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2002.07.19 SecoloXIX Secondo interrogatorio placanica





19 luglio 2002, Secolo XIX

Donata Bonometti

«Io, terrorizzato in prima linea»
Nel verbale di interrogatorio del carabiniere che uccise Carlo Giuliani le drammatiche fasi dell'assalto alla jeep.

La paura di morire, il timore che i manifestanti incendiassero la jeep, la mancanza di preparazione ad affrontare situazioni di grande emergenza. E' questo il quadro che emerge dall'inedito verbale del secondo interrogatorio di Mario Placanica, accusato di omicidio volontario per la morte di Carlo Giuliani. Placanica viene interrogato per la seconda volta dal pm Franz il 9 settembre del 2001. Placanica specifica, come aveva già fatto Filippo Cavataio, l'autista della jeep: «Era la prima volta che mi trovavo in una situazione di emergenza del genere ed ero paralizzato dal panico (...) Ero terrorizzato dalla paura lanciassero delle molotov come avevo visto poco prima in corso Torino» dove fu bruciato un blindato dei carabinieri. Placanica dice di essere stato privo dello scudo «perché non previsto nella dotazione, in quanto dovevo sparare i lacrimogeni».

Mario Placanica inizia affermando di «confermare integralmente quanto da me dichiarato il 20.07.2001 e voglio precisare quanto segue».
Placanica quindi aggiunge:
«La mia dotazione non prevede lo scudo in quanto devo maneggiare il lanciagranate. Eravamo comandati dal capitano Cappello e dal tenente Zappia.
Quando i disordini si sono attenuati fummo riposizionati al termine di corso Torino davanti al palco dove la sera prima si era tenuto un concerto (...) fummo fatti oggetto di lancio di pietre provenienti dal palco.
Fummo raggiunti da un secondo plotone del nostro reggimento e ci spostammo in direzione di corso Marconi, via Casaregis, dove intorno alle 14 venimmo raggiunti da due defender con a bordo il tenente colonnello Truglio e in tenete Mirante (...).
Ci dirigemmo quindi in corso Torino dove il battaglione Milano era impegnato dai manifestanti e necessitava di supporto in quanto vi erano stati numerosi feriti. Le ore successive fummo impegnati in corso Torino in cariche e controcariche inframezzate da momenti di relativa calma.
Dopo diverso tempo arrivammo in fondo a corso Torino dove vidi il blindato dei carabinieri ormai già bruciato. Cominciai a questo punto a sentirmi male in quanto il filtro della maschera non funzionava più, avevo un forte senso di nausea. Mi avvicinai al defender guidato dal carabiniere Cavataio e cedetti il lanciagranate al capitano Capello e poi al tenente Mirante. Cominciai a vomitare e decisi di salire sul defender per riprendermi. Nonostante questo cominciai a vomitare anche dentro al mezzo non riuscendo a trovare la soluzione fisiologica che mi avrebbe fatto stare meglio».
La fase finale -
«I defender seguivano il plotone al quale fu fatta imboccare via Invrea. All'altezza dell'incrocio con via Casaregis salì sul defender anche il collega Raffone, anche lui afflitto dai miei stessi sintomi. Giungemmo in piazza Alimonda e il plotone fu posizionato nella parte alta di via Caffa. Improvvisamente vidi dal finestrino una gran massa di gente, spesso con indumenti di colore scuro, che si avvicinava minacciosamente al plotone facendolo oggetto di lanci di pietre e altro. In un attimo si ruppero le righe e vi fu una improvvisa e disordinata ritirata da parte degli uomini a piedi così che i due defender si ritrovarono non più alle spalle del plotone, ma con i manifestanti che, urlanti, rincorrevano i carabinieri. In un primo tempo Cavataio cercò di retrocedere velocemente in retromarcia e poi all'altezza della chiesa cercò di effettuare una manovra di sterzata per guadagnare più rapidamente piazza Tommaseo (...) In un attimo ci furono addosso e io vidi un fiume di gente provenire da via Caffa e aggredirci.
Ero posizionato nella parte posteriore del mezzo nel sedile retrostante il guidatore, mentre Raffone mi stava di fronte in posizione più vicina alla parte posteriore del mezzo. Io urlavo a Cavataio di sbrigarsi, ma lui probabilmente non riusciva a mettere la retromarcia e il motore si spense.
Intanto venivamo fatti oggetto del lancio di pietre. Ricordo il particolare di avere sentito il vetro posteriore infrangersi e vidi Raffone come tramortito. Gli dissi di piegarsi e di stare fermo, mentre io mi posizionavo con le spalle al sedile di Cavataio e cercavo di evitare di essere trascinato fuori, in quanto vi erano diverse mani che mi avevano preso le gambe e temevo che cercassero di appropriarsi dell'arma posizionata sulla coscia destra. Subito sentii un forte dolore alla testa e toccatomi vidi che stavo perdendo sangue essendo stato già colpito una volta, forse due, da una pietra che vidi sul pavimento sporca di sangue. In quei momenti terribili e interminabili ebbi la sensazione che non ci saremmo salvati. Ero anche terrorizzato dalla possibilità che lanciassero all'interno delle molotov come avevo visto poco prima fare in corso Torino. Fu in quel momento che decisi di estrarre la pistola che tenevo nella fondina posizionata nella coscia destra vicino al ginocchio. Tolsi la sicura rimettendola immediatamente dopo. Mi misi a urlare "andatevene o vi ammazzo" e lo dissi almeno tre o quattro volte. L'aggressione stava continuando e fu allora che esplosi un colpo, il successivo seguì quasi di riflesso trattandosi di arma semiautomatica. Nel giro di pochi attimi Cavataio riuscì a rimettere in moto l'auto e dopo pochi metri salì sul defender il carabiniere Rando che posizionò il suo scudo nella parte posteriore per ripararci dai lanci di pietre. Una pietra aveva colpito anche lui mentre saliva».









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Pubblicato su: 2005-07-05 (721 letture)

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