Ci risiamo: con il Giorno del Ricordo alle porte (il 10 Febbraio ), l’Italia torna a riscoprire le vittime delle foibe e a piangerne la memoria sotto il giogo delle solite strumentalizzazioni ideologiche che negli anni ne hanno ignobilmente infangato il nome e la credibilità.
In nome di una verità storica mai del tutto appurata e di un patriottismo a uso e consumo delle masse strumentalizzate, la retorica di regime (forse meglio semplicemente di destra) anche quest’anno si ripresenta con puntualità a speculare su una delle questioni italiane più sentite ma mai del tutto chiarite, ingigantendo i numeri e asservendo alle logiche partitiche la sofferenza di chi ha pagato la tragedia delle foibe direttamente sulla propria pelle, in un più ampio disegno di mistificazione e revisionismo storico montato su ad hoc per riabilitare il ricordo della dittatura mussoliniana e screditare allo stesso tempo il movimento partigiano e antifascista, baluardo della nostra Costituzione.
E in questo clima di revisionismo e indottrinamento ideologico, l’associazione neofascista Casa Pound Ostia finisce con l’arrogarsi il diritto di commemorare il ricordo delle vittime delle foibe del Carso tingendole con i suoi vessilli infamanti nella più becera e meschina delle tradizioni autoritarie e insultandole con la sua dialettica di slogan e proclami a comando, nel vano tentativo di camuffare le colpe storiche di quella tirannia assassina e razzista di cui si considerano fiera discendenza ai giorni nostri.
Ma ora basta!
La storia non può e non deve essere riscritta dal primo nostalgico fascista di turno che pretenda di cambiare il nostro passato per stravolgerne il presente, basta con queste pratiche di mistificazione e convincimento forzoso che mascherano la verità in luogo dell’ideologia!
Basta con la storia dei 20000 infoibati e dell’esilio di 350000 italiani, numeri gonfiati all’inverosimile (circa cinquecento vittime, per lo più militari, forze dell’ordine, funzionari dell’Italia fascista occupante la Jugoslavia e poche migliaia di esuli secondo la risoluzione della Commissione Mista italo-slovena del luglio 2000 ) e privi di fondamento che ogni anno crescono a dismisura solamente per far più colpo sull’opinione pubblica ignara e tenuta colpevolmente all’oscuro!
Basta con la teoria (infondata, anche alla luce della recente risoluzione della Commissione Mista) della pulizia etnica da parte dei comunisti di Tito contro la popolazione italiana inerme!
E soprattutto basta strumentalizzare le morti di cittadini italiani traditi dal loro stesso credo fascista!
Di fronte allo schifo dell’incessante propaganda revisionista fascista, il Collettivo l’Officina si tira fuori da quest’assurda e vergognosa politica di rivendicazioni ideologiche per lasciare la parola agli studiosi e alle stesse vittime del dramma, lanciando una campagna di sensibilizzazione mediatica e d’informazione a disposizione della cittadinanza tutta.
Tutti gli ANTIFASCISTI sono invitati il 12 febbraio dalle ore 16 a presidiare con noi P.zza della Stazione Vecchia per non lasciare più spazi agli squadristi
da Arcore ar Core della questione… tutti a casa. Que se vayan todos.
Il velo d’ipocrisia che ancora in questo paese porta a condannare in modo indiscriminato e cerchiobottista ogni forma di ribellione chiamandola violenza, è ormai squarciato da un contesto internazionale che ha deciso di respingere con forza ogni forma di autoritarismo, di corruzione e arroganza nella gestione del potere e della crisi. Un potere politico che ha perso qualsiasi contatto con le problematiche della società e ancor di più ha perso, se mai l’ha avuta, ogni legittimazione nei termini di riconoscimento democratico e popolare.
Con un governo che porta avanti manovre eversive che minano alle fondamenta l’attuale assetto costituzionale, con le derive sempre più autoritarie e autocratiche sostenute da un personaggio a capo delle peggiori cricche del paese, quale sarebbe la violenza di chi a mani nude e volto scoperto si raduna sotto la reggia presidenziale di Arcore? Qual è la dignità di quelle forze dell’ordine che come nel resto del mondo si dimostrano ancora una volta supine sotto il comando di chi le usa come servizio taxi nelle lunghe serate di baldoria?
C’è qualcosa che richiama la presa di Versailles nello scatto di dignità che le manifestazioni di piazza stanno dando ai potenti di tutto il mondo.
Dopo il 14 dicembre, nonostante le manovre di un parlamento di servi, corrotti e voltagabbana, si è affermata in tutto il paese reale la volontà di esprimere la sfiducia totale nei confronti di questo governo e di tutta una classe politica troppo impegnata nella spartizione del potere e delle ricchezze che derivano dalla gestione della crisi economica (vedi grandi opere, cancellazione di ogni normativa contrattuale e di tutela del lavoro…).
Ieri eravamo impegnati nel supporto della manifestazione della comunità egiziana a Roma ed il filo che ci lega ai compagni e alle compagne del no Expo è molto più che ideale.
Da Roma a Milano solidarietà materiale nelle lotte contro le speculazioni, le cementificazioni, contro la precarizzazione delle nostre vite, per la difesa dei territori e dei diritti di sociali e di cittadinanza.
Berlusconi come Mubarak te ne devi andare!
Tutti liberi
Roma, 28 gennaio: nel giorno dello sciopero contro il piano Fiat di Marchionne che è la punta di lancia dell’offensiva dei profitti nei confronti del lavoro e di ogni residuo margine di scelta su di esso, precarie e precari della città di Roma, giovani e meno giovani, indigeni e migranti, poco dopo le 17 si sono presentati al centro commerciale Auchan di Casal Bertone per reclamare la restituzione almeno di una parte simbolica dei profitti che sulle spalle d’un intero corpo sociale gettato nella precarietà vanno accumulando le Major multinazionali della crisi. (Guarda il video!)
Con un’azione di subvertising di una delle campagne pubblicitarie di Auchan, nella cui fortune tanta parte ha avuto Ifil cioè la finanziaria dell’impero Fiat, le precarie e i precari di Generazione P, Punti San Precario Roma, Acrobax Project e dei Movimenti per il diritto all’abitare (Coordinamento di lotta per la casa e Blocchi precari metropolitani), entrati nel centro commercial e, stanno ora reclamando davanti alle casse l’accesso al prezzo standard di un euro ad un “paniere precario” di beni conformi alla vita comune nel tempo della precarietà. Così le generazioni precarie partecipano a Roma alla mobilitazione odierna: affermando, come a Milano e nel suo hinterland con il blocco alla Marcegaglia e a diverse catene della grande distribuzione, il punto di vista precario che deve e vuole farsi valere nell’Italia della crisi.
