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pubblicato il 17.03.06
Milano 11 Marzo: rassegna stampa (2)
·

Il Manifesto:

  • Violenza a Milano, la destra esulta
  • Milano, guerriglia in pieno centro
  • Nell’Unione gara di condanne. Mentre la destra attacca.
  • Intervista a Rocchi (Prc). “Una giornata triste”

Liberazione:

  • Grandi lotte e piccole violenze
  • Guerriglia stupida e inutile: la destra esulta
  • Pisanu e il governo seminano panico e allarmismi
  • A Milano un errore molto grave, ma stop alle strumentalizzazioni. Di Francesco Caruso
  • Milano, i centri sociali discutono del sabato che pesa
  • Cdl all’attacco del “no global”. Caso Caruso, una polemica a prescindere
  • La madre di Dax: “Non è così che si fermano gli squadristi”


Il Manifesto

Fonte

Violenza a Milano, la destra esulta

Scontri e violenze ieri mattina a Milano durante una manifestazione antifascista degli “antagonisti”. Manifestazione convocata in risposta a un corteo dei neofascisti della Fiamma tricolore, sfilati poi in cinquecento al grido di “duce, duce” nel pomeriggio mentre le forze politiche dal Prc ai Ds all’Anpi tenevano un presidio a distanza. Attimi di tensione in centro e una quarantina di fermi, nove poliziotti feriti, quattro macchine incendiate. In fiamme anche la sede di un comitato elettorale di An in corso Buenos Aires. Immediate le reazioni politiche. Centrodestra all’attacco di Prodi che avrebbe i violenti nelle sue file. Unione contro lo “sciacallaggio” elettorale. Nessun dubbio però nel centrosinistra, da dove arriva una condanna netta e collettiva verso i responsabili degli incidenti. Fassino va in visita di solidarietà alla questura mentre Bertinotti invita a “non accusare genericamente i ‘centri sociali’ ma a individuare i responsabili”. Preoccupato invece di difendere la Fiamma il presidente del Consiglio Berlusconi: “Violenti hanno cercato di rendere impossibile una civile riunione di un nostro alleato”


Fonte

Milano, guerriglia in pieno centro

Duecento “antagonisti” attaccano la polizia per protestare contro il corteo della Fiamma tricolore. Che comunque sfila
45 fermati, quattro automobili incendiate, un negozio elettorale di An bruciato, nove agenti delle forze dell’ordine feriti lievemente. E’ finita male la manifestazione contro la parata dei fascisti che da più di vent’anni non sfilavano in città

LUCA FAZIO

MILANO
Come si mette? Male. Lo si era capito già una settimana fa. Ma il corteo dei fascisti lo autorizzano? Mi sa di sì. E Rifondazione, l’Anpi che fanno? Un presidio, ma lontano, in piazza Mercanti. “La vedo brutta”. Che si metteva male lo si è capito anche ieri a mezzogiorno a Porta Venezia, quando circa duecento – come li vogliamo chiamare? – antifascisti, incappucciati, giovanissimi, con le mazze, i caschi, pronti allo scontro, si sono dati “appuntamento” con le forze dell’ordine, troppo in forze. Decine di camionette, centinaia di poliziotti e carabinieri. E’ toccato a questi “antagonisti” opporsi, nel più stupido dei modi, alla calata dei neo fascisti della Fiamma Tricolore autorizzati a sfilare da Porta Venezia a piazza San Babila. Non è facile da spiegare, ma i milanesi non sono abituati a sopportare una sfilata di pagliacci in camicia nera che gridano Duce Duce. Nemmeno se sono una forza politica “riconosciuta”, alla faccia della Costituzione italiana. A Milano, città che pomposamente si definisce ancora Medaglia d’Oro della Resistenza, parate simili non si vedevano da più di venti anni. Toccherà farci l’abitudine.

Qualche ora prima delle teste rasate, c’è stato molto fumo ieri in corso Buenos Aires, ma nessun ritorno agli anni Settanta. Siamo in pieno 2006, semmai. E una premessa è d’obbligo, tanto per non mandare in fibrillazione il centrosinistra a due settimane dalle elezioni. Incendiare automobili (quattro), spaccare le vetrine, rovesciare cassonetti, bruciare un negozio, ancorché sede elettorale di Alleanza Nazionale, spaventare i clienti di McDonald’s, lanciare grossi petardi da stadio, e attaccare uno schieramento impossibile di forze dell’ordine, è un’idiozia. Che poteva finire anche peggio. Anche se il bilancio degli scontri – ma nessuno si è fatto veramente male – è piuttosto pesante. Nove agenti lievemente feriti (Piero Fassino è andato in questura per esprimere solidarietà), quarantacinque arrestati, di cui fino a ieri sera si sapeva ben poco, anche se i rilasciati hanno detto di aver passato dei brutti quarti d’ora. La sensazione è che con loro questa volta non andranno tanto per il sottile. “Sono colpito – è il commento del questore Paolo Scarpis – perché è stata inferta una ferita alla città da una banda di delinquenti venuti armati fino ai denti col preciso scopo di sfasciare e rompere il più possibile”.

Ecco, si mette male. A Porta Venezia non passerebbe uno spillo, cento metri più in là ragazzi e ragazze avanzano con scudi sradicando piante e cassonetti per trascinarli in mezzo alla strada. In pochi minuti si forma una barricata. Giunti a tiro, lanciano sassi e bottiglie. A pochi metri dai poliziotti, prende fuoco un’edicola, si alza un fumo denso che gela corso Buenos Aires, un’automobile prende fuoco, siamo in piano centro, in una delle arterie commerciali più frequentate d’Italia. La polizia per un po’ lascia fare, anche troppo. Passano alcuni minuti e il fumo si fa sempre più denso, poi, marcetta, manganelli sugli scudi e parte la carica. Il fronte stranamente si spacca, poi indietreggia. Prende fuoco anche un negozio elettorale di Alleanza Nazionale, la frittata è fatta. Parte la seconda carica, è fuggi fuggi, fine degli anni Settanta.

Tornata la calma, con il corso che sembra un campo di battaglia e i lacrimogeni che ancora bruciano in gola, scatta la resa dei conti. La polizia blocca le vie laterali, entra nei portoni e rastrella i “sospetti” che non sono riusciti a sparire. “Abito qui, mi lasci andare” (16 anni). “Vieni con me” (il poliziotto, non ci crede). Due agenti trascinano un ragazzo per il braccio, qualche passante gli dà addosso, la scena dura qualche secondo, mandata in onda in prima serata la si può spacciare per un linciaggio della folla inferocita. La folla, meriterebbe maggiore attenzione. Certo, sfasciano tutto, sono insopportabili – ”è una grossa cazzata” – e sono incomprensibili – “ma perché hanno fatto sto’ casino?” – eppure i curiosi, davanti agli scheletri fumanti della auto, si interrogano, alzano la voce, e litigano: sembrerà strano, ma ci sono anche signore di mezza età e alcuni stranieri (e non a caso) che stigmatizzano e condannano ma non dimenticano che laggiù si stanno radunando i fascisti, “sono quelli là una vergogna, quelli fanno schifo, quelli sono violenti per definizione, non dobbiamo dimenticare”.

