Al San Carlo, Premio Le Maschere del Teatro Italiano
LA PIOVRA
Sulla scena due file di poltrone a destra e due file di poltrone a sinistra. In fondo un pianoforte. Nessun sipario. Intanto in platea attori e registi si salutano, sorridono. S’intrattengono nell’attesa che lo spettacolo inizi. Le telecamere di Raiuno puntano gli ospiti, cercano sorrisi, volti felici. Alcuni sono seduti, sussurrano. Altri si sporgono dai posti. C’è qualcuno che cerca di mettersi in mostra. Ci si guarda intorno per essere guardati. In alto, sulle teste di tutti, gli affreschi del Teatro San Carlo restano fissi e immobili nella loro posa. Sembra che guardino altrove. Gradualmente il pubblico prende posto e fa il suo ingresso in platea il conduttore della serata, Tullio Solenghi. Le sue prime parole sono dedicate al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano salutato come “il salvatore della patria”. Lunghissimi applausi durante i quali le parole si inchiodano nella mente: “salvatore della patria”. Scrosciano lunghi e calorosi gli applausi. Poi inizia lo spettacolo vero e proprio. Vengono premiati i vincitori.
Il teatro indossa la sua maschera e va in scena la rappresentazione dell’eccellenza. Il fondatore del premio Le maschere del teatro è il regista Luca De Fusco, direttore del Mercadante, direttore del Napoli Teatro Festival Italia (durante il quale ha allestito L’opera da tre soldi di Brecht): sul palco siedono alcuni degli attori che hanno fatto il NTFI, che prenderanno parte alla prossima stagione del Mercadante (durante la premiazione spesso vengono ricordati gli appuntamenti del Mercadante e del NTFI). Una rete invisibile si distende sul palcoscenico. Il presidente del premio è Gianni Letta che doveva essere presente ma degli impegni politici lo hanno trattenuto a Roma. Impegni politici. (Finché non si è dietro le sbarre si è innocenti anche quando le accuse sono gravi come quelle di avere legami con la loggia P2, di aver violato la legge sul finanziamento ai partiti, di turbativa d’asta, di truffa: ecco il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, appassionato di teatro e braccio destro del presidente del Consiglio Berlusconi che dice al telefono “l’Italia è un paese di merda” perché indagato per molti crimini come prostituzione minorile, rapporti con la mafia, tangenti, conflitti d’interesse). I tentacoli. Gli affreschi in alto guardano decisamente altrove.
L’idea di una rete prende forma. L’obiettivo è quello di arricchirsi attraverso il teatro. Come farlo senza dare nell’occhio? Come legittimarsi? Più volte viene ripetuto che il teatro non è in crisi, che questo evento ne è la dimostrazione, che gli antichi fasti tornano a risplendere. La rete si allarga, i tentacoli cominciano a dimenarsi: indossare abiti eleganti, sfoggiare gioielli, profumarsi, costruire statuette, ripetere che il teatro rinvigorisce, ha lo scopo di far salire le quotazioni di una parte del teatro (simile ad un quadro da piazzare) ma finisce per essere solo fumo negli occhi e nascondere quanto di vacillante e precario avvolge il mondo del teatro. Ribadire che il teatro gode di ottima salute è pura retorica ed ha il chiaro intento di sostenere una precisa idea politica – una strategia della finzione (estranea alla scena) – secondo la quale il benessere del Teatro rispecchia il benessere dello Stato. Le parole si inchiodano nella mente: “il salvatore della patria”. Ma la Patria è veramente salva? Il teatro va veramente a gonfie vele? La salvezza è ancora lontana e gli affreschi volano sempre più in là guardando altrove.
