COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI,
DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E
1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E
DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
COMITATO PARITETICO
INDAGINE CONOSCITIVA
Seduta di martedì 28 agosto 2001
Audizione del prefetto Ansoino Andreassi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca,
nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione
del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del prefetto Ansoino
Andreassi.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
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La pubblicità delle sedute del
Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli
65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione
stenografica della seduta. La pubblicità dei lavori è garantita, salvo
obiezioni da parte dei componenti il comitato, anche mediante
l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente
alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Comunico
che il prefetto dottor Ansoino Andreassi chiede di essere accompagnato
dal dottor Giovanni Costantino, vicequestore aggiunto della Polizia di
Stato, in servizio presso la segreteria del prefetto. Se non vi sono
obiezioni, rimane così stabilito.
Dottor Andreassi, nel
ringraziarla, devo anche farle presente che noi, purtroppo, essendo
ormai le 19.30, abbiamo ritenuto di chiederle se cortesemente di
limitarsi a leggere per questa sera o se preferisce a darci conto della
sua relazione. Rinvieremo poi a domani mattina alle 9, se le è
possibile, il prosieguo dell'audizione, che consisterà nelle domande da
parte dei componenti il Comitato e nelle sue risposte, cercando di
concludere il tutto verso le 11,30. La ringrazio ancora, anche a nome
di tutti i componenti il Comitato.
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto.
Ringrazio lei, signor presidente, e tutti i membri del Comitato per
l'opportunità offertami di relazionare sui fatti di Genova, avuto
riguardo all'incarico di vicecapo della polizia vicario che ricoprivo
in quel periodo ed ai particolari compiti che mi vennero affidati per
la circostanza. Tenevo molto a questo appuntamento per esprimere le mie
valutazioni e le mie idee su temi così gravi e allo stesso tempo così
coinvolgenti e per offrire ogni possibile
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contributo alla comprensione di quella
che si delinea sempre più come una fase fortemente significativa del
nostro tempo, non solo sotto il profilo della sicurezza, ma sotto
quello delle dinamiche sociali di maggiore rilevanza. Mi sembra allora
necessario per prima cosa spiegare bene quali incarichi mi furono
conferiti in relazione al G8 ed in quali tempi. Tutto ciò non
nell'ottica di assumere subito un atteggiamento difensivo ma per una
questione di metodo e per mettere il Comitato al corrente di
particolari, credo, finora non acquisiti, utili a formare giudizi, i
più completi e documentati possibili, sui meccanismi della gestione
dell'ordine pubblico. Non mi limiterò certamente a ciò, ma, dopo aver
spiegato sinteticamente cosa ho fatto in concreto a Genova, sottoporrò
al Comitato alcune mie considerazioni sull'impostazione dei servizi e
soprattutto sui comportamenti dei manifestanti ed anche delle forze di
polizia. Spero mi consentirete, infine, di fare delle valutazioni,
anche in prospettiva, come del resto hanno fatto i miei colleghi, sulle
componenti radicali del movimento antiglobalizzazione. In ciò, forse,
sarò un po' ripetitivo rispetto a quanto detto dai miei colleghi ma il
taglio sarà leggermente diverso...
MARCO BOATO. Poi ci lascia la relazione...
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Certamente, anche con alcuni allegati.
Come
cercherò di spiegare, riferirò sulla infiltrazione - oserei definirla
in molti casi parassitaria - di gruppi violenti e di formazioni
eversive in quel movimento e ciò sulla base anche della mia lunga
esperienza nella lotta all'eversione e al terrorismo iniziata a Padova
nel 1977 e culminata poi nella direzione dell'UCIGOS dal 1997 allo
scorso gennaio.
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Riprendo allora il discorso
dall'inizio per ricordare che, nominato vicecapo della polizia vicario
e quindi vicedirettore generale della PS questo gennaio, venni poi -
dirò fra poco quando - incaricato, in aggiunta ovviamente ai compiti
che di regola il vicecapo della polizia svolge, di sovrintendere (e
questo lo troverete virgolettato nella mia relazione) all'intero
dispositivo dell'ordine pubblico per il G8, interloquendo con le
autorità locali, anche in merito ai limiti ed alle prescrizioni da
imporre ai promotori delle molte iniziative che erano state
programmate, con l'obiettivo primario che si svolgessero senza incidere
sui lavori del vertice.
Questo era l'ambito del mio mandato, come
delineato in un appunto al ministro in data 12 giugno - e lo allegherò
alla relazione - con il quale il capo della Polizia lo informava della
costituzione di uno staff che egli aveva ideato per farsi
affiancare, nella gestione del più grave e delicato dei suoi impegni,
da alcuni dei suoi più stretti collaboratori.
Lo staff,
oltre che da me, era composto da altri quattro colleghi del
Dipartimento che erano stati incaricati, rispettivamente, di
sovrintendere alle attività info-investigative e di sicurezza nella
zona rossa, alla intensificazione del controllo del territorio ad ampio
raggio (avete visto che era stata delineata anche una zona verde),
all'addestramento, all'equipaggiamento e all'acquartieramento dei
reparti mobili, alle investigazioni preventive a fronte delle minacce
di tipo eversivo-terroristico e di quelle all'ordine pubblico ed,
infine, al dispositivo di controllo delle frontiere e alla gestione
dell'evento in ambito aeroportuale e alla neutralizzazione di
interferenze nelle comunicazioni.
I tempi di tale iniziativa si
coniugano del resto perfettamente con quelli del provvedimento adottato
su conforme deliberazione del Consiglio dei ministri che mi comandava
dal
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1o luglio presso la struttura di
missione, istituita per l'organizzazione della presidenza italiana del
G8, in sostituzione di un collega, il prefetto Aldo Gianni, che in quei
giorni era stato collocato in quiescenza per raggiunti limiti di età.