L’unica risposta di governo e magistratura è la repressione.
Il 14 dicembre, a Roma, la piazza era gremita di studenti, lavoratori e lavoratrici, precari e precarie, migranti, cittadini aquilani e di Terzigno e molti altri ancora, a cui il governo da anni sta facendo pagare il prezzo della crisi, negando loro qualunque prospettiva di una vita dignitosa.
Quel giorno la piazza ha manifestato in massa la sua giusta rabbia, mentre a poche centinaia di metri uno dei governi più corrotti che questo paese abbia mai avuto si assicurava la sopravvivenza attraverso la compravendita di consensi parlamentari.
Per tutta risposta le forze dell’ordine rastrellavano persone per le vie del centro di Roma, e si scatenavano le dichiarazioni forcaiole degli uomini politici di vario colore. Costoro, abbandonando per un momento le loro invettive alle “toghe rosse”, hanno invocato un vigoroso intervento della magistratura.
Quel giorno sono state arrestate 23 persone. Uno di loro, Mario, è tutt’ora in regime di arresti domiciliari nonostante sia incensurato ed accusato di reati “minori”. Un altro, benché minorenne, sarà sottoposto fino a giugno agli arresti domiciliari.
Il 23 dicembre 2010 si è tenuta la prima udienza del processo contro Mario e gli altri compagni/e arrestati\e. Il processo è stato rinviato al 24 gennaio.
Il motivo per il quale i giudici hanno negato la libertà a Mario è la permanenza in Italia di un “clima di tensione sociale”. Per fortuna è stata almeno respinta l’assurda richiesta avanzata da Alemanno per la costituzione di parte civile del Comune di Roma, in quanto a Mario non è addossata nessuna “lesione dell’arredo urbano”.
Ai numerosi compagni/e presenti in aula – studenti, lavoratori, amici degli imputati – l’atteggiamento dei giudici non è apparso né sereno, né imparziale , ma anzi costoro sono sembrati partecipi e schierati con il clima fazioso e colpevolista voluto dal governo all’indomani del 14 dicembre.
Ad oggi è ormai noto alla cittadinanza che gli arrestati sono stati rastrellati a caso e accusati genericamente del reato di “resistenza in concorso”.
Del resto, è fallito anche il tentativo di dividere i manifestanti in “buoni e cattivi” sia per la compattezza del movimento, sia perché larga parte della società ha riconosciuto alla protesta motivazioni valide e concrete: la crisi economica e sociale che il paese sta attraversando non solo mette in pericolo il nostro futuro, ma cosa ben più grave, è un attacco al nostro presente e la protesta contro tutto ciò non può essere semplicemente ignorata e repressa.
Tenere ulteriormente agli arresti domiciliari Mario è una iniqua punizione, una pena prima della sentenza.
Inoltre si preannunciano ulteriori e numerosi provvedimenti penali nei confronti di centinaia di partecipanti alla giornata del 14 dicembre.
E’ quindi quanto mai necessario che tutti coloro che hanno animato la piazza del 14 dicembre facciano sentire la loro voce durante la prossima udienza per esprimere la loro solidarietà a Mario e a tutti e tutte gli/le arrestati/e.
15-16 Gennaio 2011 “Stati Generali della Precarietà 2.0 – Che la forza sia con noi!”
Se credete, come noi, alla potenza dei processi cooperativi, ebbene fidatevi: quella forza è stata con noi il 15 e il 16 di gennaio nel nuovo spazio occupato del C.S. Sos Fornace in via Moscova 5 a Rho (MI). Ecco un esempio concreto di ciò che intendiamo per costruzione del comune: in 48 ore il punto di vista precario è diventato un’intuizione collettiva, colma di promesse. Slogan scandito in ogni intervento, ha palpitato nelle stanze, ha girato e rigirato, si è trasformato in passaparola. Quando, nel freddo di gennaio, centinaia di persone si mettono a ragionare all’unisono sull’importanza di scommettere sulla costruzione di un punto di vista precario possono anche accadere miracoli. Intanto l’indomani, dopo settimane, Milano si è svegliata con il sole.
La prima edizione degli Stati Generali, a metà ottobre, ha creato il tessuto che oggi ha reso possibile questo nuovo, fondamentale, passaggio, ovvero l’opportunità di creare reti di prossimità e di relazione tra i vari gruppi, collettivi, associazioni sparsi per l’Italia ed impegnati sul tema della precarietà, del lavoro e della vita. Si è così ribadito che la condizione di precarietà è l’elemento generale e strutturale del mercato del lavoro di oggi. Qualunque sia il segmento di lavoro considerato (operaio, callcenter, migrante, lavoratore della conoscenza, studente, formatore, terziario, ecc.), la condizione attuale del lavoro è caratterizzata in modo pervasivo da incertezza, intermittenza e ricattabilità. I recenti accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori lo hanno ampiamente dimostrato.
Siamo dunque a una svolta. Ciò che è accaduto in questi anni – le nefaste conseguenze della legge Treu (1997), della Turco-Napolitano prima (1998) e della Bossi-Fini poi (2002), della legge Biagi (2003) e, infine, dell’ultima perla del Collegato Lavoro – ha trasformato interamente i riferimenti culturali e sociali, erodendo diritti e salari, frammentando in mille pezzi i corpi del sociale (e la sinistra, istituzionale e sindacale), privatizzando ogni ambito della vita, dai servizi ai territori, e ciò che noi chiamiamo beni comuni. Un processo che si è mangiato tutto, progressivamente, prima una generazione poi più generazioni e ora anche gli (ex) “intoccabili” della Fiat, simbolo della produzione made in Italy e del conflitto operaio. Tutto ciò è stato visto e raccontato nel corso dei differenti incontri di questa seconda edizione degli Stati Generali attraverso le lenti dei precari e delle precarie, nel tentativo di costruire e affermare un punto di vista precario.
