cosa che ci diverte di più e c'era già, è stato tolto e noi adesso lo riprendiamo". "Noi" vuol dire il figlio. Il figlio del numero uno di...».
Migliardi: «Mi ha già detto qualcosa lì».
V. Emanuele: «È il figlio di Gheddafi, con cui ho... (...) Dirò che lei è perfettamente d'accordo, che abbiamo visto eccetera, e che siamo perfettamente d'accordo di andare avanti».
Migliardi: «Sì».
V. Emanuele: «Ho chiesto a loro se volevano avere il 49, 51, o meno o di più,. Ha detto "questo è da trattarsi"».


VISITA A BERLUSCONI

Il figlio del «re di maggio», però, vuole anche sbloccare la questione relativa all'eredità dei Savoia, per la quale è in atto una vertenza con lo Stato italiano. Per ottenere appoggi Vittorio Emanuele va a parlare con l'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, e il 30 gennaio 2006 riferisce a tale Giudici, che i magistrati indicano come «persona da identificare».
V. Emanuele: «In tutto questo casino mi ha ricevuto subito, eh, Berlusconi, e allora ho detto, signor presidente, non possiamo permetterci il lusso di perdere queste elezioni».
Giudici: «Assolutamente».
V. Emanuele: «Tutti gli amici devono andare a votare, devono votare Forza Italia e la destra, se no siamo nel culo... (...) Bisogna che ci vadano tutti, perché le sinistre, loro figli di puttana ci vanno».
Giudici: «Vabbè, i bolscevichi vanno sempre».
V. Emanuele: «I bolscevichi (sorride) loro ci van sempre, capisci? E allora bisogna assolutamente che questa storia cambia, adesso... Ha detto sì, infatti è uscito su tutti i giornali Vittorio Emanuele prende posizione».
Altri apprezzamenti di tipo politico il principe li aveva riservati un anno prima, commentando col segretario la drammatica liberazione di Giuliana Sgrena, al quotidiano il manifesto.:
«Come si chiama quel giornale lì?... È carta abbastanza buona per pulirsene...».
Narducci: «Ma neanche, perché le rimane poi sempre il nero su per il culo... l'inchiostro non è un buon inchiostro».
V. Emanuele: «Sono proprio degli stronzi... No, di avere questo anti-americanismo...».
Di elezioni Vittorio Emanuele parla con l'attore Pippo Franco, candidato al Senato nella lista Dc-Psi, il 23 marzo 2006.
V. Emanuele: «Bisogna darci da fare, bisogna riuscire, bisogna fare... Siamo tutti sulla stessa barca...».
Pippo Franco: «Sì, sì, sapevo della sua adesione all'idea».
V. Emanuele: «(...) C'è Rutelli che ride... che scherza ... che insulta... il nostro ministro del Tesoro eccetera... (...) Un po' di dignità ... ci dovrebbe essere...».
Franco: «Eh... ma non c'è principe, purtroppo...»(...)
V. Emanuele: «Poi c'è un'altra cosa spaventosa e e... sono questi... come lo dicono... comunismo al caviale dicono (ride)».
Franco: «Ah, sì, sì, vero».
V. Emanuele: «D'Alema ha la barca a vela più bella di chiunque... D'Alema ha i conti in Lussemburgo, se non lo sa. Questo lo so io».
Franco: «Ah bene... Chi è senza peccato scagli la prima pietra principe... Ma loro l'hanno dimenticato, e soprattutto negano le radici...».


I NO GLOBAL

In molte conversazioni si fa riferimento a esponenti delle forze dell'ordine, una volta il segretario del principe parla «dei carabinieri che servono a noi, che ci fanno sempre dei favori». Vittorio Emanuele ha bisogno d'aiuto soprattutto quando deve passare la frontiera. L'1 novembre 2005 dice a un personaggio chiamato Pico: «Sono a Milano, rientro per giovedì... volevo sapere se giovedì il nostro amico è alla frontiera... mi fa passare...», e Pico assicura: «Non c'è problema. Io chiamo... e poi la richiamo e glielo dico». Ma a febbraio 2006 Vittorio Emanuele è preoccupato per quando suo figlio porterà la fiaccola per le Olimpiadi invernali di Torino. Il 9 febbraio parla con una «voce maschile».
V. Emanuele: «Allora se questi non global fan qualcosa li menano, spero».
Voce: «Li meniamo tutti guarda, gli spacchiam la schiena».
V. Emanuele: «Gli spacchiam la schiena tutti (ride)».
In una telefonata del luglio 2005 mentre si trova sull'isola di Cavallo, il principe si lascia andare a «commenti sprezzanti e triviali» sui sardi: «Sono pezzi di merda... Quei sardi lì, l'unica cosa che sanno fare, inculano le capre... E poi puzzano la stessa cosa».
Tornato dalle vacanze, a settembre, col segretario discute della partecipazione a un'iniziativa milanese in favore di un'associazione che raccoglie fondi per i minori. Narducci dice: «Speriamo che ci sian delle belle bambine, così le sodomizziamo», e il principe chiosa: «Subito, sì, urlando!».
Giovanni Bianconi 19 giugno 2006


Ecco le telefonate intercettate che sono costate al portavoce di Fini, Salvo Sottile, l'accusa di «concussione sessuale».