Eccoli, i fascisti, e si mette malissimo. Corso Venezia così non si è mai visto. L’atmosfera è surreale. Sfilano, teste pelate, occhiali scuri, celtiche, fasci littori, braccia tese e anche un briciolo di pensiero, boia chi molla è il nostro grido di battaglia. Urlano, ma c’è un silenzio irreale. I poliziotti sono costretti a fare cordone persino sul marciapiede, imbarazzati, la strada è deserta, dietro le inferriate dei giardini pubblici i milanesi sgranano gli occhi senza dire una parola. Un padre di famiglia, sottovoce, ricorda un’adunata di trent’anni fa “vabbé lasciamo perdere…altro che quattro auto incendiate”. Anche una suora rimane a bocca aperta. Avanti così, due ore di marcia su Milano, per arrivare in piazza San Babila, un chilometro di insulti e di sfottò: “Gli antifascisti dove sono?” e “Dov’è il Leoncavallo?” (a Roma, alla manifestazione antiproibizionista) e “Fini scemo ‘anvedi quanti semo”.

A proposito di post (?) fascisti, ieri Milano ha fatto il pieno. Cento metri più in là, in piazzetta San Carlo, un divertito La Russa è passato all’incasso comiziando davanti a venti-venticique persone, “ci hanno appiccicato il fuoco…questi sono gli amici di Prodi”. Con lo stile che gli compete, anche il leader della Fiamma Tricolore, uno che delle camere a gas non sa nulla, lui non c’era, in una giornata come ieri ha attaccato Emanuele Fiano (diessino e rappresentante della comunità ebraica) e i Ds, colpevoli secondo lui di aver fomentato le violenze di mezzogiorno. Un delirio, ma non era difficile immaginare che sarebbe andata a finire così. La sinistra si ritrae, la destra la infilza. Poteva andare diversamente? Forse sì. Altre volte, anche lo scorso gennaio, i fascisti erano stati respinti: a Milano non si sfila. E per questo si erano impegnate a fondo tutte le forze democratiche, dialogando con le istituzioni e tenendo a bada anche gli antagonisti “impresentabili”. Deve essere cambiato il quadro politico.

Oggi il pm Piero Basilone decide se chiedere o meno la convalida del fermo per i quarantacinque “antagonisti”.


Fonte

Nell’Unione gara di condanne Mentre la destra attacca.
La Russa: è gente di Prodi. Bertinotti: ma non si dica no-global
La “civile riunione” di Berlusconi Il presidente del Consiglio se la prende con i “violenti che hanno cercato di rendere impossibile una civile riunione di un nostro alleato”.
Pisanu e Casini contro i centri sociali in parlamento

A. FAB.

ROMA
“Usando mezzi violenti hanno cercato di rendere impossibile una civile riunione di un nostro alleato”. E’ il commento, da Palermo, di Silvio Berlusconi ai fatti di Milano. Per “civile riunione” deve intendersi il corteo dei cinquecento della Fiamma tricolore, tutto croci celtiche, fasci littori e saluti romani. L’”alleato” è naturalmente il capo della Fiamma Luca Romagnoli, negazionista dell’olocausto e comunque capolista il prossimo 9 aprile in appoggio al candidato Berlusconi. Il quale nel suo commento si ferma qui: l’assalto all’Unione accusata di avere rapporti con i violenti di piazza è affidato ad altri. Innanzitutto al colonnello di An Ignazio La Russa, dal quale arriva l’affondo più pesante e meno provato: “L’identità politica degli autori dei disordini la conosciamo, sono dirigenti ed elettori della coalizione di Romano Prodi”. Ma anche il presidente della camera, l’Udc Pierferdinando Casini, mostra insoliti furori: “Non bastano le scuse della sinistra, sulla legalità non siamo disposti a fare sconti (è il leader del partito di Totò Cuffaro, processato per favoreggiamento alla mafia a Palermo e del segretario Lorenzo Cesa, giusto da ieri indagato a Catanzaro, ndr). Nelle liste dell’Unione – dice Casini – c’è gente che appartiene ai no global, i centri sociali non devono stare in parlamento”. La querelle politica, che mette in ombra l’imbarazzo del centrodestra sul caso Storace, ha anche un aspetto strettamente milanese, dove la candidata sindaca della Casa delle libertà Letizia Moratti accusa l’ex prefetto della città, oggi candidato del centrosinistra Bruno Ferrante, di “aver tollerato per anni i centri sociali”. Ferrante replica così: “La mediazione contestata dalla destra per molti anni ha consentito alla città di vivere senza tensioni”.

Nemmeno il forzista Beppe Pisanu decide di sottrarsi al coro dei suoi, con dichiarazioni impegnative per un ministro di polizia: “Condivido l’indignazione dei cittadini di Porta Venezia (dove ci sarebbe stato un tentativo di aggressione ai manifestanti da parte di milanesi furibondi per le violenze, ndr) ma non posso condividere la loro reazione fisica perché la forza legittima dello stato è quella che si usa attraverso la polizia e i carabinieri. Ora mi auguro che la magistratura confermi gli arresti”. Non basta, perché il ministro decide di richiamare a (s)proposito la candidatura alle politiche con Rifondazione del no-global Francesco Caruso, “espressione stessa della pratica sistematica della violenza come strumento della lotta politica”.

Non c’entra niente ma è fin troppo facile per la destra puntare da quelle parti. Tanto che la presa di distanza dalle violenze più rapida arriva da Rifondazione comunista. “Condanniamo senza mezzi termini quanto accaduto a Milano” dice Bertinotti, che ci tiene a sottolineare la distanza della sua parte dagli incidenti: “Bisogna individuare con precisione i responsabili di queste azioni che devono essere severamente censurate, ma non bisogna chiamarli no-global e non si può dire nemmeno `centri sociali’, visto che il più grande di tutti, il Leoncavallo, partecipa al presidio di Milano insieme a tutte le altre forze politiche”.

