L’immaginario sentimento d’impotenza

Ad Expo2015 si associa sovente un’aspettativa di crescita per l’intera regione grazie da un lato al ricorso (keynesiano) alla costruzione di medio-grandi opere, promosse e finanziate in parte da istituzioni pubbliche, in grado di “muovere” l’economia, e dall’altro grazie all’idea di grande evento che dovrebbe alimentare nuove prospettive, nuovi sogni, in una parola sola un nuovo immaginario in grado di divenire “motore ideale dell’economia reale” ed inaugurare un nuovo ciclo economico virtuoso fra l’altro in grado, magari, di mettere maggiormente a profitto tutto l’ambito del lavoro creativo.

Se rispetto al primo punto ampia è stata la discussione a riguardo, per merito del comitato NoExpo ma anche di numerosi giornalisti pure della stampa mainstream in grado di approfondire abbondantemente sull’argomento (altro discorso è capire come questi approfondimenti siano stati utilizzati e che breccia siano riusciti a creare “nell’immaginario colettivo”), rispetto all’annosa questione sull’immaginario ci si è, in primo luogo pensando al lavoro degli organizzatori di expolandia, spesso trovati davanti ad un mero richiamo al termine immaginario come concetto simile a quello d’infinito  che in breve è divenuto indefinito, ovvero l’immaginario che vuole supportare Expo2015 non risulta definibile e quindi non è comprensibile, non comunica.

L’immaginario come infinito, come infinita possibilità di crescita, di conquista del benessere, di creazione di nuovi mondi doveva essere il trampolino di lancio dell’operazione: un esempio ne è l’Olimpiade, evento in cui mastodontiche strutture sportive (e non) accompagnano l’uomo alla conquista di nuovi ed esaltanti primati (che si traducono nei record del mondo nelle varie discipline), in un contesto in cui i cittadini di diverse culture si incrociano pacificamente. Limitandone la portata del ragionamento, la stessa operazione simbolica è funzionale anche per le esposizioni internazionali, luoghi in cui l’intreccio pacifico di diverse culture e di diverse economie diviene un luogo fisico definito dotato di poteri taumaturgici nel quale si realizzano le progressive sorti dell’umanità.

Ora, non è interesse di questo commento analizzare cosa in realtà si cela dietro alla costruzione ideologica di un’immaginario di tal fatta e come questa riesca ad intaccare il corpo sociale metropolitano. E’ovvio, per esempio, che è utile verificare come dietro all’Expo dal tema “fame nel mondo…” si celi una tanto semplice quanto triste corsa alla speculazione edilizia, qui però vorremmo parlare per una volta d’altro dando per ipotesi la buona fede dell’organizzazione di tutto l’evento. Ci interessa in questa sede esprimere alcune considerazioni sul binomio Expo2015/immaginario che lo sottende, per capire a 3 anni dall’assegnazione dell’evento di che immaginario si sta parlando, dato che in particolare negli ultimi tempi di frequente ci sembra di scorgere l’autocostruzione di un’immaginario incomprensibile, alle volte maldestro ed in definitiva indefinito, in cui dal grande evento = grande possibilità si passa a grande evento = facciamolo per evitare una brutta figura.

Se pensiamo al binomio grandi grandi opere (o eventi)//immaginario nel corso della storia notiamo come, ad esempio, alla grande depressione americana si affianca un nuovo grande immaginario, che utilizza la grande fabbrica dei sogni hollywoodiana in grado di tradurre in pellicola l’ascesa dell’America roosveltiana come nuovo gigante (pure imperialista, perché no) dell’economica mondiale, ora non più fenomeno continentale, e come nuovo luogo delle libertà in grado di promuovere alti tenori di vita e possibilità infinite di consumo (e nuova patria dell’economia di mercato). Andando meno sul generico, le Olimpiadi di Barcellona nel 1992 hanno significato il rilancio della Spagna uscita definitivamente dal quarantennio franchista: il rilancio di un paese libero in cui liberamente diviene possibile investire e creare profitto, in un contesto in cui la crescita economica è vivace. La sfera dell’immaginario in questo caso poggia sulla vitalità socioeconomica e sulla liberazione di forze culturali precedentemente sopite e/o represse. E’ inutile stilare una lista di grandi eventi o grandi opere in grado di sostenere o, viceversa, di essere sostenute dalla creazione di un’immaginario forte e definito. Piuttosto, questi brevi accenni esemplificativi ci chiamano ad individuare una regola fondamentale per ogni grande evento che funziona: ad un grande evento deve corrispondere un grande sogno, non producibile ad hoc ma già presente nella società in cui il grande evento si realizza. Questo è il motivo per cui, forse, l’Expo2010 di Shanghai è stata positiva mentre Saragozza è stato un fallimento. Da un lato la locomotiva cinese, dall’altro la stagnazione europea, tanto per essere chiari. Il grande evento sostanzia ideologie, rispetto alle quali si possono avere differenti opinioni e svariati e motivati motivi di critica forte.

