Cronaca della seconda giornata contro il sistema penitenziario

Secondo giorno delle Jornadas Anticarcelaria, presso Valladolid, martedì 28 novembre, Seconda "edizione".

Traduzione della prima giornata e della terza

Donne e carcere

Secondo giorno delle giornate.
La conferenza di martedì,“Donne e carcere” è a carico di un membro del collettivo Salhaketa, Pote, arrivato da Bilbao. Iniziato abbastanza in orario, si è andati avanti per circa due ore e mezza, in un clima molto piacevole e interessante. Hanno partecipato circa 52 persone provenienti da collettivi molto variegati e sono stati distribuiti due volantini sul tema e sul presidio in appoggio a Dani, il recluso della manifestazione contro LOU del 2001.
Pote ha esordito presentando il suo collettivo, Salhaketa, che vuol dire “denuncia” in euskera (basco): è un'organizzazione che conta circa 13 membri, impegnata con prigionieri e prigioniere di tutto lo stato spagnolo, anche se la presentazione si è concentrata più che altro sulle prigioniere. Questo collettivo è sorto nel 1991, si finanzia attraverso donazioni private e in alcuni casi con sovvenzioni del governo basco.
Inizialmente tenevano una corrispondenza solamente con prigionieri/re basche dei carceri di Basauri, Nanclares de Oca e Martutene poi, dovuto alla dispersione che caratterizza i carceri spagnoli, è aumentata e attualmente raggiunge 44 dei 76 carceri spagnoli esistenti. ( per scrivere le lettere si aspetta che siano i prigionieri/re a contattarli e quindi si ripartisce la corrispondenza).
Ci saranno circa 5.000 donne rinchiuse in Spagna, ovvero un 8% della popolazione carceraria; questa minoranza non è assolutamente vantaggiosa, anzi va contro le stesse carcerate. Viviamo in un paese maschilista, dove le differenze fra uomo e donna sono molte. Questa discriminazione è moltiplicata all'interno dei carceri: sono discriminate per essere donne e per essere carcerate. Questo fatto si può osservare in vari fattori:
1) Discriminazione architettonica. Le strutture carcerarie sono fatte per uomini. Alcune sono vecchie caserme; i moduli per i laboratori si trovano di solito in mezzo alla zona degli uomini e, addirittura, negli attuali mega-carceri, i moduli delle donne sono costruiti in zone separate per cui l'accesso risulta più complicato visto che, essendo segregate fisicamente, non prendono parte alle attività carcerarie. Inoltre le donne utilizzano gli spazi dei laboratori che gli uomini rifiutano.
A Nanclares, ad esempio ( si è parlato quasi esclusivamente di questa prigione perché è quella che il compagno conosce meglio), non c'erano zone per donne finché si è deciso che in Euskadi non ci fossero moduli di primo grado. Allora, questo modulo si è adattato alle donne per cui sono più controllate rispetto agli altri moduli.
2) Discriminazioni igienico-sanitarie. La maggioranza delle donne imprigionate non ha a disposizione un servizio di ginecologia. Nella prigione di Nanclares il medico ha comprato di tasca propria l'apparecchiatura ginecologica necessaria. Ora la situazione è migliorata, fino a pochi anni fa ricevevano solamente 8 pastiglie al mese, contro le 24 di adesso.
3) Altre discriminazioni derivate da quelle precedenti. Hanno difficoltà ad arrivare al terzo grado ( dormire solamente in carcere) per cui si ritarda la loro rimessa in libertà condizionata. Questa discriminazione è presente nella maggior parte delle carceri spagnole. Ad Euskadi, ad esempio, non ci sono madri nelle prigioni-modulo, e se qualcuna partorisce viene trasferita. (ad Avila esistono carceri esclusivamente femminili). Questo rende difficile la relazione con la famiglia, in quanto i figli hanno il diritto di uscire per riunirsi con il resto della famiglia i fine settimana, ma se non sono vicini è un casino. I rapporti si complicano ulteriormente quando la famiglia non appoggia la carcerata; alcune di loro perdono anche la custodia dei loro figli. Molte donne madri, se non hanno un appoggio esterno, preferiscono rimanere con il figlio in prigione per evitare l'allontanamento, nonostante sia molto duro vedere vivere tuo figlio in prigione. La maggior parte delle donne, inoltre, è rinchiusa per prostituzione o per droga, il che può generare situazioni ancor peggiori.