LE STARLETTE

Per Elisabetta Gregoraci Sottile si dà da fare. Il vicedirettore risorse umane Rai Giuseppe Sangiovanni, coimputato, le procura una comparsata («Ho parlato oggi con il direttore generale che mi ha confermato che essendo una grande gnocca per il tipo di trasmissione gli fa anche comodo»). Ma lei rifiuta. Allora Sottile fa intercedere Sangiovanni presso il direttore generale di Endemol. Ottiene un altro show. E alla Gregoraci riferisce: «Questo mio amico sta facendo in modo che tu vada a lavorare con Carlo Conti». All'indomani della registrazione di lei lo chiama per offrirgli un caffè a casa sua. Sottile non può. Ma non perde l'occasione: «Ti sto mandando a prendere». L'autista porterà la futura valletta alla Farnesina.
Sottile: «C'è anche Maria, Maria Monsè. Un'altra cara amica».
Sangiovanni: «Io non la sopporto. Troppo invadente. Seccante».
Sottile: «Invadente dal punto di vista lavorativo. Dall'altro non parla. Io non solo ho approfondito ma so dove va ad approfondire lei (ride)».
Sangiovanni: «Vale la pena?» Sottile: «Un bel tipo di porcella. Porcella doc».
Una certa Stella che vuole entrare al centro sperimentale di cinematografia viene ricevuta alla Farnesina. La manda un certo Lorenzo.
Lorenzo: «E' piccola ma carina. Compatta. Come la Smart. C'ha 22 anni. E' roba fresca».
Sottile: «Ci facciamo fare un bel p... va. La facciamo entrare subito da Buttiglione».
Lei è «freddina». Ma sperando nel futuro Sottile intercede: «Ho parlato con il mio omologo di Buttiglione, dopodomani al Consiglio dei ministri gli do il nome di quella ragazzina».
L'amico promette: «Sarà riconoscente. Gliel'ho spiegato, insomma». Sottile: «Sarà meglio per lei. Sennò l'ammazzo di botte».
Cristiano Malgioglio presenta spesso a Sottile ragazze.
Sottile: «Se non mi lamento non ti muovi. E Kim... Kimberly?».
Malgioglio: «Eh amore mio. Questa vuole venire qua. Ma che cosa le facciamo fare. A meno che questa estate per Uno Mattina».
Sottile: «Una cosa sul satellite e Uno mattina estate».
Malgioglio: «Bastardo. Come ti piace. È una bomba del sesso. Senti Salvato'. Questo programma per me, mi devi fare, Salvato'! (piagnucola)».
Sottile: «Vabbeh. Rilassati».
Parlando di una certa Valentina aspirante attrice che ha già mostrato «disponibilità» con lui e Sangiovanni e non ha avuto contropartite Sottile dice: «Così imparano a fare le attrici. Andassero a fare le commesse».


I CONDUTTORI

Nelle intercettazioni finiscono anche i colloqui di Sottile con i giornalisti.
Sottile: «Come è strutturata la trasmissione?» (con Fini ospite).
Vespa: «Dipende da voi. Gliela confezioniamo addosso».
Con lo staff di Porta a Porta.
Antonella: «Come donne pensavamo a una Rula da una parte e una Clarissa dall'altra».
Sottile: «Una che?».
Antonella: «Rula Jebreal: quella bellissima di La7».
Sottile: «Non capisco perché. Questa è una scassac...».
La conduttrice Paola Saluzzi lo chiama allarmata perché «Giletti si sta fottendo Unomattina! E questa è un'ingiustizia perché il f... prima di andare via sistema la fidanzata». Sottile le promette di intercedere con il direttore di Raitre: «Mi chiederà di mandare Fini a Ballarò» .