Oggi parlare di precarietà è parlare alla totalità del mondo del lavoro: una condizione che va oltre la tradizionale separazione tra lavoro e vita. La precarietà è il modo con cui si crea profitto, controllo e ricchezza, ma anche la maniera con cui si tengono insieme ricatto e consenso.
Una condizione precaria che tracima nei territori, nella difficoltà di avere una casa, nel tempo di vita che ci viene rubato, nella programmazione di un futuro che sempre più ci viene negato. Una nuova consapevolezza sta nascendo. Una consapevolezza che il più delle volte viene mistificata da quelle istituzioni – sindacali e partitiche – che pretendono, senza riuscirci, all’interno della mediazione politica, di interpretare e rappresentare i bi/sogni e i desideri della generazione precariao, più correttamente, delle generazioni precarie. E’ in questa prospettiva che si è discusso della precarietà migrante intesa come forma paradigmatica della precarietà di vita e della cittadinanza; della precarietà formativa e della conoscenza, strette tra la svalorizzazione e dequalificazione degli istituti dell’istruzione (esemplificati dal DDL Gelmini) e la continua espropriazione dei saperi nella morsa della proprietà intellettuale e della mercificazione della cultura; delle nuove condizioni di precarietà che sempre più minano il lavoro dipendente (operaio e non), anche quando formalmente si presenta come lavoro stabile.
Durante la plenaria questo punto di vista precario è diventato una narrazione collettiva trasformandosi in un’idea comune, potente e condivisa: la voglia di uno sciopero precario! Non semplicemente (come se fosse semplice) uno sciopero dei precari e delle precarie, bensì uno sciopero sulla precarietà e nella precarietà. “Sulla precarietà”, ovvero che ponga come elemento centrale la questione della precarizzazione e di come si possa uscirne. “Nella precarietà”, ovvero tramite nuove forme di conflitto che non siano appannaggio dei soli militanti: quindi uno sciopero che dovrà necessariamente essere costruito e sviluppato con una varietà di soggetti e situazioni il più possibile ampia, coinvolgendo tutti coloro che si trovano senza tutele né numi tutelari. Siamo coscienti delle difficoltà, ma pensiamo che questo sia il nodo principale che deve essere affrontato, la vera questione, centrale e imprescindibile. Sul come costruire lo sciopero precario, sui modi per coinvolgere chi è ricattato, ci affideremo ancora una volta all’intelligenza collettiva delle precarie e dei precari, degli operai e dei migranti discutendone in modo approfondito in una nuova edizione degli Stati Generali tutta incentrata su questo argomento: gli Stati generali della Precarietà 3.0: laboratori dello sciopero precario! che si terranno a Roma la prossima primavera.
Lo sciopero precario dovrà inventare nuove forme di lotta, in grado di far collaborare e rafforzare le diverse soggettività precarie, e dovrà mirare al blocco dei flussi della produzione e della circolazione delle merci e delle persone: in una parola il sabotaggio del profitto. Sarà dunque necessario immaginare nuove azioni e strumenti affinché l’astensione dal lavoro dei precari si renda praticabile, colpendo viceversa duramente quei gangli della produzione materiale e immateriale che oggi maggiormente sfruttano il lavoro dei precari, migranti e nativi. Uno sciopero che dovrà essere in grado di presentare proposte e indicare obiettivi per creare le premesse di un superamento di questa infame condizione esistenziale e strutturale. E anche su questo punto la due giorni ha espresso indicazioni precise: le proposte saranno accomunate dalla richiesta di un nuovo welfare in grado di rendere praticabili il diritto alla scelta del lavoro (garanzia di reddito incondizionato per tutti i residenti, libero accesso ai servizi sociali e ai beni comuni, introduzione di un salario minimo orario) e il diritto a una vivibilità e mobilità sostenibili, in opposizione alla nuove forme di rendita (immobiliare e finanziaria) che oggi sempre più sono alla base della crescita dei profitti delle imprese industriali, dei servizi e della finanza.
L’assemblea conclusiva, infine, si è trovata d’accordo nell’attraversare i prossimi importanti appuntamenti di lotta, dallo sciopero Fiom e del sindacalismo di base del 28 gennaio, allo sciopero dei migranti del 1 marzo, a tutte le altre date che verranno a crearsi nelle settimane da qui a primavera, generalizzando il più possibile le parole d’ordine del punto di vista precario: è questo l’impegno assunto al termine degli Stati Generali della Precarietà 2.0.
Questo documento, in ogni caso, non è un comunicato e non pretende di essere esaustivo di tutto ciò che è emerso nella due giorni del 15 e 16 gennaio. E’ piuttosto un primo tentativo di evidenziare ciò che pensiamo sia stata la potenza degli Stati Generali 2.0: la conoscenza profonda della precarietà e una condivisione vera delle pratiche che ad essa si oppongono nei territori, nel sociale e nella produzione. E’ un inizio, ma è un buon inizio!
Il movimento che si è sviluppato in queste settimane e che ha trovato nelle manifestazioni di questi giorni la sua espressione estetica (dal salire sui tetti, sulle gru e sulle torri, dall´occupazione delle piazze, sino ai riots del 14 dicembre 2010) è un movimento variegato e scomposto. Come è la precarietà. E non può essere altrimenti. È la manifestazione del disagio della condizione di precarietà, ma senza che la “soggettività precaria” venga mai nominata e posta al centro dell´azione.
Si parla infatti sempre di segmenti di lavoro: i ricercatori, gli operai, gli studenti, i lavoratori della cultura e dello spettacolo, ecc.. Solo con la condizione migrante si regista un´accezione unica che travalica le singola condizione professionale, ma tale condizione è comunque vista come “separata”, a sé stante. Insomma, non si è ancora espresso un movimento della precarietà, se non come manifestazione di esistenza, nell´affermazione “siamo noi,precarie e precari, a produrre la vostra ricchezza, lo rivendichiamo, siamo visibili”. Ora più che mai occorre creare un punto di vista precario: proposte capaci di ribaltare ricatti e impoverimento in una visione corale, innotiva,capace di riproporre una priorità: della (nostra) vita sul lavoro.
Diverse generazioni hanno attraversato la piazza. E in essa forse si è percepito una discontinuità. I più giovani che hanno fortemente contribuito a scaldarla sono i primi a rendersi conto che non c’è l’illusoria possibilità di un ritorno al passato ai vecchi diritti, alle vecchie categorie, ai vecchi protagonismi. Speranza che invece ha albergato molto nelle in/coscienze delle prime generazioni precarizzate (che oggi vanno sulla quarantina) e per questo hanno manifestato tutta la loro rabbia e frustrazione. E ci sta tutta.