Qual è il grande sogno che ci veniva proposto da Expo2015?

Si è in passato notato come l’iperrealtà dei rendering di presentazione dell’evento fossero fuorvianti rispetto a ciò che realmente sarà l’evento. Non si è però mai considerato che il rendering grafico, seppur di pregevole fattura, non è più in grado di destar impressione a chi è in contatto con proiezioni grafiche fantascientifiche già dal cinema americano anni 80, per non parlare del salto percettivo che ci impone Matrix che anagraficamente, ridendo e scherzando, conta 12 anni. La rappresentazione dell’evento, nel caso milanese, è di fatto non in grado di creare nuovi od originali immaginari, sia chiaro non esclusivamente per il demerito della rappresentazione grafica (semplicemente standard) dell’evento quanto per l’incapacità di creare simbologie o nessi reale/immaginario in grado di far divenir credibile l’incredibile. Contrariamente a quanto alle volta si pensa, infatti, non esistono strategie comunicative che “per se” determinano influenze sociali, esistono al più strategie comunicative che riescono ad accedere a quei ponti che legano immaginazione e realtà e rendono credibile l’incredibile. Expo2015 o qualsiasi altro evento non può dal nulla creare un nuovo grande immaginario, al limite può influenzare l’immaginario esistente, a Milano probabilmente fermo alla Milano da bere. Oltre tutto, i limiti della promozione dell’evento emergono incredibilmente nel momento in cui di Expo2015 cambia il logo ufficiale e si ridimensionano notevolmente i progetti rappresentati nel rendering. In questo caso la campagna promozionale di Expo2015 (invece che promuovere l’evento) testimonia il fallimento quanto meno parziale dell’operazione. Chi ha coniato il termine iperrealtà ha più volte sottolineato come questa sia un livello percettivo in cui realtà e finzione sono miscelati, per cui con lo svanire di uno dei due mondi svanisce pure la percezione iperreale.

Non comprendiamo cosa ci offre Expo 2015, non ne siamo attratti e questa grande opportunità rimane per noi un mistero: o ci fidiamo degli organizzatori oppure rimaniamo passivi rispetto alla proposta.

Frattura immaginazione/realtà.

Ma, ritornando a noi, non è quindi una campagna di promozione inefficace il male del caos Expo2015 intera e se credessimo che lo fosse compiremmo un grave errore. Ciò che è realmente problematico non solo per l’evento in sé ma per il futuro dell’intera regione metro lombarda è invece l’assenza di un’orizzonte di sviluppo, Expo o non Expo: le stime di crescita parlano chiaramente di stagnazione pluriennale, i telegiornali parlano esclusivamente di “sacrifici”, la tematica “green” Expo2015 “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”, al di là del fatto che non può essere presa sul serio, non viene considerata dal mainstream una risposta alla crisi se non come accessorio inserito in altre ricette e comunque non proponibile nel breve in maniera spettacolare. Se è problematico notare come platealmente si ragioni in termini inversi rispetto ai contenuti dell’esibizione, aggredendo le realtà agricole dell’hinterland milanese (per fare spazio alle due tangenziali esterne ed alla grande distribuzione), limitando lo sviluppo dei mezzi di trasporto pubblici (per il 2015 il pronostico è zero linee della metropolitana in più) e cementificando nuove aree, per fare solo alcuni esempi, è ancora più problematico (per gli organizzatori) notare come l’immaginario del settembre 2011 riguardo all’Expo milanese sia fatto semplicemente da un panorama di desolazione in cui l’evento è semplicemente divenuto un obbligo da mantenere per “evitare una brutta figura a livello internazionale”. E’ un po’ poco. Limitare i danni, salvare il salvabile, mostrare visibilmente gli stracci con cui si cerca di coprire l’assenza storica di una strategia territoriale di crescita credibile non offre altro che un’impressione di impotenza.

L’opzione Boeri – La nuova politica come brand.

