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2002.06.04 Repubblica Il proiettile e il sasso





4 giugno 2002 Repubblica.

I periti aumentano la distanza tra Placanica e Giuliani
Un dato che contrasterebbe con la legittima difesa
La pistola è stata manomessa
L'altra verità consegnata ai pm

L'esperto della famiglia replica: lo sparo fu solo "strisciato"
di CARLO BONINI

ROMA - Ucciso per un colpo di rimbalzo? Forse; possibile; da escludere. Materia fluida le perizie. Palcoscenico per accreditare o tacere dettagli utili a capovolgere una circostanza nel suo opposto. Soprattutto se è un dettaglio a dividere un'ipotesi di legittima difesa da quella di omicidio preterintenzionale o, peggio, volontario. Accade da sempre, accade ora per la morte di Carlo Giuliani. Utile dunque stare ai fatti.
Non pochi e a ben vedere sorprendenti se si decide di leggerla per intero, l'ultima delle perizie disposte dall'avveduto pubblico ministero genovese Silvio Franz. Vediamo. Il frammento. Con sconcertante ritardo rispetto ai fatti (20 luglio 2001), si decide di rimettere mano al sacco che nell'ufficio corpi di reato conserva ciò che Carlo Giuliani ha lasciato dietro di sé nel pomeriggio di piazza Alimonda: un passamontagna, una canottiera, dei pantaloni imbrattati di sangue. Ebbene, proprio scuotendo il passamontagna ne cade un frammento metallico di tre millimetri. Appartiene ad uno dei due proiettili calibro 9 parabellum esplosi verosimilmente dalla pistola di ordinanza dell'ausiliario carabiniere Mario Placanica. E' sicuramente ciò che resta della camicia del proiettile, mai ritrovato, che uccide Giuliani.

Carlo Torre, uno dei periti incaricati dal pm di questa nuova e conclusiva consulenza, rileva sul frammento particelle di antimonio e bario "incompatibili" con residui di sparo. Probabilmente - osserva - potrebbe trattarsi di sostanze proprie di pigmenti utilizzati nelle verniciature industriali.

Cosa significa? Per la difesa di Mario Placanica, molto. E' la dimostrazione - si spiega - che alle 17 e 27 del 20 luglio 2001 il carabiniere non mira alla vita di Giuliani. Al contrario, spara in direzione dell'estintore (ecco le tracce di "vernice") che il ragazzo solleva sopra la testa negli attimi che precedono la sua morte. Di "rimbalzo", dunque, si trattò. Di "fatalità". Possibile? Claudio Gentile, consulente balistico della famiglia Giuliani, è uomo paziente e dall'intelligenza affilata. La racconta così: "Nella letteratura scientifica, il termine rimbalzo ha un significato proprio. Indica una deviazione di almeno 10 gradi impressa al proiettile da un corpo estraneo che si frappone tra il punto di esplosione e quello di impatto. Ebbene, non è il caso del colpo che uccide Carlo Giuliani. Il frammento repertato nel passamontagna dimostra infatti soltanto una cosa: il proiettile, curiosamente visto il calibro e la velocità, si sbriciola all'interno del cranio di Giuliani perché fratturato al momento del suo impatto. Perché lungo la sua traiettoria, striscia - e sottolineo striscia, non rimbalza - contro un corpo estraneo, che al momento non è stato individuato, ma che certamente non influenza la traiettoria di sparo. Probabilmente non l'estintore, perché le immagini dimostrano che quando Carlo Giuliani viene colpito, l'estintore è sollevato su una verticale spostata posteriormente al punto di impatto del proiettile e dunque non compatibile con una seppur impercettibile deviazione".

Sia come sia, il discorso appare chiaro. Per Gentile, il "rimbalzo" è storia buona per chi la vuol bere. Perché quel frammento di piombo non scioglie affatto il dubbio sulla "volontarietà" di Placanica di indirizzare il colpo esattamente dove ha concluso la sua corsa. "Perché - a dirla con la brutale franchezza di Giuliano Pisapia, tenace avvocato della famiglia Giuliani - non siamo in un cartone animato". Distanza e "manomissioni". A ben vedere, tanta sicurezza nella polemica ha un motivo. La perizia di Torre - ecco il punto - al di là del "rimbalzo" conforta la famiglia Giuliani, l'avvocato Pisapia, il consulente Gentile per quello che pure svela, ma che le indiscrezioni del pomeriggio di ieri tacciono.

Innanzitutto, la distanza tra il "defender" a bordo del quale si trovava Placanica e Carlo Giuliani. Non un metro, come voleva la prima perizia disposta dal pm. Ma tre volte tanto. Ancora Gentile: "I periti del pm mi hanno comunicato che, dopo un ennesimo calcolo, la distanza tra il braccio teso di Placanica e la testa di Carlo Giuliani è ora stata fissata in circa 2 metri e 90. Qualcosa di meno dei 3 metri e 40 che ipotizziamo noi, ma comunque compatibile con la nostra ricostruzione". Che, nelle parole dell'avvocato Pisapia, così suona: "Placanica estrae la pistola ben prima che nel suo campo visivo entri Carlo Giuliani. Brandisce l'arma ad altezza d'uomo, fa fuoco quando Carlo non è una minaccia per chi è a bordo del defender". E non finisce qui. Almeno tre scoperte dei periti incaricati dal pm della nuova consulenza ingrassano oggi il sospetto della famiglia Giuliani che l'Arma dei carabinieri non abbia lealmente collaborato all'indagine. Primo: l'arma di Mario Placanica è stata manomessa prima di essere consegnata per gli esami ai magistrati. Le due "spine" dell'espulsore che sorreggono la canna sul fusto della pistola risultano "maneggiate" in modo macroscopico. Quasi che - eccepisce la difesa Giuliani - qualcuno avesse voluto montare sul fusto della pistola di Placanica (quella su cui è impresso il numero di matricola) una canna di un'altra arma, allo scopo di rendere difficile se non impossibile una comparazione con gli eventuali proiettili ritrovati. Secondo: manomessi risultano l'interno del "defender" e parti della sua carrozzeria. Nonostante il mezzo fosse sotto sequestro giudiziario, qualcuno ha riverniciato il paraurti anteriore e, soprattutto, sostituito all'interno della jeep la leva che consente di orientare il faro posto sul tetto. Perché?

Anche qui, la difesa Giuliani ha una risposta. "Forse per impedire che analisi di laboratorio su eventuali residui di sangue o capelli dimostrassero che Placanica non fu colpito, ma si ferì da solo, urtando con la tempia contro la leva posta all'interno dell'abitacolo".

Terzo: l'autopsia tralasciò inspiegabilmente di estrarre dal cranio di Carlo Giuliani un rilevante frammento di proiettile mostrato dalla Tac effettuata al momento del ricovero. Frammento, che, se repertato, avrebbe consentito di effettuare una perizia decisiva che dimostrasse la compatibilità tra i colpi esplosi. Vedremo.

(4 giugno 2002)









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Pubblicato su: 2005-07-05 (679 letture)

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