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terrorista fascista Ciavardini a velletri (RM)
by grind the nazi scum Saturday, Sep. 24, 2005 at 6:03 PM mail:

incredibile copio e incollo un articolo apparso su un giornale del luogo: non c'è solo ignoranza ma anche una seria volontà di riabilitare il fascismo! leggete:

Quarantotto” in Consiglio Comunale

di Guido Di Vito

Quanta indignazione, quanto chiasso, quante parole grosse sono volate, quale parapiglia in Consiglio Comunale, sembrava il “quarantotto”. Ecco l’antefatto: alcuni, fra assessori e consiglieri della maggioranza, meglio dire di A.N., tra cui il presidente del locale Circolo, hanno presenziato alla “tavola rotonda” sulla politica, svoltasi domenica 11 settembre alla “Festa di Forza Nuova”. Un tema molto scottante, che riguardava gli “anni di piombo” in cui spiccava un personaggio molto discusso, Luigi Ciavardini, ex terrorista di destra ed indagato della tristemente nota strage della Stazione FS di Bologna del 2 agosto 1980 (la bomba esplose alle 10,25 e fece 77 vittime e 117 feriti). Ciavardini, già condannato, ha scontato 21 anni di prigione per aver anche ucciso due poliziotti e un giudice. Nell’ex mercato coperto di via Martiri delle Fosse Ardeatine (ironia della sorte) era accompagnato dal suo avvocato Valerio Cutonilli. Al dibattito hanno preso parte il sindacalista della Fil Dario Miccheli e il segretario nazionale di Forza Nuova, Mario Fiore. Naturalmente il tema principale era basato sul grave fatto di Bologna e Ciavardini, dopo la ricostruzione dei fatti raccontati dall’avv. Cutonilli, ha asserito, come ha riportato “imparzialmente il nostro bravo giornalista” Vincenzo Iuliano: “Sono in attesa di un altro processo e a questo punto non m’interessa di sapere chi aveva messo la bomba alla Stazione di Bologna 25 anni fa. – soggiungendo – Vivevo sì in un ambiente in cui si rapinava, si sparava, ma si deve sapere che eravamo pronti a sacrificare noi stessi per i valori in cui credevamo, cosi come tante famiglie rovinate hanno sacrificato la propria felicità a causa di una magistratura miope che ha condannato ingiustamente i loro figli”. Che dire? E’ stato sincero no? Perché scandalizzarsi delle croce celtiche? Ma come, l’aveva inventata addirittura un santo! Una leggenda narra che fu S. Patrizio a creare la prima croce celtica. Egli stava predicando di fronte ad una pietra sacra, una specie di altare da campo, delimitata da un cerchio, durante la sua opera di conversione, quando tracciò all’interno del cerchio sacro una croce latina e benedì la pietra, creando cosi la croce celtica. Quindi perché indignarsi delle croci e della presenza degli assessori, dei politici, del presidente di Circolo, dei cittadini simpatizzanti, quasi tutti di A.N., a parte un assessore di F.I.? Se ci sono andati è stata per loro scelta, per mostrare la loro apertura a quel movimento che in fondo è della loro area politica, tanto è vero che chi lo dirige ha espresso il proposito di far parte della Casa della Libertà. Certo è che non tutti della CDL, e anche di A.N., la pensano come loro, infatti l’annunciato Rampelli non si è presentato, né tanto meno lo ha fatto Alessandra Mussolini, anche lei attesa, non per scelta ma per altri precedenti impegni. C’era proprio bisogno allora di contestare in consiglio con slogan e cartelli? Eppure, sotto gli occhi di tutta la comunità, qualche anno fa, alcuni “pezzi da 90 di A.N.” erano presenti all’inaugurazione della sezione di via Fiscari. Il segretario, un imprenditore edile cittadino, ebbe anche modo di appaltare alcuni importanti lavori del Comune. Di che scandalizzarsi abbiamo detto? C’era bisogno di accusare sindaco e maggioranza per non aver dato una tirata d’orecchi ai colleghi più “genuini”? Forse non avevano nessun argomento di contrarietà, tale da suscitare accuse o sdegni. Forse i contestatori in Consiglio non hanno considerato che l’Amministrazione ha dato permessi e piccole strutture per la prima festa celtica, tanto è vero che hanno ringraziato chi gli è stato vicino. Lasciamoli dunque esprimere le loro simpatie nei riguardi di Forza Nuova e dei loro esponenti, senza tanto sbracciarsi e infiammare le forze dei partiti dell’opposizione. Voi, giovani e partiti della sinistra, esprimete il vostro pensiero, fatelo conoscere democraticamente, magari a mezzo stampa. Tutto questo casino per la presenza di Ciavardini? E’ vero, comprendo la vostra indignazione, non condivido la pubblica contestazione in Consiglio Comunale che ha solo disturbato i lavori. Bravo è stato il consigliere Cerini ad invocare la Forza Pubblica. In fondo, si tratta di far rinascere Velletri…dalle ceneri. A suo tempo si tireranno le somme e …chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato. Saranno gli elettori a valutare!