Attualmente il tema più mortificante è quello degli abusi sessuali sulle detenute, escludendo i detenuti e i bambini che si trovano all'interno delle strutture. Questi metodi vengono usati abitualmente sia nelle detenzione, sia durante la prigionia nelle questure e nei carceri, considerati una potente arma di tortura. Pote racconta di una compagna, fermata ovviamente “per errore” e detenuta insieme alla figlia; abusarono della donna,.e facevano sentire come simulavano lo stupro della figlia (di 17 anni) che si trovava nella cella accanto. Questo causa un grave colpo psicologico da cui ancora non si è ripresa.

Dal 1991, da quando il compagno lavora con Salhaketa, fino ad oggi sono stati segnalati 98 casi come questo. Attualmente questa organizzazione si sta occupando di un caso di abusi nella prigione di Nanclares de Oca, dove una carcerata si è messa in contatto con loro denunciando molestie sessuali da parte del vicedirettore della casa. Il soggetto in questione era abituato a minacciarle dicendole che se ci stavano le avrebbe cambiate di grado e concesso benefici, ma che se invece rifiutavano ne sarebbero derivati solo problemi. A monte di questa denuncia ne sono uscite altre, la molesta ha smesso di essere una chiacchiera e una donne è stata molestata da questo essere indesiderabile. Quando le recluse hanno detto che non volevano nulla, sono stati sospesi i permessi, le visite e i laboratori.
Il vicedirettore in questione, ha iniziato a lavorare a Nanclares nel giugno 2004, a marzo 2005 è arrivata la richiesta di denuncia a Salhaketa: secondo le recluse le molestie sono iniziate una settimana dopo aver iniziato a lavorare l, e finora ne sono vittima circa 15 donne delle 80 rinchiuse (non tutte hanno rifiutato visto che l'offerta di stare al 2º o 3º grado e ricevere più visite e permessi, è alettabile). Il 20% di loro ha sofferto abusi durante i due anni in cui quest'uomo ha lavorato lì. Solamente 4 donne hanno denunciato; una quinta ha raccontato la sua esperienza senza però esporre denuncia.
Si sta ancora analizzando il caso per vedere se si andrà in tribunale oppure no; a causa dello scandalo suscitato, e per insabbiare il caso ,il vicedirettore ha presentato le dimissione mentre il direttore è sorprendentemente salito di grado a Madrid. Considerato l'accaduto è stato richiesto il quaderno degli incidenti dove trovano conferma le condizione in cui si trovavano le donne:secondo quanto attestato il soggetto è entrato più di 90 volte nel modulo femminile, ha avuto ripetuti colloqui con alcune di loro più di tre volte in settimana e, addirittura, entrava nelle loro celle alle 4 del mattino vestito in modo molto elegante e di “punta in bianco”, senza portare l'uniforme. Si sospetta che sia arrivato perfino a violentare alcune prigioniere.

Ci si chiede quante volte sia successo questo in passato perché quest'uomo aveva lavorato in tante altre carceri, tutte con moduli femminili. Si sa che a Tenerife le recluse hanno fatto una festa il giorno dopo la sua partenza (ora si spera che il soggetto in questione non sia in una carcere con moduli femminile, perché ciò farebbe paura).
In una situazione normale se quattro donne presentano denuncia per molestie sessuali l'uomo riceve un ordine di allontanamento immediato, in questo caso sono trascorsi tre mesi dalla prima denuncia prima di presentare le dimissioni. Solitamente le vessazioni, i maltrattamenti e gli abusi si accaniscono più contro donne che contro uomini, e sono la risposta a un castigo, invece per le donne non dipende l'attitudine che mantengono, ma dipende dal fatto di essere donne rinchiuse in uno spazio, e possono piacere a una guardia che cercherà di trarne personale beneficio da loro.
A questo punto della conferenza il compagno Pote istiga un po più di dinamicità e dibattito. Una donne dell' Asociación de Mujeres de la Rondilla, gli domanda sull'età delle recluse, risponde che hanno fra i 18 e 30 anni. Un'altra rappresentante del Foro de la Mujer che collabora con carcerati e carcerate in Villanuela nella prevenzione della violenza di genere, chiede consiglio per una maggior partecipazione delle donne nel loro lavoro visto che all'interno del loro gruppo ci sono tre sotto-gruppi formati da: donne gitane, donne immigranti e il resto di donne: lei vorrebbe che tutte si avvicinino nella misura in cui possono.
Pote le risponde che Salhaketa è un'associazione di denuncia delle carceri, per cui solitamente loro non entrano e quindi non la può aiutare in questo senso. ( precisa che non entra l'organizzazione, ma entrano loro a livello individuale; anche se non sono certo i benvenuti specialmente dopo l'ultima conferenza stampa in cui hanno fatto conoscere il caso di Nonclares, come risposta hanno cercato di condannarli a 2 anni e mezzo di carcere). All'interno di questa prigione le recluse avevano creato un piccolo gruppo ed erano esortate dall'organizzazione a contare sempre sulle loro compagne per lavorare. In questo aspetto, se precedentemente mantenevano una corrispondenza con 3 prigioniere, adesso l'hanno con 30. Inoltre le 4 querelanti hanno lo stesso avvocato, questa particolarità le ha unite, ma sono sempre loro a decidere come lavorare e prendono le decisioni senza che nessuno interferisca. Forse questa associazione non ha dei problemi per relazionarsi con alcuni prigionieri (altri invece fuggono da loro perché le considerano anarchici/che), visto che ogni volta che c'era una sollevazione, loro hanno diffuso il comunicato e lo hanno appoggiato. Può anche essere che vedendo qualcuna parlare con il vicedirettore di prigioni, le altre credano che faccia parte del sistema penale e per questo siano più restie a collaborare.