Ribadiamo: che gli obiettivi dell’evento fossero altri rispetto ai dichiarati è argomento ampiamente dimostrato dal lavoro del comitato in questi anni, per avere però la possibilità di lavorare sugli effettivi obiettivi occorre però che gli “obiettivi ombra”, ovvero “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” siano quanto meno credibili. Di fatto colui che più di altri sta lavorando su Expo2015 per far riconquistare credibilità all’evento è appunto l’assessore all’Expo per il Comune di Milano Stefano Boeri, che nella sua strategia comunicativa appunto cerca di spostare/riportare l’attenzione sulle tematiche dell’evento, riproponendo l’orto planetario e comunque sponsorizzando una declinazione green. Ciò che vuole recuperare Boeri è quindi il rapporto fra la realtà e l’immaginario, in un’operazione molto complessa che oltre tutto lo vede piuttosto isolato e limitato da una serie di fattori il primo dei quali è appunto il clima di ristrettezza economica con una costante diminuzione dei fondi che impone al baraccone scelte tanto obbligate quanto poco funzionali a percorsi coerenti. Ma, va da sé, “il buon senso” di Boeri non è presumibilmente orientato tanto ad una buona riuscita dell’evento quanto al ritagliarsi uno spazio nel panorama politico come “nuovo politico”, giovane e concreto, vero, lontano dalla politica autoreferenziale e protagonista di un nuovo ipotetico PD assieme agli altri giovani cannibali, delle diverse correnti (Renzi, Civati e compagnia canterina). Le giovani leve del PD, acerbe ed immature, pare vogliano giocare le proprie carte cercando di frapporre la loro concretezza prossima a percorsi simil “fine della storia”, il loro buon senso e la loro passione per ogni tecnicismo e specialismo contro l’evanescenza, l’impostazione meramente metafisica dell’attuale classe dirigente. In ciò cercano di creare prossimità col “cittadino”, pensandolo in realtà nei termini di maggioranza silenziosa. Sono conservatori, liberisti, feticisti dell’innovazione, non possiedono la forza comunicativa per imporsi. Sebbene la loro volontà di rappresentare un’immaginario appare più meditata e funzionante rispetto al resto del teatrino politico, non han voglia di rottamare nulla poiché non possiedono alcuna ricetta sostitutiva.

L’opzione Boeri su Expo è il miglioramento dell’immagine di Boeri stesso: l’archistar che si presta alla politica con un sacco di buone idee che non può realizzare. Cambia lo sfondo, migliora l’immaginario ma permane il sentimento d’impotenza che blocca l’agire. 

La crisi

Ha ragione quindi Boeri nell’affermare che gli investimenti ci saranno se si riuscirà a scorgere una prospettiva nell’affaire Expo2015, una prospettiva “credibile” che unirà il ritorno al concreto dei temi ma che più materialmente ragioni sul modo in cui questo evento possa generare profitto col minimo di rischio e di sforzo. In breve, gli investimenti ci saranno se qualcuno garantirà in maniera credibile un ritorno. Proprio a questo punto, però, sempre con maggior evidenza, si impone l’immaginario della crisi che nello specifico della costruzione del grande evento significa la fine del ruolo del garante pubblico e l’incremento del fattore rischio per le aziende, piccole medie e grandi, locali, fattore rispetto al quale a queste latitudini non si è molto abituati. Ci saranno investimenti se la parte pubblica fornirà una liquidità necessaria a garantire la solidità dell’evento. Pare oggi che il futuro dell’evento sia legato all’acquisto o meno da parte della BCE e/o della Cina del debito italiano. Per far partire la macchina Expo dal governo di questo paese devono arrivare 800 milioni di euro: fuori dal ragionamento sull’opportunità o meno di stanziare questi fondi in un periodo di crisi sociale, se questo denaro non arriva Expo2015 non ci sarà. Stesso dicasi a livello locale: o il Comune di Milano finanzia Arexpo S.p.a. (la società che deve acquistare i terreni su cui si svolgerà la manifestazione) oppure Expo2015 rimarrà immaginario, di pessima qualità oltre tutto. Ad oggi il Comune è quasi certo di sforare il patto di stabilità ed ha già chiesto una deroga al governo nazionale. Vedremo a breve i risultati della spending review di Tabacci.