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ef
by sdgf Saturday, Sep. 24, 2005 at 6:14 PM mail:

sincerità?????????
perchè scandalizzarsi della croce celtica???
0_o

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nculo
by mavannculo Saturday, Sep. 24, 2005 at 6:35 PM mail:

coglione ciavardini nel 80 aveva 17 anni
tu pare che i servizi segreti incaricano un 17enne di mettere una bomba?
siete degli infami

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brava gente
by Sassicaia Molotov Saturday, Sep. 24, 2005 at 8:05 PM mail: kaliyuga@katamail.com

"Ciavardini, già condannato, ha scontato 21 anni di prigione per aver anche ucciso due poliziotti e un giudice"

Eh sì, povero bimbo.

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merde
by fanculo Saturday, Sep. 24, 2005 at 8:17 PM mail:

Parlate di rivoluzione e poi uno che ammazza due sbirri di merda e un giudice lo chiamate merda?? bravi ipocriti.
se lo fanno le brigate (onore a loro) va bene, se lo fanno i NAR e' da infami.

ipocriti del cazzo

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leggi e impara
by per il fascio sopra Saturday, Sep. 24, 2005 at 8:49 PM mail:

GIULIO SALIERNO
Quando ero un picchiatore fascista
Insieme a Serse sul ring e alla sezione missina. Il mancato omicidio del colonnello Valerio, l'omicidio e la delazione. La Legione straniera, la prigione e la svolta
GERALDINA COLLOTTI
«Mentre aspettavo Serse, mi pareva che l'Indomita fosse il luogo più attraente del mondo - ricorda Giulio Salierno - sognavo di diventare un pugile bravo come Festucci, che avrebbe poi conquistato il titolo europeo, o come Valentini e Cerasani, campioni d'Italia, allenati su quel quadrato da due super maestri, Nobili e Stocco». L'«Indomita» era (è) a Roma, in via Merulana, a due passi dal cinema Brancaccio. Lì tira anche Serse, un noto pugile professionista, «ragazzo audacissimo e formidabile picchiatore. Combatteva con una tecnica raffinata, alla Ray "Sugar" Robinson, colpiva con ambo le mani anche quando indietreggiava». Per i più giovani, Giulio Salierno è autore di testi adottati nelle facoltà di sociologia, materia che insegna all'Università di Teramo. Ha scritto piccoli «classici» come Il carcere in Italia (Einaudi, 1971); Autobiografia di un picchiatore fascista (Einaudi, 1976); La violenza in Italia (Mondadori, 1980); Fuori margine (Einaudi, 2001). Per i più vecchi, è uno spicchio di storia «dura» di cui non si parla più e che, dice oggi il sociologo, «sarebbe invece utile ricordare». Giulio Salierno nasce a Roma il 31 gennaio 1935, proprio mentre sta maturando la guerra d'Etiopia. Per quanto può ricordare, da ragazzo, è sempre stato fascista. In modo «naturale, ineluttabile, come si digerisce, come si respira». E' un bravo bambino borghese, benvestito, beneducato. La sua è una famiglia di militari, divisa al suo interno fra sostenitori del fascismo e partigiani. «Allora - racconta - volevo convincere Serse a venire in sezione. Mi servivano atleti conosciuti». La sezione di Salierno è quella del Movimento sociale. Vi si iscrive a 14 anni. E' cresciuto nel culto della patria, «sentito in modo viscerale». Ha vissuto «con umiliazione» l'ingresso degli anglo-americani a Roma nel giugno del 1944. Da studente partecipa ai moti per il ritorno di Trieste all'Italia. Nell'Msi, a 17 anni è già commissario politico giovanile di 5 sezioni, delegato al congresso, dirigente federale della Giovane Italia. Non ancora diciottenne, entra nel gruppo che darà poi vita alla famosa organizzazione Ordine Nuovo, diventa allievo di Julius Evola, il filosofo spiritualista stimato da Hitler.