LE LAMENTELE

Il direttore delle relazioni esterne Rai, Guido Paglia, si lagna della scarsa valorizzazione dei finiani alla Rai: «Questi stanno facendo carne di porco... tutto il grigio di Forza Italia. Fanno passà solo le cose loro». «Sto tutto il giorno a tirà la carretta. Però non porto in casa niente». Sottile gli dà ragione: «Non vedo l'ora che perdiamo le elezioni. Dopo di che voglio vedere Gasparri, La Russa, Cattaneo dove c... vanno. Mentre io gli amici ce l'ho da tutte le parti. Ma mi comporto bene. Pane al pane e vino al... pene».
Virginia Piccolillo 19 giugno 2006





«Avere potere sui posti di lavoro è un potere vero», diceva al telefono Francesco Proietti Cosimi, il segretario di Gianfranco Fini ora eletto al Senato. E poi metteva in pratica questo suo motto riuscendo sempre a sistemare le persone nei posti giusti. Ma anche concludendo affari per le sue società che gestiva con Daniela Di Sotto, la moglie del leader di An. Settore sanitario dove, dice l'accusa, poteva contare su un amico: Francesco Storace, all'epoca presidente della Regione Lazio. Sembra darsi un gran da fare anche Salvatore Sottile, che di Fini è il portavoce. «I rapporti con uno dei più autorevoli personaggi politici del Paese — scrive il giudice — conferisce al duo Sottile-Proietti enorme potere e la capacità di esercitare un'influenza decisiva su ogni tipo di vicenda, anche diversa e indipendente dal novero dei rapporti con i mass-media. Il ruolo ricoperto da Proietti, segretario di Gianfranco Fini, ha costituito per lui un utile e infallibile strumento di esercizio del potere attraverso il quale perseguire e realizzare il proprio tornaconto».


I RACCOMANDATI

Il 3 maggio 2005 Proietti parla al telefono con un amico, Maurizio. «Lo scambio di battute — scrive il giudice — risulta emblematico di quale sia l'approccio alla "pubblica amministrazione" di Proietti: cioè quello di "piazzare" nei posti giusti gli amici compiacenti che al momento giusto sapranno mostrarsi riconoscenti».
Proietti: «Ao».
Maurizio: «Ah bello... Senti un po' ma che sta succedendo? Mi diceva Gabriella che ieri stava lì a Palazzo Chigi che ci sono in ballo un sacco di nomine».
Proietti: «Be' è normale: devono fare tutte le nomine negli enti».
Maurizio: «Ah, ma Zanichelli?».
Proietti: «Sta andando a fa' il direttore generale delle Poste».
Maurizio: «Ma ce la fa?».
Proietti: «Ce la stiamo a mette' tutta. Spero di sì... Per lo meno quello è un amico nostro!».
Maurizio: «E infatti! Senti, quel cacazzi di Luciano che m'ha chiamato e m'ha detto che t'ha sentito?».
Proietti: «M'ha sentito. Fini: appuntamento prima possibile. Aho ma che cazzo deve fare, mettete pure nei panni miei... A me non è che dà fastidio: è che lui deve capire che deve stare buono e calmo. Quando Fini lo chiama... Siccome Fini lo sa che è per il discorso della nomina... E saranno poi cazzi suoi vedere quello che cazzo deve fare, no!».
Maurizio: «Comunque se va in Consob è utile a tutti».
Proietti: «Ma che cazzo ti fa?...».
Maurizio: «Dipende pure per chi chiedi e a quale livello, insomma... Cioè avere il potere sui posti di lavoro è un potere vero eh!».
Proietti: «Ma so' d'accordo con te.
Ma devi avere la gente poi che ti dà, che ti aiuta a risolvere. Savarese. Lascia stare, Savarese è un amico, perché lo conosco».
«Sintomatico dell'attitudine del Proietti a utilizzare per tornaconto personale la rete di appoggi istituzionali su cui può contare — aggiunge il giudice — è l'episodio relativo alla concessione da parte dell'Enel di un contributo di 80.000 euro per sovvenzionare una manifestazione culturale in quel di Subiaco, suo luogo di origine nonché bacino elettorale di primaria importanza per la sua carriera politica». Contatta i vertici di Wind, quelli dell'Enel, li mette in contatto con la figlia che si occupa dell'organizzazione dell'evento. Ci sono i contributi, ma ci sono soprattutto le persone da piazzare. E Proietti sembra non tirarsi mai indietro. In una conversazione con Rita Marino, che lavora nel suo ufficio, Proietti fa chiaramente riferimento ad un elenco di partecipanti al concorso per la Forestale, elenco i cui componenti sono, a dire del Proietti stesso, "quelli che abbiamo raccomandato per il concorso"». Lo stesso fa con i quiz per entrare in polizia e per far ottenere ai figli degli amici contratti a termine alle Poste.


