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Blood Connection gli “affari di sangue” della famiglia Lucarelli.
by Altrainformazione Pesaro Monday, Jun. 07, 2004 at 6:55 PM mail: Altrainformazione@libro.it

Il Signore del “Mandamento” di Muraglia Questa è la storia del trapianto di midollo osseo, il famoso “Protocollo Pesaro”, la tecnica per la cura della talassemia. Soprattutto è la storia di una “famiglia” che attorno al famoso protocollo, è riuscita a coagulare potere e interessi incredibili, e da Pesaro, terra di provincia sonnacchiosa e benestante è riuscita a costruire un Impero. Questa è la storia della famiglia Lucarelli.

Il potere Onnipotente
Quella che vi racconteremo è una storia di potere vero, autentico, dove fiumi di denaro fanno solo da sfondo alla vicenda, dove persino la politica ha un ruolo subalterno e le categorie, quelle istituzionali, economiche, scientifiche, massoniche, affaristiche, e malavitose, sono solo compagni di viaggio occasionali. Un viaggio durato trent’anni.
Questa è soprattutto la storia di un uomo e del suo delirio di Onnipotenza. Il professor Guido Lucarelli ematologo di fama mondiale…

La tela del ragno
In trent’anni, Guido Lucarelli ha tessuto una tela che, partendo da Muraglia, quartiere della periferia pesarese ha avvolto il pianeta, basti pensare che il protocollo per la cura della talassemia, entra prepotentemente in tantissimi “affari” internazionali. Inizia negli Stati Uniti torna in Italia, passa da Chernobyl Ucraina, si sposta a Minsk Biellorussia, si diffonde nei Paesi Arabi, sale sulla nave del G8 a Genova, sbarca in Israele, attraversa i famigerati ceck point ed arriva da Arafat; ora è pronta a sbarcare in Irak, magistratura permettendo…

La leggenda e il sogno.
La storia, così come la racconta la storiografia ufficiale inizia molti anni fa: “Eravamo nel 1971, un Ematologo preparato e "geniale" approdò come primario all'ospedale San Salvatore di Pesaro. Non avendo a disposizione una sede adatta all'attività clinica e scientifica che intendeva fare, un giorno (o una notte?), aprì le porte di un sanatorio abbandonato da anni, e lì iniziò a costruire la sua storia di medico, di scienziato e di uomo che oggi costituisce quasi una leggenda. Guido Lucarelli, questo è il nome del personaggio, è stato tra i pionieri della tecnica di trapianto del midollo osseo. Dapprima solo nelle malattie neoplastiche del sangue e che, dal 1981, estese poi alla cura della talassemia. Il percorso scientifico è stato lungo e fortemente contestato da parte della comunità scientifica e ciò costituisce una storia a se stante di fatica, difficoltà e sofferenza che non può essere raccontata in questo contesto. Basti dire che alla fine, sulla scorta dei risultati e del controllo a lungo termine, arrivò infine il riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale di quello che tutto il mondo chiama "il protocollo di Pesaro" e che costituisce oggigiorno, il miglior trattamento finalizzato alla guarigione dei talassemici. Da sempre, da Guido Lucarelli, sono stati accolti bambini e ragazzi "che arrivavano da lontano", soprattutto dai paesi mediorientali del bacino del Mediterraneo. Molti erano ricchi, paganti in proprio. Molti altri erano poveri, ma egualmente malati e attorno a questi soprattutto, è nata, è cresciuta e si è consolidata sino a diventare parte indissociabile del tessuto cittadino, la solidarietà che ha assicurato borse di studio a biologi e medici (italiani e stranieri), che ha fornito volontari, ospitalità alle famiglie, scuola ai bambini ricoverati e tanto altro ancora. Questo per oltre 20 anni. Guido Lucarelli aveva un sogno: realizzare un progetto che coinvolgesse le Istituzioni e i governi, in modo da estendere a migliaia di bambini ed adolescenti la possibilità di guarigione che era in grado di offrire. Questo sogno era destinato a diventare un progetto, quando vi fu l'incontro tra il patrimonio scientifico e solidaristico rappresentato dalla storia dei "bambini di Lucarelli" e la capacità organizzativa di Ilja Gardi, il Direttore generale arrivato ad amministrare l'Ospedale San Salvatore nel 1999. Da questo incontro nacque quello che attraverso diversi passaggi doveva diventare il Progetto internazionale per lo studio e la cura della Talassemia.”

Trent’anni di buio
Una notte del 1971 iniziava il sogno. Il 12 marzo 2004 la corte d’appello di Ancona suonava la sveglia: un sonno collettivo, durato oltre trent’anni finiva alle quattro e mezzo di quel pomeriggio. Quel giorno di marzo è accaduto un fatto impensabile, Guido Lucarelli è stato condannato, perché ritenuto responsabile dei nove decessi che si sono verificati nel suo reparto a causa di un’infezione di epatite B.

L’inizio dalla fine
La storia, dicevamo, inizia dalla fine, dalla sentenza del 12 marzo della Corte d’appello di Ancona che ribalta completamente la sentenza di primo grado. La notizia è straordinaria, perché Lucarelli riguardo a quell’infezione, si era sempre difeso accusando alcune persone di aver intenzionalmente infettato i malati.
Le persone accusate da Lucarelli di essere i mandanti e gli esecutori del sabotaggio, sono quelli che la stampa definì fin da subito i “nemici storici” del professore.
I nemici storici di Lucarelli sono due medici, Adolfo Porcellini e Annunziata Manna, un biologo Massimo Valentini e un portantino Claudio Guiducci, tra loro hanno un unico elemento in comune, fanno sempre più fatica ad assistere a sperimentazioni di protocolli che sui malati hanno effetti devastanti.
I risultati delle sperimentazioni cui hanno dovuto assistere, anzi a cui hanno dovuto collaborare, sono oggi note a tutti; quello che segue è l’elenco di quelle più clamorose, che per i malati si sono trasformate in un vero e proprio bollettino di guerra, un lungo elenco di caduti in nome della “ricerca”.

I trapianti di fegato fetale. (effettuati da Lucarelli alla fine degli anni ‘70 primi anni ‘80)
Nel fegato fetale (il fegato del feto) sono presenti cellule staminali, in grado di ripristinare le cellule della serie bianca o rossa del sangue. A Pesaro si tentò questo esperimento. Una volta eliminate le cellule malate di leucemia o di un'altra malattia genetica con radio-chemioterapia, venivano reinfuse nei malati “sospensioni di cellule” a base di fegato fetale. Non risulta che vi fosse né autorizzazione ministeriale, né il consenso informato dei pazienti, ne tantomeno il consenso della madre del feto cui veniva espiantato il fegato. I risultati non sono noti.
La stampa ha però riportato il caso di una bambina morta nell’‘81 per embolia polmonare, (Francesca T.) in quanto il fegato disgregato, da reinfondere, non era stato adeguatamente purificato.

I trapianti di fegato fetale nei maiali
Mentre ovunque i nuovi protocolli medici si sperimentano prima sugli animali e poi sugli esseri umani, a Pesaro si fa il contrario: cioè dopo aver provato il trapianto di fegato fetale sul uomo, si passa al maiale.
Dopo i primi insuccessi, si istituisce una porcilaia accanto al reparto di ematologia, si nomina un responsabile, il veterinario Gaudenzi (fratello dell’architetto liberatore…), si impegna personale ospedaliero nella cura dei porci: fecondazione, diagnosi radiologica, irradiazione dei maiali sottoposti al trapianto, uccisione della scrofa gravida per prelevare i maialini da cui ottenere il fegato, ecc. Il furto nottetempo dei maiali mette definitivamente fine alla sperimentazione.