Una pizza da Osvaldo

Quando il pugile esce dal club, vanno a mangiare una pizza da «Osvaldo» in via Mariani, «allora un punto di richiamo per molti pugili italiani e stranieri, ma anche per ladri, contrabbandieri, magnaccia. Gli avventori ci trattavano affari di ogni genere. Dalla combine di un incontro alla vendita di una pistola». L'ingresso di Serse nel gruppo attira diversi giovani sportivi romani. Un altro serbatoio di possibili militanti, Salierno lo scopre nel campo-caserma dei profughi giuliani di Santa Croce in Gerusalemme: «Gente costretta a lasciare i propri paesi ceduti alla Jugoslavia a causa del trattato di pace e che, sul ceppo della vecchia antipatia verso gli slavi, considerati da sempre nemici tradizionali, aveva innestato un nuovo risentimento contro la Jugoslavia e il regime titoista, e che disprezzava il governo italiano». Salierno organizza una squadra di calcio, e arruola giovani profughi giuliani, «tutti ragazzi atletici e decisi». Intanto s'impegna «nella dura ginnastica richiesta a chi voglia calcare il ring». Come pugile, però, sostiene di non valere un granché. «Nervoso, soggetto facilmente a emorragie nasali, non riuscivo a esprimere in modo coordinato la potenza, notevole, di cui ero dotato. Comunque, salivo volentieri sul ring. La boxe affascinava le ragazze, che però venivano solo agli incontri importanti». A tirare di boxe, allora, «erano per lo più giovani marginali e affamati, che sognavano di sfuggire, incrociando i guanti, al degrado delle periferie e al carcere».

Il colonnello Valerio

Salierno, invece, il carcere lo conosce per aver cospirato contro Walter Audisio - ritenuto l'esecutore della condanna a morte di Mussolini - all'epoca deputato comunista. «Della questione Audisio - racconta - si discuteva, nell'Msi, già all'atto della sua fondazione, nel primo dopoguerra. Ma non se n'era mai fatto nulla. La vicenda era tornata a galla verso la fine del 1952. A un gruppo di dirigenti del Movimento sociale che si era recato in Spagna, Francisco Franco aveva chiesto: "Com'è che i fascisti italiani non hanno eliminato Walter Audisio?"». Imbarazzatissimi, i dirigenti missini avevano risposto che preferivano tenerlo nel Parlamento per meglio screditare la stessa istituzione parlamentare. Il dittatore «aveva ribattuto: "Che machiavellici, questi italiani!"». E il gruppo era tornato a Roma «con la certezza di aver perso la faccia». Quando la faccenda si viene a sapere, «diversi attivisti missini duri e puri» decidono l'eliminazione di Audisio, alias colonnello Valerio. Il loro scopo, secondo Salierno, non era tanto di vendicare Mussolini, quanto far naufragare, con un gesto esemplare, i tentativi di appeasement tra l'Msi e i partiti di governo, e la graduale deriva filoatlantica della direzione del partito. Una linea politica che avrebbe poi trovato sbocco nel 1960, nell'appoggio esterno del Movimento sociale al governo Tambroni. Inoltre, «la liquidazione di Audisio sarebbe anche servita per spostare sul terreno dello scontro di piazza, fisico, il durissimo confronto politico in corso in quegli anni tra la destra e il blocco socialcomunista».