Il
compito che quest'ultimo aveva svolto dal febbraio precedente e che,
quindi, io avrei dovuto rilevare, avrebbe dovuto essere - come si
evince da un appunto al ministro che non poteva forse illustrare
sufficientemente quale fosse il ruolo che già mi era stato assegnato -
quello di coordinare gli aspetti relativi all'ordine e alla sicurezza
pubblica connessi all'organizzazione dell'evento. In pratica,
concorrere alla soluzione dei problemi che riguardavano la sicurezza
dei trasferimenti dei delegati, dei Capi di Stato, del loro
alloggiamento, del soggiorno delle delegazioni, la sicurezza dei lavori
e quella degli incontri ufficiali: vale a dire, avrei potuto ed anzi
dovuto interessarmi, in stretta intesa con gli altri componenti della
struttura di missione e in collegamento con le autorità locali di
pubblica sicurezza e con il Dipartimento, di situazioni strettamente
insistenti sulla zona rossa.
Mi permetto di richiamare ancora
l'attenzione dei parlamentari sull'evidenza che, in fin dei conti, era
questo provvedimento del Consiglio dei ministri la vera fonte di
legittimazione del mandato, che io avrei dovuto svolgere nei termini
relativamente impegnativi indicati nell'appunto al ministro. Dunque, se
avessi voluto speculare sulla lettera dei provvedimenti mi sarebbe
stato facile stemperare l'incarico più gravoso che il capo della
Polizia mi aveva affidato qualche settimana prima, rifugiandomi nelle
funzioni di collegamento e di sostanziale consulenza, per me previste
in seno alla struttura di missione.
Per amore di completezza, desidero aggiungere che vi era stata una precedente circolare interna datata 9 aprile, nella
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quale si faceva carico ai vari uffici
del Dipartimento della pubblica sicurezza di portare anche a mia
conoscenza qualsiasi iniziativa adottata in merito al G8, ma essa non
contemplava ancora una mia responsabilità nella gestione dell'ordine
pubblico ed era, invece, dettata dall'esigenza - come si rileva dal
testo della circolare (e tutti questi atti li allegherò) - di
assicurare il necessario coordinamento a livello centrale della vasta
gamma di attività tecniche alle quali ho fatto riferimento poco fa:
cioè, da quelle più strettamente concernenti la sicurezza a quelle di
natura logistico-amministrativa connesse al massiccio impiego di uomini
e di risorse delle forze di polizia.
Tutto questo per precisare,
ripeto senza voler accampare alcuna scusa, che la mia concreta
applicazione ai problemi dell'ordine pubblico per il G8 non risale,
comunque, molto indietro nel tempo ed è solo dai primi di luglio, dopo
alcune brevi missioni fatte a Genova nel periodo fine maggio inizio
giugno per verificare in generale lo stato dell'arte, che la mia
presenza nella città acquista carattere di continuità.
Sempre per
dovere di cronaca, mi sembra opportuno evidenziare che, comunque, non
ho partecipato, perché non convocato, ad alcuna delle riunioni del
Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica che si sono
tenute sul problema del G8. I provvedimenti di natura amministrativa
che ho elencato potrebbero essere utilizzati in maniera causidica - ed
altri credo che lo farebbero - per circoscrivere le responsabilità: non
ho affatto intenzione di farlo e li ho ricordati perché mi sembra
indispensabile sotto il profilo logico e storico, non certo per
avvalermene come esimente ora, così come non pensai di usarle per
defilarmi allora.
Nei fatti e sia pure con un anticipo piuttosto limitato rispetto all'evento, io - ero del resto vicecapo della polizia -
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mi sono, invece, fatto carico di una
situazione complessa, ben determinato a immedesimarmi nei problemi in
essa insiti, semplicemente perché ritenevo, e ritengo, che questo fosse
il dovere di quanti avevano a cuore le istituzioni del paese e
rivestivano pertinenti incarichi di alta responsabilità.
Era anche
scontato per me - e l'ho più volte ribadito negli incontri di servizio
- che la mia funzione e quella dei colleghi dello staff era di
supportare le autorità locali e non certo di commissariarle, come si
evince anche da alcuni articoli di stampa che riportano una mia
specifica dichiarazione al riguardo in occasione della seconda missione
breve che feci a Genova i primi di giugno.
Credo che su questo
punto non mi debba dilungare oltre perché ho sentito che il questore di
Genova, in effetti, ha riferito di non essersi mai ritenuto
commissariato. Sono sicuro di essermi comportato conseguentemente
intervenendo, con i miei colleghi e con le direttive che spiegherò
meglio in seguito, lì ove ritenevo fosse necessario e tenendo sempre
comunque costantemente informato il capo della Polizia.
In ogni
caso, nella mia iniziale veste di coordinatore generale delle attività
di sicurezza non avevo trascurato fin dalla fine di aprile scorso di
seguire i programmi di preparazione ed addestramento dei reparti mobili
della Polizia di Stato e dei battaglioni dei carabinieri, di assistere
alle loro esercitazioni e, soprattutto, di intervenire ad alcuni
seminari riservati ai comandanti di detti reparti ed a selezionati
dirigenti della Polizia di Stato che avrebbero avuto la responsabilità
dei servizi di ordine pubblico a Genova.
In questo contesto, mi
sono premurato di suggerire personalmente i temi da trattare,
assicurandomi che venissero posti a disposizione dei partecipanti ai
seminari anche la documentazione e il materiale audiovisivo che erano
stati
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acquisiti su analoghe e precedenti manifestazioni in altri paesi, così da trarre il massimo vantaggio dall'esperienza altrui.
Mi
premeva ancora di più che nulla venisse trascurato per creare un sapere
comune, per uniformare le dotazioni e i moduli di intervento, per
stabilire, infine, una forte intesa tra i responsabili dei servizi di
ordine pubblico e i comandanti dei contingenti.
Nella convinzione poi, che si andava in me sempre più rafforzando, che la contestazione al summit
di Genova - per le ragioni che indicherò in seguito e che anche i miei
colleghi hanno espresso - avrebbe assunto toni ben più aspri che in
altri paesi, ho approfittato di quelle prime occasioni anche per
iniziare a trasmettere alcuni messaggi che ho insistentemente ripetuto
fino all'ultimo per tentare di scongiurare quelli che mi sembravano tra
i rischi più rilevanti sotto il profilo della condotta dei reparti e
della tutela del personale e cioè le reazioni velleitarie e punitive
verso i manifestanti e l'insorgere di situazioni di isolamento - e
quindi di pericolo - per i singoli operatori oppure di stress o di
panico tali da indurli a gesti disperati per salvare la propria
incolumità.