Lo ripetiamo: le migliaia di persone che il 14 dicembre a Roma si sono scontrate con gli sbirri non sono black-bloc, non sono infiltrati, non sono cattivi e finalmente hanno smesso di essere buoni. Per questo è fondamentale che l’elaborazione di un punto di vista precario venga declinato come prioritario.
Cosa significa? Che i diversi segmenti del lavoro si riconoscano nell´essere parte di una condizione precaria esistenziale, strutturale, generalizzata e per di più”generazionale”. E´questa condizione comune che viene prima dell´essere migranti, chainworker, operai, cognitari, ecc., ecc. Invece purtroppo, la logica politica delle alleanze e dell´immediatezza spesso piega al contingente ciò che è invece l´essenza della presa di coscienza conflittuale.
Gli Stati Generali della Precarietà sono uno strumento per la ricomposizione sociale della condizione precarietà. Condizione necessaria (anche se non sufficiente) perchè il conflitto si manifesti non solo come strumento di distruzione dell´esistente (banche comprese), ma anche come momento di appropriazione del futuro.
14-15 gennaio, Stati Generali della Precarietà 2.0. Stay tuned.
A Milano il 9-10 ottobre 2010 si sono svolti i primi Stati Generali della Precarietà. Due giorni di dibattito e discussioni su lavoro, precarietà e diritti. Si è parlato delle strategie da usare per un autunno all’attacco sui luoghi di lavoro e nei territori. Inventando nuove modalità di azione contro la precarietà per riprendere in mano il nostro futuro!
Appello che ha lanciato gli Stati Generali. Gli Stati Generali saranno composti da seminari e workshop per riflettere insieme ma anche per scambiare idee, tattiche, innovazioni e proposte legate a precarietà e lavoro. L’incontro nasce dall’esperienza decennale della Mayday ma è aperto a collettivi, sindacaliste, mediattivisti, avvocati, precarie e precari: proponete un workshop o un intervento per condividere l’idea, la pratica, la tattica, la campagna che volete. Oppure semplicemente venite agli Stati Generali e dite la vostra.
Ecco le aree tematiche che vorremmo sviluppare:
– Chi paga? Gli effetti della crisi su precari e precarie
– Welfare for life! Quali diritti vogliamo? Per una campagna che chieda garanzia di reddito e accesso ai servizi
– Agire sul territorio. Strumenti e alleanze per lanciare vertenze sui territori
– Nuove forme di organizzazione per lavoratori e lavoratrici. Dove non arriva il sindacato
– Cash and Crash. Dal boicottaggio alle azioni legali, dalla cospirazione precaria allo sciopero: come trattare un’azienda?
– Be your media. San Precario, social network, subvertising, Ansa… chi più ne ha più ne metta. Nuove e vecchie forme di comunicazione
– Motore, ciak, azione! Flash mob, Mayday, picchettaggi e manifesti. Creatività di strada al servizio del precariato
– RI/GENERIamo. Continuiamo il percorso di riflessione su genere, violenza, stereotipi tra maschile, femminile e molto più
– PrecaritYOU. Argomenti e suggestioni della platea precaria
Gli Stati Generali si terranno a Milano il 9-10 ottobre 2010 presso l’Arci Bellezza, via Bellezza 16A
Segui l’evoluzione degli Stati Generali della Precarietà su www.precaria.org
Per proposte o domande scrivi a statigenerali@sanprecario.info
“Nel 1789, Luigi XVI di Francia fu costretto a indire gli Stati Generali sulla crisi economica francese. Dopo mesi di boicottaggio, i rappresentanti del Terzo Stato si autoconvocarono nella Sala della Pallacorda e aprirono i lavori dell’Assemblea Nazionale per promuovere una nuova Costituzione che abolisse l’Ancient Regime. Il 10 ottobre re Luigi XVI venne definitivamente deposto”
Oggi e domani si vota sull’accordo-capestro di Mirafiori. E’ stata imposta una scelta che non ha nulla di democratico. Un referendum è tale quando consente una libera scelta tra due opzioni, senza che ciò vada a incidere sulle condizioni di esistenza dei partecipanti al referendum. Non è questo il caso di Mirafiori. Qualunque sia l’esito, infatti, tutti i lavoratori ci perdono: o in termini di diritti e condizioni di vita e salute o in termini di lavoro e reddito.
L’accordo di Mirafiori (e prima quello di Pomigliano) ci dicono chiaramente che cosa è oggi la democrazia politica (la democrzia economica non è mai esistita)in questo paese: l’arte dell’imposizione di un interesse particolare, spacciato come generale. Prima si schiacciavano i diritti in nome della competitività, della flessibilità come strumento di crescita, del controllo dell’inflazione e del debito pubblico. Ora con la crisi l’approccio è diretto: o la borsa o la vita! Anche i modi si sono fatti espliciti: con la forza o con la corruzione. Dal regime economico al regime politico tutto si compra (dai sindacati ai partiti); chi pretende politica viene zittito. Per i migranti e il precariato in generale, così come per gli studenti e gli operai, non c’è mediazione che tenga.
L’accordo di Mirafiori è ancor più peggiorativo di quello di Pomigliano. Se a Pomigliano non c’è stata trattativa ma un diktat stile “prendere o lasciare”, a Mirafiori si aggiunge la negazione della visibilità e dell’agibilità politico-sindacale del sindacato riottoso. È il preludio di un nuovo modello di governance delle relazioni industriali che riprende e allarga ciò che già avviene a livello istituzionale. Regime politico e regime economico non sono altro che due facce della stessa medaglia. Si chiede agli operai di votare a favore dell’incremento del proprio sfruttamento. Cominciamo a riutilizzare questa parola, che i precari già conoscono molto bene: sfruttamento. E come diversamente si può chiamare l’aumento di un turno alla settimana, la riduzione di 10 minuti delle pause, lo spostamento della mensa a fine turno, l’obbligo di 120 ore di straordinario (estendibili a 200 se l’azienda lo richiede), il non pagamento dei primi due giorni di malattia? Il tutto per un incremento mensile di poche decine di euro!
