Agorà per il reddito – 20 ottobre a Milano

Il mondo è cambiato, il lavoro è cambiato, le nostre vite sono cambiate, eppure ancora oggi c’è chi canta “chi non lavora non fa l’amore”. Come se la precarietà fosse un vezzo e non una selva oscura che avvolge un numero sempre maggiore di persone. Ma chi ha detto che non c’è denaro per un reddito di base per tutte e tutti, per chi non lavora, per chi lavora ma non guadagna, per chi non lavora abbastanza, per chi cerca lavoro, per chi non ha la pensione, per chi si sta formando, per chi sta seguendo i suoi desideri? Abbiamo fatto i conti e sappiamo che anche in Italia, unica con la Grecia a non avere un reddito di base, si può fare. Siamo solo noi che non abbiamo vita regolare a non avere accesso ad ammortizzatori sociali pensati mezzo secolo fa, come la cassa integrazione e la disoccupazione che aiutano solo alcuni e in modo blando. Ma abbiamo poco tempo e troppa fame: è ora che anche in Italia ci sia il reddito di base, uno strumento universale che sostenga il reddito e dia continuità ai diritti di tutti quelli che cercano un centro di gravità permanente.

Sabato 20 ottobre alle 15 vi invitiamo alla AGORÀ PER IL REDDITO, ospitata da Macao a Milano: una piazza aperta per confrontarci sul reddito di base, di cittadinanza, garantito, sui diritti di un nuovo welfare e sui modi per ottenerli. Vogliamo creare uno spazio di democrazia, dibattito e partecipazione che travalichi le piazze virtuali, le pagine dei giornali e i riti delle burocrazie di partito. Vogliamo che le esperienze, i dubbi, le proposte e le idee prendano forma concreta attraverso la parola di tutti. Un momento di confronto in cui le nuove idee non vengano considerate utopie fastidiose o siano stroncate sul nascere da chi vuole preservare lo status quo della precarietà.

Il 26 ottobre invece chiederemo conto agli esponenti della politica del perché il reddito non venga introdotto, in un paese dove solo un disoccupato su quattro riesce ad accedere agli ammortizzatori e dove più della metà dei contratti sono precari. Non accetteremo le solite risposte retoriche ma sfideremo a singolar tenzone i politici sulle contraddizioni delle scuse che usano per lasciarci nella situazione in cui siamo. La politica deve prendere in considerazione le idee, le proposte e gli interessi delle generazioni precarie.
Parteciperanno:

  • Giorgio Airaudo, segreteria nazionale FIOM
  • Maurizio Zipponi, responsabile del settore lavoro dell’Italia dei Valori
  • Giovanni Di Corato, coordinatore Forum Economia Lavoro e Finanza di Sinistra Ecologia e Libertà
  • Emilio Gabaglio, Presidente Forum Lavoro Partito Democratico

Sabato 20 ottobre ore 15: Agorà per il reddito. Macao, viale Molise 68, Milano

Venerdì 26 ottobre ore 21: San Precario vs. i politici. Casa della cultura, via Borgogna 3, Milano

Hashtag Twitter: #redditoxtutti

San Precario Milano – www.precaria.org

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Contro il caro biglietto scende in campo Robin Hood

Oggi si è riaperta ufficialmente la stagione della lotta al caro biglietto con un’azione iniziata a Molino Dorino – fine tratta urbana – e terminata alla Fiera di Rho durante ilMacef con tanto di tafferugli voluti dalle guardie dello sceriffo di Nottingham – alias Enrico Pazzali – che hanno impedito l’accesso ai precari della foresta di Sherwoodimpedendo la consegna del mega assegno da 1 milione di euro che l’amministratore di Ente Fiera avrebbe dovuto firmare per contribuire all’auspicato fondo pubblico per la mobilità che permetta l’allineamento delle tariffe. Vedi la decisione di Cinisello Balsamo che ha stanziato 150.000 euro. Esigenza riconosciuta anche dai sindaci di Rho e Pero.

