Romano di Lombardia – Tanto rumore per nulla: questo il succo della serata organizzata dalla community legata al quotidiano ultracattolico “La croce”, presso l’oratorio di Romano di Lombardia martedì 8 settembre. Al centro del dibattito, la famigerata “teoria gender”, la cui delucidazione è stata affidata a Gianfranco Amato, presidente dell’associazione Giuristi per la vita.
La serata si proponeva di fare chiarezza su questa fantomatica “teoria gender”, che è stata fin dall’inizio definita come “la possibilità per ognuno di scegliere di che sesso essere”. Tutto, viene detto, si basa su una percezione: “oggi mi sento uomo, domani donna, e poi chissà”. Lo sdoganamento di questa teoria, confermato secondo Amato da vari riscontri sui giornali (dichiarazioni di vip, articoli di moda) e nell’ambito culturale (mostre, pièce teatrali), avviene anche per via legale, come dimostrerebbe la discussione del ddl Scalfarotto al Senato. E’ la scuola, comunque, il campo nel quale questa teoria gender si dimostra più insidiosa, mediante linee guida e programmi che tenterebbero di privare i genitori del diritto di educare i propri figli e figlie come ritenuto più opportuno. Proprio questa manovra è tipica delle dittature: Amato cita l’esempio del terzo reich, che indottrinava milioni di bambini e bambine mediante il sistema scolastico. L’obiettivo di tutta questa operazione, quindi, sarebbe la creazione di persone insicure e confuse riguardo alla propria sessualità e come tali facilmente controllabili e manipolabili da un non meglio definito “potere”.
Un tale dispiegamento di energie (mentali e culturali) per sostenere un così grande allarmismo e una teoria tanto strana merita una certa attenzione. Alla base dell’inesistente “teoria gender” (termine inventato, di cui non vi è traccia in alcuno studio) c’è un’errata interpretazione degli studi di genere; dagli anni ’70 questo settore ha teorizzato la distinzione tra sesso biologico (i caratteri fisici che ci rendono maschi o femmine) e identità di genere (la percezione soggettiva di aderire o meno ai ruoli e alle caratteristiche culturalmente attribuiti ai due sessi); sottolineando la natura culturale (e dunque arbitraria) del concetto di genere, quindi, sono stati messi in discussione gli stereotipi e i ruoli sociali. Lungi dal negare l’esistenza di differenze biologiche tra maschi e femmine, dunque, questi studi mostravano semplicemente come molte caratteristiche considerate socialmente “maschili” o “femminili” non fossero una ovvia derivazione dalle differenze biologiche, ma piuttosto una costruzione culturale.
Questa tesi è alla base delle recenti politiche antidiscriminazione e in generale di apertura verso le persone lgbt. Tale nuovo approccio ha però da tempo messo in allarme il mondo cattolico, il cui rappresentante papa Francesco ha già dichiarato che “il gender è uno sbaglio della mente umana”. La diffusione di questi concetti è ritenuta pericolosa proprio in quanto considerata letale per le basi della famiglia tradizionale: già nel 2010 l’Ufficio pontificio per la famiglia scriveva che questa teoria gender «nega l’importanza della differenza dei sessi e favorisce l’esercizio sterile e ludico della sessualità. Si arriva a considerare la famiglia un residuo storico destinato a scomparire in un prossimo futuro» . In realtà, come già fatto notare da più parti, l’apertura verso famiglie di ogni tipo (in un’ottica antidiscriminatoria) non toglie alcun diritto alle famiglie “standard”, che dunque non hanno motivo di sentirsi minacciate. Proprio l’imposizione di un modello unico, invece, diventa veicolo di stereotipi, alla base di bullismo e violenze.
I due fronti su cui viene portata avanti questa battaglia contro il “gender” sono in particolare quello legislativo e quello educativo.
Per quanto riguarda le norme, al centro dello scandalo c’è il ddl Scalfarotto, che per punire le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere limiterebbe la libertà di espressione di coloro che non credono nell’uguaglianza dei diritti. A questo proposito Amato puntualizza che non esiste una definizione normativa di omofobia, ma essa viene lasciata alla sensibilità di chi giudica: ciò sarebbe in linea con i regimi autoritari, dove regna l’arbitrio e non il diritto. In realtà, la legge si limita ad estendere la normativa precedente, contro le discriminazioni razziali, etniche, religiose o nazionali, sanzionando i crimini d’odio (violenze), tra cui sono annoverati i discorsi d’odio, ovvero di intolleranza sulla base della razza, l’etnia, la religione, l’orientamento sessuale o l’identità di genere. Proprio questo elemento, come ci ricordano le manifestazioni delle Sentinelle in piedi, è considerato una limitazione della libertà di espressione, cioè della libertà di esprimere un pensiero apertamente discriminatorio.