San Precario non può che essere contrario ad un simile accordo-capestro. Anche perché tutto questo ci porta a ciò che San Precario ripete come un mantra da alcuni anni. La condizione di precarietà è generalizzata; non riguarda solo chi è contrattualmente precario con un rapporto di lavoro atipico: riguarda anche chi ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Perché chiunque sa che basta un niente – una delocalizzazione, una ristrutturazione, una dichiarazione di stato di crisi (più o meno presunta) – a far sì che da un giorno all’altro un lavoro stabile si trasformi in lavoro precario. E la vicenda della Fiat ci ricorda che la precarietà non riguarda solo l’intermittenza di lavoro o il rischio di chiusura, ma anche le condizioni di lavoro e di salario.
Scrivemmo queste due righe per ringraziare tutti coloro che nei giorni successivi a quel 17 gennaio 2006 si erano stretti intorno ad Antonio, ai suoi cari e ai suoi compagni, in quei giorni di profondo dolore.
e’ passato un po’ di tempo, troppo poco…
un mese all’incirca dalla morte di Antonio. Da quel saluto collettivo che gli abbiamo dato direttamente dalla sua casa, dal suo spazio sociale, dal suo rifugio. Abbiamo dato vita ad una manifestazione pubblica del nostro dolore, abbiamo reso palpabile i nostri umani e profondi limiti di uomini e donne di fronte al dolore della finitezza umana.
Abbiamo incrociato molti sguardi in quell’ex cinodromo che per qualche ora e’ sembrato sospeso dentro un alone magico ed irriproducibile. Ci siamo stretti in tanti intorno ad Antonio senza convenevoli e senza molta retorica.
“…una cosa cosi’ si fa’ per i vivi e non solo per il morto…” e forse e’ proprio cosi’. vivi ma piu’ fragili poiche’ ancora tremendamente presi da gioia, pianto, riso, dolore, passione e miserie di questo mondo. Gli abbiamo dato un saluto enorme di profonda partecipazione insieme a tutte quelle compagne e a quei compagni che hanno voluto abbracciarlo senza rinunciare, nel produrre rito e simbolo, ai propri riferimenti culturali e politici. Abbiamo anche in questa occasione noi tutti tentato di affermare forme di vita altre rispetto a questo modello di societa’ della guerra globale che rifiutiamo in ogni suo aspetto. Anche li’ abbiamo chiuso il potere in un angolo, nessuno e’ venuto a celebrare la morte di Antonio. Non abbiamo avuto bisogno di chi ci somministrasse il rito attraverso forme laiche o ecclesiastiche di potere. Eravamo un cerchio ed anche Antonio ne faceva parte. Un cerchio di uomini e donne che non vogliono soccombere allo stato di cose presenti. Eravamo diverse generazioni a ricordare un ragazzo dalla storia molto particolare di questa italietta di magistrati zelanti e carceri speciali. Antonio era nato dentro una di queste carceri, figlio di militanti rivoluzionari che hanno pagato insieme ad altre migliaia di compagni la vendetta dello stato contro l’emergenza sociale e sovversiva di quegli anni. Una storia particolare che ha reso un clima unico intorno alla vita di Antonio cosi’ difficile e particolare. Una storia fatta di movimento, passioni, lotte, e tarde ore la notte. Una storia di vita coraggiosa e forse piu’ vissuta di tante altre indecise e superficiali. Antonio era estremamente generoso, ma soprattutto umano, oltre il bene ed il male, era pieno di contraddizioni, come ognuno di noi e non le nascondeva. Le porgeva con grande sincerita’ senza sfuggire le sue insicurezze, senza ammantarsi mai di chissa’ quale sovraumana dote, ma sempre affrontando la realta’ dentro quell’umano crinale di contarddizione e di limite.
E Antonio e’ morto lavorando e questo per noi dice molto. L’amore per lui diventa rabbia e desiderio di trasformazione. Antonio e’ morto svolgendo un pericoloso lavoro. come tanti altri ce ne sono. Faceva il pony a lunga percorrenza e tra una stressante chiamata e l’altra ha fatto un incidente mortale. Antonio e’ morto sul lavoro come all’incirca un migliaio di persone l’anno. e cosi’ la fredda statistica ha aggiunto il nome di un nostro fratello… e a questa mortifera consolazione non ci vogliamo piegare e rassegnare. Ora vogliamo trovare la forza che ancora ci sfugge per andare avanti, ma con quell’ enorme consapevolezza che sebbene pesi come un macigno puo’ darci essa solamente l’energia necessaria per affrontare aldila’ delle parole, la quotidianita’ nella sua complessita’.
Ora siamo solo sicuri che ci aiutera’ quell’alchimia che abbiamo nei nostri corpi, quell’alchimia che trasforma l’amore in rabbia e il rispetto in azione. Ora sentiamo piu’ forte di prima quella spinta propulsiva che per tanto tempo abbiamo condiviso con antonio. Ora a partire anche da come e’ morto, vogliamo saper rilanciare con quella lucidita’ che ancora ci manca, la capacita’ di riannodare le fila di un ragionamento che vogliamo continuare a tessere in questa metropoli di solitidini.
mandiamo un abbraccio forte a franca e a paolo, cosi’ come a tutte le compagne e i compagni che abbiamo incrociato in questi giorni.
quelli di Acrobax…
Qui di seguito il link alla pagina di Indymedia ed alle centinaia di commenti di vicinanza e solidarietà.
“Mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno
mai il loro potere; perché esse sono il mezzo per giungere al significato, e
per coloro che vorranno ascoltare, all’affermazione della verità. E la
verità è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese.”
Giovani e studenti senza futuro, precari, senza casa, cassaintegrati, immigrati, ricercatori e personale della scuola e delle università, popolazioni devastate dai rifiuti, dalla TAV, dalle basi militari, dalle inutili grandi opere, hanno finalmente preso parola, stanchi dei giochi di palazzo e di un potere che ormai si attorciglia su se stesso incapace di dare risposta a chi è stanco di essere sfruttato, cancellato, emarginato.
Cosa vi aspettavate dai bamboccioni? Era ovvio che prima o poi avrebbero fatto i capricci! Cosa vi aspettavate da coloro ai quali si dice che non avranno mai una pensione e se l’avranno non raggiungerà la soglia di povertà? Cosa vi aspettavate da chi vive senza una casa o con un mutuo che l’obbligherà ad indebitarsi per il resto della sua vita senza neanche sapere come lo pagherà? Cosa vi aspettavate? Una piazza del popolo sorridente e piena di palloncini e fischietti con i quali avete assopito i lavoratori italiani negli scorsi decenni?