LA MOGLIE DI FINI

Con Daniela Di Sotto, moglie del leader di An, Proietti ha un rapporto particolare: sono soci in affari. E insieme si orientano sul settore della Sanità. «Fini — precisa il giudice — appare del tutto estraneo alla fitta rete di affari, a tratti poco chiari, gestiti in comune dai due. I loro affari sono fondamentalmente incentrati sui proventi derivanti dalla gestione di due strutture sanitarie private, il Panigea e l'Emmerre, la prima delle quali offre prestazioni anche in regime di convenzione col Servizio sanitario nazionale. A tal proposito, appare particolarmente significativo ed in un certo senso emblematico il contenuto di una conversazione del 19 aprile 2005 nella quale fanno esplicitamente cenno all'interessamento profuso dalla Di Sotto presso Francesco Storace, all'epoca dei fatti presidente della Regione Lazio, affinché la clinica Panigea operasse in regime di convenzione l'esecuzione di esami clinici (Tac e risonanza magnetica) particolarmente costosi».
Di Sotto: «No, l'errore è stato fatto all'inizio, Checchì... lo vuoi sapere quale errore abbiamo fatto io e te? Eh?... quando io sono andata a (omissis) con Storace».
Proietti: «Eh».
Di Sotto: «Bisognava fare un'altra società a cui intestare le convenzioni della risonanza e della Tac».
Proietti: «Non lo potevi fare, purtroppo».
Di Sotto: «Perché?».
Proietti: «E perché non c'hai una... lo dovevi intestare per forza ad una società che già esisteva. Questo è tutto...».
Di Sotto: «Eh, lo so, lo so, non è quello... mica sto dicendo questo. Io sto dicendo un'altra cosa: che mi rode il culo che la gente, praticamente, si trova che si chiama Fini o si chiami Di Sotto, è uguale, si trova tutto quello che vuole... senza muovere il culo. Capito?».
In precedenza i due avevano parlato del comportamento di un'altra socia.
Proietti: «...lei vuole fare il doppio gioco. Lei si vuole tenere il Panigea perché ha detto che lo deve... hai visto lei sul Panigea c'ha dei grossi...».
Di Sotto: «E ti credo, il pozzo di San Patrizio diventa adesso. No?».
Proietti: «C'ha dei... c'ha dei gros... c'ha, c'ha una cosa, una grossa strategia. Chissà che cazzo vuole fare. Vuole diventare proprietaria di un terzo degli immobili perché non caccia una lira. Tanto c'ha pensato sto' testa di cazzo e tu. No? Noi, stronzi che abbiamo anticipato... pe... i soldi per non perdere un cazzo...».
Di Sotto: «È questo che io non voglio più permettere... ed è per questo che l'ho detto a Gianfranco... ho fatto vedere il foglio a Gianfranco, che ha fatto, dico: "Io ho tirato fuori 'sti soldi, gli ho tir... e a te non t'ho chiesto "a" perché tu mi hai detto: "Non mi mettete più in mezzo", ok. Però tu sappi che se tiri fuori mille lire per tuo fratello, andiamo a litigare io e te, primo. Secondo, mi sono rotta il c... che la gente c'ha le cose quando pagano gli altri...».
Proietti: «Perché io e te, comunque, facciamo la maggioranza e determiniamo, no?».


IL GIUDICE AMICO
Quando la lista «Alternativa Sociale» viene esclusa dalle competizioni regionali, Fabio Sabbatani Schiuma, vicepresidente del consiglio comunale per An poi finito sotto inchiesta proprio per quella storia, chiama Salvatore Sottile e confessa. È il 12 marzo 2005. « Ho fatto un buon lavoro... Sono stato io Salvatore. Non si dice in giro perché mi stanno a cercare per ammazzarmi... sono io che ho prodotto tutta la documentazione alla Corte d'Appello. Non ho utilizzato la procedura esatta nella richiesta di queste schede anagrafiche... col computer, con un pirata. Ci siamo inseriti dentro e abbiamo preso tutto quanto. So' tre giorni che sto a buttato qua alla Corte d'Appello... Solo che mo' mi possono rompere il cazzo per violazione dei dati della privacy perché io non li ho comunicati a nessuno...
».
Dopo poco i due si sentono nuovamente. E parlano della sentenza, che, dice Sabbatani Schiuma, sarebbe stata pilotata.
Schiuma: «Sai chi sta in quella sezione?».
Sottile: «Eh?».
Schiuma: «Uno dei membri effettivi? Il fratello di Romano De Sensi, tu ti ricordi quel mio amico dove siamo andati a Perugia?... Baldovino che è giudice: l'ho incontrato là. Meno male Salvato' perché erano in parità due e due: due di centrodestra e due di centrosinistra e lui che è stronzo però ha votato a favore».
Sottile: «Ah perché tre a due è finita?».
«Mi sembra di sì. Il presidente era proprio schierato e però due erano contrari».
Fiorenza Sarzanini 19 giugno 2006

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grazie del documento uno che usa bene Indy Monday, Jun. 19, 2006 at 5:30 PM
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