Miseria dell’antimperialismo

Miseria dell’antimperialismo

La nazionalità dell’operaio non è serba, albanese o greca;

essa è il lavoro,  la libera schiavitù, il mercanteggiamento di sé.

Il suo governo non è serbo, albanese o greco; esso è il capitale.

L’aria della patria non è per lui quella serba, albanese o greca;

ma è l’atmosfera irrespirabile dell’officina sociale.

(Karl Marx)

Imperialismo e capitalismo non sono in alcun modo distinguibili. È a partire da questo dato che ci schieriamo contro tutti gli imperialismi: non solo quello targato USA, ma anche quello europeo, russo, cinese, iraniano, indiano, ugandese etc. Ogni stato capitalista è, per sua stessa natura, imperialista; in quale misura esso riesca a mettere in atto questa vocazione, dipende soltanto dalla posizione che occupa nel mercato mondiale e dalla potenza militare che può dispiegare. Non esiste né può esistere un capitalismo pacifico o “umanitario”, e neppure si tratta di una questione di buona volontà, giacché l’alternanza guerra/pace è strettamente funzione dell’accumulazione del capitale e della sua dinamica inerziale.

La presente organizzazione sociale, per conservarsi, deve produrre miseria, distruzione e morte. Si mettano il  cuore in pace le anime belle che esultarono dopo l’elezione alla presidenza degli States del progressista Obama (il quale, per altro, ha già dato un saggio di ciò che andiamo sostenendo con l’invio di un ulteriore contingente di 30.000 soldati nel deserto afghano): a dispetto di tutti gli orpelli mediatici, quello che si estende davanti all’umanità è un orizzonte quanto mai cupo. D’altra parte, il gattopardismo del capitale, lo spettacolo stantio dei falsi antagonismi che esso mette in scena affinché nulla di ciò che è essenziale venga rimesso in questione, ormai mostra la corda. Solo pochi ingenui, per lo più militanti sinistrorsi obnubilati da anni di cretinismo parlamentare inoculato in dosi massicce, continuano a credere alla menzogna elettorale e a entusiasmarsi per un banale cambio di governo. Nondimeno, negli altri, i disincantati, prevale lo scoramento, l’impotenza, il cinismo, l’individualismo.

La guerra non è che la manifestazione estrema del dominio totalitario dell’Economia, di un sistema di sfruttamento alla cui base è la negazione della vita. Quest’ultima prende forma nelle bombe esportatrici di democrazia come nella morte somministrata a piccole dosi – anche e soprattutto nei paradisi mercantili d’occidente – di una vita senza senso, fatta di isolamento, alienazione, noia: morte relazionale e affettiva.

Ci schieriamo quindi contro tutti i nazionalismi, gli eserciti, le guerre di “liberazione nazionale”, le patrie piccole e grandi, le identità etniche e religiose; insomma, contro tutti gli Stati, presenti, passati e futuri, democratici, dittatoriali e persino “operai”. Consapevoli che è, questo, soltanto un degli aspetti di una totalità sociale che deve essere distrutta dalle fondamenta.

Tutto ciò non può non implicare una radicale inimicizia nei confronti dell’ideologia “antimperialista”; ideologia reazionaria che, mentre con una mano brucia la bandiera statunitense e israeliana, con l'altra innalza i vessilli delle borghesie palestinese, basca o irachena – e, sotto sotto,  quello dell’imperialismo europeo... E finge di dimenticare che a ogni conflitto militare si accompagna, sul fronte interno, la guerra contro i proletari, l’attacco alle loro condizioni di esistenza, in Palestina come in Israele, a Los Angeles come a Baghdad.

Laddove la crisi strutturale che attanaglia il capitalismo mondiale da oltre un trentennio inizia a manifestarsi in tutta la sua virulenza, apparecchiando nuovi e inquietanti scenari di guerra, è di fondamentale importanza ribadire con forza e coerenza la posizione internazionalista che da sempre è patrimonio delle minoranze radicali. Così come è necessario affermare che i futuri movimenti sociali, che si auspica si svilupperanno in opposizione alle sempre più numerose e sanguinose guerre del capitale, dovranno essere in primo luogo capaci di sabotare materialmente il dispositivo bellico all’interno dei rispettivi “territori”, pena l’essere relegati, ancora una volta, in un ruolo di impotente e spettacolare testimonianza. Si tratta, in certo modo, di riallacciarsi alle lotte antimilitariste delle generazioni proletarie passate, le cui forme certamente richiedono di essere aggiornate, ma che ebbero il pregio di andare sempre ben oltre, quanto a determinazione ed efficacia, le sfilate belanti dei pacifisti d’ogni risma.

Negli anni tra le due guerre mondiali, le socialdemocrazie occidentali, di concerto con i gestori del capitale di stato sovietico e le loro appendici – i partiti sedicenti comunisti – riuscirono a fare pressoché tabula rasa della tradizione internazionalista del proletariato. Anche l’anarchismo “ufficiale”, già a partire dal 1914, con l’adesione di alcuni suoi esponenti alla causa dell’Intesa, e soprattutto negli anni Trenta, con la partecipazione di fatto ai fronti antifascisti, diede il proprio nefasto contributo. A partire dagli anni Cinquanta, il pacifismo e l’antimperialismo nostrani furono poco più di una cortina fumogena dietro la quale si celava la politica estera filosovietica del Pci (che, d’altronde, faceva il paio con la totale subordinazione, sul piano interno, agli interessi del capitale nazionale): “imperialismo” era sempre e soltanto quello americano!

Il gauchisme degli anni Settanta e i suoi degni eredi (ancora, ahinoi!, in circolazione) si sono collocati – non c’era da dubitarne – nello stesso solco. Così, ogni qual volta due opposte frazioni del capitale mondiale entrano in conflitto, questi “attivisti”, sempre in cerca di una causa per cui militare, si sentono in dovere di schierarsi come bravi soldatini con l’uno o con l’altro campo, sia in nome dell’antifascismo, dell’antiamericanismo o dell’autodeterminazione dei popoli. “Viva l’eroica Resistenza del popolo iracheno!”. “Viva la Libertà del popolo palestinese!”. “Abbasso il tiranno imperialista americano!”. E giù con gli slogan truculenti e le bandiere nazionali! (A proposito del concetto di “popolo”, vero e proprio pilastro dell’ideologia nazional-borghese, vale la pena ricordare che già 150 anni fa il vecchio Marx, polemizzando con Bakunin, lo aveva definito testualmente un’“asineria”!). Questo tipo di atteggiamento, e l’ideologia che lo sostiene, devono essere criticati senza tregua e senza compromessi.

Quanto a noi, siamo convinti che soltanto il ritorno dei proletari alla loro vocazione internazionalista e a un coerente disfattismo rivoluzionario, potrà fermare i massacri che in misura crescente insanguineranno il pianeta. E porre ancora una volta l’alternativa secca: guerra o rivoluzione sociale, distruzione della specie o comunità umana.

Les Mauvais Jours Finiront - http://mondosenzagalere.blogspot.com/

Ven, 24/07/2009 – 20:15
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