Genova - Lettera aperta sulla sorveglianza speciale

da liguria.indymedia.org

Genova 30 aprile 2010

Sulla “sorveglianza speciale”
Lettera aperta da “un insuscettibile di ravvedimento” alla Genova ribelle

Vorrei raccontarvi una storia, una storia che mi riguarda, una storia - visti i tempi - anche sin troppo banale, ma che penso possa fare riflettere su quanto ci sta accadendo intorno e sulle sventure a cui possono andare incontro gli oppositori di questo regime.
Ieri, 29 aprile, il tribunale di Genova ha deciso di fissare per il 7 di giugno l'udienza per “dibattere” la mia sottoposizione a regime di “sorveglianza speciale”. Per chi non lo sapesse, l'art.1 (ovvero la sorveglianza speciale) è una misura amministrativa – slegata da procedimenti penali specifici – a cui vengono condannati gli individui ritenuti pericolosi per la pubblica sicurezza, la pubblica morale e le istituzioni. Tale provvedimento non è legato ad un reato ma ad una condotta che viene ritenuta dagli inquirenti antisociale, delittuosa, dannosa in genere. Una volta “specialmente sorvegliati” non si può più (per un periodo che va da un anno a cinque anni) uscire la sera dopo le nove, frequentare locali pubblici, partecipare o presenziare a manifestazioni pubbliche, avere relazioni con pregiudicati, avere la patente ed il passaporto, uscire dal comune di residenza (in alcuni casi il giudice può stabilire di spostare il sorvegliato in comuni di pochi abitanti). Inoltre, quando disposto, si è obbligati a firmare periodicamente presso la questura e si è obbligati a girare con un foglio da esibire alle forze dell'ordine. Ovviamente la trasgressione costa l'arresto e anni di carcere. Questo in sintesi, anche se il linguaggio del codice è decisamente più colorito: “è fatto divieto di frequentare bettole, osterie e case di prostituzione” eccetera. Ai più “acuti” non sfuggirà che tale provvedimento e tale linguaggio, al di fuori di ciò che ognuno di noi può pensare della tanto decantata democrazia, è alquanto datato, direi – senza che i giudici se ne abbiano – che è “un po' fascista”.
Di fatto la “sorveglianza speciale” è un provvedimento del codice Rocco, elaborato con le leggi speciali di Mussolini e poi rivisto dalla democrazia nel 1956. “Rivisto” nel senso che il vecchio codice impediva anche di “camminare sui marciapiedi” mentre oggi al “sorvegliato” è democraticamente permesso. Per il resto è sostanzialmente identico.
Ma torniamo al mio caso. Stando agli atti, che ho avuto modo di visionare solo questa mattina, io non avrei mutato condotta nonostante sia stato “avvisato oralmente” con relativa procedura in ottobre. Non solo, in seguito all'avviso orale avrei scritto “un documento fortemente critico” e mi sarei dichiarato, con una sorta di ammissione di colpa, “insuscettibile di ravvedimento”. Ora, a quell'aquila di Gonan (dirigente della Digos genovese), evidentemente deve essere sfuggito che “insuscettibile di ravvedimento” è la dicitura che veniva usata dalla polizia fascista per designare i dissidenti politici condannati al confino.
Ma quali sarebbero questi comportamenti antisociali a cui io proprio non ho saputo rinunciare? Stando agli atti della polizia si tratterebbe di continue contestazioni (mediante comizi, volantini, manifestazioni, dialoghi e scritti) nei confronti dei militari, delle forze dell'ordine, di esponenti politici fascisti. Inoltre avrei in diverse occasioni partecipato e organizzato iniziative contro le espulsioni degli immigrati, contro i CIE, contro la militarizzazione delle strade, avrei occupato illegalmente degli immobili (per farne luoghi di discussione e lotta), avrei organizzato manifestazioni non autorizzate dalla questura, fatto resistenza e violenza contro dei pubblici ufficiali (per intendersi “violenza” è impedire anche senza atti fisici – come nel mio caso – il regolare svolgimento delle funzioni del gendarme). Dimenticavo, come ad alcuni sarà noto, avrei anche caricato con un'altra persona un cordone della celere durante il comizio del fascista Storace, a mani nude e a volto scoperto, e lì (con una alabarda spaziale invisibile all'occhio umano) avremmo causato delle lesioni facciali e testicolari a due celerini (siamo attualmente sotto processo per queste fantomatiche accuse).