I trapianti di midollo osseo nei Talassemici (i trapianti iniziano nel ‘81)
La talassemia è una malattia genetica del sangue che tradizionalmente si cura con trasfusioni o chelanti del ferro che permettono di vivere almeno fino a 40 anni.
Altre prospettive terapeutiche riguardano l’uso delle cellule staminali, anche se la soluzione definitiva sta nell’eugenetica che, nelle aree interessate e con pochi soldi, permette di identificare le coppie a rischio e prevenire la nascita di bambini malati. Nelle Marche la Talassemia è praticamente inesistente.
La strada tentata dal prof. Lucarelli rispetto alla Talassemia è stata quella del trapianto di midollo osseo che dalla metà degli anni 80, ha monopolizzato le energie del reparto a discapito del suo compito istituzionale, cioè curare i malati ematologici della provincia.
Le condizioni dei 1.464 talassemici trapiantati non sono note. I dati richiesti ripetutamente dal consigliere provinciale dei verdi Claudio Mari e dal presidente della Provincia Palmiro Ucchielli, non sono mai stati forniti.
Una ricerca pubblicata nel ‘94 dal premio nobel Thomas, con cui Lucarelli collabora da tempo, ci permette di conoscere i risultati americani e confrontarli con quelli pesaresi.
La ricerca riguarda i trenta maggiori centri degli Stati Uniti in cui si effettuano trapianti di midollo osseo, inoltre riguarda un arco di tempo che va dal ‘81 al ‘92, (10 anni)
I trapianti effettuati, in dieci anni, nei trenta centri trapianto americani tra i più prestigiosi, sono solo 30 (trenta).
In quegli anni Lucarelli ha trapiantato in un mese quello che i trenta maggiori centri americani hanno trapiantato in dieci anni!
La stessa ricerca accerta una sopravvivenza dei trapiantati in una percentuale del 57% (sopravvivenza che varia da due mesi a dieci anni dall’intervento).
Certamente, i risultati pesaresi saranno migliori, vista la quantità industriale dei trapianti, ma in tutto il mondo e soprattutto negli Stati Uniti, il trapianto continua a essere considerata una terapia secondaria rispetto a quella tradizionale che offre una maggiore aspettativa di vita, mentre il trapianto, invece, è riservato generalmente a soggetti che non rispondono più alle terapie tradizionali.

Gli ibridomi artigianali (la sperimentazione dura un paio d’anni dall’‘89 al ‘90)
Gli ibridomi artigianali sono cellule ibride ottenute fondendo tra loro cellule particolari, le quali, una volta reinfuse nei pazienti, avrebbero dovuto produrre grandi quantità di anticorpi.
Per costruire queste cellule si usava l’ascite del topo, cioè un liquido che in alcune particolari condizioni si forma nella pancia del topo, il liquido si trattava, e in alcuni casi, sembra che sia stato reinfuso direttamente sui pazienti.

Terapia cellulare, le cellule dendritiche (questa sperimentazione inizia nel 95)
Le cellule dendritiche aumentano la reattività immunitaria e si ipotizza che possano essere utili per “scatenare” la reazione dell’organismo contro le malattie di tipo leucemico.
In quegli anni le richieste di Ematologia alla farmacia dell’ospedale di reagenti destinati alla produzione di cellule dendritiche sono abnormi.
Il dr. Delfini, braccio destro di Lucarelli, responsabile della ricerca su dette cellule, pubblica un lavoro scientifico al riguardo, dichiarando però che detta sperimentazione è stata sviluppata solo in “vitro” e non sull’uomo.
Nello stesso periodo invece, gli americani con cui Pesaro collabora da tempo, pubblicheranno un lavoro scientifico riguardante la sperimentazione delle cellule dendritiche sull’uomo.
Per comprendere il possibile nesso tra le cellule denditriche e le morti di epatite fulminante avvenute nel reparto diretto da Lucarelli, bisogna sapere che solitamente, tra i contagiati di epatite virale di tipo B solo uno su cento muore di epatite fulminante
Nel reparto di Ematologia di Pesaro sono morti nove contagiati su 11, cioè quasi il 90%, una percentuale scientificamente inspiegabile.
Inoltre il meccanismo con cui l’organismo si libera della malattia non è diretto ad attaccare il virus, ma alla distruzione della cellula epatica infettata.
E’ la reazione immunitaria che distrugge l’epatocita infetto conducendo così a guarigione il malato.
Quando la reazione immunitaria è eccessiva, il fegato è distrutto massivamente e si muore di epatite fulminante, ma normalmente tutto ciò succede solo nell’1% dei casi.
E’ evidente, quindi, che per avere il 90% di morti significa che si è in presenza di risposte immunitarie eccessive e contemporaneamente cosi diffuse (9 morti su 11 infettati) che non può non alludere a un nesso tra le morti e una qualche sperimentazione in atto nel reparto del tipo delle cellule dendritiche. Inoltre, gli esperti della commissione ministeriale che ha indagato sui decessi, hanno dichiarato che quelle morti sono spiegabili solo partendo da un “esaltata risposta immunitaria”.

Trapianto da donatore non correlato
Il 27 aprile 2004 Lucarelli è stato raggiunto da un ulteriore avviso di garanzia emesso dalla magistratura pesarese. Il professore avrebbe trapiantato un bambino palestinese usando il midollo di un donatore “non correlato” pur avendo a disposizione il midollo della sorella del bimbo con caratteristiche genetiche assolutamente compatibili. Il bambino è morto e come per le cellule dendritiche, il professore ha presentato una relazione sui trapianti da donatori non correlati durante la prestigiosa convention tenutasi a Seattle qualche mese fa…

Gli scheletri nell’armadio
Per riuscire a occultare tali e tanti “scheletri”, Lucarelli ha bisogno soprattutto di due cose, la prima è la sudditanza dell’intero ospedale; uomini a lui legati sono collocati nei posti chiave di tutto il S.Salvatore. La seconda cosa di cui ha bisogno è quella di avere un reparto compatto, che segue fanaticamente il lavoro del capo, un reparto che crede, obbedisce e combatte. A Ematologia non c’è posto per i sentimenti: a Muraglia si producono i trapianti, con la stessa logica con cui in azienda si producono le cucine. Chi non se la sente è fuori o emarginato, comunque messo nella condizione di non nuocere.
Inoltre, Lucarelli ha una potente arma nelle sue mani, con i professori Mandelli e Tura è uno dei “padri padroni” dell’Ematologia italiana, ciò significa che qualora qualcuno fosse stato cacciato dal reparto, difficilmente avrebbe trovato posto in qualche altra équipe in Italia.

Le epurazioni
Come abbiamo già detto, nonostante la potenza di fuoco della “corazzata Lucarelli”, qualcuno all’interno del reparto si ribella, anzi succede qualcosa di più, un paio di dipendenti lo denunciano. Valentini il biologo, denuncia Lucarelli perché non rispetta i protocolli medici nell’accertamento delle malattie emotrasmissibili, (Epatite, AIDS, ecc.)
Guiducci, il portantino, si rivolge alla direzione dell'ospedale per denunciare l’assenza degli aspiratori nella sala operatoria; per l’eccessiva presenza di gas anestetico infatti Guiducci si era ammalato.

Operazione “nemici storici”
Siamo nei primi anni ‘90, la dr.ssa Manna è “invitata” ad andarsene, se ne va a Cremona, dove ritrova il dr. Porcellini “invitato ad andarsene” l’anno prima.
Negli anni che trascorreranno, dopo la prima epurazione Lucarelli, lavora al consolidamento dell’Impero, nel ‘94 deve rispondere della denuncia di Valentini, ed è in questo processo che inaugurerà brillantemente la teoria dei “nemici storici”. Il professore verrà assolto, perché il tribunale gli riconoscerà di aver agito in “stato di necessità “. Valentini sarà allontanato dal reparto per “incompatibilità ambientale”.
Il Professore ottenne l’allontanamento del biologo, perché come scrisse allora nella richiesta inviata alla Direzione dell’Ospedale, temeva una “falsificazione” dei dati di laboratorio da parte di Valentini. (sabotaggio)
La corazzata Lucarelli è invincibile e inarrestabile, addirittura a Guiducci farà sparire la pianta organica della sala operatoria. Il messaggio che arriva ai due, soprattutto dalla Direzione ospedaliera, è chiarissimo: “chi tocca Lucarelli muore”.

Mister mille miliardi
Per capire meglio gli interessi economici che ruotano attorno a Lucarelli, bisogna farsi una domanda; quanto vale grossomodo questo personaggio? Proviamo a fare qualche conto: i trapianti di midollo per la Talassemia e la relativa cura costano circa 200 milioni, se li moltiplichiamo per 1500 arriviamo a una cifra di 300 miliardi circa di vecchie lire.
Questi sono i soldi pagati dalla sanità pubblica per effettuare solo i trapianti per la cura della Talassemia. Poi vi sono le leucemie e le altre patologie del sangue.
Inoltre occorre ristrutturare il S. Salvatore, altri 60 miliardi, trasformarlo in Istituto di ricerca (Irccs), costruire la scuola internazionale di Talassemia e mettere le mani sulla caserma Cialdini, altri 600 miliardi circa.
Vi sono inoltre i contributi delle case farmaceutiche e i soldi della cooperazione internazionale,
Infine ci sono i denari delle donazioni che vengono raccolti dalla Fondazione Berloni, donazioni sostanziose. Pavarotti, per esempio, ha donato alla Fondazione, il ricavato del primo concerto della serie Pavarotti and friends.