Una nuova soggettività dentro la crisi sistemica della globalizzazione economica capace di ricostruire se stessa e ricomporsi sul terreno delle lotte, ha espresso la sua rabbia. Non saranno le inutili chiacchiere di chi si illude di rappresentare questa moltitudine che riusciranno a fermare la sua rabbia. Fino a che siamo rimasti sul tetto, fino a che ci si suicida, fino a che si sta su una gru la nostra volontà di essere ascoltati, di rivendicare il nostro diritto, si tramuta nel vostro pietismo. Giornali, tv e politicanti vari fanno la fila per salire su tetti e farsi intervistare.
Ma a quanto pare è quando si scende dal tetto e si occupano le strade e le piazze, è quando si esce fuori dalla logica della vostra falsa pietà e si rivendica la dignità che allora vi spaventate. Siamo scesi dai tetti, abbiamo ripreso il cammino nelle strade, ed abbiamo urlato più forte. I nostri corpi si sono mossi ed in movimento hanno agitato i vostri giorni tristi, la vostra politica calcolatrice, il vostro pietismo necessario ai vostri fini politici.
Ora è facile per voi trasformarci da precari, disoccupati, senza futuro, in black block, facinorosi, frange estremiste. La vostra miopia è pari alla vostra indifferenza verso le questioni sociali, ed è pari alla vostra astuzia per gli affari di famiglia.
Il passaggio da precario a facinoroso è tutto qui: finchè vi facciamo pietà non vi facciamo paura, è quando vi facciamo paura che non vi facciamo più pietà!
In queste ore stiamo assistendo ad un patetico tentativo di interpretare la giornata di ieri attraverso gli stereotipi e le categorie del passato che è miseramente destinato a fallire. Ieri si è affacciata nel panorama politico una nuova generazione del dissenso, non un gruppo di provocatori e di violenti. Que se vayan todos c’era scritto sui nostri striscioni e nei volti dei tanti giovani ribelli che ieri hanno costruito la cartolina da mandare in giro per il mondo di una Roma meticcia, Indipendente e Ribelle.
I movimenti quando si manifestano hanno come sbocco naturale l’autorganizzazione, il processo attraverso il quale possono costruire la propria storia e la propria identità, chiunque stupidamente cerca di “cavalcare” tali esperienze al massimo può svolgere un ruolo di “calmieratore” appositamente ricercato e voluto da chi, per conto dei padroni e del potere, gestisce l’ordine e regola i conflitti.
I movimenti indipendenti frutto delle contraddizioni e delle trasformazioni sociali e di classe debbono e possono trovare le proprie strade, i percorsi, immaginare una nuova fase del conflitto e dell’organizzazione sociale. Alla nuova soggettività in rivolta dovrebbe rimanere la capacità e la curiosità di confrontare le proprie idee, le proprie lotte sui livelli di un nuovo conflitto sociale che può e deve costruire la propria storia travalicando l’esistente e spazzando via le forme più o meno istituzionali della politica, così come le banalizzazioni attraverso gli stereotipi del passato che ad uso e consumo dei media ripropongono vecchi accostamenti con gli anni 70 che furono. La distanza dai partiti, dalle istituzioni, l’indipendenza e l’autonomia, è questo che fa paura e si deve criminalizzare, isolare e neutralizzare. Una nuova generazione precaria si affaccia dopo anni di trasformazioni del tessuto produttivo, dopo gli ultimi due decenni dove ogni istanza sociale e rivendicazione di nuovi diritti ha trovato davanti a sé il muro di gomma del potere, chiudendo ogni termine di mediazione, ogni spazio di avanzamento sociale.
Grida e rivendicazioni per troppi anni inascoltate producono la rabbia che ieri si è espressa. Cosa vi aspettavate? L’Italia è il penultimo paese in Europa per occupazione giovanile ed il 44% dei giovani occupati sono precari. Uno dei pochi paesi dove non vi è nessuna forma di protezione sociale per i disoccupati. Uno di quei paesi con il più alto tasso di mortalità sul lavoro e dove il lavoro nero è prassi di sfruttamento. Un posto in cui se sei disoccupato e ti dai fuoco forse ti fanno un trafiletto sul giornale locale. Un posto in cui la violenza alle donne, spesso in famiglia, è diventata prassi quotidiana. Uno di quei posti dove le carceri esplodono, con i morti sempre più giovani per mano delle forze dell’ordine, con veri e propri lager in cui stipare vite umane solo perché aventi un altro passaporto. Un posto in cui si muore di cancro perché si vive vicini ad una discarica, in cui il territorio è solo un altro luogo di affari e macerie, in cui si abbandonano città storiche all’incuria e alle macerie in attesa di una nuova cricca che dovrà fare i suoi affari per ricostruirla. Un luogo, il più ricco del mondo, in cui il patrimonio culturale va di pari passo al degrado delle periferie. Un luogo in cui per farsi ascoltare bisogna salire su tetti, sulle gru, occupare isole o piloni senza avere poi, come sempre, una soluzione ai problemi posti.
Ieri richieste chiare, necessarie come quella per il diritto alla casa, al reddito garantito, all’accesso alla cultura, alla formazione e alla libera condivisione dei saperi, ad un altro mondo in costruzione si sono espresse ed è per questo e contro questo che il potere politico vuole criminalizzare un mondo intero, un pezzo intero di società.
Queste parole, questi sogni e questi bisogni ieri hanno incendiato le barricate romane. Non i professionisti della violenza, ma quella fetta di società che subisce la vostra idea di comando e di mondo, ieri ha vomitato in massa, riempiendo di significato uno dei giorni più orribili di questo paese, a prescindere da come è andata in Parlamento. Il rigetto è nato nella pancia di questo paese schifosamente distrutto dalla politica di palazzo e dagli affaristi.
LA CRISI NON LA PAGHIAMO, LA CRISI VE LA CREIAMO è questo il nuovo confine, la strada del non ritorno tra chi vorrebbe proporre ulteriori sacrifici a difesa dell’attuale sistema economico proponendo fantomatici governi di transizione e chi si organizza giorno per giorno a difesa dei propri diritti e si ritrova con le nuove soggettività espressione di questa crisi epocale, nella mobilitazione gioiosa cosi come nella rabbia spontanea.