Bene, è quasi tutto vero. Certamente le cose potevano essere fatte meglio, essere più incisive, arrecare più danno a quelle che non posso che reputare delle istituzioni xenofobe, violente, arroganti e mafiose. In ogni caso quello che ho fatto lo rifarei, magari meglio, tutto quello che volete ma certamente non è mio interesse discutere dei parametri di legalità.
Comunque non contenta, sia mai che a qualcuno possa venire il sospetto che non si può condannare a sorveglianza la dissidenza, la Digos ha aggiunto alle motivazioni della richiesta un piccolo dossier che ripercorre le tappe della mia “carriera di criminale anarchico” dai primi anni '90 ad oggi. Taglio corto e il risultato faccio che renderlo pubblico io: sono stato condannato per stampa clandestina, manifestazioni non autorizzate, danneggiamenti (una scritta e imbrattamento di una sede politica durante la guerra nella ex Yougoslavia), resistenza e favoreggiamento (feci scappare un malcapitato che era sotto le grinfie della celere ad un corteo), furto (un fascista dell'ex Fronte della Gioventù, anni '90, perse il telefono durante una colluttazione). Sono inoltre stato arrestato per renitenza alla leva, lesioni gravi nei confronti di un giornalista confidente della polizia, resistenza a pubblico ufficiale. A questo vanno aggiunte svariate denunce per oltraggio, vilipendio alle forze armate, allo Stato, alla istituzioni, eccetera. Non in ultimo nel 1995, in Valle d'Aosta sono stato denunciato per “insurrezione armata” e “strage” perché... avrei distribuito un volantino con “istruzioni” per sabotare le elezioni! Il tutto ovviamente è finito in una bolla di sapone, persino i magistrati si sono rifiutati di procedere per una sì delirante accusa... ovviamente il digossino Gonan ha pensato bene di ritirala fuori dal cappello, tanto per farmi una buona presentazione e non far mancar nulla.
Non solo, sempre dagli atti, emerge che le denunce e le condanne per cui sono stato assolto in formula piena, come ad esempio le suddette lesioni al giornalista e una “detenzione d'arnesi da scasso” (un cacciavite di 8 centimetri che mi serviva per fissare uno striscione con delle fascette), sono state presentate nel dossier con solo una piccola dimenticanza: le assoluzioni. Allo stesso modo le varie denunce per cui la magistratura ha deciso che non vi erano elementi di reato o utili a procedere vengono ripresentate “nel malloppo” come reati di fatto compiuti. Ancora, è stato per me interessante scoprire di essere stato denunciato per reati commessi in situazioni in cui non sono mai stato: per esempio una, seppur certo condivisibile, occupazione in Trentino alla quale, me malgrado, non ho mai partecipato. Verrebbe da pensare, se non fosse che tutti noi abbiamo una consolidata fiducia nell'operato delle forze dell'ordine, che dietro tutto questo procedimento vi sia qualcosa di “personale”, un meccanismo un tantino mafioso, chessò un poco di fascismo. Ma questo sia chiaro solo a pensar male, perché io non me la sono mica presa per quel po' di insulti un tantino coloriti e quelle velate minacce che, sempre il dirigente della Digos Gonan, mi ha rivolto durante la notifica dell'avviso orale, ad esempio: “smetti di rompere i coglioni oppure...”, garantisco personalmente per la tua sorveglianza”, “ti mando la polizia quattro volte a notte”, “ti faccio una raffica di perquisizioni a te”, “poi se non la smetti a tua madre e a tuo padre”, “la giustizia e lenta ma in galera ci finisci”, e infine la mitica... “sei un rivoluzionario da operetta”! E qui mi fermo perché la mia denuncia per calunnia dovrei già essermela conquistata.