Naturalmente molto netto è anche Romano Prodi, gli bastano poche parole: “Condanniamo duramente queste forme di violenza. Non appartengono al nostro concetto di democrazia e di civiltà”. Più articolato Piero Fassino, che stando proprio a Milano per la campagna elettorale ne approfitta per una visita “di solidarietà” alla questura. “E’ evidente – dice il segretario dei Ds – che siamo in presenza di atti di teppismo politico che non hanno alcuna giustificazione e niente a che vedere con la politica”. E’ il concetto attorno al quale ruotano anche le altre dichiarazioni dell’Unione: non c’è rapporto tra le violenze e la campagna elettorale, ne sono convinti Pecoraro Scanio, Boselli e Mastella. E condanna “nettamente” anche il presidente del Pdci Cossutta: “Chi si comporta così danneggia la stessa causa per la quale dice di agire”.


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INTERVISTA
“Una giornata triste”

Per Rocchi (Prc) la parata nera è indecente ma le violenze sono ingiustificabili
L.FA.

Augusto Rocchi, segretario provinciale di Rifondazione comunista, ieri era al presidio convocato dall’Anpi per protestare contro la manifestazione fascista.

I fascisti dopo più di venti anni hanno marciato su Milano. Forse, se la sinistra non avesse scelto il basso profilo, oggi la cosiddetta piazza antifascista non sarebbe rimasta nelle mani di ragazzi che per cercare visibilità non sa far altro che incendiare automobilie cercare scontri con la polizia.

Noi abbiamo indetto una manifestazione in piazza Mercanti, e il grosso dei centri sociali milanesi ha aderito. Tino Casali, a nome dell’Anpi, nei giorni scorsi è andato a chiedere il divieto della manifestazione fascista. E’ stato un gesto forte, ma il questore ci ha detto che non poteva proprio vietarla.

Però lo scorso gennaio la reazione della sinistra è stata molto più decisa, la politica ha fatto le giuste pressioni e il corteo è stato vietato; e Fiano (Ds) ha fatto lo sciopero della fame, perché era vergognoso concedere la città ai fascisti in concomitanza con il giorno della memoria.

Diciamolo chiaramente, questa volta non potevamo cavare un ragno dal buco. Era il corteo di un partito che è in campagna elettorale e che è rappresentato al parlamento europeo. Comunque la reazione in corso Buenos Aires è stata inaudita e non giustificabile.

Proprio per scongiurare quello che era nell’aria, le forze democratiche non avrebbe potuto fare di più?

Abbiamo convocato un presidio per protestare contro la parata fascista, altre volte non siamo riusciti a fare nemmeno quello, Rifondazione veniva lasciata sola. Forse si può dire che non è sufficiente, ma l’abbiamo fatto.

Eppure politicamente la pagate sempre voi. Per La Russa gli incidenti sono stati provocati dagli amici di Prodi.

Lo so, lo so. Oggi però non possiamo pensare a una campagna elettorale che ci schiaccia sulla retorica degli opposti estremismi. Questo violenze sono controproducenti.

Li hai visti sfilare al grido di Duce Duce? Mai successo. Per Milano è una giornata triste, anche per questo.

Non dirlo a me. E’ un segnale davvero molto brutto. Soprattutto perché accade dopo episodi molto oscuri contro alcuni centri sociali, pestaggi, aggressioni. Bisogna alzare di molto l’attenzione per cercare di evitare sia reazioni sconsiderate che certi rigurgiti, a volte questi sforzi possono non essere stati all’altezza.

Liberazione

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13 Marzo 2006

Grandi lotte e piccole violenze

Piero Sansonetti
Ieri era la giornata del “marzo francese”. Le notizie che ci arrivano da Parigi sono molto importanti e fanno pensare alla nascita di un movimento di lotta, esteso, che si contrappone alla deriva di destra che stanno prendendo quasi tutti i governi europei. E’ un movimento costruito dai giovani, dagli studenti, i quali capiscono che l’idea della “precarizzazione” del lavoro – e cioè l’unica idea di una qualche consistenza che le classi dominanti hanno partorito, in Occidente, nell’ultimo decennio, per affrontare la crisi dell’economia e della società – è una idea che non guarda al futuro, ma al presente, che non guarda agli interessi generali ma esclusivamente agli interessi dell’impresa, che non contiene nessun progetto, ma solo scarica sui giovani, e sulle future generazione, il fallimento di un ceto politico, intellettuale e industriale.
Sarà solo una suggestione, un fatto simbolico: ma che la Sorbona venga occupata dagli studenti quasi 40 anni dopo il mitico maggio – e cioè quel mese che cambiò la “testa” a tutta una generazione, in tutto il mondo – ha un suo valore. L’ha capito, del resto, anche il ministro Sarkozy, che ha voluto subito imitare De Gaulle, e ha mostrato i pugni e la mascella.

Purtroppo, mentre in redazione discutevamo di queste cose, e progettavamo il giornale di oggi con spirito “francese”, sono arrivate le notizie da Milano, e sono pessime e cupe notizie. I fascisti – stile nazi – alleati di Berlusconi e Fini, hanno sfilato con i saluti nazisti e dichiarando il loro orgoglio di essere hitleriani; e poi quei duecento giovani, con le bandiere rosse e pochissimo cervello in testa, che hanno messo a ferro e fuoco la città, hanno commesso gesti di violenza inaccettabili, e stupidi, e inutili, e gravissimi, hanno spaventato la gente, hanno offerto il destro – si dice così – alla destra per cercare una molto pasticciata controffensiva, dopo le giornate difficili degli scandali (lo spionaggio storaciano, i guai inglesi di Berlusconi per le mazzette a Mills, il maxiscandalo, roba di miliardi, che sta travolgendo il capo dell’Udc di Casini). La destra ha esultato di fronte agli incidenti milanesi. Ha intravisto una via d’uscita ai suoi guai.

Lasciamo stare, per oggi, la discussione – che è assai complessa, e dovremo riprendere – sulla scelta della nonviolenza, che molti di noi condividono, qualcuno non condivide, qualcun altro vorrebbe accettarla con alcuni distinguo e differenze, e punti critici. Fermiamoci a un problema più semplice, e facile da risolvere: oggi, in Europa, sotto qualunque punto di vista vogliamo esaminare la questione, l’uso della violenza nella lotta politica è sbagliato, inutile, sciocco, illegittimo e controproducente. Poi se trovate altri aggettivi adeguati metteteceli voi. E questa non può essere una semplice affermazione di scuola: deve servirci a costruire, nei prossimi mesi, e specialmente in vista della formazione di un governo di centrosinistra, una rete molto vasta di lotte, di conflitti di massa, che sappiano mettere al centro – come sta avvenendo in Francia – e i temi fondamentali della società futura, e buttare fuori dal finestrino ciò che resta della vecchia ideologia della violenza “eroica” e purificante.