La Fondazione Berloni parte prima…
La Fondazione assegna annualmente borse di studio a medici, biologi ed infermieri, sia italiani sia stranieri, al fine di consentire loro l'attuazione di programmi di ricerca scientifica e l'effettuazione di trainings clinico-scientifici per l'apprendimento delle tecniche di cura e trapianto di midollo osseo.
La realizzazione di tali programmi si é concretizzata in seguito al proficuo interscambio di informazioni ed esperienze scientifiche di cui si é fatto promotore il Centro di Trapianto di Midollo Osseo di Pesaro con i reparti di Ematologia dei principali ospedali italiani e dei più importanti ospedali del mondo…
Grazie alla istituzione di un protocollo di intesa, che ha ufficializzato i rapporti tra i Ministeri della Sanità di Russia e Bielorussia ed il corrispondente Ministero italiano, la Fondazione Berloni ha elargito, da giugno del 1991, borse di studio per consentire a medici ed infermieri provenienti da Mosca e da Minsk di apprendere tecniche di cura che hanno consentito loro di operare presso il nuovo ospedale di Minsk, la prima struttura nei territori dell'ex-Unione Sovietica in grado di effettuare il trapianto di midollo osseo. In previsione dell'aumento delle leucemie come conseguenza dell'effetto radiante post-Chernobyl, la realizzazione di tale ospedale, inaugurato nell'ottobre del 1993 e dotato di personale opportunamente istruito e fornito di attrezzature all'avanguardia, renderà possibile salvare molte vite.
Analoghi progetti sono attualmente in programma in accordo con i Ministeri della Sanità della Romania, Iran, India e Turchia.
Le attività della Fondazione Berloni riguardano anche il finanziamento e l'organizzazione di convegni ed incontri di carattere scientifico nel campo della ematologia.
Con scadenza quadriennale si svolge a Pesaro il Simposio Internazionale sul trapianto di midollo osseo il quale vede la partecipazione delle massime autorità del settore: in tale occasione vengono presentati i risultati delle ricerche scientifiche condotte da clinici e medici fra i più impegnati nel resto del mondo.
La Fondazione Berloni, inoltre, finanzia la tenuta e la gestione del registro internazionale dei trapianti di midollo osseo nella talassemia, che raccoglie tutti i dati relativi ai trapianti effettuati per questa patologia in tutto il mondo e che permette di attingere informazioni utili per l’elaborazione di programmi di ricerca volti a cercare di individuare nuovi metodi di cura radicale della talassemia.

La Fondazione Berloni parte seconda
Per contrastare l’effetto radiante dovuto all’esplosione della centrale di Chernobyl in Ucraina, la fondazione Berloni collabora all’apertura del reparto di Ematologia dispensando borse di studio per medici e infermieri dell’Ospedale di Minsk, capitale della Biellorussia.
Perché per contrastare l’effetto radiante di Chernobyl, la Fondazione Berloni collabora alla riqualificazione del personale di un ospedale situato a 800 chilometri di distanza dalla centrale nucleare?
Sarà perché la principale risorsa economica della Biellorussia, è il legno, materiale indispensabile per produrre le cucine? Sarà perché con la Russia e l’Ucraina, fa parte di un mercato d’importanza strategica per i cucinieri pesaresi?

La Fondazione…datata
Dalla visura camerale della Fondazione Berloni risulta quanto segue:
Data inizio attività 29/07/86. Ditta cessata in data 21/07/86 con denuncia del 15/10/90.
Causale: Cessazione di ogni attività.
La Fondazione denuncia la cessazione di ogni attività nel ’90, per …cessare di esistere quattro anni prima. Inoltre il 26/08/95 a seguito del recupero automatico dal Ministero delle Finanze, la Fondazione denuncia la modifica dei dati anagrafici.
Se come risulta dalla visura, la Fondazione dal ’90 al ’95 cessa ogni attività.
Chi e a che titolo nel ’92, incassa i fondi raccolti con la prima edizione del Pavarotti and friends?

Il banchiere di Allah
Il 22 aprile ’98 Abdulla Saif, governatore della Baharanian Monetary Agency accompagnato da Hatem Abou Said vice presidente e direttore generale della Arab Banking Corporation visitano il Centro Trapianti di Midollo Osseo diretto dal prof. Lucarelli, da mesi ormai nella bufera per la vicenda dell’epatite.
“Scopo della visita di queste autorevoli personalità del mondo arabo, rivela il portavoce della Fondazione Berloni è quello di portare un generoso sostegno non solo morale, ma anche economico al Centro Trapianti”.
Abdulla Saif ha dichiarato che la metà del suo cuore appartiene alla città di Pesaro o meglio al professor Lucarelli e per questo motivo i membri del consiglio di amministrazione della Arab Banking Corporation hanno deciso di devolvere la generosa somma di 150 milioni di lire alla Fondazione Berloni per la lotta contro la Talassemia…
L’ Arab Banking Corporation è un gruppo bancario multinazionale con sede centrale in Bahrein e ha come soci principali la società di investimenti dell’Emiro di Abu Dhabi, il ministero delle finanze del Kuwait e la Banca Centrale della Libia, il resto del capitale è piazzato sui mercati (occidentali). Oltre ad essere la banca del petrolio per antonomasia, è tra le più importanti al mondo per quanto riguarda il commercio di armi, ed è anche una delle principali banche estere che partecipano all’esportazione di armi italiane dirette soprattutto in Medioriente e in Africa.
La banca, a cui Lucarelli ha rapito il cuore, ha un ruolo assai importante anche nella ricostruzione dell’IRAK…

I politici.
Con un simile “portafoglio clienti” è chiaro che Lucarelli, nel corso degli anni, si è fatto molti, moltissimi amici; conta amicizie importanti negli Stati Uniti, ma soprattutto è amico della politica che conta, da Craxi a Forlani, all’ex ministro della sanità Veronesi, il quale ha portato il progetto della scuola di Talassemia al G8 di Genova, all’attuale ministro della salute Sirchia, suo compagno di corso, che sponsorizza personalmente questo progetto. Partecipa alla fondazione di Officina, il laboratorio politico marchigiano del vice-ministro dell’economia Baldassarri. È anche amico personale di Vattani, che si adopera per far avere a Lucarelli un’onorificenza dal presidente Ciampi.

Gli amici degli amici
Di amicizie che contano, Lucarelli ne ha una lista quasi infinita; gli imprenditori ovviamente, innanzi tutto i mobilieri, a cui è legato da vincoli di parentela, e poi costruttori, industriali ecc. Luciano Pavarotti, Lucio Dalla, Monica Vitti, Gianluca Vialli, Walter Magnifico e Ario Costa sono alcuni dei nomi dei personaggi famosi che partecipano gratuitamente alle sue campagne per la raccolta fondi.

Giornali e televisioni
Durante i giorni dello scoppio dell’infezione, i giornali locali e nazionali fanno a gara per sostenere la tesi del sabotaggio esterno al reparto. Quotidiani come la Repubblica o il Corriere della Sera si appassionano per così dire, all’ipotesi terroristico-biologica, in questa caccia al bioterrorista anche settimanali come Panorama, l’Espresso e Diario, daranno il loro bel contributo.
Anche le televisioni hanno collaborato al progetto di “disinformazione” in modo massiccio, programmi come “Mixer”, il “Tg1” e “il Fatto” di Enzo Biagi, hanno regalato a Lucarelli la possibilità non di difendersi, bensì di accusare apertamente degli innocenti, la famosa “manina interna responsabile delle morti, che avrebbe agito nel suo reparto e intorno alla quale si starebbe per stringere il cerchio”…

La “Spectre” di Via Giolitti
La storia, anzi la favola, che Lucarelli imbastisce per difendersi dalle sue responsabilità è praticamente questa. Un gruppo di medici invidiosi, allontanati da tempo da Ematologia, decide di vendicasi.
Per vendicarsi, i medici invidiosi escogitano il seguente piano: sottraggono una provetta di sangue infetto, lo lavorano nel laboratorio dell’ospedale, confezionano dieci flebo bomba, otto le portano in reparto e le allacciano ai malati; dopo due mesi, in piena epidemia, tornano in quel reparto ripetono l’operazione allacciando altre quattro flebo. Infine, siccome Lucarelli ha intuito la verità, attirano l’anello debole della catena, Guiducci, (il portantino) in uno stanzino del seminterrato dell’ospedale, lo strangolano, lo appendono ai tubi che passano sul soffitto e gli mettono in tasca delle lettere false che accusano Lucarelli di essere il vero e unico responsabile delle morti. Ultimato il lavoro, i sabotatori, chiudono la porta dello stanzino e se ne tornano a casa a dormire.
L’organizzazione che avrebbe pianificato e eseguito questo piano diabolico, non è il KGB o la CIA, sono Valentini e Guiducci, la micidiale “Spectre di Via Giolitti”.

