Pubblichiamo di seguito un contributo di Stefano Lucarelli, docente presso l’Università degli studi di Bergamo.
Il 10 Novembre 2015, i lavoratori dell’Università degli Studi di Bergamo saranno in sciopero. La stampa ha ricordato che è la prima volta in assoluto. Nella storia di questo Ateneo, che, negli ultimi anni, è stato in grado di aumentare il numero degli iscritti e di produrre risultati scientifici prestigiosi, dovuti anche ad una crescente strategia di internazionalizzazione, i lavoratori non erano mai giunti a questo punto.
«Lo sciopero di 4 ore alla mattina è indetto – dice un comunicato della Rsu dell’Università – per il giorno 10 novembre 2015. È il giorno in cui il Consiglio di Amministrazione certificherà il fondo per la contrattazione integrativa, senza stanziare adeguate risorse aggiuntive certe e stabili. Il Direttore ha tentato di scaricare le responsabilità della scelta sui Revisori dei Conti, nonostante la Finanziaria del 2015 abbia sospeso dopo 5 anni il blocco dei fondi».
Le ragioni dei lavoratori si sintetizzano in tre aggettivi: sotto-dimensionati, sotto-inquadrati, sotto-pagati.
Siamo spesso abituati a considerare lo sciopero un atto offensivo nei confronti dei datori di lavoro, un diritto che non andrebbe esercitato secondo il principio che “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Occorre tuttavia ricordare che esso può rappresentare un’opportunità per tornare a ragionare sui rapporti fra commander e commanded affinché si possa sostenere il productive power all’origine di ogni ricchezza. Sono questi i termini che utilizza Adam Smith nella Ricchezza delle nazioni. Sono concetti importanti su cui può valer la pena di riflettere in questi giorni, rileggendo alcune pagine (L’altra economia e l’interpretazione di Adam Smith, Vita e Pensiero, 2001, 167-169) di Don Gualberto Gualerni, studioso di storia economica e di storia del pensiero economico di fama nazionale, docente dell’Università degli studi di Bergamo, che ci ha lasciato lo scorso 26 Agosto:
«Nei primi due libri della Wealth of Nations dominante è la figura [di chi comanda il lavoro]: the commander… La sua condotta è virtuosa: prudente nell’impiego delle risorse, forte nell’incertezza e nel rischio, equanime nell’affrontarli. Dirige il sistema produttivo, mette assieme i fattori, sceglie i collaboratori, ne valorizza gli apporti e le prestazioni, è accorto e deciso nell’assegnazione dei ruoli, nella disposizione dei singoli e del loro insieme… Smith precisa che non è il lavoro in se stesso che è causa della creazione di nuove risorse, ma il productive power, quando viene adeguatamente stimolato dal commander. In questo senso il commanded work è causa della ricchezza delle nazioni… Anche l’incuria del commander, che comporti una scorretta o casuale collocazione dei lavoratori, li spersonalizza e riduce la produzione, perché ne affievolisce il work-power. Per contro, gli incrementi della produttività si verificano… ove i lavoratori sono well commanded e ciò dipende in primo luogo dalla professionalità [di chi li dirige]. Organizza la produzione in modo che le operazioni ne risultano meno impegnative e più semplificate; orienta il lavoratore in modo da evitare che la divisione del lavoro non divenga un fattore di abbrutimento, ma dall’esatta posizione di commanded il lavoratore valorizzato accresca la produttività delle prestazioni…. Quanto alla remunerazione, Smith ritiene impraticabile la riduzione dei salari a livelli di sussistenza e anacronistico il dibattito sul giusto salario… Salari esatti sono quelli che attirano valenti lavoratori e stimolano la propensione all’impegno. Esemplare quanto avviene nelle colonie americane ove, a motivo della scarsità dei lavoratori, i salari sono elevati, e inducono a praticare svariate forme di economia nell’impiego di altri fattori e nel processo produttivo stesso. Arduo diviene il compito del commander ma i risultati sono ottimi. »
L’attuale commander dell’Ateneo bergamasco, cioè il suo Direttore Generale, conosce bene queste pagine e potrebbe trarne tesoro. Sono infatti parte degli insegnamenti che il suo vecchio e saggio maestro prof. Gualerni gli ha lasciato in eredità. E le eredità non vanno dilapidate, soprattutto in tempi di crisi.
Stefano Lucarelli