Chi riesce a seguire i mille rivoli attraverso cui si può esprimere questa nuova soggettività diffusa, così come si espressa nella giornata di ieri può contribuire a costruire una nuova stagione di conflitto. Chi si affanna a mettere bandierine o ad elargire commenti idioti sui “teppistelli”, “borgatari”, “ultras”, è destinato, pur sopravvivendo, a scomparire nel naturale flusso della storia.
Ed ora dunque è il tempo, di mettere insieme le forze, di riprendere il cammino…
Rete degli indipendenti * Acrobax Project * Coordinamento Lotta per la Casa
Immagini della manifestazione del 14 dicembre a Roma
Forze dell’ordine si accaniscono sui manifestanti:
Sull’orlo del baratro. Questa è la foto del nostro paese, della sua economia, della gestione delle sue poltiche economiche e sociali, delle proposte per affrontare i prossimi mesi, della quotidianità di migliaia di persone.
Uomini e donne che si trovano a sopportare la crisi che, da due anni a questa parte, è divenuta la narrazione del potere; la sua arroganza e i suoi muscoli sono rappresentati dalle mimetiche per strada, i manganelli alle manifestazioni, le porte chiuse in faccia delle istituzioni, ogni mediazione negata.
Chi rimane in questo paese si deve accontentare delle briciole: cassa integrazione, qualche bonus e tante parole. Chi rimane sono migliaia di giovani con contratti precari e nessuna garanzia, i più anziani con contratti indeterminati che diventeranno velocemente precari.
Lo stato sociale viene eroso giorno dopo giorno, taglio su taglio, infamità su infamità. La disoccupazione è arrivata a percentuali allarmanti, la crescita è ferma ad un decimo delle previsioni, il debito è inversamente proporzionale. Queste sono le macerie che dovremo portare sulle spalle
Que se vayan todos
Che succede il 14 Dicembre?
Si vota la fiducia di un governo responsabile in buona parte di tutto questo.
Si vota non per quell’ometto che rappresenta l’Italia peggiore e il peggioramento dell’Italia; si vota per un governo che ha demolito le garanzie nel lavoro, che taglia lo stato sociale, che chiude gli occhi davanti alla crisi. Un governo che sta distrugendo la formazione e la cultura e che somiglia tanto all’argentina degli anni ’90. E allora come dall’altra parte dell’oceano accadde qualche anno fa vogliamo dichiarare il nostro “Que se vayan toso”, “se ne vadano tutti, oggi”. Chi ha le responsabilità di questa situazione se ne faccia carico e vada via.
Governo di unità nazionale: lacrime e sangue
Ma il 14 vorremmo anche che un messaggio fosse chiaro. Un messaggio alle ipotesi di governo di unità nazionale, di solidarietà nascosta dietro ad una pretesa di moralità e legalizzazione istituzionale. Non siamo disponibili alle lacrime e sangue mentre le imprese si fanno scudo dietro alla crisi licenziando e precarizzando, ad una risposta per cui far pagare milioni di cittadini e cittadine precarizzando, ancor più la nostra vita; le proteste di questi ultimi mesi di lavoratori, migranti e studenti non sono uno spot elettorale ma rappresentano la richiesta di una trasformazione delle politiche economiche e sociali, la richiesta di garanzie sociali che garantiscano diritti e redditto per tutti/e.
Ci difenderemo dalla violenza del mercato, subdola, quotidiana e costante.
Esploda l’indipendenza: la nave dei folli.
Proviamo ad immaginare una narrazione che ci traghetti, in un tempo ed in uno spazio. Da sponda a sponda.
Una nave su cui imbarcare tutti i nostri sogni e desideri; tutte le nostre immaginazioni e analisi. Una stiva con molte storie di giovani e meno giovani, di migranti e nativi, di precarietà e diritti, di sfruttamento e ribellione, di partenza ed arrivo. Una nave dei folli.
Perhè la follia è il nostro stato per rivoltare la pazzia dello Stato fatto di politicanti e forti poteri imprenditoriali che con le parole descrivono un cielo sereno e celeste e che, in realtà, è solo un fondale che nasconde un buco nero: il futuro.
Ed è questa porzione temporale che non possiamo immaginare, semplicemente perchè si costruisce qui ed ora, nel presente.
E questo nostro presente è fatto di precarietà, di diffidenza, di battaglie collettive trasformate in grida solitarie; chi riesce con le unghie e con i denti a garantire diritti erosi giorno dopo giorno, parola dopo parola, ipocrisia dopo ipocrisia lo fa spesso nella solitudine, sotto la minaccia del tribunale e del manganello. Mentre le parole strumentali creano un sipario che nasconde le nostre vite.
Nasconde, dietro parole forgiate nel tempo del “moderno e post-industriale”, una tensione reazionaria, un ritorno agli ’50 (fate voi se del ‘900 o dell’800), senza reti né di salvataggio, né di solidarietà, né di lotta. Costruiscono paure sociali, capri espiatori su cui scaricare frustrazione quotidiane.
Ma la paura, quella vera, ce l’hanno loro: perdere il controllo, il profitto, il potere.
Per questo trasformano noi in pazzi che accettiamo di lavorare in condizioni di merda, con paghe irrisorie, spesso a rischio della vita stessa; noi che paghiamo affitti e mutui da capogiro; noi che facciamo ipotecare dal ghigno beffardo di qualche centinaio di amministratori delegati il sorriso di milioni di persone.
Ci trasformano in pazzi ancor più quando prendiamo parola, alziamo la testa, ci organizziamo. E a quel punto ci ospedalizzano, ci mettono in quarantena, ci rinchiudono perchè lontani dalla loro idea di democrazia e società civile.
Ed allora noi ci imbarchiamo: una nave dei folli che prendono in mano la propria condizione e rivendicano nuovi diritti. Che costruiscono la propria indipendenza come un percorso da conquistare.
Costruiamo il nostro vascello che si allontanerà dai porti del capitale e dello sfruttamento ed approderà in un territorio di conflitto e rivendicazione. Sogni che si fanno forza collettiva e indipendenza. Battaglie reali che conquistano metro dopo metro un’uscita dalla crisi che il sistema neoliberista ha costruito e continua perpetrare e, soprattutto, che vuole farci pagare.