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600 euro al mese garantiti per tutte e tutti

Semplice e dirompente: 600 euro al mese per disoccupati e precari che non raggiungono i 7200 euro all’anno. Qualche giorno fa è stata presentata una proposta di una legge di iniziativa popolare per istituire il reddito minimo garantito anche in Italia. Il testo della proposta di legge è stato scritto con il supporto del BIN-Italia (Basic Income Network), un’associazione che da anni si batte per introdurre anche nel nostro paese una misura di welfare presente in tutta Europa tranne che in Italia e in Grecia. La proposta è sostenuta da un comitato aperto e trasversale, che vorrebbe replicare quanto avvenuto per i referendum sull’acqua e sul nucleare e che vede la presenza di movimenti, associazioni, partiti e sindacati: da Tilt al Popolo Viola, dal Bin ad Antigone, da Emmaus fino a Sinistra Ecologia e Libertà. Per presentare la legge di iniziativa popolare occorrono 50.000 firme da raccogliere entro la fine del 2012.

Come San Precario Milano abbiamo deciso di partecipare a questa iniziativa perché riteniamo che una misura di sostegno a chi ha perso il lavoro, a chi è disoccupato, a chi passa da un contratto all’altro, a chi cerca lavoro, sia uno strumento importantissimo per combattere la precarietà. Da sempre chiediamo un reddito di base, e crediamo che anche questa campagna sarà importante per mettere il reddito al centro del dibattito politico. Tanto per dire, non è accettabile che ministri come Fornero liquidino una proposta seria e accettata in tutta Europa con la motivazione offensiva “con il reddito gli italiani starebbero tutti a casa a mangiare pasta al pomodoro”. Il reddito garantito è una misura serissima e non una boutade da trasformare in barzelletta: i nostri “tecnici” che hanno studiato in Europa dovrebbero saperlo bene. Eppure la resistenza ideologica a una misura di welfare di questo tipo è ancora fortissima.

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Apre l’osservatorio permanente degli educatori

dalle 19.30 alle 22.00 tutti i giovedì
al F.O.A. Boccaccio in via Rosmini, 11 – Monza Brianza –

C’è una storia scritta dal subcomandante Marcos dell’ EZLN che narra della creazione del mondo. La storia è molto bella ma qui, per spazio e necessità vi basti sapere che gli dei che crearono il mondo lo lasciarono incompiuto, decisero di non finirlo, non per noia o pigrizia, ma perché anche gli uomini potessero contribuire all’opera.
La storia è citata in “Infanzia e Filosofia” di Walter Kohan (Morlacchi Editore) e sebbene si presti a molteplici riflessioni, può essere una buona metafora per l’educazione che mai si compie per intero e che necessita di due soggetti solidali tra loro per realizzarsi.

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Reddito, diritto al minimo

lettera43.it – 03 Dicembre 2011

La proposta Fornero costerebbe 8 miliardi.

Reddito minimo garantito. Le tre paroline magiche sono risuonate nella bocca del ministro del Welfare, Elsa Fornero, che ha deciso di dare una speranza agli italiani, ormai consapevoli che il governo più che riempire le loro tasche le svuoterà. Davanti agli entusiasmi, Fornero ha però precisato che la sua è una «preferenza personale che non impegna il programma del governo». Per ora comunque la proposta è stata fatta. E potrebbe essere rivoluzionaria.

UN DIRITTO PER LA COMMISSIONE EUROPEA. Anche solo per il fatto che l’Italia è l’unico Paese insieme con Grecia e Ungheria a non avere questa misura. Nonostante fin dal 1992 la Commissione europea abbia adottato una risoluzione (n. 441) in cui è stato definito il reddito minimo garantito (la disponibilità delle risorse minime necessarie per vivere una vita libera e dignitosa) come un diritto sociale fondamentale. E abbia esortato gli Stati membri a istituire un quadro giuridico che garantisca questo diritto.
Il Parlamento europeo ha più volte sottolineato l’urgenza che tutti gli Stati membri introducano schemi di garanzia del reddito minimo (detto anche reddito di cittadinanza, reddito di esistenza, renta minima, basic income), per coloro che sono a rischio di esclusione sociale: giovani in attesa di prima occupazione, disoccupati e persone in condizione di marginalità, attribuendo a ognuno almeno il 60% del reddito medio riferito a ciascun Paese (oltre a misure aggiuntive come aiuti o tariffazioni agevolate per gas, luce, affitti e trasporti o per spese straordinarie e urgenti).