Il giovane Giulio si candida a eseguire l'attentato. Autore di altre azioni paramilitari, lanciato, come dicono di lui molti dirigenti del Msi, verso «un luminoso avvenire politico», non si preoccupa delle conseguenze. Anzi. Calcola, dopo l'azione, di rifugiarsi in Spagna e rivendicarla pubblicamente. E in Spagna conta di ottenere l'appoggio di Otto Skorzeny, l'ex colonnello delle Ss che aveva liberato Mussolini dall'albergo-prigione di Campo Imperatore e che a Madrid, sotto il nome di Antonio Scorba, gestisce il bar Erika nella calle de Silva. Serse sarà la sua spalla. Nel giugno del 1953 i sogni di palingenesi del giovane Giulio s'infrangono però bruscamente. Non riesce a portare a termine l'attentato. Si imbatte in un muro di gomma; e «sono proprio alcuni ambienti neofascisti, prima favorevoli all'esecuzione del colonnello Valerio, forse per timore delle conseguenze, a erigerlo». Così, «per, rabbia, delusione, spavalderia», i due finiscono nel delitto comune. Non hanno bisogno di soldi, né sono mai scesi al livello della delinquenza spicciola. Anzi.

La sottoclasse sociale

Sono convinti che furti e scippi li facciano i sottoproletari, «una sottoclasse sociale» che disprezzano. Eppure decidono di compiere una rapina. Sono armati, come d'abitudine. Il 15 giugno del 1953 si recano all'Eur e tentano di prendere la macchina a un giovanotto che si è appartato con una ragazza. Ma quello reagisce. E' una cintura nera, ha preso la macchina della ditta senza il permesso del principale. Finge di prendere una pistola. Serse e Giulio lo fulminano. Quattro giorni dopo, una lettera anonima alla questura, inviata in copia anche ai due rapinatori, li denuncia. Per Salierno, si tratterà di «una studiata delazione, probabilmente di alcuni settori del partito, ben contenti di togliere di mezzo due persone scomode». I due, allora, pensano di fuggire. Hanno sentito parlare della Legione Straniera come di un mondo in cui ci si lascia alle spalle il passato. «Nella Legione la selezione era durissima - racconta ancora Giulio - ma la superammo e fummo destinati ai commandos». Durante l'addestramento, conoscono «il Deuxiéme Bureau, il controspionaggio francese, i pieds-noir, il deserto, i postriboli di Sidi-bel-Abbés». Frequentano gli altri legionari: «banditi, carogne, eroi, spettri della seconda guerra mondiale, ex ufficiali delle Ss, reduci della Repubblica sociale, profughi polacchi, russi, ungheresi». Poi puntano al Vietnam, dove sarebbero finiti a Dien Bien Phu. Ma vengono arrestati dall'Interpol. «Non era mai successo da 123 anni. - dice Salierno - Avvenne, forse, perché il comandante della piazzaforte partì di colpo per il Vietnam e il sostituto, che proveniva dalle truppe regolari, applicò una clausola del Patto Atlantico sempre disattesa». Per i due, è una botta. Brucia loro «l'imputazione di rapina, non quella di omicidio». Dopo qualche giorno passato nelle celle dell'Interpol, «canili di ferro e cemento arroventati dal sole africano», finiscono nel carcere di Sidi-bel-Abbés: in mezzo a quegli arabi, «laceri, affamati, carichi di pidocchi annidati nelle costure delle djallabe e dei falzar», che hanno sino allora disprezzato e comandato. In carcere, entrano gli algerini «con il corpo piagato dalle bruciature di sigarette, che sembravano carte geografiche». Il giovane Giulio, istintivamente, sceglie di stare con il torturato contro il torturatore. Rinuncia a interpretare politicamente il suo stato d'animo. Se glielo domandassero, risponderebbe di essere un fascista. Ma istiga e aiuta «gli algerini rognosi» contro quei parà e quei poliziotti a cui dovrebbe sentirsi ideologicamente affine. Scopre la fame, resa così acuta anche perché, in Algeria, le prigioni, allora, sono porto franco. I carcerieri franco-algerini «rubano quanto possono e obbligano i detenuti, per un pacchetto di sigarette, a intrecciare i cesti per la raccolta dei datteri e delle olive nella calura insopportabile».