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13 Marzo 2006

Guerriglia stupida e inutile: la destra esulta

Claudio Jampaglia
Milano
Una giornata nera, di mille teste rasate e saluti romani per le vie di Milano e di qualche centinaio di antifascisti a volto coperto che lanciano pietre, razzi, appiccano il fuoco ad auto, motorini e un An “point”. Se qualcuno auspicava la teoria degli opposti estremismi eccolo servito. La voce e la memoria della capitale della Resistenza, ricordata da Tino Casali e Giovanni Pesce dell’Anpi riuniti con Rifondazione, Ds, Cgil e tanti antifascisti al Sacrario dei caduti, prende le distanze nettamente. Ma il danno è enorme e non solo elettorale. Lo dice Augusto Rocchi per il Prc lombardo: “L’antifascismo è lotta di democrazia, il terreno della violenza è contro il movimento e le forze politiche che vogliono battere le destre”. Lo ribadisce Fausto Bertinotti: “Condanniamo senza mezzi termini quanto accaduto. Questi gravi episodi ci dicono quanto sia necessaria e giusta da parte nostra una denuncia inequivocabile verso chi vuole con la violenza mestare nel torbido di una campagna elettorale già avvelenata. La nostra scelta è chiara e parla il linguaggio della nonviolenza”. Condanna anche l’Arci con Paolo Beni: “La risposta violenta alla ripresa di attività provocatoriamente filofasciste va respinta con fermezza; allo squadrismo fascista si risponde con la democrazia”. Piero Fassino parla di “teppismo politico senza giustificazioni” e Romano Prodi condanna “duramente queste forme di violenza, che non appartengono al nostro concetto di democrazia e di civiltà”. Il candidato sindaco dell’Unione, Bruno Ferrante, ex prefetto di Milano, ricorda che per tanti anni “la mediazione e la ricerca di equilibri sociali, tanto contestate dal centrodestra, hanno consentito alla città di vivere senza tensioni e senza problemi di ordine pubblico”. Ora ce n’è uno ogni giorno. Sarà un caso?
La manifestazione degli antifascisti voleva impedire di insozzare Milano a chi nega l’olocausto, inneggia alla razza aggredendo migranti e militanti di sinistra, nel preoccupante assemblaggio di un neofascismo di stadio e di governo. “Marzo per il movimento milanese è un mese intriso di sangue e ricordi dolorosi, come l’assassinio di Fausto e Iaio, il vile agguato mortale a Dax e i pestaggi dei compagni accorsi all’ospedale San Paolo – avevano scritto nella loro convocazione centri e gruppi promotori – nelle giornate dedicate a questi tristi eventi i fascisti vogliono marciare su Milano, non possiamo permetterlo”. Volevano prendersi la piazza concessa dalla Questura al Movimento sociale – Fiamma tricolore dopo due dienighi in concomitanza del giorno della memoria, ma questa volta erano loro a non essere autorizzati. Avevano messo in conto una risposta muscolare e promesso di portare la protesta in tutta la città, non è stato così.
Quasi un migliaio in corso Buenos Aires, tanti giovanissimi e molti venuti dalle realtà che hanno subito decine di attentati e raid punitivi di squadracce: Bergamo, Brescia, Verona, Torino. Qualche tedesco e dei francesi. Clima teso, in Piazza Lima, si organizzano i cordoni: passamontagna e caschi. Sensazioni negative. Passano viale Tunisia, issano una barricata con fioriere e bidoni e incendiano il negozio di An. La polizia sta ferma, poi va, anzi no. Due botti fortissimi, poi la sassaiola, quattro auto incendiate e un’edicola. Partono i lacrimogeni c’è fumo dappertutto, rispondono alcuni razzi, uno colpisce un carabiniere, bulloni e ancora pietre. I pompieri fanno fatica a operare, la gente dello struscio del sabato è terrorizzata. I manifestanti dietro si sparpagliano, alcuni centri sociali se ne vanno. Rimangono in un centinaio e parte la carica delle forze dell’ordine, fino in fondo. Alcuni vengono inseguiti e menati ovunque. Si registrano anche un paio di tentativi di linciaggio da parte di baristi e passanti nei confronti di manifestanti in fuga. All’angolo con viale Tunisia restano i segni di una battaglia, vetrine e auto sfondate e un petardone addizionato di chiodi. I numeri finali sono dieci contusi tra i poliziotti e 45 fermati. In serata arrivano le conferme per dei primi arresti: 12 persone, tra le quali una minorenne. Ma il numero potrebbe crescere.

Al presidio dell’Anpi al Sacrario dei caduti di Piazza Mercanti c’è imbarazzo. “Siamo qui per difendere la memoria della Resistenza e la necessità dell’antifascismo, per respingere qualsiasi capovolgimento della storia ed equiparazione tra chi lottò per la libertà e chi inflisse sacrifici enormi a una lotta di popolo – ricorda Tino Casali, presidente dell’Anpi – i fatti di oggi (ieri, per chi legge, N. d. R.) sono offensivi per noi, Resistenza e antifascismo significano difendere il vivere civile, ai feriti tra manifestanti e forze dell’ordine va la nostra solidarietà e facciamo in modo che la città ritrovi le sue radici antifasciste e democratiche nelle prossime elezioni”. Poche parole da Giovanni Pesce, una vita a combattere i fascisti dalla Spagna alle strade di Milano: “Ci sono parole che fanno vivere, una di queste è Resistenza”.

Intanto An organizza una contro manifestazione, con Ignazio La Russa e qualche centinaio di persone davanti al punto elettorale di An andato in fumo. Bandiere italiane e odio contro “i comunisti, gli autonomi, quelli dell’Unione”. Mentre circa un migliaio dei fascisti di Berlusconi della Fiamma, in maggioranza da Veneto e Lazio, si concentrano in via Palestro con croci celtiche e solito armamentario. La Digos ne riduce l’impatto imponendo il ritiro di osceni simboli runici e fasci littori. “Non chiamateci fascisti”, dice il segretario della Fiamma, il negazionista Luca Romagnoli mentre sale il grido “Duce Duce”. Sfilano fino a San Babila, da cui erano stati cacciati negli anni ‘70, gridando “me ne frego è il nostro motto” e insulti al “boia” Gianfranco Fini. “Cari camerati oggi abbiamo dimostrato ai milanesi la nostra civiltà – ha esultato Romagnoli nel comizio finale – alla faccia di quei democratici come il signor Fiano e i Ds”. Emanuele Fiano è il capogruppo in comune della Quercia, figlio di deportati, che aveva chiesto l’interdizione di questa offesa alla città. In San Babila parla anche Maurizio Boccacci, leader del disciolto movimento politico occidentale: “Denunciatemi per apologia di fascismo, ne sono orgoglioso, sono e rimarrò un fascista”. Anche senza le celtiche, il messaggio è chiaro e vergognoso.