 Siamo così costretti a ragionare sull’evento, e più in generale su temi come il governo del territorio, considerando la nostra inclusione dentro lo stato di crisi che, come ogni crisi che si rispetta, non è solo economica o finanziaria ma è anche sociale e culturale. Il dibattito metropolitano di questi tempi non parla di grandi opportunità ma parla di come salvare il salvabile, fra sacrifici, lacrime e sangue. L’immaginario che si voleva inizialmente affiancare ad Expo2015 oggi è abbondantemente superato, tanto che non vale più la pena riesumarlo, quanto meno dal punto di vista degli organizzatori. E’ invece interessante considerare questo livello se si prende il punto di vista di chi subirà l’evento. Al di là di ciò che viene espresso dalla parte più attiva della cittadinanza che nel dibattito politico si inserisce nel particolare, è interessante valutare l’umore più generale della metropoli ai tempi della crisi. Siamo chiamati quindi a fare considerazioni rispetto all’immaginario collettivo, elemento destinato a scontrarsi contro chiunque vorrà generare grandi immaginari a sostegno di grandi eventi, grandi progetti o grandi opere ma che influisce anche su chi vuole opporsi in maniera costruttiva a questa logica. Il lavoro è vasto e per un’elaborazione sufficiente occorre praticare numerose modalità di espressione artistica/culturale. Nel nostro piccolo, cercando di avviare un ragionamento più articolato e più completo sulla questione , iniziamo a ragionare sul fatto che la produzione culturale massificata, sensibile agli stimoli che la società offre ed incline a formulare ipotesi su ciò che si smuove nel sottosuolo soprattutto nella sua versione più colta e salottiera, scorgiamo ciò che si racconta ultimamente sul grande schermo rivolgendoci ad alcuni film presenti in concorso nell’ultima edizione della mostra internazionale del Cinema a Venezia.

Entrambi prodotti Fandango, la casa di produzione che ha l’ambizione di raccontare il mondo del/al target ventenni/quarantenni, mediamente acculturati, Ruggine di Daniele Gaglianone (non a caso prevalentemente un documentarista) e L’ultimo terrestre di Gianni Pacinotti (non a caso un fumettista) descrivono l’uno in maniera più drammatizzata, l’altro in maniera più stilizzata, la passività di una società chiamata ad offrire risposte che non è in grado di dare, più interessata a preoccuparsi di questioni quanto meno secondarie ben mostrate nei primi minuti del film di Pacinotti. E’ stato già sottolineato come il personaggio del cinema italiano 2011 si trovi davanti a continue minacce, a paure, ribadendo le osservazioni classiche dell’analisi baumanniana in cui l’uomo occidentale sarebbe arroccato sui livelli di vita ottenuti che teme di poter perdere a breve, e che spesso in breve avviene facendo divenire irreversibilmente borderline chi prima credeva di essere classe media. Si discute invece sempre troppo poco sull’incapacità d’azione nelle società rappresentate, incapacità di risolvere i problemi da affrontare, di esprimere uno scarto rispetto all’ordinaria amministrazione a sostegno dello status quo, nonostante sia evidente che questo verrà travolto dall’imminente uragano. Così il protagonista problematico de L’ultimo terrestre osserva la città travolta dall’uragano nel finale del film, non scappa e rimane in attesa di vedere come la venuta degli alieni (siamo davanti ad una delega) muterà ciò che lo opprimeva, quella città che lo aveva relegato a lavorare in un Bingo, a perdere violentemente la madre nel più classico dei delitti familiari, a condurre un’esistenza sola ed anonima. Così i bambini di Ruggine, vista l’inazione della popolazione adulta, rispondono direttamente, violentemente, selvaggiamente al mostro omicida col colletto bianco. Se L’ultimo terrestre ci vuole raccontare la miseria umana figlia dell’assuefazione alla passività ed al cazzeggio, oltre che l’approssimazione della risposta ad una vita subumana, Ruggine ci suggerisce come lo status quo interrotto sia da gestire responsabilmente. L’inazione del paese adulto può portare i bambini (i soggetti quindi più deboli e meno maturi) a rispondere, risposta che inevitabilmente genera un trauma nelle loro vite.

L’immaginario suggerito, si presume, da questi ed altri futuri titoli di questa stagione cinematografica, ha come fattore caratteristico la suggestione di una società che ha nell’inazione la propria pratica di vita. Il sentimento d’impotenza torna a placare le acque non navigabili della metropoli milanese, che oltre tutto non possiede ad oggi né narrazioni cinematografiche mainstream che direttamente la rappresentino né produzioni indigene che ne riportino un punto di vista dall’interno. L’idea di un’altra Milano, in grado di superare la crisi sociale prima di tutto, va ancora costruita. Dall’immaginario della crisi si può uscire, è un lavoro faticoso nel quale il contributo di Expo è solo quello di appesantire i problemi e suggerire politiche emergenziali, il contrario della democrazia partecipata di cui spesso si parla e che dovrebbe divenire più una pratica che un argomento di discussione.

Comunque vada Expo2015 sarà un fallimento. Stacchiamo la spina, ritorniamo a ragionare.

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Posted: September 18th, 2011 | Author: Comitato NoExpo | Filed under: No expo | No Comments »

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