Raiuno, poco dopo la fine della premiazione, manda in onda la serata di gala. E qui ci si accorge che i tentacoli sono lì che stringono. Durante la cerimonia intervengono i politici. Prima Luigi Cesaro, presidente della Provincia di Napoli, che sfoggia un pessimo italiano, un accento fastidioso e imbarazzante tanto che Solenghi non riesce a non fare una battuta: «ha mai fatto teatro lei?». L’altro candidamente risponde di no. Intervengono i politici: la presidente della Fondazione Campania dei Festival, Caterina Miraglia (assessore alla Cultura della Regione Campania), il commissario straordinario del Teatro San Carlo Salvatore Nastasi e la sovrintendente Rosanna Purchia. Luigi de Magistris, il neo-sindaco di Napoli,
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parla più di quanto la Rai trasmetta. Viene tagliato il suo discorso: un incitamento a partecipare per fronteggiare i persistenti problemi, a spingersi anche dove sembra impossibile arrivare. Tagliato. Poi è il turno di Stefano Caldoro, presidente della Regione Campania, anche lui tagliato ma accolto da Solenghi come novello San Gennaro per il merito di aver realizzato un miracolo: aver speso i fondi europei a vantaggio della cultura. Caldoro spiega che una parte dei fondi è stata utilizzata per portare a termine la ristrutturazione del Teatro San Carlo. La cultura tutta non risiede nelle travi di un teatro – anche se è il San Carlo – e fino a quando l’impegno intellettuale, artistico e politico si concentrerà prima di tutto su questo tipo di “edilizia culturale” allora il teatro sarà lontano dall’incidere nella società, sarà estraneo all’uomo. Gli affreschi in alto scompaiono: una voragine: i tentacoli della piovra. Nei tagli di Raiuno c’è qualcosa che va oltre le esigenze televisive: Vetrano e Randisi richiamano l’attenzione sulla necessità del teatro nella società e lanciano un appello contro i tagli ai sussidi di disoccupazione degli artisti (tagliato); Gifuni (oltre a ricordare Gadda e Pasolini) parla del suo monologo come di un’antibiografia della nazione, per comprende come è che siamo arrivati a questo punto, sostiene e ricorda il Valle ma tutte queste parole non arrivano in televisione (cancellate). Il teatro indossa la maschera per coprire il rosso della vergogna.
Le parole messe in scena sul palco del San Carlo non sono credibili: il difetto è nella macchina che muove l’ingranaggio di questi eventi. Come poter credere alla onestà di intenti, alla validità di questo premio (nulla da dire sui finalisti) se i fili sono mossi da quella stessa classe politica che ha affossato il nostro paese in maniera devastante, da quella stessa mentalità tipica degli imprenditori-politici molto abili nell’appropriarsi di tutto, anche di quelle poltrone che non gli competono? Come può essere credibile un premio il cui presidente è stato implicato in appalti, tangenti, massoneria? Come può recuperare la sua credibilità il teatro se non ha il potere di chiudere le porte a certe personalità? Organizzare dei premi per il teatro non può che fare bene alla città ma non in questo modo, non con questa politica. Gli affreschi sembrano chiudere gli occhi per riaprirli solo quando tutta la sala sarà di nuovo vuota.
Nonostante questa serata di gala, il teatro continua ancora ad aver bisogno di fondi che siano permanenti per poter andare avanti. Innumerevoli sono le compagnie che non hanno spazi dove provare. Sempre più irrisori sono i compensi per gli spettacoli (di qui il proliferare di monologhi e scene nude). Bisogna essere poveri. I soldi non girano ma restano nelle mani di pochi per essere sprecati nel lusso (non serve alla cultura “la mentalità da grandi opere” come il ponte sullo stretto di Messina). C’è bisogno di una ridistribuzione della ricchezza: alcuni splendidi spettacoli non possono andare in scena perché costano “molto” mentre altri spettacoli di qualità inferiore godono di lauti appoggi economici perché sostenuti dai potenti di turno. Nelle mani di De Fusco, fondatore del premio, direttore del Mercadante, direttore del NTFI, migliaia di euro che avrebbero potuto finanziare molte compagnie e molti spettacoli: perché assegnare 720 mila euro per un’opera teatrale di cui si è registi nel festival di cui si è direttori ricordando, durante la serata del Premio di cui si è fondatore, la propria presenza nel cartellone della prossima stagione del San Carlo dove si è ospitati? La logica del conflitto d’interessi non sembra essere qualcosa di eticamente scorretto. Perché non usare i fondi pubblici per far nascere nuove realtà, per sostenere quelle in difficoltà? Per incentivare la sperimentazione e la ricerca dei possibili linguaggi teatrali? È qui che il teatro fallisce: purtroppo non basta regalare una maschera per salvarlo né per nasconderne l’infezione.
La sala è sgombra, le poltrone sono vuote: non è questo tutto il teatro, non è in queste occasioni. Gli affreschi aprono gli occhi, guardano lontano. Il teatro è altrove.
Fabio Rocco Oliva
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