Guerra e accoglienza - Due aspetti dello stesso business

riceviamo e diffondiamo:

GUERRA E ACCOGLIENZA. DUE ASPETTI DELLO STESSO BUSINESS


Il 16 gennaio 2013, i ministri degli esteri e della difesa italiani  hanno pubblicamente sancito un'alleanza bellica con la Francia,  nell'intervento militare contro uno degli stati più poveri e dissanguati del pianeta, il Mali. Obiettivo: opporsi all'autonomia di quella  regione, spacciata per l’ennesima invasione del terrorismo islamico, per non incrinare l'approvvigionamento energetico francese ed  il controllo delle risorse naturali del territorio, in primis l'uranio.
Concretamente, l'intervento italiano si caratterizzerà in collegamenti  aerei, rifornimenti in volo e probabilmente fornendo i propri droni 'predator'.
Si potrebbe sostenere che si è in clima da campagna elettorale, ma  evidentemente riguardo alla guerra non è così. Che siano volti nuovi o  cariatidi, mafiosi o tecnici, la guerra sembra sempre una priorità per  tutti i governi e le classi dirigenti. Un solido investimento per il  futuro, dal sapore sempre uguale: metallico, come quello del sangue. La  solita pietanza, servita con i più diversi edulcoranti. Linguaggi  tecnici, immagini faziose, nemici sempre più sfuggenti, tutto per  nascondere il comun minimo denominatore di ogni governo e della sua
 politica: il sistema guerra.
L'Europa sembra non aver altro da proporre in materia di politica estera. Fuoco fuori dai confini e polizia all'interno. Ciò che si  dimentica facilmente però, è che dove c'è, o c'è stata guerra, la gente  fugge per lasciarsi alle spalle la disperazione.
Ecco che allora, proprio perchè da massa anonima per telegiornali di regime, i popoli in fuga si impongono agli occhi degli occidentali con i propri volti, il  linguaggio delle armi deve lasciar campo libero a nuovi spazi di  visibilità ed intelliggibilità. Sarà così il diritto umanitario a  definire i confini della loro identità e del loro status, per condurli  verso una nuova spersonalizzazione. Piuttosto che il diritto penale a  mettere definitivamente i sigilli alla loro libertà.

Nell'ultima settimana di dicembre a Bergamo e a Gromo, i profughi  giunti in Italia dopo l'ultimo intervento militare della Nato in Libia,  ospitati da più di un anno in strutture d'accoglienza, hanno protestato  contro il regime a loro imposto e contro le limitazioni alla libertà di movimento. Lo hanno fatto sottraendosi a quello stato d'eccezione,
teorizzato dalle politiche nazionali e comunitarie in tema di  immigrazione e realizzato dal privato sociale. Lo hanno fatto opponendo  a una situazione di semidetenzione, sapientemente amministrata dagli  enti caritatevoli e legittimata dalla retorica cattolica, progetti di  vita concreti, partendo dalla ricerca di un lavoro più o meno stabile.
Lo hanno fatto chiedendo un contributo in denaro alla Caritas (che riceve dallo stato 1300 euro al mese per ogni profugo ospitato), la quale, sorda a tale richiesta, sarebbe però disposta a coprire interamente le spese di viaggio per i rifugiati disposti a tornare in Libia.
Ciò che può sembrare un gesto insolente verso chi si fregia di  democraticità e umanitarismo, in realtà svela tutto lo zozzume delle  politiche internazionali e crea un cortocircuito nella rete di  leggittimazione che la guerra (interna ed esterna) tesse intorno a sé.
Ciò che i giornali hanno restituito è una chiara mistificazione di  quello che la lotta dei migranti esprime: il fallimento delle politiche  estere della fortezza Europa, degli accordi internazionali
sull'immigrazione e il lato parassitario dell'umanitarismo.

Per gettare la sabbia negli ingranaggi della guerra, occorre agire  soprattutto nei suoi aspetti più capillari. Organizzare mobilitazioni  oceaniche e mediatiche può servire ad accrescere la consapevolezza e  l'attivismo, ma elude gli aspetti più concreti e plurali del sistema guerra.
Pertanto, ci sentiamo di dire che alle prossime elezioni (come del resto a tutte) l'unico gesto contro la guerra che ciascuno/a di noi può fare è disertare le urne, evitando così di legittimare, con il proprio voto, un sistema di governo che, indipendentemente dagli orientamenti politici espressi, ha nelle guerra uno dei propri pilastri.
 
Contro gli eserciti sempre, per la guerra mai!

*Anarchiche/ci della Malpesata*

da http://underground.noblogs.org/post/2013/01/22/guerra-e-accoglienza-due-aspetti-dello-stesso-business/

Mar, 29/01/2013 – 14:34
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