In dubbio pro reo
Lucarelli non deve dimostrare il sabotaggio, deve solo fare in modo che quell’ipotesi, sia “ragionevolmente configurabile” deve seminare dubbi. Lucarelli costruisce il depistaggio, muovendosi su quattro direttrici, la prima riguarda la “bonifica” del reparto, la seconda riguarda la confutazione sistematica di tutti i risultati scientifici delle varie commissioni di esperti, la terza è la costruzione mediatica del sabotaggio, la quarta è la costruzione giudiziaria di questa ipotesi. Addentrandoci maggiormente in questa storia incontreremo anche alcuni dei clamorosi falsi mediatici costruiti da Lucarelli per avvalorare la pista del sabotaggio.

Le domande
Vogliamo ritornare a rileggere i fatti accaduti in quei giorni, per trovare le risposte a domande che hanno tragicamente segnato la sorte di persone ingiustamente accusate di delitti mostruosi.
Vi è stata una trama ordita da Lucarelli e dai suoi amici, avvallata da super esperti di famiglia, dalle varie direzioni dell’ospedale pesarese e coperta dall’intervento di politici, con l’ausilio massiccio dei media?
E con tale trama, Lucarelli ha tentato in tutti i modi di far deragliare l’inchiesta prima e il processo poi?
E infine, dopo le accuse quotidiane, le analisi del sangue illegali e la loro divulgazione, ha stretto e costretto Claudio Guiducci al suicidio nel seminterrato dell’ospedale?
Le risposte a queste domande sono già dentro le carte del processo è necessaria solo una semplice rilettura dei fatti.
Ufficialmente questa brutta storia d’infezione ospedaliera inizia l’ultimo dell’anno del 1997…

Il 31 dicembre
La sera del 31 dicembre 1997 la direzione dell’ospedale di Pesaro costituisce il Comitato Infettivo Ospedaliero, (per intenderci il CIO non è altro che un gruppo di medici, biologi e quant’altro, che intervengono nel caso in cui in ospedale si sviluppino infezioni…)
Quattro sono le stranezze che riguardano il CIO, la sua costituzione, ma soprattutto la sua composizione.
La prima stranezza è che la delibera era stata approvata anni prima, ma fino a quel 31 dicembre a nessuno era venuto in mente di renderla operativa.
La seconda è la coincidenza con lo sviluppo dell’infezione, di cui ufficialmente nulla si dovrebbe sapere.
La terza è che, se l’ospedale non fosse in emergenza nessuno si sognerebbe di costituire il CIO l’ultimo dell’anno …
La quarta, la più sconcertante, riguarda la composizione del Comitato: Lucarelli e i suoi collaboratori, infatti, fanno parte del CIO.
Come capiremo addentrandoci maggiormente in questa vicenda, la costituzione in fretta e furia del CIO è solo la prima delle invenzioni che consentiranno a Lucarelli il depistaggio.

Il medico di Parma
Nell’Agosto 1997 un giovane medico di Parma, Franco Ferri, scopre di essere ammalato di leucemia e, dopo un ricovero nell’ospedale della sua città, decide di affidarsi alle cure del prof. Lucarelli, ematologo di fama internazionale, nonché primario di Ematologia all’ospedale di Pesaro.
Franco entra nel reparto il 22 settembre e il ricovero dura poco più di un mese.
Il 27 ottobre viene dimesso in attesa del trapianto di midollo osseo, trapianto che viene fissato per il 12 gennaio ‘98.
Tutte le analisi effettuate in questo periodo sono nella norma e confermano che Franco, pur affetto da leucemia, sta abbastanza bene.
Dopo aver effettuato ulteriori controlli durante il periodo natalizio, il 31 dicembre, Franco viene contattato telefonicamente dal reparto di Ematologia perché i medici hanno riscontrato valori anomali nelle sue transaminasi e i markers dell’epatite B sono positivi, gli consigliano un ulteriore controllo. Il 2 gennaio, dopo l’esito sfavorevole delle analisi di controllo, invitano il giovane medico a ricoverarsi presso il reparto malattie infettive dell’ospedale di Pesaro, previa verifica, della disponibilità del posto letto!
Franco è sconvolto, ma ciò non gli impedisce di porsi una domanda inevitabile: dove ha contratto l’epatite?
Il “periodo finestra” dell’epatite è di circa due mesi, periodo che coincide con i primi giorni del ricovero a Pesaro. Franco è deciso a scoprire la verità e confida a sua moglie Cristiana che, “una volta individuato il responsabile, gli farà pagare duramente le conseguenze della sua imperizia”.
I medici di ematologia consigliano il ricovero presso il reparto infettivi di Pesaro perché dicono, così potranno tenere “la situazione sotto controllo”…
Franco dicevamo ripete le analisi a Parma: le transaminasi sono arrivate a 200, e solo il 4 gennaio si ricovera a Pesaro presso il reparto infettivi. Intanto le sue condizioni peggiorano, la sua rabbia cresce ogni giorno di più anche se non la manifesta, perché sa che la sua vita dipende da quei medici e dal loro intervento. “Adesso ho bisogno di loro perché devo fare il trapianto, ma quando starò bene gliela farò pagare, mi risarciranno a peso d’oro” dirà alla moglie.
Nel frattempo le transaminasi “schizzano” a 14.000 e nella notte tra il 12 e 13 Gennaio, Franco Ferri, il giovane medico di Parma, muore.
Prima di morire però, Franco, raccomanda la moglie di denunciare l’accaduto alla magistratura. La moglie del medico, Cristiana Cipollini, contatta due avvocati di Rimini con cui prende accordi per andare in Procura e inviare con urgenza un medico legale esterno all’ospedale che possa assistere all’autopsia.
I sanitari del S. Salvatore tentano di effettuare l’autopsia al riparo da sguardi indiscreti, ma Cristiana Cipollini si oppone con tutte le sue forze e minaccia i medici preposti, di chiamare i Carabinieri.
Il giorno dopo, il sostituto procuratore Maria Fucci, a cui la moglie del medico si è rivolta, incarica dell’autopsia il dott. Gualandri dell’Istituto di medicina legale di Modena.
Ed è da questa autopsia, che scatta l’inchiesta e esplode il "caso Lucarelli”.

La strage
Franco Ferri, il medico di Parma, non è ne il primo ne l’unico a morire: il primo infettato, era morto il 29 dicembre ‘97; il secondo il 4 gennaio ’98; il terzo, Franco Ferri, il giovane medico, muore il 13 gennaio. Altri tre muoiono a gennaio e tre a febbraio, l’ultimo muore il 7 aprile ’98.
In poco più di tre mesi, muoiono nove persone, una strage. I periti nominati dall'ospedale accertano che l’infezione è partita da un paziente portatore sano dell’epatite B, ricoverato a ottobre assieme a sette dei pazienti che poi sarebbero deceduti.
Come il virus possa essere passato da un paziente all’altro, (dato che l’epatite B si trasmette solo tramite il contagio con il sangue o con emoderivati infetti) è il "mistero" su cui indaga la procura.
Per capire i passaggi tragici di questa vicenda, bisogna tornare a quel 31 dicembre; a Ematologia già sanno che qualcosa è andato storto. Il 9 e il 13 dello stesso mese ci sono già state due siero conversioni, e le risposte delle analisi del medico di Parma confermano che la situazione è grave.
Nel frattempo in reparto l’epatite si sta sviluppando in fretta, il 29 dicembre c’è già stato il primo morto, il 31 la sieroconversione del medico di Parma, uno che d’epatite e d’infezioni se ne intende.
Quel giorno, dopo aver appreso la notizia, il giovane medico, telefonerà ai responsabili del reparto pesarese, per sapere quando, come e soprattutto per colpa di chi, lui è stato infettato dal virus dell’epatite, la Direzione dell’Ospedale quindi, la sera, (o la notte?) del 31 dicembre costituisce il C.I.O. (Comitato Infezioni Ospedaliere), “dimenticandosi” però di segnalare agli organi competenti, l’insorgenza dell’infezione, così come prevede la legge in casi di questo genere.

