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2002.05.26 La Stampa Placanica a Canale5 testo





26 maggio 2002 La Stampa.

«Ero pieno di sangue, respiravo gas, sparai»

ROMA. «Ho sparato per difendere me e i miei colleghi. Eravamo circondati». Dal primo interrogatorio, lui ha sempre ripetuto la stessa cosa. L’ha detto ai colleghi, l’ha mormorato ai giornalisti, l’ha detto anche al magistrato Silvio Franz, l’11 settembre, durante il primo interrogatorio. Mario Placanica, 21 anni, il carabiniere di leva che durante gli scontri del G8 uccise Carlo Giuliani nell’inferno di piazza Alimonda, a Genova, in quel terribile venerdì 20 luglio del 2001, dal letto di ospedale dov’era ricoverato, disse anche, subito dopo i fatti, che gli dispiaceva molto: «Sto male per la morte di Carlo».

Da quel giorno è come se vivesse in una bolla, protetto dall’affetto dei carabinieri, che hanno cercato di sollevare il peso che grava su un ragazzo di 21 anni, preservandolo dalle minacce, persino dagli sguardi. Placanica (ha rilasciato un’intervista andata in onda ieri sera su Canale 5 durante «Terra», il settimanale del tg, che pubblichiamo qui sotto) ha sempre ripetuto anche che non è mai riuscito a dimenticare quei momenti e che mai li dimenticherà. Per molti, lui sarà per sempre una sagoma scura che si intravede appena.

Quel giorno e quell’attimo sono rimasti immortalati in una foto che ha fatto il giro del mondo, fermando il tempo, ore 17,45, Genova, venerdì 20 luglio: un carabiniere che dalla camionetta stringe la pistola puntata su un ragazzo che ha un estintore tra le braccia. L’accusa è quella di omicidio volontario o, in subordine, eccesso di legittima difesa. Entro il 4 giugno dovranno essere depositati gli esiti della ricognizione giudiziale, eseguita qualche settimana fa nella piazza Alimonda, quando furono ricostruite l’aggressione alla jeep dei carabinieri, stretta in un angolo fra i cassonnetti rovesciati dell’immondizia e i giovani che la circondavano minacciosi, gli scontri che ne seguirono, e la sparatoria nella quale rimase ucciso Carlo Giuliani, 23 anni.

Il testo dell'intervista

Prima della pistola si può usare la parola... a quel punto intimai, gridai di allontanarsi altrimenti avrei sparato... alla mia sinistra c'era gente... dietro c'era gente... e allora presi la pistola e sparai dei colpi...»: così il carabiniere Mario Placanica, 21 anni, indagato per l'omicidio di Carlo Giuliani, ricorda i fatti del 20 luglio in piazza Alimonda, a Genova, durante il G8.

Come è arrivato il defender, sul quale lei si trovava, contro quel cassonetto a piazza Alimonda?
«Io e un collega avevamo avuto problemi a causa dei gas lacrimogeni. C'eravamo intossicati, non riuscivamo a vedere niente. Siamo saliti sul defender per ripararci. Il gas provoca bruciore, intossicazione. Eravamo lì e con i problemi delle nostre armi: le nostre armi ci hanno creato problemi».

Vi siete ritrovati da soli?
«L'autista ha cercato di fare il possibile, di scappare. Eravamo rimasti lì, noi tre con il defender, e qualcuno all’esterno della macchina che era ferito. L'autista nel fare retromarcia s’è bloccato, ha avuto problemi con un cassonetto dei rifiuti e la jeep si è spenta. Ha tentato di farla ripartire, ma il motore non si accendeva più. E noi eravamo lì. Già ci guardavamo, avevamo timore, hanno circondato la macchina da ogni lato. L’unica cosa che riuscivo a sentire erano le grida del collega, le mie stesse grida, e un rumore metallico di lamiera. I vetri cominciavano a cadere, in macchina iniziava a entrare in macchina qualsiasi oggetto dalle pietre agli oggetti metallici, e non riuscivamo a guardarci in faccia, il timore era immenso. Il collega che era dietro con me è stato ferito alla testa, al viso, ad un occhio e ha ricevuto colpi alla schiena. E l’ho visto paralizzato in un angolo posteriore del defender, vicino al vetro posteriore...».

