Bologna - La turbolenta passerella di un leader leghista al campo nomadi
Sabato 8 novembre il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, ha deciso di presentarsi con stuolo di giornalisti al seguito presso il campo nomadi di via Erbosa a Bologna. Lo scopo ufficiale sarebbe stata una raccolta di firme per la chiusura di questo genere di contenitori per eccedenze umane, non certo mossa da motivi filantropici, ma dai costi e dal degrado che ricadono su potenziali elettori leghisti. Come noto, la sua annunciata presenza è stata caldamente contestata, arrivando alla rottura del lunotto posteriore della sua vettura. A margine, la violenta cacciata di un pennivendolo del Resto del Carlino, riconosciuto da alcuni presenti come autore di diversi pezzacci funzionali alle strategie repressive della questura di Bologna nella sterilizzazione delle realtà conflittuali locali.
Per ora, le uniche versioni diffuse sono quelle riportate dai media di regime, tese a vittimizzare la nuova faccia del leghismo: meno biascicante, meno celodurista, addirittura meno verde-padano e più tendente al bruno-fascista, impegnato a stringere alleanze con le varie correnti nazionaliste e identitarie che attraversano l'Europa.
Una buona occasione per stigmatizzare il fastidioso nemico che unisce per l'occasione tutto il panorama partitico: la "violenza fascista dei centri sociali". Parallelamente le agenzie di stampa riportano in modo acritico i commenti catalizzati dal profilo facebook del leader leghista: "Ci vorrebbe il fascismo", c'è addirittura chi si spinge a promuovere i campi di sterminio, senza remore, a ruota libera.
Solito copione: solidarietà alla vittima leghista, condanna della violenza antidemocratica dei contestatori.
Da un lato c'è chi promuove strategicamente soluzioni xenofobe alla "violenza" della mancata assegnazione di una casa o di altre risorse a famiglie italiane, piccola espressione della "violenza" di un'organizzazione sociale che si rifiuta di consentire a chiunque di avere una vita dignitosa per tutelare i privilegi di pochissimi. C'è la "violenza" dei campi nomadi, posti di merda, sospesi tra il controllo sociale e la discarica; "sì, ma ci sono gli zingari coi macchinoni!" ribatte qualcuno: vero, la comunità in questione è una società chiusa che riproduce in piccola scala molte aberrazioni di quella in cui vive chi osserva indignato l'esistenza dei "capi-campo", non molto diversi dai suoi padroni e politicanti. C'è la "violenza" che qualcuno rammenta ogni volta che incrocia un dirigente leghista: quella dei morti in mare, della criminalizzazione dei flussi migratori, del sostegno a un'economia imperialista militarizzata che li genera e li alimenta, la "violenza" dei lager per migranti così centrali nelle loro strategie, la prossimità politica con chi ai CIE vorrebbe aggiungere i forni, quella delle molotov lasciate davanti ai centri di accoglienza per rifugiati, e via dicendo.
Dall'altro lato c'è chi, senza perdersi in calcoli sul consenso e sul ritorno di immagine, ricorre anche alla “violenza” per limitare lo spazio che questi assassini possono riempire: non su facebook o nei trafiletti di cronaca, ma nelle strade.
Sappiamo con chi solidarizzare.
informa-azione
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