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Sembra una forzatura eppure Parco Lambro resta probabilmente il documento più importante, estremo e attuale sul lavoro/contro il lavoro in Italia. Non è ambientato in fabbrica né tra i colletti bianchi, non ci spiega il salto della scocca o il metodo di assenteismo più efficace. Anzi parla discute e litiga di tempo libero, di gay, lesbiche e femministe stufe di tutto, di concerti, di rock, di erba, di festa lisergica, di danze della pioggia, di psicoterapia di gruppo, di poesia collettiva, di disoccupazione come risposta dello stato e dei sindacati alla fuoriuscita dal lavoro coatto e dai valori rispettabili, e senza nemmeno avvertire; di Castaneda e di sogni lucidi, di squattrinati che forse moriranno di Aids o di overdose così, l’ennesima trappola concentrazionaria, il luogo di alienazione più subdolo (perché di estrema sinistra) divenne un momento di “comunismo” intuito, goduto e, per fortuna, subito decomposto in cerca di qualcosa ancor più libertaria e chic: la prefigurazione di un futuro dispiegato nel quale si può lavorare meno e comunicare meglio con tutti.