Oltre la vetrina e la repressione: chi ha devastato e saccheggiato Milano?

 

Un contributo a nemmeno un mese dalla chiusura dei cancelli di Expo 2015

A soli 10 giorni dalla chiusura in pompa magna di Expo 2015, salutato ovviamente come “un trionfo”, il premier Matteo Renzi è calato a Milano per presentare alla città il progetto per il futuro dell’area dove si è svolta l’Esposizione. Un’ambiziosa proposta capace di coniugare medicina di precisione, genomica, big data, alimentazione, robotica, nanotecnologie, sostenibilità, “tecnologie per il welfare” e che metta al centro l’uomo e il miglioramento della vita in tutti i suoi aspetti. Questo progetto, permeato dalla “Italy 2040 vision” e perciò “simbolo di un nuovo umanesimo”, si chiamerà “Human Technopole” e avrà le sembianze di centro multidisciplinare di ricerca con 1600 scienziati.

In questa scintillante narrazione il premier ha trovato il tempo anche per un accenno alle “devastazioni del 1 maggio”, frattura subito ricomposta grazie al gesto di alto civismo dei milanesi che, spugnette alla mano, hanno cancellato, assieme agli imbrattamenti, ogni critica all’Esposizione.

L’accenno del premier, con tempismo svizzero, si è materializzato un paio di giorni dopo con dieci provvedimenti di custodia cautelare e cinque denunce a piede libero comminate ad attivisti milanesi e greci per i fatti del 1 maggio. L’accusa più grave è quella di devastazione e saccheggio, norma di derivazione fascista che prevede fino a 15 anni di carcere. Non si tratta che dell’inizio: sono attesi nei prossimi mesi altri provvedimenti repressivi, visto che gli inquirenti informano di esser già in possesso di “profili genetici consolidati” (il riferimento è alle tecniche di “DNA profiling” a cui ci si è avvalsi nelle indagini) su cui insistere per consegnare i colpevoli di tale scempio alla giustizia.

Riteniamo questa narrazione non priva di elementi tossici, a cominciare dall’evidente semplificazione che vede contrapposti i luminosi destini dell’Italia renziana, salutati dal trionfo internazionale dell’Esposizione, alla barbarie No Expo fatta di devastazione e saccheggi. E’ bene incominciare a introdurre elementi che forzino la gabbia entro la quale è stata confinata, a maggior ragione dopo il 1 maggio, l’opposizione al grande evento. La stessa gabbia dentro la quale oggi viene rinchiuso chi ha partecipato al corteo del 1 maggio. La ripartenza delle lotte, l’opposizione sociale a quanto Expo rappresenta oggi, a cancelli chiusi, nell’Italia renziana e, più in generale, nel disegno capitalista, è il primo passo, la conditio sine qua non per riuscire a strappare le compagne e i compagni alla repressione.

Facciamo qualche passo indietro, ma solo per prendere la rincorsa. Agli antipodi della narrazione renziana, un ventaglio di realtà ha descritto Expo 2015 come un grande laboratorio di debito, cemento e precarietà che anticipa il paese di domani. Riteniamo che quelle fossero indicazioni corrette: alcune di quelle declinazioni, ben lungi dall’esser archiviate, gravano sul presente e sul futuro del nostro territorio e delle nostre esistenze.

La colata di cemento ha inghiottito una delle poche aree verdi polmone che esistevano tra la città e l’hinterland di Milano, per garantire una speculazione edilizia sui terreni dove poi sarebbero sorti i padiglioni dell’Esposizione. L’ombra lunga di quella compravendita si proietta ancora sul futuro dell’area, anche se Renzi ha avuto buon gioco a non insisterci troppo nel suo show al Piccolo. Expo ha dato inoltre impulso alla realizzazione di inutili grandi opere viabilistiche, come TEM e Bre.Be.Mi, autostrade deserte che divorano soldi pubblici giorno dopo giorno.