Da allora ho quindi iniziato a sollecitare comandanti
e dirigenti perché si facessero costantemente carico di informare
responsabilmente gli uomini sulle situazioni molto impegnative che
avrebbero dovuto fronteggiare, ma, nello stesso tempo, di stemperare le
tensioni che vedevo montare in seguito alla diffusione di notizie
allarmistiche che avrebbero potuto portarli a ritenere ogni dimostrante
un potenziale nemico, nonché di non frazionare eccessivamente i
contingenti o di non dissolverne la compattezza in azioni avventate,
così da creare le premesse per quelle situazioni rischiose alle quali
ho fatto riferimento.
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Su questi punti tornerò in seguito
con maggiore dovizia di particolari, ma approfitto di questo passaggio
per fornire in un certo senso un cenno di risposta alle molte domande
sul coordinamento che sono state poste nelle precedenti audizioni,
evidenziando che iniziative del genere dimostrano con chiarezza gli
sforzi che il dipartimento della Polizia di Stato ha fatto per
garantire un'adeguata preparazione di quegli uomini delle forze
dell'ordine più direttamente impegnati nell'ordine pubblico, in un
clima di fattivo e concreto spirito interforze. Spirito interforze che
ho testualmente indicato come una nuova meta da raggiungere, un valore
aggiunto e complementare rispetto allo spirito di corpo.
Vorrei
anche sottolineare come l'attenzione prestata alla qualità
dell'acquartieramento ed al benessere del personale, persino nel tempo
libero, fosse non solo un atto dovuto nei confronti di chi andava a
prestare un servizio gravoso e rischioso, ma mirasse a garantire
durante la permanenza a Genova una serenità necessaria alla buona
riuscita dei servizi.
Quando poi sono state meglio definite le mie
responsabilità in fatto di servizi di ordine pubblico, ho presieduto a
Roma e a Genova a riunioni dello staff creato dal capo della
polizia; ho incontrato ripetutamente il prefetto e il questore del
capoluogo ligure, esaminando con loro i problemi che via via si
ponevano, da quelli riguardanti la protezione della zona rossa a quelli
prioritari sotto il profilo operativo - e, tuttavia, risolti soltanto
nell'imminenza del G8 - circa l'alloggiamento dei capi di Stato e di
Governo con le rispettive delegazioni. Ho incontrato insieme al
prefetto e al questore gli amministratori locali per individuare le
migliori soluzioni per lo svolgimento delle manifestazioni e per la
scelta degli spazi di accoglienza. Ho illustrato in una conferenza
generale dei prefetti della Liguria, che mi sembra sia stata qui
ricordata, i rischi della
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gestione dell'ordine pubblico,
soffermandomi in particolare sulla complessità dell'impegno di
fronteggiare manifestazioni in cui sarebbero confluite realtà affatto
diverse di dissenso, che andavano dal pacifismo più schietto al
radicalismo più violento. La stessa cosa ho fatto in occasione di
conferenze di servizio con i comandanti regionali e provinciali delle
forze di polizia e con i comandanti dei contingenti delle forze armate
chiamate a concorrere al dispositivo di sicurezza. Ho verificato sul
territorio, insieme al questore e ai suoi più qualificati
collaboratori, tutti quei dettagli sui quali mi sembrava necessario
richiamare la loro attenzione per indirizzare nel migliore dei modi
l'impostazione dei servizi di prevenzione e di ordine pubblico.
Fin
dalle prime fasi del mio coinvolgimento in questi problemi, a me, come
ad altri colleghi che avevano seguito l'evoluzione del movimento
antiglobalizzazione da Seattle in poi, era chiaro che, pur dovendosi
riporre la massima attenzione alle minacce di tipo terroristico, esse
erano da riguardarsi come eventuali, mentre certi sarebbero stati i
disordini di cui, immancabilmente, si sarebbero resi protagonisti i
movimenti cosiddetti antagonisti e, in particolare, i gruppi a
prevalente connotazione anarchico-insurrezionalista, ormai ampiamente
noti come black bloc. Espressi questo convincimento - ovvio,
del resto, per quello che era successo da ultimo a Quebec City e poi
ancora quando sopravvennero gli incidenti di Göteborg - anche nel corso
di incontri ufficiali con i responsabili delle forze armate delle
strutture di missione, nelle fasi finali della messa a punto dei
dispositivi di sicurezza, sostenendo che la difesa dell'ordine pubblico
doveva considerarsi l'argomento preminente. Come ho avuto occasione di
accennare poc'anzi, l'appuntamento di Genova si andava sempre più
delineando come l'attacco più duro che i movimenti
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antiglobalizzazione avrebbero portato a questo tipo di summit,
non solo con una partecipazione massiccia di tutte le componenti
nazionali e internazionali del dissenso non violento, ma anche con la
mobilitazione straordinaria delle formazioni radicali ed antagoniste.
Ad
accrescere le preoccupazioni valeva la consapevolezza che nel nostro
paese quest'area, sopravvissuta a forti crisi di vocazione e di
identità, seguitava ad essere tuttavia consistente ed anzi aveva
trovato nuovi stimoli nelle campagne anti-NATO e anti-Usa durante la
guerra nella ex Iugoslavia, nella lotta alle nuove forme di lavoro
precario ed interinale e nella condivisione o sostegno delle lotte di
alcune minoranze etniche, per esempio la questione curda. Ma si
constatava anche negli incontri di servizio che sulla scena
dell'antagonismo nazionale l'elemento forse di maggiore novità, tale da
collegare la realtà italiana a quella di paesi europei e non, era
l'espandersi di gruppi di stampo anarcoide che, dopo avere esordito
anni or sono con i vandalismi degli squatter, nel corso di
pubbliche manifestazioni si erano dati una maggiore consistenza
organizzativa ed avevano stabilito collegamenti internazionali
tutt'altro che superficiali ed episodici.
