Per chissà quanti uomini, donne e bambini iracheni, la propaganda può aver ben
fatto la differenza tra la guerra e la pace, tra la vita e la morte. Se da
entrambi i lati dell'Atlantico le grandi emittenti televisive, e molti dei
grandi giornali, non avessero veicolato e fatto da ripetitori alle bugie e alle
false politiche, e le avessero invece denunciate, la gang di Bush, io credo, non
avrebbe potuto procedere in questo oltraggio. Per questa ragione, giornalisti e
commentatori televisivi hanno adesso il preciso dovere di ribellarsi
Ora che Bush e Blair hanno cominciato il loro attacco illegale e immorale contro
un paese che non costituisce alcuna minaccia, noi europei abbiamo davanti a noi
una scelta. Possiamo torcerci le mani e dichiarare la nostra impotenza davanti a
un atto di pirateria così possente. Oppure, possiamo reclamare la democrazia che
è stata così corrotta da una dittatura eletta (nel caso di Bush, non eletta).
C'è un solo modo responsabile di raggiungere il secondo obbiettivo. Il termine
educato è disobbedienza civile. Il termine della piazza è ribellione. Il governo
Usa e quello britannico hanno commesso un grande atto criminale. Questa non è
retorica, è la verità, e lo confermano tutti i fondamenti del diritto
internazionale, non ultima la stessa Carta delle Nazioni unite. Per la verità, a
Norimberga i giudici dissero piuttosto chiaramente quale ritenessero essere il
più grave tra tutti i crimini di guerra: l'invasione non provocata di uno stato
sovrano.
I milioni di persone che hanno capito la natura di questo crimine hanno ora il
diritto e il dovere di agire. Anche se il governo britannico e quello americano
non sono i vostri governi, dovete agire. Il silenzio e l'inerzia non faranno che
incoraggiare Blair, l'uomo che ha trascinato la Gran bretagna in guerra cinque
volte in sei anni di governo, senza che ce ne fosse bisogno. Non dimenticate la
sua affermazione secondo cui la Corea del Nord, una potenza nucleare, è «la
prossima».
In Europa è in atto una grande rivolta. I macchinisti scozzesi si sono rifiutati
di far viaggiare le munizioni. In Italia sono state bloccate dozzine di treni
che trasportavano armi e personale militare americani, e i portuali si sono
rifiutati di imbarcare i carichi di armi. In Germania le basi militari
statunitensi sono state assediate e all'aeroporto di Shannon, in Irlanda,
migliaia di persone hanno reso difficile per l'esercito Usa rifornire di
carburante i suoi caccia diretti in Iraq.
La propaganda è un'arma letale quasi quanto le bombe. Per mesi, le «armi di
distruzione di massa» sono state una questione di notizie false. Come ex capo
ispettore Onu sulle armi, Scott Ritter ha sempre detto che l'Iraq è disarmato al
«90-95%». L'attuale capo della squadra degli ispettori, Hans Blix, ha
praticamente definito Blair e Bush furfanti e bugiardi. Quando gli è stato
chiesto quali arsenali segreti ci fossero in Iraq, uno dei suoi ispettori ha
risposto: «Zilch» (nessuno).
Tuttavia, noi non-americani siamo stati costretti a partecipare a questa farsa,
dibattendo e analizzando la sua agenda pretestuosa. Nonostante la reputazione di
correttezza e oggettività di cui gode la Bbc, i suoi programmi di attualità
radiofonici e televisivi hanno insistentemente proposto la legittimità
dell'atteggiamento guerrafondaio del governo Blair, veicolando e facendo da
ripetitori ai suoi inganni sempre diversi. Un memorandum trapelato la scorsa
settimana e scritto da Richard Sambrook, un dirigente della Bbc, invita gli
autori dei programmisti a non trasmettere troppo dissenso e «ospitare alcune
delle opinioni più estremiste contro la guerra [anche se] non c'è dubbio che la
maggioranza dell'opinione pubblica sia contraria all'azione unilaterale degli
Usa». Che egli consideri l'obiezione all'uccisione di persone innocenti come
«estremista», senza dire invece una parola sulle intenzioni omicide di Blair e
dei suoi difensori, riflette la distorsione intellettuale e morale così
frequente nell'attualità della Bbc. Quando un documentario della Bbc ha osato
investigare le armi di distruzione di massa di Israele e l'uso di gas da parte
degli israeliani, mettendo così a nudo l'ipocrisia di Bush e Blair, è stato
tolto da una fascia oraria di massimo ascolto.