Il 29 gennaio del ‘98
la notizia dell’infezione diventa pubblica, il magistrato ha già i risultati dell’autopsia del medico di Parma e la sua cartella clinica; nello stesso periodo iniziano i sequestri di cartelle cliniche e le autopsie di altri morti sospetti. Il direttore sanitario, Giovanni Fiorenzuolo, in un intervista dice: "Ci troviamo di fronte a un caso d’infezione ospedaliera, ci sono molti casi d’infezioni di questo genere e purtroppo non sono prevedibili…"
La direzione dell’ospedale chiede aiuto a un esperto epidemiologo (esperto in epidemie) dell’Ospedale Spallanzani di Roma, e soprattutto afferma di aver fatto scattare controlli e bonifiche.
Chi ha chiamato l’esperto dello Spallanzani? Il CIO. Chi effettua controlli e bonifiche? Il CIO.
Da più parti si critica la scelta dei controlli affidati ai controllati, ma quando la critica comincia a farsi pressante, interviene l’Assessore Regionale alla Sanità Mascioni, per ribadire la piena fiducia alla Direzione dell’Ospedale di Pesaro e al Professor Lucarelli.
Nel frattempo Lucarelli ha costituito il famigerato CIE, (Comitato Infezioni Ematologia) e i risultati si vedono subito: al Magistrato vengono consegnate cartelle cliniche scritte in modo poco chiaro, viene “dimenticato” un laboratorio illegale di oltre 400 mq, (il laboratorio verrà scoperto dai NAS solo alcuni mesi dopo) viene sostituita la macchina per la separazione e la raccolta delle cellule staminali perfettamente funzionante. Infine, il CIE comincia ad indagare per proprio conto, su come possa essersi sviluppata l’infezione e per trovare i colpevoli…

Il 30 gennaio ‘98
Due giorni dopo la diffusione della notizia dell'infezione, Lucarelli in un’intervista alla stampa, riporta a proposito del sabotaggio, le "voci provenienti dall’interno del reparto". Quel giorno segna l’inizio di una campagna micidiale contro Claudio Guiducci e Massimo Valentini, rispettivamente portantino e biologo dell’ospedale di Pesaro, il braccio e la mente del complotto secondo Lucarelli, i suoi cosiddetti "nemici storici."
Cosa hanno di "speciale" i due? Sono due che pensano ai malati prima di tutto, sono pericolosi perché hanno avuto il coraggio di denunciare, anni addietro, il fatto che a Ematologia si operava al di fuori della legge.
Se qualcuno allora li avesse ascoltati, questo ulteriore disastro non sarebbe accaduto. Ora, dopo l’esplosione dell’epidemia, dopo la denuncia della moglie del medico di Parma, dopo la carneficina, i due sono la prova vivente della “malpractice” di Lucarelli. Bisogna eliminarli coinvolgendoli nella strage, rispolverando il vecchio e caro teorema dei “nemici storici”. Il teorema che Lucarelli aveva già usato anni prima con ottimi risultati contro Valentini.

Il ritorno dei nemici storici
Febbraio è il mese dell’inizio della "campagna di primavera" contro i due: l’impiego di uomini e mezzi è enorme, i giornali locali diventano la cassa di risonanza quotidiana del sabotaggio.
Anche importanti quotidiani nazionali si schierano dalla parte del “professore che cura i bambini”, affascinati dalla storia del sabotaggio bioterrorista. Soprattutto ci sono le interviste filoguidate di Carlo Lucarelli che, sfruttando la sua notorietà televisiva come giallista, attraverso la stampa, traccia “l’identikit psicologico” del mostro.
Significativa a questo proposito è l’intervista che Carlo Lucarelli rilascia il 21 marzo al Corriere della sera dal titolo “ecco l’identikit del colpevolele”.

Così parlò il giallista
Il 21 marzo è la data più importante, Il “giorno più lungo” dell’intera vicenda; in un intervista al Corriere della Sera, Carlo Lucarelli dice: “Il mostro, se mai esiste, è un giovane di sufficienti studi e poca intelligenza, magari senza famiglia che vive qua intorno. Ha sete di vendetta, ma non perché in ospedale gli sia morto qualche caro. Acciuffarlo è questione di tempo, perché prima o poi si tradisce o muore dello stesso male che ha provocato…”
Claudio Guiducci è il giovane con sufficienti studi, che vive lì intorno, è senza famiglia e potrebbe anche morire di epatite, dato che l’aveva contratta tempo prima, e siccome Carlo Lucarelli non è Nostradamus, è chiaro che il nome e i relativi dati personali del colpevole lui li conosce molto bene.

Il dottor Petrelli
Il 20 marzo, il giorno prima dell’intervista di Nostradamus Lucarelli, il responsabile del C.I.O. il dottor Petrelli in un’intervista dichiarava che: “Un solo dipendente, peraltro non più in forza a Ematologia, era risultato positivo all’epatite, ma dalle analisi di laboratorio sul genoma è apparso un identikit del virus completamente diverso”.
Chi ha chiesto al dr.Petrelli di controllare il genoma dell’epatite di Guiducci, quando era ormai strato individuato il “paziente Indice” da cui era partita l’infezione? Chi è il mandante di questa operazione? Petrelli poi comunica alla stampa il risultato negativo delle analisi illegali, perché?
Per dare ufficialmente e pubblicamente un nome e cognome al mostro.
Ma soprattutto risulta chiaro che in Ospedale è in atto “un’indagine parallela” che parte da Ematologia e coinvolge tutti gli uomini del Professore, dislocati all’interno e all’esterno dell’Ospedale.

I postini della “Spectre”
Il 20 marzo '98 il Resto del Carlino pubblica un articolo sulla cronaca nazionale dal titolo “Epatite Killer, chi minaccia il primario?”. Il servizio parla del sabotaggio che si stava arricchendo di elementi nuovi e cioè delle minacce ricevute da Lucarelli tempo addietro. Così prosegue l’articolo: “Lucarelli racconta di aver avuto in passato minacce verbali e scritte. E se gliele chiedi, apre un cassetto di un suo studio e ne tira fuori qualcuna. Non si ricorda neanche a quando risalgono. Eccone una, scritta sulla busta di una carta oramai ingiallita. E’ un messaggio subdolo inequivocabile, anonimo “chi la fa l’aspetti anche tardi”. Poi c’è un altra lettera. “tagliati i capelli buffone…
Chi ha “costruito” la lettera di minaccia dal messaggio subdolo e inequivocabile, non si è però reso conto degli errori commessi.
Il primo riguarda il francobollo dal valore di £ 600 e rappresenta il castello Scaligero di Sirmione.
Il periodo in cui in Italia si poteva spedire una lettera con quel francobollo, va dal novembre ’86 al febbraio ’88. A quel tempo la “Spectre” non era ancora nata, Porcellini, Manna, e Valentini lavoravano ancora tutti assieme a Ematologia alle dipendenze di Lucarelli (le epurazioni inizieranno alla fine del ’99).
Ma c’è dell’altro, l’indirizzo è scritto in modo così preciso da ricalcare le lettere, gli spazi e la punteggiatura della macchina da scrivere, e sembra proprio che i trasferibili siano serviti solo per sovrascrivere un vecchio indirizzo, mentre il messaggio contenuto nel biglietto ha una grafia sgangherata, con lettere che fuggono da tutte le parti. La lettera è stata quasi certamente autoprodotta manipolando una vecchia busta. Le lettere minatorie del 20 marzo serviranno per preparare il terreno al coinvolgimento mediatico giudiziario dei dottori Manna e Porcellini. Lucarelli, durante il processo accuserà i due di averlo minacciato per corrispondenza…

Sbatti il mostro in prima pagina
Anche le televisioni dicevamo, si schierano in difesa del Professore. Ai microfoni di Pino Scaccia del TG1, anche Lucarelli padre prova a tracciare l’identikit del sabotatore: "è uno che conosce bene il reparto, e sa bene come muoversi, si è uno che potrei conoscere, non ce l’ha con me, ma odia l’ospedale…"
L’accusa più forte Lucarelli la lancia dalle telecamere di "Mixer", programma condotto da Giovanni Minoli, ex uomo di Craxi e amico personale del Professore. In quella trasmissione, Lucarelli guardando fisso la telecamera e allungando l’indice accusatorio dice: "Quella manina interna colpevole delle morti ormai è circondata".
Da quel giorno, in Ospedale Claudio Guiducci sarà soprannominato “manina”. La notizia si diffonde a macchia d’olio anche in città, ormai tutti sanno chi è l’untore.
Sempre in quel periodo in una delle tante interviste, riferendosi al killer, dice: "Vorrei averlo nelle mie mani per un minuto soltanto, lo strangolerei". Un desiderio che di li a poco verrà in qualche modo esaudito.
Per gli uomini del Professore il messaggio è chiaro; infatti, in questo periodo iniziano le telefonate anonime e una serie di biglietti sono recapitati a Claudio Guiducci. Il tono delle telefonate e dei biglietti è più o meno lo stesso: “assassino, hai dato la morte, troverai la morte…”
Anche il figlio Carlo ha una “visione premonitrice”, in un’intervista all’ANSA, sempre del 20 marzo, afferma che: “se c’è un serial killer che va in giro ad ammazzare otto persone deve essere preso, e se invece è un sabotatore, che lo prendano lo stesso prima che si impicchi per i sensi di colpa”. ..