La destra che Fini voleva riformare ritorna esultante e An ha la sua vetrina bruciata. “E pensare che nel ‘46, in Duomo, alle lezioni di politica in piazza del Pci il primo insegnamento era ‘non cadere nelle provocazioni”, commenta Luigi Pestalozza, partigiano dell’Anpi, comunista e grande uomo della cultura milanese.


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14 Marzo 2006

Pisanu e il governo seminano panico e allarmismi. Il tentativo è quello di incendiare al massimo lo scontro elettorale, criminalizzando le forze del cambiamento, diffamandole. Primo obbiettivo ridurre la partecipazione alla manifestazione di sabato a Roma contro la guerra

Il centrodestra punta tutto sulla paura: sottotiro Rifondazione e movimenti

di Rina Gagliardi

Ma s’era mai vista una campagna elettorale così? Manipolata, antipolitica, violenta. Studiata per espellere da sé tutto ciò che può coinvolgere davvero gli elettori in carne ed ossa, i loro problemi reali – il lavoro che non c’è, il salario che si abbassa, le sicurezze che vanno in tilt. Una campagna ritmata sull’enfatizzazione clamorosa di frasi, saghe televisive, risse e duelli – per eccitare il peggior tifo del peggior scontro da stadio. No, non è il caso di abbandonarsi alle tentazioni dietologiche o complottistiche…
Ma qualcosa di inquietantec’è, e come. Il centrodestra è disperato, e disperato è segnatamente il suo leader: per loro,il 9 aprile non si profila come una sconfitta qualunque, ma come la chiusura di un ciclo.
Non come l’occasione di una “tranquilla” alternanza, con relativo passaggio di consegne, ma come l’inizio di una possibile disgregazione “finale”. Se è così, se i milioni di euro buttati dal Cavaliere nel marketing e nelle maratone americane rischiano di non servire a nulla, come escludere a priori che si facciano strada, nel Polo, tentazioni di genere delegittimante, dal vago sapore sovversivo? Del resto, Berlusconi l’ha già detto, nel suo match con Lucia Annunziata: la sinistra è maestra nell’arte dei brogli elettorali – sì, ha avuto il coraggio di rispondere così alla domanda sullo Storacegate.
E son più d’uno, nel Polo, a dichiarare che il premier farebbe bene a far saltare, stasera, il confronto con Prodi: proprio per far salire ulteriormente la tensione già alta e con essa l’inciviltà del confronto. Insomma, sarebbe la vecchia idea di far saltare il banco, visto che le carte non funzionano, e il tuo gioco langue.
In questo clima, bisogna saperlo: la sinistra radicale, e Rifondazione comunista che tanta parte ne rappresenta, sono sotto tiro, e nessun mezzo, “lecito” o illecito che sia, viene risparmiato. Il tentativo evidente è quello di incendiare al massimo lo scontro elettorale, criminalizzando le forze del cambiamento, diffamandole, assimilandole tout court ai comportamenti “estremisti” più insensati e pericolosi.
Così si colpisce sia la credibilità dell’Unione come tale sia la “affidabilità” della sinistra di alternativa. Le cronache di queste ultime concitate giornate parlano da sole. A Milano un “sabato nero” sconvolge la città: duecento giovani violenti e irresponsabili giocano alla guerra e mettono in scacco ottocento agenti. Il risultato immediato è che il corteo di Fiamma tricolore, che trabocca di svastiche, saluti romani e inni a Mussolini, si svolge in totale tranquillità – e pochi trovano la forza di rinfacciare al centrodestra un alleato elettorale così poco “presentabile”. Il risultato politico è la canea che si scatena contro Rifondazione, i no global, i movimenti, i centri sociali, la sinistra, con il ministro Pisanu nei panni del protagonista: tutto ridotto ad un “unicum”, a una specie di monolite più o meno compatto e solidale.
Un po’ come si fa con l’Islam – ci sono cento Islam, ma poi tutti i musulmani, in quanto tali, vengono rappresentati come fondamentalisti e terroristi. Rifondazione comunista non ha nulla a che fare con i black bloc e gli anarcoinsurrezionalisti?
Non importa. Rifondazione comunista ha seccamente condannato le violenze di Milano e ribadisce la sua opzione strategica di nonviolenza? Non importa, non basta. E’ la nozione stessa di “no global” che viene identificata con l’estremismo violento, nonostante sia ben noto a chiunque che la stragrande maggioranza del movimento ha scelto una pratica pacifica e pacifista: e un politico moderato come Pier Ferdinando Casini arriva a dire che i “no global” non possono sedere in Parlamento, quasi come se il movimento fosse come la peste, o una realtà da escludere, reprimere, cacciare comunque fuori dal rapporto con la politica.
In realtà, è l’idea stessa di conflitto – conflitto sociale maturo, lotta di massa, protesta – che viene messa sotto processo. In questa rincorsa, si monta, da capo, il “caso Caruso”.
Questa volta, Caruso non c’entra proprio: non era a Milano, non ha partecipato alla manifestazione di sabato, come del resto non vi ha partecipato il centro sociale milanese più prestigioso, come il Leoncavallo. Ma il teorema va avanti lo stesso: dal candidato Caruso a Rifondazione comunista, dalla giornata milanese all’essenza dei movimenti, da Caruso a Bertinotti a da Bertinotti a Prodi. Fino a interviste immaginarie da parte di quotidiani quasi immaginari (il Quotidiano nazionale), alla faccia della deontologia professionale.
Per non parlare delle velina del Viminale che ogni giorno seminano panico e un clima allarmistico. Eppure oggi Francesco Caruso scrive, proprio su questo giornale, che a Milano è stato fatto “un errore grave”, anzi “una scelta demenziale” e prende le distanze da quanto è accaduto: politicamente, è questo che conta, che deve contare. Ma basterà?
Ora, certo, l’obiettivo immediato è la manifestazione di sabato prossimo. Essa è stata concepita come una grande giornata di pace e per la pace, e questo sarà, a dispetto dei falchi e degli sciacalli in agguato. Ma è in pieno corso il tentativo di seminare panico e allarme, con l’obiettivo minimo di ridurre la partecipazione e minare la fiducia di massa nella scelta di scendere in piazza – a mani nude, a volti scoperti, a dire no ad una guerra che continua, ogni giorno, a massacrare innocenti. Più che mai, insomma, la nonviolenza è l’unica strada che ha senso percorrere nella politica. Proprio in una campagna elettorale come questa, dove la violenza rischia di farla da padrona e di avvolgere tutto e tutti in una coltre di nebbia velenosa.