L’altro fronte centrale su cui si giocano questi scontri è quello dell’educazione nelle scuole: un caso emblematico, citato anche da Amato, è quello dei tre libretti dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) per le scuole elementari, medie e superiori, dal titolo “Educare alle differenze a scuola”, all’interno dei quali si parlava di omofobia; Amato ha raccontato che al loro interno l’omofobia veniva indicata come «considerare l’omosessualità un peccato», o ritenere che «il sesso va fatto solo per avere bambini», o «credere nei precetti religiosi». In realtà, è sufficiente leggere i libretti per accorgersi che i passaggi che vengono riportati fanno parte di capitoli diversi: quando si parla di possibili fattori che causano l’omofobia, si scrive che “come appare evidente, maggiore risulta il grado di ignoranza, di conservatorismo politico e sociale, di cieca credenza nei precetti religiosi, maggiore sarà la probabilità che un individuo abbia un’attitudine omofoba”; in riferimento alla naturalità o meno dei rapporti omosessuali, poi, si sottolinea che “Il sesso tra le persone dello stesso sesso è presente in tutta la storia dell’umanità, sin dall’antica Grecia. (…).Un pregiudizio diffuso nei paesi di natura fortemente religiosa è che il sesso vada fatto solo per avere bambini. Di conseguenza tutte le altre forme di sesso, non finalizzate alla procreazione, sono da ritenersi sbagliate.” Spaventati da questa concezione dell’omofobia, che li riguardava da vicino, i movimenti ultracattolici hanno protestato e fatto pressioni sul ministero, finchè i libretti sono stati ritirati dalle scuole.
Ma il presunto attacco della scuola alla famiglia tradizionale non si esaurisce qui: il ministero delle pari opportunità ha recepito negli ultimi anni alcune direttive dell’UE per l’educazione alle differenze nelle scuole, mediante linee guida e documenti che prevedono-come si legge nel testo della Buona Scuola-” l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori” (art. 1 c. 16); al di là di queste innocue parole, viene spiegato, si annidano tuttavia pericoli ed insidie: infatti, la strategia nazionale LGBT dell’UNAR prevede per le scuole la formazione del corpo docente, la predisposizione di modulistica inclusiva per ogni tipo di famiglia (anche omogenitoriale) e l’accreditamento delle associazioni LGBT come enti formativi nei percorsi antidiscriminazione. E’ stato puntualizzato anche che la cosiddetta “dittatura del pensiero unico” non è un problema solo italiano: le Linee guida per l’educazione sessuale dell’OMS, infatti, prevedono per la fascia 0-4 anni l’obiettivo di “acquisire consapevolezza di genere”, per poi “consolidarla” tra i 4 e i 6 anni, con chiaro riferimento alla possibilità di scegliere “cosa” essere. In realtà, si tratta anche qui di frasi estrapolate da un contesto molto più ampio: le linee guida dell’OMS infatti prevedono tappe pedagogicamente calibrate in base all’età dei bambini e delle bambine, indicando obiettivi e modalità per un sano sviluppo della sessualità.
Le conseguenze peggiori di questa “chiamata alle armi” contro la teoria gender nelle scuole non si sono fatte attendere: una scuola di Trieste è stata messa sotto inchiesta per il “gioco del rispetto”, accusata di incentivare la masturbazione e la nudità infantili, mentre svolgeva invece un’attività di decostruzione degli stereotipi di genere con memory e disegni. In varie occasioni, inoltre, questo movimento antigender ha invitato i genitori con messaggi su internet a non firmare il patto di corresponsabilità, che rappresenterebbe il consenso per “immorali lezioni gender”; in realtà questo documento è semplicemente un elenco dei doveri di insegnanti, studenti e famiglie, per la buona riuscita scolastica degli alunni e delle alunne.
E’ evidente dunque come l’invenzione del gender sia una strumentalizzazione, inventata allo scopo di nascondere idee e comportamenti apertamente discriminatori; tutta questa campagna diventa rivendicabile a livello politico contro la regolarizzazione delle unioni omosessuali e la criminalizzazione della discriminazione. Non si spiega altrimenti la feroce opposizione a pratiche educative e legislative che mirano al rispetto delle differenze di ognuno.