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2001.09.01 RaiNet Ho visto quel ragazzo morire





"Ho visto quel ragazzo morire”

a cura di Marco D'Auria, Rainetnews (1 settembre 2001)

Piazza Alimonda, Genova. 17.30 circa di venerdì 20 luglio 2001

Due colpi. Crudi, diversi da quelli dei lacrimogeni che hanno scandito già sei ore di scontri. Due spari strazianti, come un ramo secco spezzato. Scatto un fotogramma. Un corpo a terra. "Noooo!". Grida di disperazione. La piazza, un alveare impazzito. Un buco in testa. Un flusso di sangue scorre, inarrestabile. Ancora un sussulto. Il ragazzo magro in cannottiera è già morto. Sono passati appena venti, trenta secondi.
Qualcuno spara altri colpi in rapida successione. Tre, quattro, forse cinque, o sei. Forse sono in aria. Forse no. Vite appese a un nulla. Per fortuna siamo qui a scrivere, ora. I colpi arrivano dalla zona dove si è ritirato il drappello dei carabinieri. "Assassini", strilla qualcuno. Un ragazzo con la telecamera riprende il corpo agonizzante, altri due scattano foto, mentre qualcuno spara. Coraggio o incoscienza? Nessuno presta soccorso. Non servirebbe. Tutt'intorno il caos, perfettamente armonizzato col resto della città. Un incubo. C'è chi fugge, chi si avvicina per vedere e rendersi conto. Avanzo scattando foto. Grida, mani tra i capelli, panico, che si aggiunge a questa irreale giornata. La sassaiola si ferma.
Nelle orecchie, il lamento delle ambulanze, sottofondo costante del venerdì più violento dell'ultimo quarto di secolo, in Italia. L'odore tetro dei cassonetti bruciati, il cielo nero dal fumo copertoni bruciati, gli occhi gonfi dei gas urticanti. Nausea. Ovunque vetrine infrante, auto bruciate, pavimenti disselciati. Accanto, a poche decine di metri continuano gli scontri. Altre battaglie. Non c'è luogo sicuro. Tutto il quartiere Foce è una trappola.

Ore 17,20 circa

TRA DUE FUOCHI
Vi si era rifugiata Claudia Emilitri, una videogiornalista di "Sei Milano", sulle scalinate della chiesa di Nostra Signora del Rimedio di piazza Alimonda. Nelle vie adiacenti, dopo ore di "copertura" dell'evento tra sassi e lacrimogeni, vagava qualche fotoreporter e giornalista in cerca di capire dove si spostavano gli scontri. Per riprendere il fiato, ma senza allontanarsi troppo. Accovacciata con la sua telecamera spenta davanti alla porta della chiesa, pantaloni sporchi di asfalto. "Sono sotto choc", mi dice subito Claudia, senza girarci attorno. "Mi sono ritrovata a riprendere gli scontri. Filmavo da dietro il vetro di una pensilina degli autobus. Mi sentivo protetta da quella barriera trasparente, ma ci sono rimasta troppo a lungo. C'è stata una controcarica dei manifestanti e mi sono ritrovata tra due fuochi", racconta Claudia, in una piazza deserta (ancora per poco), con lo sguardo rivolto alla strada di sinistra, avvolta in un fumo nerastro. Continua: "Da una parte i carabinieri, dall'altra una sassaiola. E' stato terribile. Mi sono accovacciata dietro un'auto parcheggiata, quando mi sono sentita prendere di peso da un uomo in divisa che voleva arrestarmi. Strillavo: "Sono una giornalista", ma niente. Mi ha trascinato con sé. Hanno dei modi, una violenza. Poi per fortuna un suo superiore lo ha chiamato per fare qualcosa di più urgente e sono riuscita a fuggire".

L'ATTACCO

Mentre mi parla succede il finimondo. Di nuovo cariche, lacrimogeni, sassate. Sulla destra, in via Tolemaide, dove il grosso del corteo si fronteggia da ore con gli uomini in divisa, blindati e carabinieri ora si ritrovano a ritirarsi di corsa, inseguiti da una sassaiola. Avanzate e ritirate in uno spazio di trecento metri che durano da ore. Un gruppetto di ragazzi improvvisa una barricata con cassonetti e rottami sulla strada perpendicolare, che porta a piazza Alimonda, distante meno di cento metri. Qui, a pochi metri dalla chiesa, proprio nel punto cadrà abbattuto da un proiettile Carlo Giuliani, un plotoncino di carabinieri in tenuta antisommossa (una trentina di uomini) si ricompone e si dirige marciando - con un giro largo attorno alla piazza - verso la barricata. Una mossa, si vedrà subito, tatticamente sbagliata. Non solo per la sproporzione delle forze in quel settore (i manifestanti erano di gran lunga più numerosi), ma anche perché la rudimentale barricata era stata fatta per sbarrare un'eventuale incursione laterale su via Tolemaide. Il drappello, al posto di tenere posizione e controllare, tenta la carica. Non bisogna essere esperti di scontri di piazza per capire che in un clima del genere l'attacco possa facilmente - dopo ore di battaglia e in un clima di esasperazione collettiva - provocare una reazione. Violenta e disperata. Come tutto, oggi. La carica dei carabinieri, protetti alle spalle da due jeep, viene neutralizzata in pochi secondi. Il plotone costretto ad una repentina ritirata. Di più, ora è stretto da due lati: un gruppo di manifestanti, alla spicciolata, si precipita per una strada laterale, di sorpresa. Nella convulsione del momento, mentre cerca di far manovra per ritirarsi, una delle jeep finisce su un cassonetto e non riesce a ripartire. E' l'ultimo avamposto del drappello, ormai lontano dieci, venti metri, in ritirata. A bordo, giovani in divisa, isolati. Attorno, un gruppetto di ragazzi li raggiunge. I finestrini sfondati, si vedono spranghe. Altri sono in arrivo. Volano pietre. Una scena quasi identica a quella di un'ora prima, quando poco distante, a corso Torino, un blindato era stato bloccato e semidistrutto, con due militari a bordo circondati da decine di persone che lanciavano sassi. In quel caso i carabinieri erano riusciti ad abbandonare il mezzo (che più tardi sarà dato alle fiamme). Lì il contrattacco era stato generato in un primo tempo da un lancio di lacrimogeni dei carabinieri, sparato tra giornalisti e fotografi che anticipavano la testa del corteo. Poi, la furia del contrattacco è diventata inarrestabile quando uno dei blindati, che si ritirava su via Gastaldi, verso corso Torino ha innescato improvvisamente la marcia indietro a tutta velocità contro un gruppo di manifestanti che li inseguivano, i quali hanno evitato per miracolo di essere investiti. C'erano molti che gridavano "Basta!", a chi si accaniva sul mezzo blindato ormai sconfitto e isolato. E con due uomini a bordo. Gridavano basta perché temevano il peggio. Anche a piazza Alimonda c'è chi urla "basta", a chi sta spaccando i vetri della jeep in trappola. Ma qui il peggio è arrivato. Non c'è niente di peggio. Aveva ventitré anni, Carlo Giuliani. Tre di meno l'ausiliario che si è trovato lì, con una pistola caricata con proiettili veri.









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Pubblicato su: 2005-07-05 (779 letture)

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