L'Urlo della Terra - Giornale ecologista radicale

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Primo numero del giornale ecologista L’Urlo della Terra

In questo numero:   

L’ecologismo radicale e il selvatico   
Le conseguenze sociali e politiche dell’esposizione e dell’uso dei social network   
Memorie dal futuro: la singolarità tecnologica che viene   
Hambach la foresta che resiste: intervista       
Un’altra campagna è possibile…    
Attacco alla Bayer   
Repressione di stato: autorepressione di Nicole Vosper

Editoriale:

In tempi di social network, di relazioni frettolose e più in generale dove il senso delle cose sfuma in una moltitudine quantitativa, rilanciare con un giornale cartaceo può sembrare perlomeno fuori luogo o fuori tempo, secondo quale è lo spazio da dove facciamo partire il nostro sguardo.   
Questo strumento non ha alcuna pretesa di essere la soluzione di una qualche mancanza, definita o indefinita, di un preteso movimento o contesto. Sicuramente non ci interessa riempire quel calderone dell’informazione alternativa, che per sua stessa costituzione non  può mai riempirsi per lo sconcerto dei suoi maggiori promotori. Intendiamoci, la controinformazione ha la sua importanza, ma pensiamo che questa non deve rimanere mera informazione e deve essere capita nei contesti dove va ad operare per poter essere successivamente agita nel vivo delle lotte. La consapevolezza critica non è da confondere con l’accumulo di informazioni. Nel pieno dell’informazione mai ci si è ritrovati così poco informati e spaesati come di questi tempi, dove la vecchia cassetta degli attrezzi non contiene strumenti utili e precisi, ma un calderone di attrezzi per tutti gli usi, anche quelli che non conosciamo. Dobbiamo ancora capire qual’è la relazione possibile tra ogni singolo strumento e quel determinato problema che ci troviamo ad affrontare.
Per affrontare i problemi che  di fronte a noi non vanno certo a diminuire, ma semmai si moltiplicano e convergono tra loro lasciandoci sempre indietro, di strumenti ne servono, non se ne può fare a meno se si vuole mettere insieme una progettualità, seppur limitata e circoscritta al momento. I tempi corrono con tutte le possibili esperienze che si possono fare e incontrare: tutti questi momenti e situazioni sono li a dimostrarlo, dotarsi di un progetto, che non è da confondere con le strategie, si rende fondamentale se si vuole essere per questo sistema qualcosa di più di un semplice fastidio occasionale.   
L’urlo della Terra si fa sempre più lacerante, tanto che ormai sembra diventata l’abitudine. Questo urlo però non parla soltanto di un pianeta che muore sempre di più sotto i colpi della
civilizzazione, che si degrada e si impoverisce anche di senso insieme ai suoi abitanti animali e non. C’è anche una Terra che si ribella, che lotta e resiste nonostante tutta questa situazione. Di fatto quello che fa la differenza, che è immediatamente comprensibile senza tanti sofismi, è il non essere complici di quella distruzione e degradazione del vivente che è stata portata avanti fino adesso e di quella che verrà, che è decisamente più tenace e soprattutto irreversibile nelle sue conseguenze ultime.   
La non collaborazione con questo sistema di morte non è abbastanza: la disobbedienza è di fatto tollerata perché recuperata o recuperabile, al contrario invece della conflittualità permanente, quella insuscettibile di ravvedimento che non trova soluzione ai problemi sedendosi allo stesso tavolo con chi sfrutta e bombarda nella nuova veste democratica.   
Il nuovo tecno-totalitarismo non è solo quello dell’imposizione, ma soprattutto quello della partecipazione, della coesistenza: si è chiamati tutti e tutte a collaborare su base volontaria al proprio sfruttamento, perché un’altra possibilità non esiste. Di fatto l’alternativa è già inclusa nell’unico pacchetto che può contenere una centrale atomica insieme ad una centrale eolica che si fanno un’ottima compagnia in un bel prato verde. La de-responsabilizzazione si è diffusa largamente in ogni parte interessata, fino ad insinuarsi anche nelle nostre teste: la crisi ecologica e sociale non è causa nostra e neanche del sistema. Da una parte c’è chi con la crisi ne ha fatto il nuovo business, dall’altra c’è chi subisce tutte le conseguenze di un sistema al collasso che fa pagare a vite ed ecosistemi il proprio sfacelo. Niente si salva dalla megamacchina che tutto trita sotto il proprio sostentamento. Come quegli animali resi meri corpi che il dominio ha destinato a un’infinita catena di riproduzione e morte.   
Affronteremo delle questioni che ci stanno particolarmente a cuore e che consideriamo della massima importanza come gli sviluppi, le diramazioni e convergenze delle tecno-scienze, la crisi ecologica e con essa la degradazione del vivente. Tratteremo le questioni da vari aspetti e vari sguardi per permettere di costruire un pensiero ed una critica radicale che possa essere una traccia per capire quello che sta avvenendo e soprattutto che non avviene nelle lotte.   
Non pubblicheremo di tutto, cosa per altro poi abbastanza improbabile considerando l’esistenza di siti internet e bollettini che già svolgono l’importante lavoro della controinformazione. Punteremo su singoli aspetti:  uno scritto, un’azione che a nostro avviso possa essere utile per capire, per portare dei dubbi e degli interrogativi. Saranno infatti dubbi e interrogativi la nostra prerogativa e non le solite risposte facili e buone solo per fare degli slogan.    
L’Urlo della Terra vuole essere una voce di quella resistenza che dura da generazioni e che unisce in un unico filo un Penan del Borneo a chi difende le ultime foreste in Europa, una contadina indiana che protegge la biodiversità dai semi terminator ad un falciatore di campi ogm di una moderna stazione sperimentale in Inghilterra…