Nella prigione di Orano

Serse e Giulio vengono poi trasferiti a Orano insieme a molti arabi che devono essere giudicati dal Tribunale. Giulio è vicino a un ragazzo algerino, «sgusciante come un'anguilla», che aveva tentato di rapinare i francesi per finanziare i primi nuclei dei ribelli. Alla stazione di Sidi-bel-Abbés «c'è la madre del ragazzo. Si avvicina al figlio per abbracciarlo e un poliziotto pied-noir la colpisce con un pugno. La donna cade vicino alle ruote del treno e il ragazzo tenta di saltare addosso al poliziotto». Giulio affronta il pied-noir, che aveva già estratto la pistola per far fuori il giovane. Il poliziotto, «per paura o per evitare guai disciplinari, recede dal suo intento». Nella prigione di Orano, grazie anche a questo episodio, Giulio entra in contatto con altri ribelli, convive con due algerini condannati a morte, che cerca di aiutare come può. Per gli algerini, è «un arabo nato per caso in un paese lontano chiamato Italia». Ad Algeri, nella celebre prigione di Barberousse, dove si trova in attesa dell'estradizione, un nucleo arabo del costituendo Fronte di liberazione nazionale gli offre «di far parte dell'organizzazione».

Grazie a Terracini

Estradato in Italia, Salierno è condannato a trent'anni e tre di vigilanza speciale. In quei primi anni Cinquanta, in carcere entra solo il Corriere dello Sport e le difficoltà, «per uno che voleva capire e partiva dal nulla», sono notevoli. La vita dentro «è disumana». Salierno, aggirando l'occhiuta censura e destreggiandosi tra risse, rivolte e isolamento, fa ginnastica e legge tutto ciò che trova, storia e filosofia soprattutto. E i classici del marxismo. Passa attraverso 22 prigioni, comprende «l'equivoco della socialità fascista», si accosta alla sinistra. Nel 1960, durante i moti popolari contro il governo Tambroni, è detenuto nel penale di Alessandria. Altri reclusi, ex noti partigiani, gli affidano «il comando dell'eventuale insurrezione». Liberato nel 1968, grazie anche a Umberto Terracini, trova un'Italia «profondamente mutata, cresciuta». S'impegna subito «contro ogni forma di esclusione ed emarginazione». Pubblica i suoi saggi, fonda, con Savelli, Radio Città Futura, la prima radio libera d'Europa. Conduce, assieme a Franco Basaglia, la lotta contro le istituzioni totali e manicomiali, si batte contro i regimi totalitari cileno e argentino, sostiene con forza che il vero cancro della società contemporanea è «il non saper rischiare per gli altri», documenta «la relazione diretta tra lotta armata e storia nazionale», insieme a Terracini promuove la riforma del sistema carcerario. Poi riprende l'attività sportiva, «non in palestra, in bicicletta».

E in bicicletta, nel 2002, alla vigilia della presentazione del suo ultimo lavoro per Einaudi, Fuori margine, finisce sotto una motoretta. «Il traffico di Roma - dice - è più pericoloso della Legione Straniera».

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Beh
by Pasionaria Nera Sunday, Oct. 02, 2005 at 4:00 AM mail:

Ciavardini ha pagato per i crimini commessi, non credo che i NAR fossero così lontani dalle BR per modo di agire e lottare contro il sistema. Poi è soggettivo giustificare o comprendere (o meno) la lotta armata. Ora, per quanto riguarda Ciavardini, si tratta solo di cercare la verità sulla strage di Bologna che vorrei importasse a tutti, destra o sinistra.. Invece mi trovo a credere che per la sinistra sia più importante mantenere quella targa alla stazione che trovare i veri colpevoli.

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confusione
by sempre io Sunday, Oct. 02, 2005 at 4:02 AM mail:

Ma che c'entra la storia di questo tipo??

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Rivoluzione?
by Sassicaia Molotov Sunday, Oct. 02, 2005 at 2:46 PM mail: doctorfaustroll@katamail.com

La targa alla stazione non è una cosa da "mantenere", Fa parte dell'architettura della stazione stessa.
Se la pasionaria nera ha informazioni differenti in merito all'attentato questo forum, così come le aule giudiziarie, sono a sua disposizione.
In quanto al comune denominatore rivoluzionario ai fasci ricordo che la loro rivoluzione non ci interessa, fare una rivoluzione per aprire la strada ai peggiori autoritarismi è il vostro fine. Non il mio.

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