Tutto in ventiquattro ore
Il 21 marzo 1998, come abbiamo precedentemente accennato, è il giorno più importante della “campagna di primavera” della famiglia Lucarelli.
In poco più di ventiquattrore dei sabotatori, si saprà proprio tutto. Si saprà che l’untore che avrebbe infettato materialmente i malati, lavorava a Ematologia fino alla fine di luglio, per poi essere trasferito in un altro reparto, si saprà che ha avuto l’epatite e che il suo genoma non corrisponde a quello del paziente indice, che abita li vicino, che è orfano, che ha frequentato la scuola professionale, che non ha parenti morti in reparto. E’ lui la “manina” responsabile delle morti. Il nome del bioterrorista è Claudio Guiducci.
Nel pomeriggio dello stesso giorno veniva ascoltato in procura il biologo Massimo Valentini. Il giorno dopo, il 22 marzo, il Resto del Carlino, con un tempismo davvero straordinario, pubblicherà un articolo sulla guerra sotterranea tra il biologo da una parte e il primario dall’altra. Nell’articolo si afferma che Valentini avrebbe denunciato Lucarelli perché gli aveva tolto la titolarità di una ricerca sulle cellule monoclonali cui il biologo stava lavorando, inaugurando in questo modo la teoria dei “medici invidiosi”. In realtà Valentini denuncia il primario perché non rispettava i protocolli di sicurezza nell’aferesi.
Anche Valentini individuato e sbattuto in prima pagina, all’appello mancano soltanto i “fiancheggiatori”, i dottori Manna e Porcellini, ma anche per loro, grazie alle “lettere minatorie dal castello di Sirmione”, il destino è segnato, è solo questione di tempo…

Il “mistero” della flebo manomessa
Venerdì 3 aprile, qualche giorno dopo le lettere anonime, spunta un altro “giallo” nell’inchiesta sul contagio da epatite B. Un infermiera del reparto scopre un flacone di fleboclisi manomesso. Era aperto e presentava dei fori. La segnalazione arriva subito alla procura e ai giornali. Dice però l’avvocato Monaco che tutela gli interessi del primario Guido Lucarelli “Non penso che sia il caso di dare troppa importanza a questo ritrovamento. Probabilmente c’è un difetto di fabbricazione. Ho comunque segnalato alla procura questa circostanza, tenuto conto del momento che sta attraversando il reparto di Ematologia”.
La strategia della tensione continua, qualcuno “manomette” le flebo di Ematologia, le flebo però, sbagliando bersaglio, “esplodono” tramite i giornali, in faccia all’opinione pubblica…

Il virus ritrovato
Il 14 maggio gli esperti della procura, trovano tracce del virus di epatite B nel sedimento dei contenitori d’azoto. Il magistrato sequestra i contenitori di criopreservazione e il materiale biologico contenuto nell’azoto contaminato. Uno solo dei nove pazienti morti per epatite, ha subito la reinfusione di quel materiale biologico, quindi il ritrovamento del virus non è utile per spiegare il precedente contagio, ma ciò che sconcerta, è che dopo cinque mesi e le varie bonifiche, il virus sia ancora presente in reparto all’interno di contenitori che non avrebbero dovuto presentare nessun tipo di contaminazione.
Dopo questo ritrovamento, Lucarelli si autosospende. Così il professore annuncia alla stampa la sua decisione : “Chiedo scusa ai miei malati che per un po’ di tempo non mi vedranno presente”. Dalle parole del Professore, si intuisce che l’autosospensione è un provvedimento a carattere provvisorio, infatti…

La rivolta della Vandea
Il 16 maggio, il giorno dopo l’autosospensione, tutto il reparto chiede la revoca delle dimissioni, anzi, il Resto del Carlino parla di una vera e propria “rivolta pro Lucarelli ad Ematologia”. In reparto si raccolgono le firme per fare rientrare immediatamente il Professore al suo posto, non sono i soli a raccogliere firme, Il professor Tura e Mandelli, gli altri due pezzi da novanta dell’Ematologia italiana, saranno i promotori di una raccolta di firme tra gli illustri primari ematologi di tutta Italia, in ventiquattrore ne raccoglieranno settanta…

Gli scudi umani
Lo stesso giorno i pazienti ricoverati in reparto scrivono una lettera indirizzandola tramite la stampa direttamente al professore. Scrivono i malati: “Visto che la sua assenza ha già comportato uno squilibrio nell’organizzazione, nella gestione del reparto e visto che la sua supervisione è garanzia indispensabile per le nostre gravi patologie, lei deve tornare al più presto al suo posto. Se ciò non avverrà la protesta dei malati salirà di ampiezza, fino ai massimi livelli delle autorità e dell’opinione pubblica”. La lettera verrà firmata da tutti i malati e dai loro famigliari.

“Torna prof, voglio guarire”
Anche Maria Grazia, la ragazzina pugliese di 11 anni, che ha rischiato di morire a causa dell’infezione d’epatite, scriverà ai giornali: “Sono qui dal luglio ‘97 ad spettare il trapianto. Adesso finalmente ho trovato il donatore ma è andato via il mio professore. Io preferisco che il trapianto sia seguito dal professor Lucarelli che mi ha curato, incoraggiato e mi ha aiutato a superare tanti momenti difficili. Forse voi non potete capire perché questi problemi non li avete, ma se la sfortuna girasse da voi vi accorgereste come è brutto stare in questa situazione. Questo è l’unico centro conosciuto in tutto il mondo e se voi lo fate chiudere non sapete quanti problemi causerete alle famiglie che hanno figli mariti o mogli che non stanno bene e devono sottoporsi al trapianto. Lo scopo per cui vi scrivo è per farvi capire di far tornare Lucarelli a dirigere quest’ospedale come ha fatto fino a pochi giorni fa”.
Il 24 maggio Lucarelli tornerà a dirigere il reparto, la bambina verrà trapiantata a luglio, morirà l’anno dopo per il rigetto del midollo trapiantato.

Dal giudice appassionatamente
Per quanto riguarda il fronte giudiziario, il 6 febbraio Lucarelli va dal Magistrato e indica sostanzialmente tutti gli elementi dell’ipotesi dolosa (il sabotaggio): esecutore, ipotetici mandanti e mezzi usati per la trasmissione dell’infezione. Dopo di lui, altri operatori del reparto iniziano a "collaborare".
La caposala Vergoni, viene sentita il 14 marzo. La Carletti viene ascoltata il 19 marzo e racconta al Magistrato, di episodi successi tempo addietro a Ematologia. Episodi legati alla presenza di Guiducci nel reparto: parla di cartelle cliniche fotocopiate in orari strani e della sparizione di alcune provette dal carrello dei prelievi…
Le accuse sono labili, ma sufficienti per far sì che il magistrato interroghi Guiducci e ordini la perquisizione in casa sua, nel corso della perquisizione non viene trovato nulla di rilevante ai fini dell’inchiesta. Gli investigatori, trovano solo alcuni farmaci comuni di proprietà dell’ospedale e per questa appropriazione indebita, Guiducci viene denunciato.