Segue una piccola discussione sulle droghe in prigione: alle donne vengono somministrati molti più medicamenti e droghe (valium pastiglie...) rispetto agli uomini. Si riproduce il sistema maschilista che esiste fuori dal carcere, estendendo quel luogo comune per cui le donne sono delle isteriche, delle pazze e non si capiscono (quindi le drogano di più). Questa situazione sottolinea le tensione per cui, prima di stabilire delle relazioni con loro, bisogna capirle,ma molti medicamenti somministrategli sono altamente pericolosi e rendono più complicata la comunicazione. Bisogna in ogni caso compiere quello che si promette altrimenti, come si dice dentro, “non più di una (pastiglia)”, perché perdono la fiducia.
Sono obbligate/i a prendere pastiglie (sia nelle sezioni femminile che maschili) contro la loro volontà, e se si vuole presentare una eventuale denuncia lo si fa al Tribunale di Vigilanza Penitenziario (Juzgado de Vigilancia Penitenciaria), che basicamente reitera le decisioni prese nel carcere. Quando si presenta la denuncia si telefona al carcere e si avvisa; il giorno dopo arriva un rapporto sigillato e firmato dal medico in cui si dichiara che il prigioniero ha bisogno di questo medicamento per il trattamento delle sue tendenze aggressive e violente. Il costante somministro di pastiglie non esclude, in certi casi, che alcuni detenuti ne diventino dipendenti e ci siano dei giri strani di pastiglie nel cortile. Una delle droghe si chiama Cipreses, è molto forte e serve per i trattamenti di schizofrenia, è il terzo per diffusione nelle carceri dopo il Valium e il Transin. Anche il somministro delle droghe in sé vuole dire controllare i detenuti: se sono pigliati dal metadone li si può lasciare per dei giorni senza per provocargli crisi ( e quindi si ha una scusa per picchiarli) e dargli il doppio perché stiano tranquilli
Certe volte questi argomenti sfuggono dalle mani. Alcuni anni fa ci fu un caso in una prigione spagnola di morte di 4 carcerati in successione; si è scoperto poi che si stava usando un nuovo calmante che reagiva male con il metadone e causava la morte
Molte volte chi somministra le droghe legali non è medico o farmacista, non ha studi correlati: fa ciò che vuole come vuole.

Un altro tema è la creazione di gruppi all'interno delle prigioni. Chi ne fa parte e i collettivi dei prigionieri sanno che saranno fottuti e saranno oggetti di rappresaglie. Le esperienze esistenti non sono buone, e molte volte si concludono che rimane un solo carcerato, ma tutti coloro che appoggiano il gruppo, subiscono le conseguenze. Difatti collaborare con Salhateka implica esser visti male, ma è anche positivo perché gli altri carcerati ci pensano su due volte prima di picchiarli o maltrattarli.
Un'altra domanda che si presenta è se le donne carceriere riproducano il modello maschilista o se invece si solidarizzano. La norma generale, sembra essere che non lo riproducano ma lo esasperano. Le carcerarie di solito sono più crudeli e hanno la penna facile per firmare comunicati. Anche se ci sono eccezioni. Nel caso Nanclares, una parte delle carcerarie non ha ammesso di aver visto gli abusi, ma non lo considererebbe strano visto che è successo anche a loro. Qualcuno ho visto addirittura una di loro baciare una detenuta attraverso la scanalatura della porta, anche sé il suo lavoro doveva consistere nel denunciarlo nel momento in cui lo vedeva.