Svenuto?
«Non riusciva a muoversi. Allora lo presi, dalla schiena, dalla parte della testa e lo gettai giù a terra con me, lo portai verso il basso del defender e lì abbiamo scambiato qualche parola: che sta succedendo? Nel frattempo arrivavano altri oggetti, non c'era tempo per respirare. In quel momento sono stato ferito».

Quando ha deciso di tirare fuori la pistola?
«Qualcuno stava tentando di prendere la mia pistola che avevo nella fondina sulla coscia. Cercavo di tirare qualche calcio per evitare che arrivassero alla pistola. Ho sentito che mi tiravano i piedi e ho tirato fuori l’arma. Pochi istanti prima ero stato ferito...mi è arrivato qualcosa di pesante in testa e ho iniziato a vedere sangue dappertutto».

Quando ha deciso di sparare?
«Vedendo che circondavano la macchina, volevo allontanare la gente, non volevo ferire nessuno, non volevo sparare, non avrei voluto...non è il mio ideale essere una persona che ha bisogno della pistola. Prima della pistola si può usare la parola... e a quel punto io intimai, gridai di allontanarsi altrimenti avrei sparato...alla mia sinistra c'era gente...dietro c'era gente... e allora presi la pistola e sparai dei colpi...»

Aveva visto Carlo Giuliani che veniva incontro con l'estintore verso la jeep?
«No, ho visto una persona che veniva contro di noi con un oggetto metallico molto grosso, non riuscivo a distinguere se era un estintore perchè i miei occhi ancora piangevano a causa dei lacrimogeni, ero intossicato e c'era sangue sulla mia faccia».

S’è reso conto di aver colpito qualcuno?
«No; non ho preso la mira, perchè se miravo potevo pure capire che avevo preso una persona. Dal momento che avevo intimato, questo veniva sempre più vicino a noi, si avvicinava sempre di più e dall’altro lato c'era un altro con un traversino di legno...».

Le regole non vorrebbero che il primo colpo sia sparato in aria?
«Ho cercato di sparare in aria, per questo dico che non mi sono accorto che c'era Carlo Giuliani dietro la macchina».

Quando la jeep si è allontanata a marcia indietro, vi siete accorti che stavate passando sul corpo di un ragazzo steso a terra?
«Non se ne è neppure accorto l'autista perchè la macchina non si è neppure alzata come se fossimo saliti su qualcosa. L’unica cosa di cui mi sono reso conto è che avevo tanto sangue addosso».

Quando ha saputo che c'era un ragazzo morto?
«Quando ero in ospedale: un maresciallo dei nostri s’è sentito male alla vista del sangue di Giuliani per terra ed è svenuto. Ho intuito che mi guardavano tutti... poi un collega è venuto, mi ha detto ‘’non ti preoccupare’’, allora ho capito che era successo qualcosa».

In questi mesi ha mai nutrito sentimenti come rimorso e senso di colpa?
«Rimorso, rimorso».

Il padre di Carlo Giuliani ha detto che è disposto a incontrarla. Lei ha mai pensato di farlo, prima o poi?
«Certo che ho pensato. Voglio incontralo. Non so cosa gli dirò. Ci sto pensando».

Lei pensa spesso a Carlo Giuliani?
«No. Certo è una cosa che non dimenticherò mai e poi mai, la porterò sempre con me per tutta la vita».

Carlo Giuliani è diventato un simbolo per il movimento dei no global. Lei invece è in attesa di essere giudicato. Come si sente?
«A me non dà fastidio che sia diventato un simbolo per i no global. Però la cosa che mi interessa è che io non ho colpa. È questo che voglio far capire alla gente. Parecchie persone hanno avuto solidarietà nei miei confronti. Però voglio far capire a quelle altre poche persone che io non ho colpa, come non ha nessuna colpa Carlo Giuliani perché‚ in quel caso non ci dovevamo trovare lì...» .









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Pubblicato su: 2005-07-05 (678 letture)

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