Cile - Alcune riflessioni sull'attuale contesto della guerra sociale

traduzione: Culmine

Chi ha deciso di vivere la guerra contro l'autorità e con le sue azioni si
posiziona come un protagonista attivo nello scontro -e non come un mero
spettatore degli avvenimenti-, riflette costantemente sul contesto in cui
la lotta si sta svolgendo. E' impossibile per un guerriero astrarsi dalla
realtà combattiva della quale fa parte attraverso le sue azioni e con
tutta la sua vita convertita in propaganda contro il potere. Di qui il
bisogno di riflettere attorno a certe idee, domande e sfide nello scenario
che ci si presenta...
Dalla morte del compagno Mauricio Morales per lo scoppio dell'ordigno
esplosivo che aveva nello zaino alla delazione della madre di Diego Ríos
dinanzi al ritrovamento della polvere nera che ha provocato la fuga del
compagno (oggi clandestino e con la legge antiterrorista che lo attende),
le indagini che lo Stato conduce per la serie di attentati esplosivi
avvenuti a Santiago del Cile dal 2005 hanno avuto come conseguenza una
acutizzazione ed un rinnovamento dei metodi repressivi. Dalle
perquisizioni con le prove in mano s'è passati all'invasione "preventiva"
e militarizzata delle case, occupate o meno, alla ricerca di qualche pista
che permetta di collegare qualcuno con la sterile, fino ad ora, indagine
in corso. Assieme a questo, si pretende diffondere una paura repressiva
che permetta d'isolare gli spazi occupati ed i centri sociali in cui
l'idea antiautoritaria d'azione contro il dominio si manifesta e si
diffonde apertamente, il che è divenuto evidente con i costanti controlli
d'identità e schedature che agenti in uniforme ed in borghese effettuano
nei confronti di coloro che frequentano tali spazi.
Il macchinario giudiziario, poliziesco e d'intelligence dello Stato ha
incanalato la sua infame esistenza nel soddisfare il bisogno del potere di
trovare un qualche responsabile, come al solito. A quanto pare, è la
burocrazia democratica quelle che impedisce di condurre dietro le sbarre
qualcuno, per questo devono imbastire uno spettacolo credibile che
convinca perfino il più ingenuo per placare lo sconcerto che tra i
dominanti ed i loro "professionisti" mercenari-guardiani-investigatori
hanno causato gli attentati esplosivi che fino ad oggi continuano (anzi,
si stanno estendendo ad altre regioni del paese). Quel che è certo è che
il nemico sta facendo il possibile per arrestare più di un compagno e ne
prepara lo scenario mediatico.
Tuttavia, oltre ad isolare certi spazi ed individui, si cerca di
annientare un'idea che va di pari passo con l'azione: l'esercizio della
libertà totale che ha bisogno delle distruzione totale di tutto l'ordine
sociale per mezzo dell'attacco contro l'autorità nel presente e sotto
qualsiasi forma in cui esso si manifesti. Questa è un'idea che si diffonde
permanentemente attraverso la pratica e non con la mera riflessione o con
gli eterni dilemmi che non giungono mai all'azione.
E' tale contesto che ci porta con urgenza a propagare con urgenza
quest'idea più in là della nostra intimità o degli spazi quotidiani, in
modo che le pratiche di rivolta si espandano e si moltiplichino con più
forza. Perché quando si parla d'insurrezione permanente o "quotidiana" non
ci si riferisce solo ad un insieme di pratiche antiautoritarie che si
svolgono nella nostra intimità (quel che mangiamo, come viviamo, chi
amiamo, ecc.), anche se tali gesti sono anch'essi propaganda contro il
potere e sviluppano qualità che devono trascendere il proprio mondo. Tutto
ciò si può fare solo se comprendiamo che la lotta che portiamo avanti a
partire dalla nostra individualità s'inquadra in un contesto più grande
che ci affratella con altri compagni che (non) conosciamo. Sono le nostre
azioni e il contenuto che diamo ad esse a dar forma alle nostre proiezioni
nella lotta, le quali si forgiano a partire dalla nostra pratica nel
presente. Oggi, sentiamo il bisogno di acuire la conflittualità permanente
contro il potere e di dar tutto mentre respiriamo, nonostante non si stia
vivendo all'interno di una grande "esplosione sociale" o "rivoluzione", ma
sapendo che il futuro che verrà sarà quello che ci costruisce a partire
dal presente. Si dice: se non noi, chi? Se non adesso, quando?...
Ciò nonostante, vi sono quelli che scelgono di vivere la loro lotta su di
un piano individuale non contrassegnandola in un contesto più grande,
preferendo non affratellarsi con i compagni che propagandano l'idea in una
maniera più "visibile". Convinti che la rivolta possieda un carattere
prettamente intimo ed individuale, non esitano a tacciare gli altri
compagni di essere "autoritari" o di invalidare la loro esperienza con
scusa che queste non rappresentano uno schema che tutti debbano seguire.
Qui non ci riferiamo ai giudizi che provengono da quelli che pretendono
coesistere pacificamente con il potere e che credono in alternative al
