Due cose: da un lato il corteo , dall’altro il g8. La stampa, non avevamo dubbi, ha colto la palla al balzo per parlare di questa benedetta onda, fatta e rifatta, montata e smantellata, senza accennare ai contenuti del vertice. Cosa si saranno detti? Che avranno deciso? Non è dato saperlo. La cosiddetta informazione, sia essa di regime o meno tace, e con essa un Paese sempre più assopito. Rimangono le facce, le nostre, sbattute ormai neanche più in prima pagina al grido di “guardate che cattivoni” e le immagini dei corpi sempre più coperti delle forze dell’ordine. E’ chiaro come l’unico ordine che debba risultare è quello di chi decide, a porte chiuse, del destino di milioni di persone. Che decide, a porte chiuse, il destino del sapere, che dovrebbe essere cosa di tutti. E quelli che pretenziosamente si definiscono informatori gli fanno da pavidissimo contraltare: gli uni chiudono il sapere in gabbie ed in griglie, ingrigliando anche la passione che anima chi il sapere lo crea; gli altri fanno in modo che la ribellione a questa autocelebrazione del potere sembri grottesca e teppista. Da ingabbiare, da fermare, da mettere dentro senza neanche un buon motivo, solo per “prevenire”.
Noi li abbiamo visti. Mentre resistevamo alle loro cariche, in uno dei tanti modi che conosciamo per dar voce della nostra esistenza. Noi li abbiamo sentiti battere. Mentre colpo su colpo ci bombardavano di lacrimogeni e di gas venefici. Noi abbiamo letto le loro cazzate. Mentre fotografavano i nostri visi tesi nello sforzo. Noi sentiamo tutti i giorni il peso delle loro azioni, mentre loro ne hanno solo agi e prestigio. Eppure continuano a parlare di ciò che noi diciamo e facciamo, dipingendoci come residuati storici, pezzi di nulla, nullafacenti o sanguinari.
Il sangue, quello vero, scorre solo dalle ferite aperte sulla spalla di un ragazzo preso di mira da quattro fascisti, mentre muoveva la sua rabbia verso Torino. Il sangue scorre solo dai crani fracassati dalle manganellate, non l’abbiamo visto uscire dai caschi di poliziotti e carabinieri. Il sangue, quel poco che ancora ci anima, è il nostro, ed è l’inchiostro con cui scriviamo le nostre passioni.
Gli altri versino l’altrui.
Nulla da perdere se non le catene.
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