Bergamo – Dopo più di tre anni, la protesta dei lavoratori e delle lavoratrici dell’AZ Fiber riesce ancora a destare scalpore: ad oggi si contano quattro attacchi al loro furgone, che da tre anni staziona fuori dai cancelli in presidio permanente. Di nuovo in questa occasione, alcune biglie di ferro hanno scalfito il parabrezza e distrutto il vetro anteriore sinistro.
Ultimamente, inoltre, la situazione alla Fiber si è ulteriormente complicata. Dal 2012 l’azienda passa nelle mani di un colosso tedesco, che, a discapito delle grandi promesse di investimenti, fa letteralmente fallire la ditta. Pur essendo infatti un’azienda che ha sempre mantenuto un buon livello di produzione, l’incapacità gestionale dei nuovi arrivati ne fa crollare il fatturato, obbligando a chiudere. I lavoratori denunciano come di fatto vi siano state delle manovre di ‘fallimento pilotato’, atte cioè a far chiudere l’azienda in modo da trasferire l’intera produzioni verso migliori lidi dal punto di vista del costo del lavoro, come la Repubblica Ceca.
Il risultato è che il 25 settembre 2015 viene dichiarato il totale fallimento e 60 esuberi di lavoratori. Come di norma, a questo punto la gestione dell’azienda viene ceduta a un curatore fallimentare, un commercialista o avvocato la cui figura, nominata dal giudice fallimentare, consiste nel gestire la situazione e saldare i debiti dell’azienda in ordine di priorità: i primi soldi dell’attivo patrimoniale vanno a pagare il curatore, poi le ipoteche bancarie infine dipendenti e fornitori. I crediti dei dipendenti tuttavia sono sempre garantiti dall’INPS che in questo caso solleva l’azienda dal pagamento del TFR. Di fatto la collettività si fa carico della mala gestione aziendale.
Nonostante la continua domanda dei prodotti dell’azienda, che testimonia l’effettiva possibilità di poter preservare alcuni posti di lavoro, il curatore pare fin da subito poco interessato alla reale situazione economica. Intanto gli ordini continuano a pervenire alla Fiber e a chi ci lavorava, che però si vede costretto a non poter produrre, poiché l’azienda ha di fatto chiuso i battenti. Dopo la dichiarazione di fallimento il curatore ha 60 giorni per valutare la situazione, interrogando le varie parti lavorative e sindacali in gioco. Il consiglio di questa figura (che dovrebbe essere super partes) ai lavoratori ha dell’incredibile: fare un gesto ‘eroico’, dando spontaneamente le dimissioni. Secondo il curatore Luca Bonazzi infatti, la presenza di un nocciolo duro di lavoratori che presidia l’azienda e protesta ‘spaventerebbe’ possibili acquirenti. L’intenzione è quella di svendere un’azienda pulita da ogni debito nei confronti di fornitori e lavoratori.
Ad un no secco ricevuto dai lavoratori in presidio, il curatore si rivolge separatamente a quei lavoratori che hanno sempre mantenuto le distanze dal presidio, iscritti alla Cisl. Di questi trenta, venti si dimettono. Ironia della sorte, per questi iscritti CISL non ci sarà alcuna misura a sostegno del reddito, come ad esempio la disoccupazione (Naspi).
L’intenzione del curatore sembra proprio quella di pilotare il fallimento dell’azienda, liberandola così dai costi dei lavoratori, al fine di renderla appetibile per possibili investitori.
Addirittura un funzionario della Regione ammette l’anomalia dell’intera situazione, ma non può prendere decisioni diverse da quelle del curatore, unica figura che può effettivamente, dopo il fallimento, gestire l’azienda. Per la Regione, dunque, risulta di fatto un mancato accordo con i lavoratori della Fiber.
Il presidio davanti all’azienda ha intenzione di continuare, imperterrito, per evitare la svendita, senza possibilità alcuna per dei lavoratori, per la maggior parte specializzati, di una riassunzione.
Non sembrano esserci altre strade giuridiche percorribili dai lavoratori e dalle lavoratrici; i nuovi ordini che arrivano all’azienda non vengono neanche presi in considerazione dal curatore, rimanendo dunque in sospeso. La paura generale è quella che l’azienda possa essere ricomprata, prima o poi, a bassissimo costo, senza tener conto dei lavoratori e delle lavoratrici che hanno perso il loro posto lì dentro. La situazione della Fiber è simile a molte altre situazioni in tutta Italia, in cui i lavoratori non sanno niente del loro futuro e non vengono tutelati in alcun modo dalle, recenti o meno, riforme del mercato del lavoro.