Canestrari
Intanto, le analisi del laboratorio di microbiologia di Ancona, accertano che l’infezione è partita da un paziente portatore sano, “il paziente indice”, il suo nome è Canestrari.
Anche le "dichiarazioni spontanee" al magistrato continuano: si parla di una provetta trafugata da Guiducci con un nome scritto sull’etichetta e quel nome sembra essere proprio di un tal Canestrari…
La mattina di venerdì 19 giugno, alle 7.30, Claudio Guiducci viene trovato impiccato in una stanzetta buia del seminterrato dell’ospedale S.Salvatore: in tasca ha una lettera indirizzata alla moglie e un biglietto per il maresciallo che l’aveva convocato in Procura. Queste sono alcune delle cose che scrive Claudio nella lettera: "Tutta questa situazione che hanno creato nei miei confronti, è diventata insopportabile per me, anche se io non c’entro assolutamente. Ma a qualcuno del reparto fa comodo farmi entrare in prima persona, andando a raccontare alla magistratura delle ignobili bugie nei miei confronti, (cosa che hanno studiato a tavolino nei mesi trascorsi prima che venisse fuori tutto). Sono stato incolpato di aver preso delle provette di sangue di un ammalato positivo all’epatite B. Anche la direzione ha le sue colpe, perché facendomi un esame specifico senza il mio consenso dovrà pagarne le conseguenze, al mio avvocato chiedo di andare fino in fondo chiedendo il risarcimento"
Poi l’accusa pesantissima nei confronti dei responsabili morali della sua morte: "A tutte queste persone, dico che avranno sulla coscienza non più nove morti, bensì dieci, io faccio questo gesto non perché sia colpevole, ma perché non ce la faccio più a sopportare questa situazione. Addio a tutti"
La lettera, ironia della sorte, diventerà il punto di forza dell’accusa della super teste Carletti contro Claudio Guiducci, ma di ciò parleremo più avanti.
Vi sono, però, alcune stranezze nella morte di Claudio Guiducci. Claudio è stato trovato la mattina di venerdì penzolante da una corda, fissata in alcuni tubi che attraversano la stanza a circa quattro metri da terra, i suoi piedi toccavano terra e le ginocchia formavano un angolo di circa 90 gradi.
Inoltre l’infermiera che ha scoperto il corpo dice di ricordare che la porta era chiusa dall’esterno. Anche la lettera lascia qualche dubbio, essendo scritta in stampatello…
Solo stranezze certo, ma al magistrato sarebbe bastato solo qualche accertamento in più per fugare ogni dubbio su quella morte, sarebbe stato sufficiente effettuare la perizia calligrafica della lettera lasciata da Guiducci.
Invece il procuratore Savoldelli dichiarerà in un intervista che: "non c’è niente da sapere è un suicidio classico come gli altri otto di questi mesi, spiegato ampiamente in una lettera".
Il giorno dopo la sua morte, Guiducci doveva essere ascoltato dalla procura; sarebbe stato messo a confronto con Paola Carletti, la testimone che afferma di averlo visto trafugare cartelle e provette.
Sono state queste dichiarazioni che costringono la Procura a indagare, il confronto, a detta del magistrato doveva servire per escludere, una volta per tutte, la tesi del sabotaggio. (tesi per altro esclusa da tutti gli esperti scientifici delle varie commissioni d’indagine)
L’inchiesta si protrae ancora per qualche tempo, fino ad arrivare al rinvio a giudizio per Lucarelli e Fiorenzuolo, rispettivamente Primario di Ematologia e Direttore Sanitario dell’Ospedale, per omicidio colposo plurimo.
Dopo vari rinvii, il processo inizia a maggio del 2001 con rito abbreviato, davanti al giudice unico Andreucci.
Quasi tutti i famigliari dei pazienti morti si ritirano dal processo perché risarciti dall’ospedale, ma, nonostante il risarcimento, Lucarelli continuerà puntualmente ad accusare Guiducci (che ovviamente non può difendersi) e Valentini, (anche lui non può difendersi, non è imputato di nulla, è stato convocato solo come testimone, ma non verrà neppure ascoltato).
A ottobre, il giudice Andreucci decide di riaprire il dibattimento, ma in aula convoca solo i testimoni a favore della tesi del sabotaggio.
La testimone è praticamente una, Paola Carletti: è lei che confida alla caposala Vergoni che informerà Lucarelli di aver visto Claudio Guiducci trafugare la provetta.
L’architrave quindi che sostiene l’accusa del sabotaggio sono le dichiarazioni della Carletti,
ma chi è Paola Carletti?

Paola Carletti
Non è una semplice portantina, non è una dipendente dell’ospedale, ha un contratto particolare per cui è pagata direttamente da Lucarelli con i soldi delle donazioni e degli sponsor, ma soprattutto è anche confidente dei carabinieri, è un personaggio già incontrato in altri processi in altri anni, sembra la copia, senza barba e con la gonna di Mario Merlino, il fascista finto anarchico infiltrato dai servizi nel gruppo Valpreda. In una telefonata intercettata, agli atti del processo, il carabiniere Di Fabio chiede alla Carletti: "sai qualcosa su chi traffica quelle armi a Pesaro?"
La lettura delle intercettazioni svelano più di qualsiasi altro passaggio processuale, il vero volto della Carletti, ma rimandano ad altre domande che ancora attendono risposte.
La prima domanda riguarda il suo ruolo di confidente. Il carabiniere non chiede alla Carletti il nome di qualche spacciatore locale, le chiede i nomi di pericolosi trafficanti di armi. Alla domanda del carabiniere Di Fabio sulle armi la Carletti risponde: "non posso parlare" perché?
In un'altra intercettazione telefonica parlando di Guiducci dice: "lui ora è braccato o parla, o schioppa o s’ammazza" Un altra profezia sconvolgente.
Leggendo le intercettazioni, e le varie deposizioni della Carletti si arriva a una sola solida certezza, non è l’ingenua donna delle pulizie, quale vorrebbe far credere di essere…

Nu “Bellu” giornalista
Lunedì 1 ottobre del 2001 il quotidiano la repubblica, dedica un intera pagina della cronaca al processo che si è aperto qualche mese prima. L’articolo porta la firma di Giovanni Maria Bellu, la tecnica della costruzione dell’articolo è la solita, il cronista ricostruisce la storia assieme al figlio del professore, ma stavolta il Bellu pur di avvalorare le dichiarazioni della superteste, aggiunge nuovi elementi raccolti da una sua personale ricerca investigativa. Scrive il Bellu: ”Ed ecco che da una rapida verifica sulla stampa locale, si scopre che il contenuto di cartelle cliniche ancora formalmente “riservate” veniva addirittura trasferito in interrogazioni parlamentari. C’è la prova documentale, insomma, della fuga di notizie di cui la Carletti parlò in quel lontano marzo del ’98 quando la verità forse era a portata di mano”.
L’interrogazione parlamentare a cui si riferisce il giornalista è quella presentata da alcuni senatori di Rifondazione Comunista. L’interrogazione parlamentare in questione, era in realtà la copia di un analoga interrogazione presentata in Regione dall’allora consigliera Cristina Cecchini che riguardava la morte di Francesca T. una bambina di tredici anni morta durante il trapianto di fegato fetale.

Francesca
Questa è la storia che non si può raccontare, la storia che nessuno mai ha voluto sentire, la “storia Indice” dopo la morte di Francesca, il reparto non sarà più lo stesso. Correva l’anno, è il caso di dirlo, 1981. Francesca venne ricoverata perché affetta da Leucemia, dopo un periodo di cure, la piccola stava guarendo, Francesca era in remissione. Durante il lento ma progressivo miglioramento, Lucarelli decise di sottoporla a trapianto di fegato fetale, incaricò quindi un suo assistente, di preparare le cellule, filtrarle e reinfonderle nel paziente, Siccome l’assistente, quella sera era stato invitato a cena ed era in ritardo, si dimenticò di filtrare le cellule, le quali, una volta iniettate alla bambina le provocarono la morte per embolia polmonare (una morte atroce).
Quella morte fece così scalpore tra gli addetti ai lavori, che tutti vennero a conoscenza dell’esito di quell’autopsia. Il giorno dopo, la reazione di Lucarelli fu di profonda indignazione, non per la morte della bambina, ma per l’esperimento andato male, le sue parole furono esattamente queste: ”Mio dio cosa abbiamo combinato, dobbiamo avvertire subito gli americani”.
E il nostro giornalista? Non indaga su questa vicenda, non gli importa nulla della terribile morte di Francesca, per lui è solo un nome su una cartella clinica fotocopiata, a lui basta tenere il gioco ai Lucarelli, fare da sponda alla Carletti. E’ proprio vero che quando il saggio indica la luna, il cretino, (nel migliore dei casi) guarda il dito.

Lunedì 12 novembre del 2001
Paola Carletti viene convocata come teste al processo Lucarelli: racconta di quella mattina in cui Guiducci le ha mostrato la provetta trafugata, con il nome di Canestrari scritto a penna in stampatello sull’etichetta; dice anche di averne riconosciuto la calligrafia confrontandola con la lettera lasciata da Claudio e pubblicata da un giornale il giorno del suicidio, anch’essa scritta in stampatello…
La copia della lettera di Claudio pubblicata da un giornale è poco leggibile vista la riduzione fotografica, e le uniche parole che si riescono a leggere bene sono le ultime due e cioè:
"Addio a tutti"
Le lettere uguali, contenute nel nome di CANESTRARI e nelle parole ADDIO A TUTTI, sono tre, una A una T e una I.
Paola Carletti dice di intravedere l’etichetta della provetta nel settembre del ‘97, la riduzione della lettera lasciata da Claudio Guiducci, verrà pubblicata dopo dieci mesi, il 21giugno ’98, e leggendo quelle poche righe, lei la "signora in giallo di Ematologia" tornando indietro con la memoria riesce, a distanza di così tanto tempo, a visualizzare quella provetta e a comparare quelle lettere.