Secondo numero del giornale ecologista L’Urlo della Terra


In questo numero:

Expo 2015: il supermercato del futuro
Viviamo in tempi strani - Parole di frattura
Francois Kepes: razionalizzatore delle macchine viventi – parte prima
Il campo del controllo: Una raccolta di scritti contro la ricerca biotech in Svizzera
Il processo a Billy Costa Silvia si avvicina - Rilanciamo la lotta alle nocività
Fukushima: cogestire l’agonia
Finalmente la liberazione animale? Appunti intorno al libro “Finalmente la liberazione animale” di Melany Joy

Editoriale:

“L’Italia è uno dei pochi paesi dove imperversa la piaga dell’ecoterrorismo [termine coniato dall’FBI per descrivere i movimenti ALF ed ELF] e non ci sono normative per contrastarlo. I primi provvedimenti sono stati presi negli USA e nel Regno Unito [dove è nato questo movimento] e altri paesi europei come la Svizzera si sono ispirati alla normativa inglese.” Giulia Corsini Cofondatrice e consigliere Pro-test Italia.   
Così in un appello speranzoso si esprimono i Pro-test Italia, quell’organismo nato da qualche anno sulla falsa riga di strutture inglesi e americane per difendere la ricerca, soprattutto quella più controversa con sviluppi immediatamente nocivi e mortiferi come gli ogm e la vivisezione. Questa volta la ragione del loro comunicato e del loro  prendere parola è un’azione dell’ALF contro un istituto zooprofilattico di Savona responsabile di vivisezione.   
Ufficialmente questi Pro-test sembrano solo un gruppo di giovani laureati arroganti e frettolosi di farsi notare da qualche luminario della ricerca in uno dei loro settori d’interesse. Questo però è solo un aspetto parziale della realtà. Guardando ai loro analoghi inglesi si percepisce la volontà di creare una vera lobby di pressione politica che possa da un lato rappresentare gli interessi della ricerca scientifica, facendo apparire settori indifendibili sotto vari aspetti come necessari per un bene dell’umanità. Dall’altro lato tutto il loro lavoro punta a screditare la parte avversa spesso con una propaganda grossolana e menzognera.  Ma soprattutto il vero intento di questi Pro-test, come quello di FederFauna, è quello di spingere per  un cambiamento legislativo, chiedendo leggi più repressive per chi si oppone a questo tecno-mondo fondato sullo sfruttamento di qualsiasi essere vivente e dell’intero pianeta.   
In Inghilterra anche queste pressioni hanno contribuito alla creazione di leggi speciali soprattutto per fronteggiare campagne come SHAC, portando numerosissime restrizioni nei  presidi e proteste permanenti davanti a sedi e luoghi di sfruttamento. Repressione che ben presto si è allargata  a tutti gli ambiti dove poteva esserci il sorgere di un’opposizione radicale.   
L’Italia non ha niente da invidiare in materia di legislazioni repressive, solo che non hanno niente di “speciale”: numeri di codice penale che risalgono al fascismo rinforzati a più riprese in tempi di così detta democrazia. I gruppi più radicali di liberazione animale ed ecologisti sono abituati a vedersi toccare ormai da anni da inchieste per associazione sovversiva con le aggravanti di terrorismo. Un recente emendamento legislativo, salutato con gioia da FederFauna, presentato al Governo da Carlo Giovanardi e inserito in quel pacchetto di nullità definito “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, mette tutti insieme devastatori e inquinatori a chi lotta per la liberazione animale. Non sarebbe da stupirsi se ben presto le acrobazie raggiungeranno territori ancora più lontani. In queste settimane quindi si è aggiunto qualcosa di più che sembra cambierà le cose con una modalità legislativa estremamente subdola e ambigua inserita in un momento di “confusione” sperando, nella sua stessa banalità di formulazione, di non trovare attriti sul suo cammino, cosa che ovviamente è avvenuta. Gli unici aspetti toccati riguardano solo aspetti parziali. Il sogno dei tecnocrati e dei burocrati si avvicina: trasformare quei tanto odiati nemici del progresso, dello sviluppo (anche quello sostenibile ed equo e solidale) non solo in terroristi, ma addirittura in ecoterroristi. Anche se dubitiamo che questo termine sia mai stato usato nei palazzi del potere, o tra gli oppositori dalle maniere democratiche, per definire gli assassini e gli inquinatori di Seveso, dell’Ilva, Porto Marghera, Priolo, per citarne solo alcuni, che hanno ricoperto l’ambiente di veleni e di morti che crescono in proporzione alla produzione e diffusione di nocività.   
Quindi il reato di “disastro ambientale” si allargherà, sarà un allargamento non solo materiale, ma sicuramente un allargamento simbolico, in questi tempi confusi e leggeri dove si cerca e si crea informazione sui social network. Lo spettro della minaccia viene allargato agli ecologisti e animalisti. Un passaggio di cui era prevedibile l’arrivo, come erano prevedibili tutti gli eco e green messi sopra a qualsiasi merce industriale e nociva. La liberazione animale viene considerata alla stregua di un “danno ambientale”. La disintegrazione del selvatico e la sua sostituzione con ciò che è artificiale e addomesticato è stata portata alle estreme conseguenze. La natura nella visione mercificata e antropocentrica del dominio è quella degli allevamenti intensivi, di visoni, dei mattatoi… che con la tradizione superano i limiti dell’esperienza e si fanno tessuto sociale. In questo contesto la questione animale si fa problema ambientale, svuotato di tutto il suo portato estremamente trasformativo delle relazioni non solo tra esseri umani e altri animali, ma con tutto il vivente continuamente sotto attacco in primis dalla tecno-scienza e dai manipolatori di geni.    
La liberazione di animali dai luoghi di sfruttamento è  una pratica che ha sempre caratterizzato una visione ben precisa di intendere la lotta: non a fianco o con le istituzioni, ma contro queste come prime strutture responsabili dell’attuale situazione. Non chiedere al potere non è un calcolo dettato dal fatto che questo non potrà mai far fronte allo sfruttamento diffuso e radicato. È piuttosto una visione che riconosce nel potere e quindi nel dominio, la causa prima di qualsiasi forma di sfruttamento.   
Queste nuove misure repressive, perché di fatto di questo si tratta considerato anche l’aggravamento di pena per chi aprirà le gabbie, porteranno a un importante cambiamento nella percezione generale nei confronti dei significati espressi fino adesso in ambito antispecista e non solo. C’è poi da chiedersi cosa comporteranno all’interno dei contesti di liberazione animale, se si sarà preparati a capirne le conseguenze e soprattutto a non disgregarsi quando queste si manifesteranno…   
 La costruzione di menzogne e la mistificazione del potere portati agli estremi trasformano chi libera nell’ecoterrorista, in colui/ei che attua il disastro verso ecosistemi e biodiversità… Il fatto che queste nuove legislazioni non trovano opposizione, o almeno analisi critiche, è da rintracciarsi nei tempi in cui viviamo. Del resto gli antispecisti ci informano che le ultime statistiche uscite dimostrano che è in aumento l’attenzione verso gli animali e quindi anche il benessere degli stessi. Sembra che gli  amici degli animali siano in aumento, pronti a diventare vegan, forse per una stagione…    
Tutto questo ha qualcosa a che vedere con la liberazione contro ogni forma di dominio, di cui lo sfruttamento animale è solo una parte? Sicuramente è una direzione altra di quelle che portano verso tante piccole e illusorie isole di cambiamento: dove ogni piccola concessione viene considerata una vittoria. Ma il reale problema è solo un pò spostato in un’illusione quantitativa che intende costruire spazi e momenti di libertà usando i materiali messi a diposizione del potere e il risultato non potrà che essere la continuazione di altre catene di sfruttamento.