Dai 613 euro del Belgio ai 1.044 del Lussemburgo

Nei altri Paesi europei è applicata a tutti i disoccupati che hanno compiuto i 16 anni (l’unica eccezione è rappresentata dalla Francia, per la quale l’età minima per il diritto al reddito è 25 anni). Esistono inoltre integrazioni per chi svolge un lavoro il cui salario risulta inferiore ai parametri minimi per la conduzione di un’esistenza al di fuori della povertà, come per esempio i Paesi scandinavi o il Lussemburgo.

Le cifre base variano di Paese in Paese: circa 613 euro in Belgio, 425 in Francia, 645 in Irlanda, fino ai 1.044 del Lussemburgo.
BASIC INCOME NETWORK. In Italia, per ora, non c’è. Ma a studiare, progettare e promuovere interventi indirizzati a sostenere l’introduzione di un reddito garantito sono i sociologi, gli economisti, i filosofi, i giuristi e i ricercatori del Basic income network Italia, che da anni definiscono la misura «imprescindibile per costringere gli Stati e gli organi dell’Unione europea a una gestione della crisi economica internazionale improntata all’equità e alla giustizia sociale».
Tra questi c’è Andrea Fumagalli, docente di Economia politica all’università di Pavia, che raggiunto da Lettera43.it ha definito la proposta della Fornero un «grande passo avanti», rispetto soprattutto al silenzio assordante che in questi anni è risuonato nella stanze del governo.

Il ritardo italiano a causa del boicottaggio dei sindacati

«Finora non se n’è mai parlato perché non c’è mai stata la volontà politica di affrontare il problema», commenta l’economista. Nonostante dal punto di vista economico ci siano stati molti studi che hanno dimostrato la validità della misura, «si preferisce ancora una struttura di ammortizzatori sociali molto differenziata che viene gestita a livello corporativo».

L’OBBLIGO DI INTERMEDIAZIONE POLITICA. Gli ammortizzatori infatti, dai sussidi di disoccupazione, alle liste per ottenere l’indennità di mobilità e fino alle varie forme di cassa integrazione, «richiedono una intermediazione politica, invece il reddito minimo garantito no».
Il timore dei sindacati, degli enti bilaterali e territoriali «di perdere il loro potere di veto nel determinare l’accesso agli ammortizzatori» ha quindi determinato questo ritardo rispetto al resto d’Europa. Anche se negli ultimi tempi una parte del sindacato, come la Flc-Cgil (Federazione lavoratori della conoscenza) o i metalmeccanici della Fiom si sono espressi a favore, resta il fatto che la misura è stata per anni boicottata per interessi di parte, che poco hanno a che vedere con il bene dei lavoratori.

Basterebbero 8 miliardi per attuare la misura

Non si spiega altrimenti il ritardo su una misura che garantirebbe a più persone un reddito minimo. Secondo Fumagalli le attuali forme di sostegno al reddito in caso di perdita involontaria del posto di lavoro riescono infatti «a coprire meno del 25% delle persone che si trovano in questa situazione e quasi tutto il mondo del precariato ne è escluso».
UNA POLITICA DI ASSISTENZA AL REDDITO. Un limite a cui si aggiunge che in Italia manca qualsiasi distinzione tra politiche di previdenza e di assistenza al reddito. «Queste ultime dovrebbero essere invece finanziate con la fiscalità generale dello Stato anziché essere parzialmente coperte con il bilancio dell’Inps», osserva Fumagalli.
Inoltre molti hanno sempre rifiutato l’idea di elargire un reddito minimo garantito per una questione di cassa. Ma in realtà quanto costerebbe una misura di questo genere?
GARANTIRE IL MINIMO DI 600 EURO AL MESE. Nel numero uno della rivista Quaderni di San Precario gli economisti hanno fatto una stima secondo la quale arrivare a garantire a tutti i residenti in Italia un livello di reddito pari alla soglia di povertà relativa (che è di circa 600 euro al mese, con variazioni a secondo della regione), richiederebbe al massimo 25 miliardi di euro.
«La misura però», sottolinea Fumagalli, «sostituirebbe una serie di aiuti frazionati che già lo Stato stanzia per una cifra di circa 15 miliardi». Quindi facendo i conti, il costo netto sarebbe «di 7-8 miliardi di euro, una cifra abbastanza abbordabile».