Fonte 1
Fonte 2

Alla parata nazista andava opposta una resistenza passiva
A Milano un errore molto grave
Ma stop alle strumentalizzazioni
Faccio parte del movimento, ma non sono né il “portavoce” come vorrebbero sempre i giornali, né il “mandante” come vorrebbe Pisanu, né tanto meno il “giudice” come pretendono Rutelli e Fassino

di Francesco Caruso

Negli ultimi anni, a Milano come nel resto d’Italia, la destra neonazista ha preso sempre più piede e forza, gruppuscoli di estrema destra escono dalla clandestinità in cui il senso comune e l’opinione pubblica li aveva relegati negli ultimi sessant’anni. Grazie alle connivenze politiche del centro destra e l’indifferenza assordante del centro sinistra queste frange di nostalgici di Hitler e Mussolini ritengono sia giunto il momento di uscire allo scoperto, di poter addirittura sfilare tranquillamente per le strade di Milano per inneggiare al duce, alla superiorità della razza e alla pulizia etnica. I vecchi partigiani ricordano ai tanti smemorati come in questo stato “democratico” tutti hanno il diritto ad esprimere le proprie opinioni, ma è espressamente vietato e perseguitato dalla legge chi incita all’odio e alla discriminazione razziale, chi tenta di dar vita ad un’organizzazione fascista.
Loro che hanno combattuto sui monti subito le torture e la persecuzione dei fascisti, riconoscono il paradosso di chi in nome della democrazia pretende di avere voce e spazio pur essendo acerrimo nemico e apertamente ostile al concetto stesso di democrazia: purtroppo la saggezza dei vecchi partigiani e la memoria antifascista tendono a sbiadirsi sotto i colpi del revisionismo storico e della real politic. Restano fuori da questa ipocrisia tanti giovani che nei quartieri e nei centri sociali cercano di denunciare con forza i rigurgiti fascisti e si oppongono in prima persona smascherando il vero volto dei neonazisti.
Quel volto che cercano di nascondere dietro il doppiopetto dei candidati “impresentabili” o del tailleur della Mussolini: è il volto degli assalti e degli attentati quotidiani nei centri sociali, con le molotov e le spranghe e il volto dei pestaggi dei dieci contro uno, degli accoltellamenti, fino alla barbarie dell’assassinio di Dax. Si muovono di notte i fascisti con le taniche di benzina, i coltelli; il loro impegno politico è proprio questo: assaltare i centri sociali ma anche centri di accoglienza per immigrati, homeless, ritrovi alternativi. i questo innalzamento della violenza fascista nessuno ne parla, ne i giornali, ne le televisioni, ma anche tante forze politiche cosiddette democratiche, malgrado le reti antifasciste hanno lanciato non uno ma mille segnali di allarme e di denuncia, di allerta per una vigilanza democratica.
Dopo centinaia di iniziative e mobilitazioni antifasciste, dopo aver preparato dossier, conferenze, iniziative di controinformazione, dopo aver denunciato dettagliatamente le connivenze politiche, le ingenti coperture finanziarie, le collusioni criminali, poco o nulla si è mosso; anzi le aggressioni, i pestaggi e gli attentati hanno continuato ancor più in questa settimana di campagna elettorale.
La manifestazione di sabato non può essere compresa se scollegata da questo contesto più generale. Le forme e i modi di contestazione alla parata neonazista di Milano non sono state solo un errore grave perché hanno prestato il fianco alle strumentalizzazioni elettorali della destra, ma anche tatticamente autolesioniste. Soprattutto credo che sarebbe stato infinitamente più efficace al fine del consenso opporre ad una sfilata fascista forme di disobbedienza sociale. Inseguire i fascisti sul terreno della loro violenza è stato disastroso. Ma certo erano ben altre le forze che avrebbero dovuto stare sabato mattina in Corso Buenos Aires ad impedire il concentramento dei fascisti. Se ci fossero state probabilmente l’esito dell’iniziativa sarebbe stato diverso.
C’è un assordante silenzio rispetto a un presidente del consiglio che non solo ha sdoganato i neonazisti ma ha addirittura stretto un accordo elettorale: se Chirac si fosse alleato con Le Pen o la Merkel con i neonazisti ci sarebbe stata una rivolta morale prima ancora che politica. E invece è solo il movimento e i centri sociali che si trovano a dover fronteggiare a volte efficacemente, altre volte con esiti disastrosi il riemergere dei neonazisti. Ma su questo punto vorrei essere molto chiaro: io faccio parte del movimento, ma non sono né il “portavoce” come vorrebbero sempre i giornali, né il “mandante” come vorrebbe Pisanu, né tanto meno il “giudice” come pretendono Rutelli e Fassino. Per cui non vorrei che per i prossimi anni ogni volta che accade qualcosa vengono a chiederne conto a me. Il movimento ha molte facce e molte sensibilità, non è univoco né tanto meno è possibile dividere tra buoni e cattivi. Pisanu farebbe bene a non utilizzare il Viminale come strumento di propaganda elettorale. La responsabilità politica di quello che è successo è anche del questore di Milano che ha autorizzato quel corteo che come già è successo in precedenza poteva e doveva essere vietato.
Ora il problema è capire come rilanciare in termini di massa le mobilitazioni antifasciste perché non bisogna delegare a ristretti gruppi di attvisti antifascisti la battaglia contro il pericolo neofascista, mentre questa battaglia deve investire tutte le soggettività individuali e collettive sinceramente democratiche, individuando pratiche di lotta in grado di coniugare il conflitto, la partecipazione, la radicalità e il consenso. Ricordo tanti giovani che come me hanno lottato mettendosi in gioco al fianco degli esclusi e dei senza voce, chi si è sdraiato sui binari per bloccare i treni carichi di armi, chi ha pichettato le fabbriche insieme agli operai, chi ha sostenuto le lotte degli sfrattati. Pur non condividendo l’esito dell’iniziativa di Milano, piuttosto che speculare elettoralmente su quei fatti bisognerebbe avere il coraggio, tutti insieme, di chiedere per rasserenare il clima la liberazione dei ragazzi arrestati.


