ROMA RICORDA BOBBY SANDS

Ricorre il 5 maggio di quest’anno il 30° anniversario del martirio del patriota irlandese Bobby Sands, un Uomo che non ha esitato a gettare la sua giovane esistenza nei vorticosi avvenimenti del secolo scorso, sacrificandola ai valori eterni di Libertà, Indipendenza, Giustizia Sociale. Trent’anni fa, nel carcere-lager di Long Kesh, il giovane Bobby diede inizio ad un lungo, estenuante, poi fatale, sciopero della fame, lo seguirono altri 9 Volontari della causa Repubblicana, morirono tutti, dopo un agonia lunga mesi interi. I 10 prigionieri scelsero l’arma disperata dello sciopero per protestare contro un governo occupante, quello britannico, che non solo riempiva le galere di combattenti repubblicani ma si rifiutava, perfino, di riconoscere loro lo status di prigionieri politici, trattandoli alla stregua di criminali comuni. Questa era la democrazia della liberale Gran Bretagna, questo il modus operandi della tanto compianta Margaret Tatcher, un energumeno in gonnella, pronta a dispensare a piene mani carcere, tortura, privazioni per tutti quei nord irlandesi continuatori ed eredi della secolare lotta per l’autodeterminazione e l’indipendenza nazionale. I combattenti dell’IRA e dell’INLA lottavano contro uno Stato fantoccio (Ulster) creato degli inglesi nel 1922, e consegnato nelle mani dei fidi protestanti unionisti, discendenti dei coloni inglesi, artefici spietati di un sistema sociale iniquo, basato sull’apartheid e la discriminazione. I cattolici nord-irlandesi, infatti, erano privati di ogni diritto civile, osteggiati sul lavoro, esclusi dai servizi sociali, segregati in quartieri dormitorio, veri e propri ghetti, cittadini di serie B, senza dignità e senza speranza. Questo era il clima sociale da cui, nei primi anni ’70, prese corpo una lotta di massa, quella di tanti giovani come Bobby, decisi a spezzare le catene della schiavitù neocoloniale all’ombra della Union Jack e riunificare la loro Patria per consegnare alle generazioni future una libera Repubblica Socialista d’Irlanda.
Bobby era, allora, un ragazzo come siamo noi, oggi. Il sociologo di turno potrebbe dire: “nato e cresciuto nel posto sbagliato al momento sbagliato”, in un quartiere di periferia, da una famiglia di onesti lavoratori discriminati perché cattolici. Ma nel suo cuore non c’era spazio –come, oggi, qualche mistificatore, interessato a creare falsi e odiosi feticci, vorrebbe farci credere- per “guerre di religione”, sciovinismi o, peggio ancora, razzismo. I colori del tricolore irlandese, la bandiera sotto la quale Bobby e tanti altri hanno dato la loro vita, simboleggiano l’unione e la fratellanza del Popolo –verde, i cattolici, arancione, i protestanti- oltre ed al di fuori delle appartenenze religiose. Bobby era il classico ragazzo della porta accanto non un “superuomo” o un “eroe” piombato sulla terra da chissà dove, per questo, il suo martirio e il suo coraggio costituiscono un monito potente in grado di infiammare, ancora, i cuori e le menti di tanti giovani ribelli in Irlanda come in Europa e nel mondo intero, oltrepassando gli anni e i confini. Per questo intendiamo fare tutto quanto ci sarà possibile perché, anche a Roma, la sua figura venga onorata nel modo dovuto in occasione del trentennale. Affinché tutti ricordino, in un momento così buio per il nostro Paese, come la “politica” –questa nebulosa parola- non debba necessariamente essere un’oscena accozzaglia di papponi ben vestiti che si ingozzano con privilegi e denari ma possa ancora rappresentare quella nobile e difficile lotta per una trasformazione radicale della società, un lontano orizzonte per il quale, tanti come Bobby, hanno dato vita, sogni e speranze.

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english version follows

“ROME REMEMBERS BOBBY SANDS”

May 5th this year marks the 30th anniversary of the Irish patriot martyr Bobby Sands, a man who did not hesitate to fling his young life into the vortex of the events of the last century, sacrificing himself to the eternal values of Liberty, Independence and Social Justice.
Thirty years ago, in the Long Kesh prison-lager, young Bobby began a long, debilitating and ultimately fatal hunger strike. He was followed by nine more Republican volunteers. They all died at the end of long months of suffering. The ten prisoners had chosen the desperate weapon of the strike to protest against the occupying British, who not only packed the prisons with Republican fighters but then refused to recognize their status as political prisoners, treating them as common criminals. This was Great Britain’s liberal democracy; this was the modus operandi of the late-unlamented Margaret Thatcher, a fanatic who dealt out prison, torture and privation to all the Northern Irish who pursued the centuries-old struggle for self-determination and national independence. The fighters of the IRA and INLA were battling against the puppet state of Ulster created by the British in 1922 and handed over to loyal Protestant Unionists, the descendents of the English colonists, ruthless strategists of an unjust social system based on apartheid and discrimination. The Northern Irish Catholics were deprived of civil rights, treated with hostility in the workplace, segregated in very real ghetto dormitory neighbourhoods as second class citizens without dignity and hope.
This was the social climate of the early 1970s when a mass struggle took shape. Many young people like Bobby decided to break the chains of neo-colonial slavery in the shadow of the Union Jack, and to reunify their country for future generations as a free Socialist Republic of Ireland.
Bobby was young like us. A sociologist of the time might say: “born and raised in the wrong place at the wrong time.” A neighbourhood on the edge of town, a family of honest workers discriminated against because they were Catholics. But there was no room in his heart for religious war, chauvinism or, worse yet, racism, as some misleading commentators would have us believe. The colours of the Irish tri-color, the flag under which Bobby and so many others gave their lives, symbolizes the people’s union and fraternity: green for Catholics and orange for Protestants. A symbolism which goes beyond religious belief. Bobby was the typical boy next door, no Superman or Hero, and for this reason his death as a martyr and his courage sounded a strong warning, capable still today of inflaming the hearts and minds of so many young people in Ireland and in Europe. A call which surpasses time and national borders.
For this reason we intend to do all we can so that what he represents is honoured in Rome in a way worthy of the intervening thirty years. So that everyone will recall – in such obscure times in our own country – that such a nebulous word as “politics” is not necessarily the obscene rabble of gluttons gobbling up privileges and money, but can represent that noble and arduous struggle for the radical transformation of society. A distant horizon for which many like Bobby gave their lives, dreams and hopes.

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