Come funziona negli altri Paesi

Finora nei Paesi europei la forma di intervento di reddito minimo è di tipo condizionato, «ovvero chi accede a queste misure deve in qualche modo contro ricambiare o attraverso l’obbligo di accettazione di una forma di lavoro, qualunque essa sia, o accettando percorsi di formazione per far sì che la sua condizione precaria raggiunga livelli di stabilità», racconta Fumagalli, «Un modello a cui si ispirerà anche Fornero».

Ma l’economista suggerisce invece un modello incondizionato. Secondo Fumagalli bisogna infatti tener presente «che oggi viviamo in un mondo in cui la distinzione tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro è sempre più difficile da definire anche quando si ha un contratto».
LE ATTIVITÀ PRECARIE NON REMUNERATE. Ci sono poi tutta una serie di attività soprattutto precarie, come lo stage, che addirittura non vengono remunerate. «Prestazioni produttive di valore che non sono certificate come attività lavorative e questo è un problema». Ecco perché per Fumagalli le forme di garanzie di reddito dovrebbero essere non condizionate per evitare che non venga riconosciuta quella capacità produttiva eccedente.
In Francia, per esempio, «il reddito minimo garantito viene dato a prescindere dalla condizione professionale, non solo ai disoccupati», spiega, «ma deve essere accompagnata dal salario minimo per evitare l’effetto dumping», spiega Fumagalli.
FISSARE UN MINIMO SALARIALE ORARIO. Un modello, quello francese, che l’Italia potrebbe prendere a esempio, «serve però un intervento legislativo che stabilisca che un’ora di lavoro non può essere pagata meno di un certo tanto». Il rischio è infatti che chi ha un reddito minimo ma non un salario minimo, diventi vittima del datore di lavoro che può abbassare il costo della prestazione richiesta approfittando del fatto che il lavoratore ha già il reddito minimo dato dallo Stato.
In Italia però questa misura non esiste «per l’opposizione dei sindacati che hanno sempre sostenuto che se venisse fissato un salario minimo questo toglierebbe importanza ai contratti collettivi di lavoro», spiega Fumagalli.
Ma questo aveva un senso quando i contratti collettivi coprivano la stragrande maggioranza delle prestazioni lavorative e decidevano quindi il salario minimo, «ma visto che oggi abbiamo la metà della forza lavoro che non è contrattualizzata, specie nel terziario, non ha senso».

Meglio studiare un modello di “secur flexibility” anzichè di “flexsecurity”

San Precario imperversa in Rete. Dal 2004 il santo patrono di sfrattati, poveri, sottooccupati, sfruttati, ricattati, Co.Co.Co, assunti non in regola e dipendenti a termine è diventato il punto di riferimento per molti lavoratori.San Precario imperversa in Rete. Dal 2004 il santo patrono di sfrattati, poveri, sottooccupati, sfruttati, ricattati, Co.Co.Co, assunti non in regola e dipendenti a termine è diventato il punto di riferimento per molti lavoratori.

Infine se mai la misura sarà inserita nel programma del ministero del Lavoro, bisognerà riflettere sul fatto che sarà controbilanciata da interventi di ulteriore flessibilità del mercato del lavoro attraverso la logica della flexsecurity «che prevede una prima fase di flessibilizzazione del mercato del lavoro in modo da aumentare la competitività delle aziende e generare quel reddito necessario per finanziare la sicurezza sociale. «Un meccanismo che ha funzionato in alcuni a Paesi come la Danimarca dove però c’è un contesto produttivo diverso».
PRIMA LA SICUREZZA, POI LA FLESSIBILITÀ. In Italia sarebbe invece più utile parlare di «secur flexibility», dice Fumgallli, ovvero flessibilizzare il mercato del lavoro solo dopo aver garantito la sicurezza sociale attraverso forme di reddito minimo. Un processo che metterebbe in moto un circolo virtuoso, «Invece in Italia negli ultimi 20 anni si sono fatti processi di flessibilizzazione rimandando a dopo il tema della sicurezza sociale e la riforma degli ammortizzatori».
La scusa è sempre stata la stessa: mancano i soldi, c’è il debito pubblico, servono politiche di austerity. «Così abbiamo creato solo un circolo vizioso per cui la produttività viene messa a rischio da un eccesso di precarizzazione del lavoro e questo ha minato anche la capacità di accumulazione, ritorcendosi contro lo stesso capitalismo».

 

di Antonietta Demurtas