capitale, ma alle frecciate che alcuni compagni che dicono di stare nella
guerra contro l'autorità hanno lanciato verso certe persone e spazi.
Basta porre come esempio l'atteggiamento che alcuni compagni hanno avuto
nel sentirsi offesi per le parole dei compagni del CSA e Biblioteca
Libertaria Jhonny Cariqueo nel loro comunicato “Ante la partida Diego
Ríos” in cui si diceva che di fronte ai colpi del nemico "la passività ci
converte in traditori". Quelli che, sbagliando, hanno ritenuto che il
messaggio fosse personalizzato ed hanno accusato i compagni e gli altri
spazi di cercare il protagonismo e d'imporre un discorso all'interno
dell'ambiente antiautoritario, hanno mostrato atteggiamenti poco fraterni
e solidali che sono ricaduti in atti prossimi al codardo chiacchiericcio
promosso dal sistema piuttosto che a critiche ed autocritiche tra
compagni. Certo, le pratiche di altri compagni non costituiscono un
modello inamovibile -in quanto la rivolta nega qualsiasi tipo d'ideologia
e di schema preconcetto- ma non si può nemmeno avere l'arroganza di negare
il valore alle pratiche altrui che possono servire da arricchimento per il
nostro agire nella lotta (per chi vuole arricchirlo, ovviamente).
Molteplici sono gli strumenti a nostra disposizione per espandere la
rivolta e solo la creatività e l'audacia possono portarci a trovare nuove
possibilità d'azione. Magari alcuni compagni sceglieranno di acuire lo
scontro dal parziale o totale anonimato o invisibilità -la qualcosa è
anche una decisione personale-, ma tale scelta è valida se si assume come
complemento ai compagni che portano avanti la lotta impugnando qualsiasi
delle diverse armi con le quali è possibile attaccare il nemico. Sebbene
si punti ad essere guerrieri integrali perché rifiutiamo qualsiasi tipo di
specializzazione, ognuno decide quale aspetto della sua vita -e con chi-
affilerà il suo impeto alimentando la lotta che si progetta in un contesto
che va ben più in là dell'individuo e del suo gruppo affine.
Pertanto, e dinanzi all'attuale contesto della persecuzione verso compagni
e spazi in piede di guerra contro il potere, la propagazione della(e)
idea(e) antiautoritaria(e) attraverso l'azione si presenta come una
tensione ed una sfida da risolvere nella pratica di propaganda. E' stato
un malinteso su ciò che significa esser nemico della società quel che ha
fatto sì che si diffondesse una reticenza nel propagare queste idee tra
quella che suole esser denominata "la gente". Sebbene non aspettiamo
nessuno nel nostro cammino, nemmeno può esser considerato come nemico
tutto quel che cammina per strada. Sappiamo che la rivolta è fatta di
persone e per questo è interesse che le qualità si espandano numericamente
senza l'ansia di costruire alcun tipo di movimento, né idealizzare delle
persone in base alla loro condizione sociale, etnica, giudiziaria, ecc.
Nessuno incarna la rivolta in se stesso se non riesce a liberarsi dai
vecchi ruoli emanati dalla società di classe: lavoratore, proletario,
studente, sovversivo, ecc.
Occupare le strade, riempiendole di scritte, all'interno di manifestazioni
con propaganda d'azione concreta è una pratica che, da tempo, i compagni
antiautoritari in Grecia hanno deciso che è necessaria -ma mai unica- per
diffondere le loro idee.
Non idealizziamo il contesto di questi compagni, ma è bene apprezzarlo e
adeguarlo al nostro come pratica -non bisogna dimenticare che l'autorità è
presente in tutto il mondo ed anche la cooperazione tra i dominanti è
qualcosa di reale-. Scuotere con la propaganda la quotidianità alienata
della gente non è sinonimo di voler convincere e di cercare di lavare
l'immagine di un movimento (fittizio) criminalizzato come pretendono fare
i mercanti dell'ideologia anarchica. Nemmeno si tratta di negare la
radicalità dell'idea/azione che si desidera propagare, né di creare
simpatizzanti attorno ad essa, bensì è lo stimolo a che sempre più persone
si armino contro il potere -nella maniera che si preferisce- o perlomeno a
che non si condannino coloro che passano all'azione, non dimenticando che
altrove ci sono ancora le taglie sulla testa degli insorti.
Qualsiasi atto di propaganda vale per se stesso e chi vuole sintonizzarsi
con la gente per mezzo di codici comuni deve provarci senza dimenticare
che è per mezzo dell'azione contro ogni forma d'autorità che noi ci
realizziamo come individui liberi e che tale idea è pericolosa per
l'ordine sociale. Pertanto in ogni azione che realizziamo, per quanto
piccola possa essere, noi dobbiamo stare attenti ed esser coscienti delle
conseguenze che comporta agire come nemico dell'autorità, non vociferando
su quel che facciamo o diminuendo la sicurezza o abbassando i livelli di
fiducia con i quelli con cui portiamo alla pratica la guerra contro la
società.

Alcuni compagni del $ile

Gio, 14/01/2010 – 13:58
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