Si dice che il FIES ha un po più di solidarietà: quando qualcuna viene picchiata tutto il modulo inizia a gridare, finché smettono; ma non c'è molta coscienza collettiva. Nel FIES ci sono pochissime donne, non c'è distinzione fra loro e gli uomini, il regime è lo stesso. Sono presenti nel FIES solo le donne relazionata alla banda armata o a gruppi politici (GRAPO, gruppi libertari...). Ultimamente stanno aumentando molto le torture sessuali anche fra uomini ( in Nanclares, c'è stato il caso di un uomo sodomizzato con un manganello). Alcuni collettivi e organizzazioni utili per contattare i prigionieri sono: Salhaketa, Saltando Charcos, Asociación contra la Tortura…,si possono trovare indirizzi di carcerati anche in alcune pagine web come quella della CNA, o di alasbarricadas...

Un partecipante denuncia che in Villanuela, quando un/a prigioniero/a vuole comprare qualcosa che non è nell'economato, è obbligato a farlo in negozi specifici, come il Corte Inglés: è un'abitudine conosciuta come “richiedente”; il carcere si tiene una commissione da queste vendite.
L'eroina e qualsiasi droga illegale è più economica nel cortile, ma non lo sono gli alimenti e gli altri accessori. I prigionieri non possono avere più di 50€ alla settimana e sempre sotto forma di bonus.

Infine Pote dice che Salhaketa si dichiara per l'abolizione dei carceri, perché non ce ne sono di buoni. Come alternative propone che, fintanto esistano prigioni, queste scompaiano progressivamente, e che finché i prigionieri con sentenza giuridica di privazione della libertà, stiano rinchiusi, sia permesso ai familiari, senza alcuna privazione, muoversi liberamente dove vogliano, che facciano visita come e quando vogliono, che i carceri sono luoghi pubblici pagati dal contribuente, ovvero da tutti
D'altra parte i carceri puniscono, nella maggior parte dei casi, la povertà. Per farla finita bisogna smettere con le disuguaglianze economiche e sociali; per dare una soluzione alle situazioni di violenza si propone la risoluzione e la moderazione dei conflitti, dare un compenso alla vittima ed educare il colpevole. Esistono già precedenti di questo casi in Canada: quando un uomo maltratta una donna, invece di rinchiuderlo gli si trova un lavoro e gli si obbliga a versare il 20% del suo stipendio alla donna.
Poco prima di concludere si commentano piccoli trucchi per chi è in contatto con prigionieri: quando gli si fa visita, è bene che il carcerato invii una copia dell'autorizzazione della visita, così non ci sono ostacoli. O, se non si ha l'autorizzazione a mano, minacciare di chiamare il capo di servizio che, in caso di non permettere l'entrata, dovrà trasmetterlo per iscritto e in questo modo si avrà una carta con cui presentarsi per la denuncia. Un altro trucco è mettere scotch sulle buste, non tanto perché non le leggano (se vogliono lo fanno anche non avendo il diritto di intercettare la corrispondenza), ma in questo modo si ha la conferma se abbiano letto o no la lettera.

Per concludere l'incontro si sono dati titoli di libri relativi al tema:
- TARRIO, Xosé. Huye hombre huye. Barcelona, Virus, 1997.
- ZAMORO, Patxi. A ambos lados del muro. Tafalla, Txalaparta, 2005.
- RÍOS MARTÍN, Julián C. y CABRERA CABRERA, Pedro J. Mil voces presas. Madrid, Universidad de Comillas, 1998.
- ALMEDA, Elisabet. Corregir y castigar. El ayer y hoy de las cárceles de mujeres. Barcelona, Bellaterra, 2002.
- POMBO da Silva, Gabriel. Diario e ideario de un Delincuente.
- GARFIA, Juan José. Adiós prisión, adiós. Tafalla, Txalaparta, 1995.

Maggiori informazioni e documenti sul caso della prigione di Nanclares (in spagnolo)

Mar, 12/12/2006 – 16:02
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