Mi sia consentito
approfittare della valenza di questo consesso per far presente di
essere stato tra i primi, tre o quattro anni or sono, a porre
l'accento, quale direttore dell'Ucigos, anche innanzi alla Commissione
stragi, sulla crescente minaccia delle formazioni
anarchico-insurrezionaliste, a sottolinearne l'insidia e la portata,
sia sotto il profilo dell'ordine pubblico che sotto quello
terroristico, evidenziandone i collegamenti internazionali e la
capacità offensiva anche attraverso la pratica di attentati dinamitardi
ed incendiari con ordigni spesso sofisticati. Esiste agli atti
dell'Ucigos, più correttamente della Direzione centrale della polizia
di prevenzione,
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una documentata analisi che io feci
svolgere su questi argomenti - soprattutto dopo l'invio di plichi
esplosivi nell'estate del 1999 e alcuni attentati dinamitardi a Milano
- per sollecitare gli organi territoriali ed intraprendere tutte quelle
iniziative necessarie a fronteggiare il fenomeno e ad aggredirlo sotto
il profilo giudiziario, configurando l'ipotesi di associazione
sovversiva. Mi ha fatto piacere sentir dire dal prefetto La Barbera che
i frutti di questi lavori stanno ormai venendo a maturazione. Tuttavia,
l'approfondimento di tale argomento, pur nella sua rilevanza anche ai
fini dei lavori di questo Comitato, finirebbe per distogliere
l'attenzione sulle responsabilità della gestione dell'ordine pubblico,
argomento sul quale dunque mi conviene ritornare.
Una volta fatti
confluire a Genova gli oltre 10 mila uomini destinati all'impiego di
ordine pubblico ed aver provveduto, con uno sforzo che non ha
precedenti, al loro acquartieramento e agli altri complessi problemi di
tipo logistico in una città fortemente carente sotto questo profilo, si
trattava di proseguire quelle attività di informazione e di indirizzo,
che avevano coinvolto nei mesi precedenti i responsabili dei servizi
ritenuti fondamentali, e di estendere questo sapere ai circa
duecentocinquanta funzionari di Polizia di Stato provenienti da altri
sedi che avrebbero collaborato alla gestione dell'ordine pubblico.
Ho
quindi seguito con attenzione le diverse iniziative che il questore
assumeva al riguardo (riunioni di lavoro, sopralluoghi nella città,
eccetera), rilevando la necessità di intervenire a suo sostegno nella
giornata del 13, che egli aveva fissato per illustrare a tutti
funzionari di pubblica sicurezza e agli ufficiali delle altre Forze di
polizia e delle forze armate il contenuto dell'ordinanza di base,
acquisita agli atti del Comitato, e cioè per illustrare i criteri di
impostazione dei servizi
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a fronte delle situazioni che si erano
andate delineando e la distribuzione degli incarichi. Pensai, infatti,
in quella circostanza, che fosse importante anche fare intervenire lo staff
costituito dal capo della Polizia ed intervenire quindi, io stesso, per
illustrare a tutti i convenuti che cosa avevamo fatto per assicurare il
sostegno del dipartimento della pubblica sicurezza alle autorità locali
e per richiamare l'attenzione sugli aspetti più delicati dell'evento
ormai imminente. La riunione avvenne, in effetti, nell'auditorium della
fiera di Genova nei termini da me fissati che comprendevano anche
riunioni settoriali di contenuto più specificamente operativo e di
verifica del lavoro svolto e da svolgere e la riunione fu conclusa
dagli interventi del ministro dell'interno e del capo della Polizia
sopraggiunti al termine di questo incontro insieme al comandante
generale dell'Arma dei carabinieri, all'ambasciatore Vattani ed al
prefetto.
MARCO BOATO. In che data?
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto. Il
13 luglio. Per quanto mi concerne, avevo colto l'occasione per
illustrare i criteri generali ai quali improntare i servizi di ordine
pubblico delineando un quadro di situazione più schematico, forse
eccessivamente schematico, ma più funzionale ai fini operativi di
quello diffuso anche dagli organi di informazione e basato sulla
divisione dei manifestanti in blocchi di vario colore, ed ho
presentato, così, i possibili scenari e le indicazioni pratiche.
La
parte preponderante dei manifestanti apparteneva a movimenti non
violenti, alcuni dei quali avrebbero compiuto azioni dimostrative anche
a ridosso della zona rossa per simboleggiare l'invasione o
l'accerchiamento. Nei confronti di costoro occorreva limitarsi ad un
cauto controllo per impedire che certe iniziative potessero debordare.
In linea generale, se
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non se ne fosse riscontrata la stretta
necessità, sarebbe stato meglio evitare anche il contatto tra reparti e
manifestanti di questo tipo per il possibile insorgere di situazioni di
tensione.
La seconda componente dei manifestanti era costituita da una consistente presenza di tute bianche i cui leader
avevano più volte detto, pubblicamente, che avrebbero tentato di
violare la zona rossa usando la forza necessaria a vincere la
resistenza dei reparti delle forze dell'ordine e delle barriere
fisiche, asseritamente senza ricorrere a forme di violenza più
aggressiva come l'utilizzo di bastoni, il lancio di pietre eccetera.
Verso costoro gli uomini dovevano porre decisa resistenza e ove questa
fosse risultata insufficiente a respingerli passare alle manovre di
attacco con gli strumenti previsti: idranti, lacrimogeni, sfollagente,
eccetera.
Contro la componente più violenta, che senz'altro
sarebbe stata presente ed avrebbe tentato di aggredire le forze
dell'ordine e di compiere in più punti della città con i modi tipici
della guerriglia urbana azioni di devastazione, non vi era altra
soluzione che lo scontro, privilegiando, per quanto possibile,
l'accerchiamento con rapide manovre rispetto alla dispersione perché
essa non sarebbe servita a bloccare le scorribande. Queste indicazioni
di massima erano ovviamente orientative ed applicabili nel caso in cui
la situazione si fosse presentata nei termini ipotizzati, mentre
ulteriori problemi sarebbero certamente insorti, come poi è accaduto,
in caso di sovrapposizioni o infiltrazioni di una componente
nell'altra.
Completai queste direttive rinnovando, in una sorta di
decalogo, le indicazioni che avevo più volte ripetuto e dalle quali
erano state tratte alcune delle regole contenute in un vademecum,
ormai ampiamente noto, distribuito a tutto il personale, circa i
comportamenti che gli uomini dei reparti inquadrati avrebbero dovuto
tenere nei confronti dei manifestanti,
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anche in caso di ricorso all'uso
legittimo della forza, sottolineando, con insistenza, che mai
l'intervento del reparto o dei singoli operatori doveva essere condotto
con modalità punitive o con brutalità, tanto meno se rivolto a
dimostranti singoli anche se violenti. In allegato alla relazione, che
depositerò presso la segreteria del Comitato le signorie loro,
onorevoli, troveranno anche il decalogo in questione che, in aggiunta,
contiene suggerimenti su come migliorare l'intesa tra i dirigenti dei
servizi di ordine pubblico e i comandanti di reparto o di battaglione
così da garantire chiarezza ed univocità di indirizzo agli uomini.