Certo verrebbe da rispondere: “io sarò da operetta ma per ora la commedia la sta inscenando qualcun altro”.
Può sembrare un po' spiacevole elencare le mie disgrazie e con esse gli affari miei ma garantisco che questa “pecca di personalismo” da più fastidio a me che a voi che mi leggete. Il punto è che quanto mi sta accadendo vorrei fosse chiaro nel dettaglio, mostrare complessivamente qual è il modus operandi della polizia, e non perché cerchi compassione o una solidarietà pietistica ma perché penso che sia un affare di tutti. Gli “avvisi orali” per le contestazioni ai politici ed ai militari sono una quindicina, quanto da me fatto è stato fatto in tanti luoghi e da decine di persone e c'è da augurarsi che, vista la tragedia sociale che ci circonda, le proteste continuino ad allargarsi e migliorarsi. Questo significa che ogni compagno disposto a scendere in strada e lottare può essere a sua volta fatto oggetto delle suddette “attenzioni particolari”. Tutti sappiamo quanto sia facile in questo Paese collezionare denunce e processi, forse quello di cui non sono in molti a rendersi conto (o perlomeno ad esserne conseguenti) è che le maglie della repressione si stanno stringendo sempre di più. L'utilizzo delle vecchie leggi fasciste ed il tentativo di ripristinare il confino (la sorveglianza speciale) è solo uno degli esempi di ciò che ci aspetta per il prossimo futuro. Lo Stato ha deciso di non tollerare più opposizione e purtroppo i movimenti di lotta stentano ad adeguarsi alla nuova situazione.
Ciò che mi sembra evidente è che il tentativo di condannarmi alla “sorveglianza”, al di fuori di come giuridicamente finisca, è un messaggio. Lo Stato sta dicendo (non soltanto a me ma a tutti): “state buoni, non alzate la testa, oppure ne pagherete le conseguenze”.
A questo punto non credo che serva indignarsi. Gli appelli al rispetto della democrazia e lo sconcerto per l'utilizzo delle leggi fasciste ci porteranno ben a poco. Occorre agire, occorre non arretrare nelle lotte, non farsi spaventare dalla repressione.
Chi pretende di governarci sa bene che i conflitti sociali non possono che aumentare, così come il divario di classe e l'ingiustizia non possono che acuirsi. Lo Stato non cerca la pace sociale, quel periodo è finito: lo Stato vuole la guerra e questo vuol dire alimentare l'odio fra i poveri e stroncare le “sacche di resistenza”, distruggere gli oppositori, isolare i partigiani della guerra sociale.
Credo che sia un “imperativo morale” per coloro che ancora amano la libertà ed inseguono il desiderio di una società diversa continuare ad opporsi alla barbarie imperante. Innanzitutto fermare il razzismo, le fasulle divisioni che il potere cerca di accrescere fra gli oppressi, poi cercare di resistere agli attacchi repressivi, combattere la militarizzazione delle città, creare momenti di solidarietà, di dialogo fra pari, di auto-organizzazione e mutuo-appoggio. Queste sono le cose che spaventano il potere, questa penso che sia la strada da seguire.
Bene, cioè male, non so come finirà questa storia, non so ancora che tipo di scelta farò in caso di condanna. Quello che è certo è che in qualunque circostanza continuerò sulla strada intrapresa. Non penso di avere qualche cosa di cui pentirmi, penso di essere nella ragione e penso di combattere dalla parte giusta della barricata. Se tutto questo significa “essere un criminale abituale” o essere “socialmente pericoloso”, ebbene, non posso che ammettere le mie responsabilità, a testa alta.
Per ora invio queste righe come un sasso gettato in uno stagno, perché almeno quanto sta accadendo non passi ancora una volta sotto silenzio. A chi ne ha la volontà, il cuore e l'intelligenza raccogliere il messaggio.

Ancora una volta, “insuscettibile di ravvedimento”.
Luca Bertola, anarchico


Sab, 01/05/2010 – 03:12
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