Le provette
Vi sono altri particolari su cui occorre fare qualche ragionamento: il primo riguarda le provette, è ormai prassi consolidata, che le provette utilizzate per i prelievi abbiano appiccicate etichette prestampate, ed abbiano anche il tappo di colore diverso, per distinguerle a seconda del tipo di analisi per cui verranno utilizzate.
Oltre a queste provette, la Carletti afferma che qualche volta veniva usata una provetta di riserva con un tappo bianco e con un’etichetta bianca, ed è questa, secondo la Carletti, la provetta trafugata da Claudio Guiducci, quella di riserva, "quella che serve per l’Emocromo", ma questa volta, la memoria bionica, le gioca un brutto scherzo, perché la provetta per l’Emocromo ha il tappo viola.
La Carletti non ricorda il colore del tappo di una provetta che tiene in mano tutti i giorni, ma riconosce perfettamente la calligrafia di Claudio Guiducci dopo dieci mesi…
Claudio Guiducci, che non lavorava più a Ematologia da alcuni mesi, come faceva a sapere dell’epatite di Canestrari? Come faceva a sapere che quella mattina avrebbero prelevato il sangue proprio a quel paziente? Come faceva a sapere che avrebbero riempito una provetta di riserva?
E la Carletti? La novella "Fletcher" incontra un collega allontanato dal reparto, lo sorprende mentre entra notte tempo da una finestra, lo vede andarsene con il sangue infetto di un paziente e non dice niente a nessuno? Non ne parla né con i colleghi né con la caposala? A Ematologia è normale che le persone se ne vadano con qualche provetta piena di sangue nelle tasche?
Perché Claudio avrebbe dovuto trafugare la provetta e scriverci il nome di Canetrari in stampatello? Sa bene che è la provetta con il sangue di Canestrari, l’ha appena presa dal carrello dei prelievi…
Perché la provetta trafugata non poteva avere i tappi colorati e l’etichetta prestampata? Perché il laboratorio analisi si sarebbe accorto della mancanza della provetta e se ne sarebbe lamentato con l’infermiera che avrebbe dovuto ripetere il prelievo e quindi tra laboratorio e reparto qualcuno se ne sarebbe ricordato. Ecco quindi apparire dal nulla la provetta di riserva, anonima, con una piccola etichetta appiccicata sopra (solo sei mesi dopo il prelievo diventerà la provetta più importante delle migliaia che transitano a ematologia) con su scritto il cognome del paziente più anonimo degli oltre cento pazienti ricoverati in quei mesi, Canestrari.
Per quale motivo Guiducci avrebbe dovuto mostrare la provetta trafugata alla Paoletti?
Solo per farsi scoprire, è il nome di Canestrari scritto a mano da Claudio sulla provetta che lo incastra!
Ma non è finita; continuiamo a ragionare delle accuse della Carletti. Claudio avrebbe quindi trafugato il sangue infetto da Ematologia, sangue che opportunamente trattato, va rispedito in reparto all’interno delle flebo. E qui secondo il ragionamento della Carletti entra in ballo Valentini il biologo, ma Valentini ha già a disposizione il sangue di Canestrari, è il biologo del laboratorio analisi, non ha bisogno di trafugare le provette!
Andiamo avanti in questo delirio: i due in qualche modo costruiscono le undici flebo bomba al S.Salvatore, e le spediscono nel reparto di Muraglia?
Ovviamente no, perché le flebo consegnate al reparto verrebbero distribuite per tutti i piani, (primo, secondo e day hospital) e l’infezione quindi, si sarebbe distribuita a macchia di leopardo. Invece, l’infezione scoppia solo tra i pazienti del primo piano, “risparmiando” stranamente tutti gli ammalati talassemici, quelli seguiti personalmente da Lucarelli, l’obbiettivo principale di un eventuale sabotaggio.
Qualcuno del reparto, avrebbe dovuto notare Valentini e/o Guiducci, degli estranei che lavorano in un ospedale dall’altra parte della città, allacciare ai malati, ben sette flebo il 20 di ottobre 97, e altre quattro a dicembre (due mesi dopo).
La responsabilità di questa incredibile e tragica vicenda, non è solo di Lucarelli e dei suoi "collaboratori", ha un ruolo rilevante anche parte della Magistratura, la quale lascia ingenuamente affondare Claudio Guiducci in questo mare di miserabili bugie e accuse preconfezionate.

L’arma dei Carabinieri
In quest’inchiesta vi sono tre testimonianze pesanti come macigni da cui non si può sfuggire.
La prima è la testimonianza di Cristiana Cipollini, senza la sua denuncia molto probabilmente di quest’infezione non si sarebbe saputo nulla.
La seconda è la denuncia lasciata da Claudio Guiducci nella lettera d’addio, egli aveva capito prima di tutti contro chi sarebbe andata a cozzare la giustizia.
La terza sono le parole che i Carabinieri di Pesaro usano per definire Paola Carletti: le parole sono due, “confidente inaffidabile”.
Chi conosce un po’ l’Arma e il suo linguaggio sa bene che una tale definizione è più di un giudizio, è una sentenza, una sentenza senza appello.
Senza l’intervento dell’Arma che smaschera clamorosamente la Carletti, probabilmente non saremmo mai arrivati alla verità, e forse saremmo ancora a dare la caccia alla “Spectre di via Giolitti”.

Un giudice uscito di…penna
Durante il processo di primo grado, “il giudice Andreucci nel novembre del 2001 ha richiesto tutti gli atti di quel filone di inchiesta ingiallito, quello del sabotaggio, riproducendo un classico della narrativa gialla: l’investigatore solerte e pensoso che rilegge i verbali da cima a fondo cercando una verità che è da sempre sotto i suoi occhi in attesa di essere svelata. C’è da dire che con la sua aria gentile e dimessa, il nostro giudice sarebbe potuto uscire dalla penna inquieta di George Simenon, in un altrettanto nebbiosa storia di provincia. Nella realtà, il giudice Andreucci è entrato di prepotenza fra i personaggi del mistery con una mossa tutt’altro che sorprendente per chi lo conosce e sa che di un verbale di polizia giudiziaria conterebbe anche le firme, qualora gli sembrassero “stranamente” troppe…”
Questa è la descrizione che fa Carlo Lucarelli del giudice Andreucci in un articolo scritto assieme a Natascia Ronchetti per il periodico Diario. Un giudice uscito dalla penna inquieta di George Simenon.
Com’è noto Andreucci richiede “gli atti relativi” gli atti cioè legati all’ipotesi del sabotaggio, convoca tutti i testimoni in tribunale, li ascolta attentamente uno ad uno e alla fine decide che l’audizione del testimone chiave, il biologo Valentini, che tanto avrebbe avuto da raccontare su tutta la vicenda, non è più necessaria. Come figlio di penna del sor Simenon non c’è male…

La selva oscura
Il 3 febbraio 2002 il giudice Andreucci assolveva Lucarelli con queste motivazioni:
“…L'ipotesi del sabotaggio risulta, all'esito delle indagini preliminari e dell'istruttoria integrativa, tutt'altro che destituita di fondamento. Anzi, diversamente dall’ipotesi colposa, basata come si è osservato, sull'enunciazione probabilistica di fatti non sostenuti da prova in senso materiale, l'ipotesi dolosa appare dotata di maggiore concretezza e ragionevolmente configurabile in base a dichiarazioni testimoniali che il giudice considera complessivamente credibili, anche alla luce delle conversazioni telefoniche intercettate, dichiarazioni, scritti e comportamenti del Guiducci e deduzioni logiche.
Tutto ciò, nonostante l'indagine su questa ipotesi alternativa sia stata indubbiamente meno approfondita di quella riguardante l'ipotesi colposa e le sue possibilità di ulteriore approfondimento siano state irrimediabilmente bloccate dal suicidio di Claudio Guiducci…
Il suicidio di Guiducci ha posto, è il caso di dirlo, una pietra tombale sulla possibilità di sviluppare ulteriormente e portare a termine le indagini sull'ipotesi do

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