Non
credo di dovermi dilungare ancora sull'argomento, tenuto conto che il
decalogo al quale ho fatto riferimento è stato commentato
favorevolmente anche da alcuni organi di stampa e costituisce, di per
sé, una prova di quale sia stata l'attenzione del dipartimento sul
delicato problema del rispetto della persona umana pure quando è
necessario usare, contro di essa, la forza.
Approssimandosi ormai i giorni del summit
ritenni di dover vigilare, accanto al prefetto ed al questore ed in
costante collegamento col capo della Polizia, sullo sviluppo dei
contatti con i responsabili locali del Genoa social forum per
mettere a punto le questioni relative alla individuazione dei luoghi di
accoglienza e alle modalità di svolgimento delle diverse
manifestazioni, poi risolte nei modi ampiamente noti al Comitato.
Particolare
attenzione rivolsi poi alla collocazione delle famigerate, ma quanto
utili, devo dire, barriere, da porre a protezione della zona rossa,
trattandosi di una operazione alquanto complessa e delicata sia con
riferimento all'impatto sulla città, sia sul piano dell'ordine
pubblico, e devo rimarcare
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che, se non si fosse agito con la
prudenza e la tempestività usate, gli incidenti avrebbero potuto
iniziare ben prima ed avvelenare, in anticipo, il clima del summit.
Come
loro ricorderanno, le barriere che sono state, a Genova, oggetto di
polemica, erano state già adottate a Quebec City e, secondo quanto
riferiscono gli organi di stampa, potrebbero essere utilizzate anche
per l'imminente riunione di Washington del 29 e 30 settembre.
Esaminai
infine la pianificazione dei servizi disposti dal questore suggerendo,
nel corso di incontri con i responsabili dei diversi uffici della
questura e con i funzionari più esperti provenienti da altre sedi, di
prevedere, oltre alla scontata difesa della zona rossa, la dislocazione
in punti strategici della città, da individuare a seconda dei giorni e
delle manifestazioni programmate o paventate, robusti contingenti di
reparti mobili della Polizia di Stato e dei battaglioni dei carabinieri
in grado di accorrere ovunque i black bloc avessero tentato le temute scorribande.
In
proposito, sempre per rispondere ad alcune delle domande poste nelle
precedenti audizioni, vorrei evidenziare che una ragionevole
consistenza dei contingenti non mi parve problema da sottovalutare se
si aveva a cuore, da un lato, l'incolumità del personale e, dall'altro,
la predisposizione di un efficace contrasto alla violenza. I fatti
hanno dimostrato che in taluni casi anche contingenti di 40 uomini non
hanno retto alle aggressioni, come è accaduto, ad esempio, davanti al
carcere di Marassi. In particolare per la giornata del 20 suggerii una
revisione dei servizi nella vasta zona tra la stazione di Brignole e la
questura per impedire che si creassero, colà, pericolose
sovrapposizioni fra le tute bianche, intenzionate a forzare la zona
rossa, il black bloc e formazioni dell'ultrasinistra confluenti nel concentramento che i Cobas
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network avevano programmato in
piazza Da Novi. In questa prospettiva, nella notte tra il 19 il 20,
furono costituiti sbarramenti a mezzo di container - ne ha
parlato diffusamente anche il questore stamattina - per impedire che si
verificassero le temute aggregazioni delle componenti più violente e
che venisse attaccato lo Star Hotel ove alloggiava una folta
delegazione di giornalisti statunitensi, e l'attiguo centro
commerciale. Non solo. Con quegli sbarramenti e con la conseguente
revisione dei servizi si è impedito, da una parte, che i reparti
rimanessero compressi fra la massa dei dimostranti provenienti da
diverse direzioni, dall'altra, si è assicurata la via di fuga a quanti
venivano dispersi degli interventi della polizia senza che si creassero
situazioni di rischio per l'incolumità dei manifestanti.
Pur
consapevole di essere ripetitivo nelle riunioni tornai - non solo
adesso, anche allora - a sottolineare che la tattica da praticare non
tanto quella di caricare e disperdere i violenti, quanto quella di
accerchiarli per impedire che potessero dilagare in altre zone della
città.
Adesso viene la domanda che è stata giustamente posta più
volte durante le precedenti audizioni. Come mai, nonostante la diffusa
consapevolezza che a Genova l'attacco del black bloc sarebbe
stato non solo scontato, ma anche più violento che nelle precedenti
occasioni e nonostante un'accurata conseguente pianificazione dei
servizi DOP, non si è riusciti nell'intento di neutralizzare o
circoscrivere la minaccia?
Da parte mia non c'è alcuna intenzione
di minimizzare o banalizzare i fatti perchĂ© c'è poco da minimizzare
quando la violenza infierisce sulla città come è accaduto a Genova.
Soprattutto quando, in conseguenza di essa, si sono create situazioni
quali quella in cui ha perso la vita il giovane Carlo Giuliani. Dire
che è stato fatto tutto il possibile non solo non
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può soddisfare il Parlamento, il
Governo e l'opinione pubblica ma non soddisfa neppure quanti, dal
questore fino all'ultimo agente della Polizia di Stato, carabiniere o
finanziere, si sono impegnati molto, con grandi sacrifici e rischi,
affinché le cose andassero bene e l'Italia ben figurasse agli occhi del
mondo.
Non sarebbe di certo lecito, per chi come me era in
posizione di responsabilità, tentare di alleggerirsene rimandandole ad
altri o sostenere che a rispondere al paese di certi fatti non devono
essere soltanto le forze di polizia perché il loro operato rimane
comunque uno dei nodi della questione ed occorre renderne conto; ad
altri tocca il resto.
Va però anche detto che prima di andare alla
ricerca di singole responsabilità per carenze od inadeguatezze nella
gestione dell'ordine pubblico, occorrerebbe tentare una lettura la più
oggettiva possibile di quanto è accaduto per non correre il rischio di
guardare ad un evento emergente dei nostri giorni da un angolo visuale
inappropriato o riduttivo.
