Contributo di Federico dal carcere della Dozza sui morti della Thyssen Krupp

Lettera di Federico, arrestato per i fatti del 13 ottobre a Bologna, su morti Thyssen Krupp.

SIAMO TUTTI PRIGIONIERI

Sei operai morti bruciati in acciaieria, Di queste morti non hanno potuto incolpare i rom, ne i lavavetri, ne i punkabbestia di Bologna, ne gli ultras, ne gli anarchici.
È vero allora che, come ripetono meccanicamente i giornalisti, non c’è “sicurezza”; ma non si muore nel presunto degrado di piazza Verdi e dintorni, si muore nelle fabbriche e nei cantieri. Queste morti avvengono ogni giorno ed è impossibile dire quante sono, perché nessuno può contare i lavoratori in nero che danno la loro vita per arricchire il padrone.
Sui sei lavoratori uccisi dalla Thyssen Krupp si è detto tutto tranne quello che si doveva dire.
Si è detto che i responsabili devono pagare, ma questa è l’affermazione che chiude tutti i servizi di tutti i tg, non significa nulla. Si è detto che occorrono sanzioni più severe, salvo poi accorgersi che se non avvengono i controlli, e forse nelle prossime due settimane si faranno più controlli. Intanto non si capisce bene chi doveva fare cosa e perché non l’ha fatto, si è capito solo che in questo gran casino mancava un vero responsabile della sicurezza. Allora si è detto che mancava una cultura della sicurezza. Ma a dirlo sono stati i giornalisti, i politici e i “padroni buoni”, cioè coloro che potrebbero creare questa cultura e non lo fanno mai, non a caso.
Non si è detta la cosa più importante: che chi si occupa della sicurezza non è chi lavora, la sicurezza non c’è. <> dice il padrone, e così investe per aumentare la produzione, non per la sicurezza.
Poi ci sono gli addetti agli estintori, sfruttati e precari magari: ogni tanto arrivano in fabbrica, fanno i loro controlli e se ne vanno. I sindacati poi guadagnano sulle cause legali che notoriamente si fanno dopo aver perso un braccio e non prima, quindi sono probabilmente contrari alla manutenzione degli impianti.
Capitalismo, specializzazione, rappresentanza: tre volti di un unico sistema assassino che fa di tutto perché il lavoratore non si occupi in prima persona dei propri problemi.
Ma c’è un’altra cosa che mi colpisce, pur nella sua ovvietà. Sto scrivendo questo testo da un carcere: qui ci sono tossicodipendenti, ladri, ribelli e quant’altro. Gente che per scelta, per impossibilità o per incapacità non si adatta alle regole della società capitalista e autoritaria.
È quindi inumano ma logico che ci rinchiudano, ci isolino, ci nascondano e ci umilino cercando di disumanizzarci, con una costante tortura psicologica e non. Ma i sei operai di Torino erano persone che seguivano le regole della nostra società. Per chi non lo sapesse, lavorare per 12 ore significa uscire dal lavoro nevrotici e stanchi, alienarsi completamente da ciò che si vorrebbe essere e fare, dedicare ogni minuto della propria giornata ad arricchire il padrone. Il sistema ha un debito enorme verso queste persone, eppure le lascia morire bruciate in acciaieria.
Nella tragedia, hanno almeno avuto la rara fortuna di essere italiani che lavorano in regola. Perché delle masse di clandestini e sfigati che muoiono nei cantieri e nelle fabbriche non si parla mai. Eppure il loro sangue è nelle fondamenta delle nostre case, nei prodotti che compriamo ogni giorno.
Da un prigioniero nascosto da spesse mura perché osa ribellarsi
Solidarietà a tutti i prigionieri del lavoro
Solidarietà ai parenti, colleghi e amici dei lavoratori morti a Torino e in ogni altro luogo

Con amore e rabbia
Fede
Casa circondariale La Dozza , Bologna, dicembre 2007

***
per scrivere a Federico:

Federico Razzoli

C.C. La Dozza
Via del Gomito, 2
40127 Bologna

Sab, 22/12/2007 – 04:35
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