Nuovo presidio, ieri sera Martedi 22 Dicembre 2015, presso il comune di Seriate, da parte dell’associazione “Seriate di tutti”, in contemporanea al consiglio comunale in cui si discuteva la mozione della maggioranza riguardante l’idoneità alloggiativa; a seguito della decisione del comune di riabbassare la tassa, obbligatoria per i documenti dei migranti, i gruppi consiliari di maggioranza hanno presentato una mozione consiliare dove chiedono di continuare “il procedimento per il rilascio (o meno) del certificato di idoneità alloggiativa, come delineato nella delibera n. 185/2014″, intensificando dunque i controlli aggiuntivi sugli alloggi dei migranti, e solo su quelli. Permane dunque il carattere discriminatorio della burocrazia comunale, nonostante il ritiro, da parte dei comuni di Seriate ed Albino, dell’aumento della tassa e la restituzione della somma versata a più di cinquanta persone: ancora prima della pronuncia del tribunale di Bergamo, sollecitata da un gruppo di associazioni (Cooperativa Ruah, CGIL, ASGI…), i due sindaci avevano deciso di fare marcia indietro, dopo aver innalzato la tassa, lo scorso anno, da circa 50 euro a 160 (ad Albino) e 220 euro (a Seriate). Forse la mossa era stata studiata per evitare la sconfitta giudiziaria, come già accaduto ai sindaci di Bolgare e Telgate, veri e propri pionieri in materia, che ad Agosto erano stati però costretti dal tribunale di Bergamo a restituire il denaro e riportare la tassa ai suoi valori originari. La motivazione della sentenza, in quel caso, era dovuta alla matrice razzista del provvedimento, che colpisce solo popolazione migrante, poiché la tassa è necessaria per le pratiche di ricongiungimento familiare o la richiesta di permesso di soggiorno di lungo periodo.
Considerati i precedenti, dunque, era evidente che un tale provvedimento non avrebbe retto in un’aula di tribunale; ancor meno sarebbe stata credibile la motivazione (già addotta dai sindaci di Bolgare e Telgate), ovvero una copertura dei costi burocratici per la compilazione del documento, che in tutte le altre città italiane non supera i 100 euro. Difficile, insomma, mascherare il fondamento razzista della misura, che ancora una volta specula sulla condizione dei migranti per rimpinguare le casse comunali. Ma il “celodurismo” leghista registra anche questa volta una nuova battuta d’arresto e dimostra nuovamente l’inconsistenza -anche legale- dei suoi proclami.
Rimane tuttavia una domanda: chi paga per tutto questo? La restituzione delle somme versate e le spese legali dei processi, infatti, sono coperte da soldi pubblici, che provengono dalle tasse di tutta la cittadinanza (anche di quella parte che di certo non si riconosce in queste pratiche). Forse c’è un modo migliore, dunque, per impiegare le (già risicate) risorse dei comuni.