La precarizzazione e lo sfruttamento intensivo di una generazione ha avuto in Expo un suo snodo di primaria importanza, a cominciare dall’istituzione del lavoro gratuito, vera spina dorsale occupazionale dell’evento. In termini di perfezionamento dei meccanismi di sfruttamento, si tratta di un notevole salto qualitativo, a cui si sono affiancate più consuete accentuazioni sul piano quantitativo. La commistione tra questa dimensione e la governance commissariale, i “superpoteri” accordati in deroga alle leggi vigenti in virtù della rilevanza strategica nazionale assegnata al grande evento, ha prodotto una sorta di legislazione speciale a cui sono stati sottoposti anche i lavoratori (è il caso dello “screening di sicurezza” – con annesso “background checking” politico – a cui sono stati costretti gli addetti del sito espositivo); uno “stato d’eccezione” che ha investito tutta la città (si pensi alla sospensione di fatto del diritto di sciopero e il continuo ricorso alla precettazione dei lavoratori Atm) e che ha tutta le potenzialità per sopravvivere alla morte naturale di Expo e farsi quindi norma generale, soprattutto in tempi di “War on terror” montante.

Proprio nel giorno in cui i due principali quotidiani nazionali, generosamente finanziati da Expo, erano impegnati nello sbattere letteralmente il “mostro No Expo” in prima pagina, pubblicando le foto e i nomi degli arrestati , apprendiamo dell’esistenza di un buco nel bilancio di Expo quantificabile “tra i 400 e i 500 milioni” di Euro. Visto che il grande evento si è basato sul lavoro non pagato dei “volontari”, la cosa ha davvero dell’incredibile e la dice lunga sulle capacità imprenditoriali viste all’opera in questi 6 mesi. Un buco non appianabile nemmeno attraverso la speculazione sui terreni: è dunque il debito il vero lascito duraturo dell’Esposizione, ipoteca sul futuro che con ogni probabilità verrà occultato attraverso un magheggio governativo e azzerato grazie all’intervento di Cassa Depositi e Prestiti a metterci la liquidità necessaria.

Ecco dunque che, al di là degli exploit da imbonitore di Renzi, alla cui narrazione sono funzionali i villains No Expo, emerge il fallimento dell’Esposizione universale, un evento creato ad arte per generare soldi pubblici da distribuire, secondo un ben oliato meccanismo di spartizione legale e illegale, alla solita cricca di speculatori, affaristi e mafiosi. Chi è stato colto con le mani nel sacco, è stato poi redarguito per dimostrare che “i controlli funzionano”, senza però dimenticare una certa “sensibilità istituzionale” con cui il tutto è stato gestito.

Expo 2015 è stata dunque un’occasione imperdibile per fare affari milionari depredando i territori e scaricando su di essi decisioni calate dall’alto e nocività, oltre che una ben precisa idea di città e governance i cui sviluppi sul piano politico possono esser colti seguendo le fasi della campagna elettorale milanese con l’arruolamento del dominus Sala tra le file del “Partito della Nazione”, che qualcuno ha efficacemente nominato “Partito di Expo”.
Da queste giornate che seguono la fine dell’Esposizione, oltre la vetrina renziana e la repressione, si conferma dunque un’opera scientifica di predazione dei territori secondo le direttrici del debito, del cemento e della precarietà. A nemmeno un mese dalla chiusura del cancelli, la vera domanda allora potrebbe essere: chi ha davvero devastato e saccheggiato Milano?

Centro Sociale SOS Fornace (Rho)

 

Articoli Correlati:

  1. Dietro la vetrina di Expo 2015
  2. Per i pendolari di Rho oltre al danno la beffa. Tolgono i treni, ma si paga la tariffa per milano Centrale
  3. Presidio e… pedalata irriverente contro la città vetrina: sabato 2 febbraio h. 15 @ P.zzale Cadorna, Milano