Fonte

Il giudice convalida l’arresto dei trentacinque maggiorenni arrestati attorno a Corso Buenos Aires: ora rischiano pene fino a tredici anni

Milano, i centri sociali discutono del sabato che pesa

Stasera si confrontandole diverse anime della sinistra antagonista milanese. I fatti di sabato scorso mettono a rischio l’agibilità politica per molti centri sociali

Le accuse sono pesantissime:
devastazione, incendio doloso, porto abusivo di armi, lesioni volontarie. Solo in pochissimi casi, c’è la contestazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale, quella che in genere viene contestata in questi casi. Così, le trentotto persone, rinchiuse nelle carceri di San Vittore, Opera e Bollate (tre dei quali minorenni, ovviamente rinchiusi al Beccaria) rischiano pene che potrebbero arrivare fino a tredici anni di reclusione.
Trentotto nomi, si diceva. Perché su settanta identificati e su quarantacinque fermati sabato mattina, il giudice ha chiesto la convalida dell’arresto solo per una parte di loro. Richiesta accolta, ieri sera, per tutti e trentacinque i maggiorenni. Fin qui la cronaca giudiziaria. Che però non svela molto di quel che è avvenuto a Milano. Di più, lo raccontano i nomi delle persone inquisite. Chi sono insomma gli arrestati durante la terribile mattinata? Impossibile inserirli in un’unica “categoria”. Se non in quella generica di antagonismo anarchico, che piace molto al ministro Pisanu ma non spiega nulla.
Comunque sia, gli arrestati vengono quasi tutti dai gruppi, dai circoli che si sono aggregati nelle occupazioni delle case. Alcuni di loro, frequentano il centro sociale “Villa Occupata”, quello di via Litta Modignani. C’è qualche frequentatore di altri centri sociali, ce ne sono diversi che vengono dall’”Orso”. Che è stato un po’ l’organizzatore della manifestazione milanese. Molte persone sono di fuori Milano, ci sono due francesi, un albanese. E ci sono due nomi che ricorrono spesso nelle inchieste, e nelle cronache delle giornate più difficili di questi anni. Sono due “anziani”: Vincenzo Vecchi, di 48 anni e Marina Cugnaschi, di 42. Uno di Bergamo, l’altra di Como, si dichiarano anarchici. Non legati a circoli o a gruppi precisi ma disposti a “trasferte ” ovunque ci sia tensione politica in piazza.
Da qui, da questi dati si può partire per cercare di capire cosa sia accaduto davvero tre giorni fa, attorno a Corso Buenos Aires. Naturalmente, i militanti dell’”Orso” rivendicano la giustezza della loro scelta. Quella di opporsi con una manifestazione di piazza alla provocazione dei gruppi neofascisti. Provocazione che, poche ore dopo il corteo dei naziskin, è sfociata in un’aggressione. E’ accaduto a Pavia, dove un gruppetto di neofascisti della Fiamma Tricolore, di ritorno da Milano, ha tentato di colpire con un coltello il coordinatore dei giovani comunisti, Mauro Vanetti e ha preso a schiaffi una ragazza che era con lui. Ora i naziskin sono stati denunciati e se ne occuperò la magistratura.
Provocazioni fasciste, e si ritorna a far parlare quelli dell’”Orso”, da rintuzzare, tanto più di fronte al silenzio del resto della sinistra, per una volta messa tutta insieme: quella riformista e quella d’alternativa. Hanno raccontato – in una conferenza stampa, dove è andato ad ascoltare anche un dirigente di Rifondazione, Piero Maestri, per questo addirittura additato in pubblico da Pisanu – e raccontano d’essere stati aggrediti dalla polizia. Che è intervenuta selvaggiamente. Milano 2006 un po’ come Genova 2001. Ma l’accostamento viene ripetuto solo nelle sedi ufficiali. Fuori, lontani dai microfoni, però anche quelli dell’”Orso” fanno capire che la situazione, sabato mattina, è sfuggita loro di mano. E ora le conseguenze potrebbero essere dure per tutti. A cominciare proprio dal centro sociale più citato in queste ore, l’”Orso”. Non è un mistero, insomma, che il neoprefetto, quello nominato dalla destra sei mesi fa, quando il suo precedessore, Ferrante ha scelto di candidarsi a sindaco col centrosinistra, abbia deciso di assecondare le richieste della Moratti. Che in difficoltà nella campagna elettorale, gioca le sue ultime carte sul pugno di ferro contro i centri sociali. Che ora sono un po’ tutti a rischio. A cominciare proprio dall’”Orso” che oltretutto, proprio in questi mesi, deve anche fronteggiare la richiesta di sfratto dei proprietari dello stabile.
Ed è in questo clima che stasera si confronteranno le diverse anime della sinistra antagonista milanese. C’è da discutere quel che è avvenuto sabato e si sa che quelli del “Vittoria”, del “Garibaldi ”, dei “Transiti”, della “Kasa ” e della “Torchiera”, solo per fare alcuni nomi di altri centri sociali, stavolta non si accontenteranno di frasi di rito. Di ricostruzioni rituali. Visto che è stata messo a rischio, e seriamente, il loro diritto all’agibilità politica. Discuteranno di sabato scorso, ma soprattutto discuteranno di sabato prossimo. Quando, nel terzo anniversario della morte di Dax, è stato indetto un altro corteo. E sono in tanti a chiedere che stavolta la situazione non sfugga di mano.
s. b.


Fonte

Il 99% delle reazioni politiche si riferiscono ad un’intervista al “Quotidiano nazionale”
totalmente smentita dall’interessato. Cdl all’attacco del “no global”
Caso Caruso, una polemica a prescindere

Livia Turco Ds (prima della smentita):
“Sono parole gravissime e inaccettabili, inconcepibili nella politica e nei valori dell’Unione”