A Genova è successo qualcosa che, pur
ricomprendendole, trascende le responsabilità tecniche della gestione
dell'ordine pubblico e che non può essere giudicato solo alla luce di
quei parametri. Un evento estremamente complesso che, nell'interesse
della comunità nazionale e forse internazionale, va analizzato con
serenità ed obiettività inquadrandolo nel contesto del fenomeno
dell'antiglobalizzazione, nelle sue implicazioni, con le tensioni
interne al nostro paese.
Come ho già accennato, in quei giorni sulle piazze non ci sono state solo violenze funzionali a forme di dissenso al summit,
ma vi è stata invece la mobilitazione straordinaria delle più diverse
componenti dell'antagonismo nazionale che hanno trovato spunto
nell'annunciata comparsa - per la prima volta così massiccia in Italia
- di tutti i segmenti del
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movimento antiglobalizzazione, non solo
per sferrare un attacco alle politiche del G8, ma per rilanciare anche
una campagna di aggressione alle istituzioni.
Permettetemi a questo punto di aggiungere qualche altra notazione su questo fenomeno emergente del black bloc, sintetizzando ed interpretando notizie diffuse dagli stessi interessati, specie attraverso Internet.
Con tale sigla si fa riferimento ad un'aggregazione tattica e mobile su
base spontanea, ma non per questo incapace di trovare al momento giusto
l'organizzazione necessaria per il conseguimento di obiettivi di più
gruppi anarchici o di organizzazioni autonome che si mobilitano in
occasione di manifestazioni pubbliche che vertono su temi contro i
quali il ribellismo di questa marca è sempre stato attivo: capitale,
lavoro, guerra, ogni forma di asserito autoritarismo, NATO, Fondo
monetario internazionale, sfruttamento dei popoli, eccetera.
La
linea guida - del resto tradizionale per le organizzazioni anarcoidi -
è quella dell'azione diretta, cioè l'attacco e la distruzione di tutto
ciò che rappresenta la proprietà privata o i valori del mondo borghese
ai quali si è fatto riferimento prima.
Pur in assenza di una struttura gerarchica, i gruppi che confluiscono nel black bloc
elaborano progetti comuni che portano a compimento utilizzando metodi
di guerriglia urbana. Gruppi, più o meno consistenti a seconda delle
circostanze, hanno raggiunto nel tempo la capacità di mimetizzarsi
nella massa dei manifestanti, sortirne travisati e muniti di armi
improprie e bottiglie incendiarie, rientrarvi a conclusione delle loro
azioni.
Ci si è chiesti se il black bloc, costituisca o
meno un'associazione a delinquere. Dai fatti di Genova e dagli eventi
analoghi che li hanno preceduti emerge un dato oggettivo:
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nessuno può negare l'intelaiatura
organizzativa in cui essi si muovono e che è funzionale agli scopi,
squisitamente politici, che perseguono. Quindi, così come ho sostenuto
che si dovesse fare per le aggregazioni anarco-insurrezionaliste
italiane, non esiterei a sposare la tesi che il black bloc nel suo complesso possa essere aggredito come associazione sovversiva.
Spaccare
tutto ciò si trovi sul proprio cammino e attaccare la polizia sono
stati dunque, fin dall'inizio, i modi di esprimersi del black block,
che nei propri documenti - mi preme farlo risaltare - non manca di
prevedere la prassi dell'infiltrazione tra i manifestanti pacifici e di
raccomandare di stabilire con essi rapporti di forte solidarietà.
Il rapporto tra black bloc,
e altre componenti del movimento antiglobalizzazione non consiste in
una semplice contiguità, ma nell'innesto di una minoranza nella massa,
secondo un disegno tutt'altro che episodico od improvvisato e basato
invece sulla strumentale ostentazione da parte del black bloc di affinità col movimento per poi attrarre nella violenza le componenti più estreme e fluttuanti.
A Quebec City ad esempio è accaduto che il black bloc
è riuscito a coinvolgere nei disordini circa quattromila dimostranti
che sono stati poi travolti anch'essi dagli interventi della polizia
impossibilitata a distinguere.
È interessante scorrere in
proposito il provvedimento del Tribunale del riesame di Genova
risalente al 9 agosto, attraverso il quale sono stati respinti i
ricorsi presentati da alcuni degli arrestati; in esso vengono indicate
anche le tattiche seguite dal black bloc in alcune delle
precedenti occasioni. A Seattle nel novembre del 1999 l'obiettivo
principale che gli appena duecento militanti in tale formazione vollero
perseguire fu la conquista di porzioni del territorio cittadino,
creando zone autonome e temporanee sottratte al controllo
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della polizia. Ciò non impedì le
consuete devastazioni contro banche, esercizi commerciali ed arredi
urbani, con danni stimati intorno ai 7 milioni di dollari; si possono
fare anche delle proporzioni. Come è noto, il vertice fu interrotto.
A Washington nell'aprile del 2000, in occasione di una riunione del Fondo monetario internazionale, circa mille aderenti al black bloc,
anzichĂ© devastare la città preferirono attaccare la polizia nel
tentativo di forzare i blocchi a difesa della sicurezza del vertice.
A
Genova questa orda transnazionale che seguiterà a vagare per il mondo
ad ogni ghiotta occasione ha potuto contare non solo su una componente
italiana piuttosto agguerrita ed autorevole, ma anche sul concorso di
diversi segmenti della sinistra rivoluzionaria da cui erano provenuti i
segnali di rilancio di mobilitazioni di massa e di prassi eversive alle
quali ho fatto riferimento.
Gli attentati con ordigni esplosivi ed
incendiari che hanno preceduto e seguito fino ad oggi l'omicidio
D'Antona, la ricomparsa di sigle e di documentazione eversiva sono la
riprova che purtroppo nel nostro paese è tornato a risuonare
sinistramente il discorso della politica delle armi.
In un
contesto siffatto i temi dell'antiglobalizzazione ben possono sopperire
alla mancanza di vocazione conseguente al crollo degli ideali e dei
regimi del socialismo reale ed essere strumentalizzati per ridare
vigore a varie forme di antagonismo radicale.