Affermiamo la nostra carnevalesca follia per sovvertire la natura mortifera di un sistema.
Inaccettabile uso della forza contro la Fornace. Sosteniamo l’immediata risposta, difendiamo la nuova occupazione.
Il valore simbolico e materiale che per molte realtà territoriali in lotta contro le grandi opere e i grandi eventi ha assunto la presenza della Fornace sull’area destinata ai progetti di “valorizzazione” fondiaria legati a Expo 2015 nel comune di Rho, non può essere cancellato da un’operazione di polizia/pulizia dell’area occupata dallo spazio sociale impegnato fortemente nella denuncia delle finalità speculative che insistono su quel territorio.
Sono passati meno di due mesi dalle notizie dei veleni che inquinano aree destinate alla costruzione di alloggi, scuole e centri commerciali.
Gli amministratori locali, compreso il sindaco di Rho, si sono dimostrati poco solerti nel denunciare la criminalità di proprietari terrieri senza scrupoli, interessati solo al proprio profitto, mentre hanno preso molto a cuore la necessità di liberare l’area occupata dalla Fornace. Probabilmente i soldi promessi da chi deve speculare sono molti e nessuno vuole rinunciarci.
L’importanza di un’occupazione che intende restituire spazi e aree alla città come bene comune, strappando alla rendita metro dopo metro, ci coinvolge tutte/i. riteniamo che questa sia la modalità che impedisce materialmente ulteriore consumo di suolo e il saccheggio delle città, delle campagne, del paese e per questo siamo con le/gli occupanti della Fornace.
L’attacco subito ad una settimana dall’incontro fissato degli Stati Generali 2.0 è ancora più grave se immaginato come una sfida contro quelle realtà che dalla Val di Susa fino allo Stretto di Messina intendono esercitare una sovranità sociale sul suolo e sui territori dove viviamo.
Proponiamo di sanzionare a livello nazionale gli interessi di chi ha appoggiato, sostenuto, promosso lo sgombero della Fornace. Rilanciamo la necessità di vederci così come immaginato con la convocazione degli Stati generali nella sede più opportuna ma senza passi indietro.
Siamo con voi, diteci solo dove e noi ci saremo!
Comunicato di Movimenti per il diritto all’abitare di Roma, Generazione P, Abitare nella crisi
Lo sgombero.Questa mattina è stata sgomberata la Fornace di Rho. Spazio sociale che conoscevamo e con cui abbiamo condiviso la prima edizione degli Stati Generali della precarietà a Milano.
Con loro abbiamo costruito percorsi contro la precarietà e condiviso la nascita dei Punti San Precario, il ragionamento contro le speculazioni che vengono fatte sulle spalle dei cittadini, una sana resistenza in cui interi territori attivano una rete sociale e solidale.
E proprio questo ha condannato quest’importante esperienza; aver toccato gli interessi di chi, in Lombardia come nel resto d’Italia, fa affari privati utilizzando i beni comuni, partendo dalla Lega fino alla Moratti.
Storie di quotidiano conflitto tra il potere dei soliti speculatori e chi ne smaschera gli interessi.
Il 15 e il 16 gennaio, presso il centro sociale Sos Fornace di Rho, si sarebbero dovuti svolgere gli Stati Generali della Precarietà 2.0, spazio di relazione e attivazione nazionale di diverse reti e collettivi che agiscono contro la precarietà. Riteniamo una provocazione insopportabile un tale atto di forza. Le lotte dei precari non si fermano e siamo sicuri che gli Stati Generali saranno ancor più partecipati ed attraversati dalla rabbia di chi sta subendo quotidianamente la crisi.
Segno ancor più brutto è l’immediata demolizione della Fornace, volontà manifesta di cancellare non solo uno spazio fisico, ma una storia politica fatta di uomini e donne.
Siamo però sicuri che questo non accadrà, perchè i legami e le relazioni create in questi anni saranno più forti, perchè le lotte uniscono più dei manganelli, e le battaglie della Fornace riprenderanno con al loro fianco ancora più persone.
Noi sicuramente siamo al vostro fianco.
Comunicato di Acrobax Project
Inaccettabile uso della forza contro la Fornace. Sosteniamo
l'immediata
risposta, difendiamo la nuova occupazione!!
Il valore simbolico e materiale che per molte realtà territoriali
in
lotta contro le grandi opere e i grandi eventi ha assunto la
presenza della Fornace sull’area destinata ai progetti di
“valorizzazione” fondiaria legati a Expo 2015 nel comune di Rho,
non può essere cancellato da un’operazione di polizia/pulizia
dell’area occupata dallo spazio sociale impegnato fortemente nella
denuncia delle finalità speculative che insistono su quel
territorio.
Sono passati meno di due mesi dalle notizie dei veleni che inquinano
aree
destinate alla costruzione di alloggi, scuole e centri commerciali.
Gli amministratori locali, compreso il sindaco di Rho, si sono
dimostrati poco solerti nel denunciare la criminalità di
proprietari
terrieri senza scrupoli, interessati solo al proprio profitto,
mentre
hanno preso molto a cuore la necessità di liberare l’area
occupata
dalla Fornace. Probabilmente i soldi promessi da chi deve speculare
sono molti e nessuno vuole rinunciarci.
L’importanza di un'occupazione che intende restituire spazi e aree
alla città
come bene comune, strappando alla rendita metro dopo metro, ci
coinvolge tutte/i. riteniamo che questa sia la modalità che
impedisce materialmente ulteriore consumo di suolo e il saccheggio
delle città, delle campagne, del paese e per questo siamo con
le/gli
occupanti della Fornace.
L’attacco subito ad una settimana dall’incontro fissato degli
Stati
Generali
2.0 è ancora più grave se immaginato come una sfida contro quelle
realtà che dalla Val di Susa fino allo Stretto di Messina intendono
esercitare una sovranità sociale sul suolo e sui territori dove
viviamo.
Proponiamo di sanzionare a livello nazionale gli interessi di chi ha
appoggiato,
sostenuto, promosso lo sgombero della Fornace. Rilanciamo la
necessità di vederci così come immaginato con la convocazione
degli
Stati generali nella sede più opportuna ma senza passi indietro.
Siamo con voi, diteci solo dove e noi ci saremo!
Movimenti per il diritto all'abitare_Roma
Generazione P.
Abitare nella crisi
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