di Frida Nacinovich
Questa è la storia di una polemica che sarebbe nata comunque, in ogni modo. A prescindere. Chiamiamolo per comodità il “caso Caruso”, precisiamo per onestà intellettuale che il 99% delle reazioni politiche si riferiscono ad un’intervista totalmente smentita dall’interessato. Succedono anche cose del genere quando manca meno di un mese alle elezioni politiche. L’oggetto della presunta intervista sono guarda caso gli incidenti di sabato scorso a Milano.
Caruso a Milano non c’era, era un migliaio di chilometri più a sud. Il “Quotidiano nazionale” lo interpella ugualmente. Il titolo c’è, il “mostro” è in prima pagina, che importa se manca tutto il resto? I fatti, ammesso che ce ne siano. Il “Quotidiano nazionale” attribuisce al leader no global una serie di pesanti dichiarazioni sugli scontri fra autonomi e polizia: “Io non condanno nessuno che si scaglia contro chi fa professione di nazifascismo ”. E ancora: “L’Unione ha fretta di condannare. Chiederò l’amnistia per tutti”. Parole che fanno scoppiare una bufera politica, ma che lo stesso Caruso smentisce: “L’intervista è inventata di sana pianta dall’inizio alla fine”.
Il direttore del “Quotidiano Nazionale”, Giancarlo Mazzucca, invece, conferma “riga per riga” quanto riportato dal suo giornale. Intanto, però, succede di tutto. A prescindere. Le prese di posizione (frettolose). “Parole incompatibili con i valori dell’Unione. Parole gravissime e inaccettabili”, dice la diessina Livia Turco. Caruso smentisce, la macchina mediatico-politica si è già messa in moto. E allora dagli al “no global”. Dice il segretario Ds Piero Fassino: “Il teppismo è inaccettabile e non c’entra nulla con la politica”. Un’affermazione – va da sé – condivisa non solo da Rifondazione ma dall’intero arco parlamentare. Tant’è. Chiacchierano tutti. A un certo punto Franco Giordano, Rifondazione comunista, cerca di fare chiarezza, precisa che “il coinvolgimento di Caruso nei fatti di Milano è del tutto arbitrario. Non era a Milano e non ha mai parlato di questa materia”. Si va avanti lo stesso. Francesco Rutelli, leader della Margherita, sostiene che gli scontri di Milano rappresentano “una buona occasione perché tutti, anche le componenti più radicali dei centri sociali, prendano chiaramente le distanze dalla violenza”.
Il centrodestra parte lancia in resta. C’è chi chiede a Bertinotti di ritirare le candidature di Caruso e del “leader storico” del Leoncavallo, Daniele Farina (non solo non era alla manifestazione di Milano, ma non ha neppure aderito, ndr). Ignazio La Russa è nero: “La responsabilità politica ricade sui dirigenti del centrosinistra”. La Russa arriva a chiedere l’audizione del ministro dell’Interno per sapere quali legami intercorrano “tra questi estremisti e le liste che sostengono la candidatura di Prodi”. Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, aggiunge: “Dopo i fatti di Milano, Caruso, l’amico degli incappucciati, non è ancora arrivato in Parlamento, ma già pensa ad una legge ad personam per se e per i suoi amici”. Le parole di Caruso “sono gravissime ”, afferma il leghista Roberto Calderoli, “perché, si pongono dalla parte dei violenti ”.
Una gara, un gioco senza frontiere di parole in libertà. Potrebbe bastare? Invece no, ancora non basta. Alfredo Mantovano chiama in causa, tra gli altri, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola: “Ha teorizzato – scrive il sottosegretario sul “Secolo” – artificiose distinzioni fra i membri dei centri sociali (innocui) ed i black bloc (pericolosi). Solo personaggi come Vendola riescono a occhi aperti a parlare del mondo dei centri sociali come di un raffinato circolo di intellettuali (...)”. Per una volta Alessandra Mussolini sarebbe d’accordo con Mantovano e An. Voluto, preannunciato e quasi cercato dal centrodestra, scoppia il caso della candidatura di Francesco Caruso. Non importa che l’interessato abbia smentito tutto, che a Milano non ci fosse, che non avesse aderito alla manifestazione. Caruso è colpevole, a prescindere.
Ma quanto manca al 9 aprile?


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Rosa Piro: “Ho un figlio ucciso dai fascisti. Ma resto una convinta sostenitrice della nonviolenza”
La madre di Dax: “Non è così che si fermano gli squadristi”

“Ho 52 anni e da anziana antifascista dico: manteniamo sempre la calma, non lasciatevi prendere dalle trappole, dalle provocazioni”

di Claudio Jampaglia

Rosa Piro è scossa, amareggiata: “Quello che è successo non doveva accadere”. Lei, che ha sostenuto ogni iniziativa antifascista dei compagni di suo figlio, dal centro sociale Orso alle tante altre realtà antagoniste, non si dà pace per le violenze di sabato. Soprattutto per loro, per quei “giovani che rischiano di rovinarsi la vita”. Nel difficilissimo ruolo nella “mamma di …” inchiodatole addosso la sera del 16 marzo 2003 dalle coltellate di due fascistelli di quartiere che hanno ammazzato suo figlio Davide, Rosa si preoccupa per gli “amici di Dax” e per il valore della loro denuncia, del loro impegno antifascista. Tra due giorni ci saranno le iniziative in memoria di Dax, sabato un corteo, Rosa non vorrebbe che suo figlio venisse ricordato così.
Cosa la preoccupa oltre alle accuse per gli arrestati?
Ho paura che si stia perdendo di vista il punto per cui questi giovani lottano. Mi dispiace se alcuni se la prenderanno a male, ma credo sia mio diritto dire che le nostre idee si portano avanti in maniera determinata e chiara, ma così no. Io sono un’antifascista e non posso tollerare che a Milano sfilino i saluti romani e gli inni al Duce. L’intento dei giovani sabato era quello di fermare questi squadristi. Ma tutto è stato rovinato e messo in secondo piano dagli scontri,
forse per ingenuità, per troppa rabbia e determinazione, ma non vedo niente di positivo in tutto ciò. Bisogna veramente far notare una cosa, perché a gennaio non è stato dato il permesso di marciare ai fascisti e a marzo si? È successo qualcosa, nel frattempo? È cambiata la Costituzione? O è bastato un accordo elettorale con Berlusconi? A gennaio c’era il giorno della memoria e l’opposizione sarebbe stata tanta se li avessero autorizzati a marciare. A marzo sono morti Fausto e Iaio, mio figlio. Era forse un tranello per i compagni?
E adesso cosa si aspetta dai giorni dedicati a Davide?
Io da mamma e da antifascista dico manteniamo sempre la calma, non lasciatevi prendere dalle trappole, dalle provocazioni. Facciamo le cose con la testa, ricordiamo Dax e tutti i compagni morti, senza perdere di vista l’obiettivo politico. Dalla morte di Davide si sono moltiplicate violenze fasciste un po’ dappertutto. C’è una ripresa forte e protetta di atti di squadrismo in tante parti d’Italia, bande che aggrediscono, accoltellano, di notte, colpendo centri sociali e ragazzi isolati. La fanno sempre franca. Gli assassini di mio figlio sono probabilmente i soli che hanno preso, per tutto quello che è successo in questi tre anni non sta pagando nessuno. Gli squadristi sono tornati. E da sabato in galera ci sono degli antifascisti.
E quindi?
Io sono una convinta sostenitrice della nonviolenza. Bisogna lavorare tanto e con calma contro la violenza, sembra facile e immediato protestare con gli scontri ma fa danni enormi a tutti e in primis a chi li fa, non solo per le denunce. La causa nobile per cui era nato questo corteo si è persa. Nessuno parla del motivo per cui erano lì. Davvero un peccato. Alcuni manifestanti di sabato hanno detto che Dax sarebbe stato con loro… Non so cosa avrebbe fatto mio figlio sabato perché Davide non c’è più, e anche se ci fosse andato, pur condividendo il senso dell’iniziativa, gli avrei detto che il modo era sbagliato e pericoloso per gli altri e per lui. Quale risultato hanno ottenuto? Io ho 52 anni, tutti i giorni della mia vita ho davanti un figlio ammazzato da fascisti, figurarsi se non capisco la necessità di non lasciare spazio agli squadristi, ma perché rovinarsi la vita così, mentre i fascisti rischiano di passare per bravi ragazzi con tutto quello che rappresentano e che continuano a fare.

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