A Genova io credo
che tutto ciò abbia portato ad uno scatenamento dell'orda ribellista e
violenta più tumultuosa rispetto ad analoghe situazioni precedenti, in
un clima di esaltazione indirettamente creato da manifestazioni
imponenti entro le quali, comunque, ed a dispetto delle componenti
moderate e maggioritarie del Genoa social forum, essa ha
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potuto agevolmente muoversi utilizzando i cortei ed i presidi come porto franco per le sue sortite. A Genova l'aspirazione dei black bloc
era quella di risucchiare i reparti di polizia per indebolire la difesa
della zona rossa e consentire ad altre componenti del movimento di
penetrarvi. Nella impossibilità di conseguire questo risultato è stata
ritenuta appagante la devastazione della città. Si è trattato di una
violenza cieca e senza obiettivi prevedibili, così da rendere
oggettivamente impraticabili quelle misure di prevenzione che in altre
circostanze sono servite ad anticipare e scongiurare attacchi
finalizzati ad una strategia intellegibile. Che cosa proteggere nella
città se il black bloc ha avuto la forza e l'ardire di
attaccare le carceri e le caserme delle forze dell'ordine? Ci si è
anche chiesti come mai la polizia non sia riuscita ad isolare i gruppi
violenti così come ha fatto con successo in altri casi. Mi sembra che i
motivi che hanno reso impossibile adottare sistemi in altre occasioni
attuabili siano da me già stati sufficientemente indicati e consistano
prevalentemente nella sostanziale incapacità o nella insufficiente
determinazione da parte dei promotori della manifestazione di massa di
precludere spazi a minoranze criminali. Quando le componenti anarcoidi
e delle autonomie di classe sono state emarginate dai cortei ufficiali,
come nella manifestazione dei migranti del 19 ed in quella del CUB del
20, il controllo delle forze dell'ordine ha sortito il suo effetto. I
dati che ho in precedenza fornito e le considerazioni che ho fatto mi
inducono a far riemergere in tutta la sua evidenza un elemento che, pur
nella sua oggettività, è stato forse dimenticato o smarrito nel
dibattito sui fatti di Genova. Gli incidenti non sono mai derivati da
comportamenti malaccorti, provocatori o aggressivi delle forze di
polizia, ma sempre e comunque dagli attacchi del black bloc, che così si è finora comportato ovunque sia comparso.
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FILIPPO ASCIERTO. Non solo black bloc...
MARCO BOATO. Abbiamo una integrazione da parte del maresciallo...
PRESIDENTE. Colleghi, vi prego....!
ANSOINO ANDREASSI, Prefetto.
Riportando le cose alla loro dimensione reale, le forze di polizia
hanno garantito egregiamente la sicurezza del vertice e dei delegati,
riuscendo dove le polizie di altri paesi avevano fallito.
Anche su
questo punto il Comitato è stato ampiamente ragguagliato nel corso
delle altre audizioni. Anch'io desidero sottolineare che la difesa
della zona rossa non è stata impresa facile perchĂ© i tentativi di
violarla sono stati tutt'altro che virtuali o simbolici. E su questo
intento vi è stata la convergenza di tutte le anime del Genoa social forum o di gran parte delle anime del Genoa social forum.
Non solo l'imponente massa delle tute bianche ha sferrato un massiccio
attacco con strumenti di ogni tipo agli sbarramenti di via XX settembre
con l'inserimento di gruppi dei black bloc ed altre componenti
dell'ultra sinistra, ma vi sono stati ripetuti tentativi di
abbattimento e superamento delle barriere da parte di altre migliaia di
manifestanti in piazza Dante e in piazza Corvetto, che erano state
occupate da aggregazioni prevalentemente pacifiche. Solo il
comportamento di grande professionalità delle forze dell'ordine, la
fermezza ed il senso di responsabilità dei dirigenti dei servizi hanno
evitato che i dimostranti dilagassero nella zona rossa, respingendoli
con decisione, ma senza eccessi nell'uso della forza. E, ancora, le
forze dell'ordine, nonostante le pressioni descritte, hanno assicurato
il diritto di manifestare il dissenso con iniziative contestuali,
quelle delle manifestazioni di dissenso ovviamente, interferenti e
spesso provocatorie,
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e tutto ciò ad una moltitudine
imponente ed eterogenea. Che cosa avrebbero dovuto fare per impedire o
ridurre i danni delle devastazioni dei black bloc?
In
diversi dei quesiti posti dagli onorevoli parlamentari, in occasione
delle precedenti audizioni, si lamentano proprio la asserita inerzia o
i ritardi dei reparti contro i black bloc e, di converso, la durezza del tutto ingiustificata contro manifestanti pacifici. Così come si vanno ripetendo in questi summit
internazionali gli incidenti, altrettanto si vanno ripetendo le
critiche sul comportamento della polizia. A Seattle essa venne accusata
esattamente delle stesse cose, cioè di aver assistito passivamente alla
violenza dei black bloc contro le proprietà private e contro
gli stessi mezzi della polizia (diverse auto della polizia infatti
furono date anche lì alle fiamme), e al contrario di non aver mostrato
alcuna pietà contro quanti manifestavano pacificamente il dissenso,
tanto da provocare ad alcuni di loro gravi lesioni. Da fonti aperte,
prevalentemente di area militante, si apprende che per i fatti di Nizza
il prefetto delle Alpi marittime è stato accusato di aver scatenato
contro i manifestanti una azione repressiva estrema. Anche in quel caso
la polizia avrebbe commesso brutalità. In precedenza a Praga il
movimento antiglobalizzazione, evidentemente secondo un clichè
di manipolazione ed enfatizzazione delle notizie, aveva accusato la
polizia di essere intervenuta con arresti a caso al termine delle
manifestazioni e di aver sottoposto i fermati a violenze ed abusi di
ogni tipo nelle caserme e nelle carceri.
Di certo non si può non
convenire in via di principio con gran parte dell'opinione pubblica che
invocava maggiore determinazione delle forze dell'ordine contro i
devastatori e si deve anche ammettere che vi sono stati talora ritardi
o lentezze nella movimentazione dei reparti, dovuti però anche a
situazioni oggettive come la più volte evidenziata tortuosità
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della rete viaria della città. Ma c'è
anche da chiedersi quali sarebbero state le conseguenze di una azione
più aggressiva. Valeva veramente la pena di creare situazioni di grave
rischio per l'incolumità dei manifestanti in genere ed anche degli
appartenenti alle forze dell'ordine per salvare dei beni materiali?