Negli Stati uniti, dove uno studio ha recentemente accertato che il 75% delle
interviste di attualità erano fatte a rappresentanti o ex rappresentanti del
governo o dell'esercito, la censura è più radicata. Comunque, quando l'attacco è
cominciato, politici favorevoli alla guerra ed «esperti» vari hanno riempito i
teleschermi di tutti i paesi europei, incuranti della popolarità del movimento
contro la guerra.
Per chissà quanti uomini, donne e bambini iracheni, la propaganda può aver ben
fatto la differenza tra la guerra e la pace, tra la vita e la morte. Se da
entrambi i lati dell'Atlantico le grandi emittenti televisive, e molti dei
grandi giornali, non avessero veicolato e fatto da ripetitori alle bugie e alle
false politiche, e le avessero invece denunciate, la gang di Bush, io credo, non
avrebbe potuto procedere in questo oltraggio. Per questa ragione, giornalisti e
commentatori televisivi hanno adesso il preciso dovere di ribellarsi. Ovunque si
trovino, essi devono seguire la loro coscienza, non le richieste di una macchina
propagandistica, per quanto sottile e seduttiva, e per quanto remunerativa in
termini materiali. Essi potrebbero confrontare le loro vite confortevoli con
quelle dei giornalisti in paesi pericolosi quale la Turchia, un satellite
americano che come la Gran bretagna, la Francia e la Germania ha una popolazione
fortemente ostile a un attacco al suo vicino, l'Iraq. Molti giornalisti turchi
hanno fatto il loro lavoro senza paura, e hanno messo a nudo la natura
menzognera di quella che George Orwell chiamava «la verità ufficiale». Alcuni
sono andati in prigione e altri sono stati ammazzati dallo stato; ma le loro
azioni coraggiose hanno offerto la verità a milioni di loro compatrioti. A
differenza della Gran bretagna, ad esempio, molti turchi sono consapevoli delle
morti e delle sofferenze degli iracheni causate dall'embargo imposto da
americani e inglesi.
«Non capisco questa emotività sull'uso di gas» disse Winston Churchill quando
era ministro delle colonie. «Io sono decisamente favorevole all'uso di gas
venefico contro tribù incivili». Nonostante siano passati ottant'anni, nulla è
cambiato. Churchill si riferiva ai kurdi e agli iracheni. Oggi gli americani, e
quasi certamente i britannici, stanno usando un insidioso equivalente del gas
venefico di Churchill. Questo è l'uranio impoverito, un sinistro ingrediente dei
proiettili rinforzati e dei missili aria-terra. Si tratta in realtà di una forma
di guerra nucleare, e tutti i riscontri dimostrano che il suo uso nella guerra
del Golfo del 1991 ha causato un'epidemia di cancro nel sud dell'Iraq,
specialmente tra i bambini. Un'epidemia che là i dottori chiamano «effetto
Hiroshima».
L'America e la Gran bretagna hanno negato all'Iraq le attrezzature con cui
decontaminare campi di battaglia, città e villaggi che ora stanno per essere
tutti contaminati di nuovo; proprio come hanno negato farmaci e attrezzature per
la cura del cancro; proprio come hanno costretto le Nazioni unite, questa
settimana, a smantellare un efficiente sistema di distribuzione di alimenti.
Chi avrà il coraggio di descrivere gli effetti dell'uranio impoverito, una vera
arma di distruzione di massa, un crimine contro l'umanità, come effetto della
«liberazione» con cui la propaganda riempirà i titoli dei giornali? Mentre i
primi bambini sono già ustionati e storpiati dalla tecnologia americana, quand'è
che i media occidentali faranno sentire la loro voce, tutti insieme, contro
questi crimini?
Se non lo faranno, ci saranno altri iracheni e altre invasioni in quella che uno
dei consiglieri di Bush ha chiamato «guerra senza fine».