Del
resto, gli incidenti di Göteborg avevano dimostrato che questi timori
non erano infondati: la polizia di un paese tollerante e democratico è
stata a tal punto frastornata dalla violenza da far ricorso all'uso
delle armi da fuoco in situazioni di pericolo non certamente
assimilabili, per quanto è possibile vedere, a quelle di piazza
Alimonda. Mentre in quei giorni le immagini scorrevano sul monitor,
grande è stato il mio rammarico di vicecapo della polizia e di
cittadino nel vedere imperversare sui beni della nostra collettività la
furia dei black bloc, e forte il mio dispetto per il mancato
successo di certe manovre; mi ha anche consolato constatare che, forse,
per la prima volta in Italia i reparti delle forze dell'ordine non
erano vittime di certi meccanismi di reattività rabbiosa ed
incosciente. Non venivano risucchiati nel vortice, ma intervenivano
compatti con ordine e lucidità e dosando l'uso della forza anche nei
movimenti difficili degli assalti di massa alla zona rossa. Se non
fosse stato così, Genova avrebbe potuto essere teatro di ben più gravi
incidenti.
Nonostante tutto, Genova ha dimostrato che la polizia
italiana, grazie all'impegno del dipartimento in tema di addestramento
del personale ed aggiornamento delle risorse, ha fatto passi in avanti,
nel contenimento di un fenomeno che ha messo (e seguirà a mettere) a
dura prova le polizie di altri paesi di avanzata democrazia come il
nostro e, se i progetti avviati potranno essere portati a compimento,
le prossime occasioni vedranno senz'altro superare le lacune
evidenziate.
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La polizia di Stato, infatti, come ha ampiamente dimostrato la storia recente del nostro paese, possiede, in virtù del proprio status
e della formazione dei propri quadri dirigenti, la capacità e la
duttilità necessarie per interpretare le nuove dinamiche sociali e per
adeguare le risposte sotto il profilo del mantenimento dell'ordine
pubblico.
Per quanto riguarda i lamentati eccessi da parte di
singoli operatori ai margini negli interventi dei reparti, non solo me
ne dolgo, personalmente, per gli sforzi fatti per evitarli, ma auspico
che, se saranno accertate responsabilità, esse vengano perseguite.
Trovo, però, quanto meno irragionevole che vengano prese a pretesto per
mortificare le forze dell'ordine nel loro complesso. Fatti episodici
non legittimano, poi, a trarre l'altra facile conclusione che sia solo
la polizia italiana, tra quelle dei paesi civili e democratici, a
macchiarsi di tali colpe. Anche appartenenti ad altre polizie, che
vantano tradizioni di professionalità e tolleranza, hanno avuto ed
hanno problemi di questo tipo, senza che nessuno abbia osato
generalizzare, nella pur giusta condanna dei colpevoli, con il rischio
grave di incrinare quel rapporto di fiducia che, nei paesi come il
nostro, deve intercorrere tra società civile e forze dell'ordine.
Sulla
perquisizione alla scuola Diaz, desidero precisare, anche in questa
sede, di non avere né sollecitato né promosso alcuna iniziativa al
riguardo, nĂ©, tanto meno, di aver dato direttive sulle modalità
dell'intervento. Ho condiviso, però, sia pure con qualche timore e
perplessità, la considerazione che essa non potesse essere dilazionata.
Qualcuno, forse, ricorderà che il giorno dopo rilasciai un'intervista
al TG1 e al TG2, dando l'impressione di assumermi in toto
la paternità delle operazioni. Le interviste non furono, ovviamente,
una mia iniziativa, ma rispondevano all'avvertita esigenza di difendere
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l'operato delle forze dell'ordine,
rispetto all'accusa di aver fatto una perquisizione illegale, come in
quelle ore si sosteneva.
È ovvio, però, che seguii la vicenda
preoccupato, non solo per l'operazione in sé, ma anche per i riflessi
che essa avrebbe potuto avere sull'ordine pubblico, considerato che
alcune migliaia di manifestanti, i quali sostavano ancora nei pressi
della stazione di Brignole per lasciare la città, avrebbero ben potuto
accorrere alla scuola e dar luogo ad incidenti, come era accaduto a
Goteborg. Per questo motivo, mi sentii, in primo luogo, di consigliare
al questore di ricorrere - sono stato io - all'unità speciale del
reparto mobile di Roma, che dava maggiori garanzie di tenuta e
professionalità sul piano dell'ordine pubblico, tenuto conto che i suoi
componenti, oltre ad aver avuto un accurato addestramento, erano stati
selezionati anche sulla base di doti di equilibrio emotivo e capacità
di controllo della propria impulsività. In secondo luogo, richiesi al
funzionario di pubblica sicurezza, incaricato nell'ordinanza del
questore di coordinare i servizi di ordine pubblico nella «zona rossa»,
di recarsi sul posto, per informarmi tempestivamente nel caso in cui
l'operazione avesse suscitato le temute reazioni.
Signor
Presidente ed onorevoli membri del Comitato, nonostante l'amarezza per
il provvedimento che mi ha colpito (ma certo di uscire da questa
situazione per poter ancora servire), sento, come ex vice capo della
Polizia, di dovere testimoniare con forza, ancora una volta, i meriti
della Polizia di Stato e di dovere esaltare il contributo che essa ha
dato alla crescita di questo paese, quale insostituibile presidio dei
valori della democrazia e della civile convivenza. Per i fatti di
Genova, non ho alcuna esitazione a ribadire la mia piena assunzione di
responsabilità per il comportamento complessivo degli uomini delle
forze dell'ordine, che è stato - ripeto -
Pag. 231
meritevole di apprezzamento. Molta
gratitudine esprimo ai componenti il Comitato per avermi dato questa
opportunità e per avermi ascoltato.
PRESIDENTE. La ringraziamo molto. Abbiamo chiesto
una copia della relazione al suo collaboratore insieme agli allegati, che immagino
non abbiano carattere di riservatezza.
Il seguito dell'audizione è rinviato alla seduta di domani, mercoledì 29 agosto,
alle 9.
La seduta termina alle 20,30.
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