Terzo numero del giornale ecologista radicale L'Urlo della Terra

In questo numero:

Una mappa per accedere al cervello
Gli alberi geneticamente modificati e la bioeconomia
Verso una stagione di consenso biotech?
Il selvatico recintato nel panino di Expo
Note a margine di un corteo ogm
Francois Kepes, razionalizzatore delle macchine viventi
Parole in  movimento: dialogo con Luana, attivista per la liberazione animale sottoprocesso a Brescia per la liberazione dei beagle da Green Hill
Dichiarazione al processo di Green Hill
Sabotaggio antinucleare: dopo dieci anni si ritorna a processo

Editoriale:

Questi mesi sono stati intensi di iniziative che ci hanno visto come collettivo resistenze al nanomondo e redazione dell’Urlo della Terra in numerosi posti e situazioni per discussioni su temi come l’ecologismo radicale, scienze convergenti, liberazione animale. I nostri incontri pubblici seguono la stessa modalità con cui viene fatto e distribuito questo giornale: non esistono aree precise o interlocutori privilegiati a cui facciamo riferimento. Certo, ci piacerebbe dire che questo è un giornale per “chiunque”, che si potrebbe distribuire ovunque, accendendo animi sopiti. Sappiamo bene che non è così. Sicuramente facciamo riferimento ad ambienti e contesti più sensibili dove perlomeno esiste già una qualche forma di attenzione o preoccupazione per quello che ci succede intorno, dentro di noi, agli altri animali e al pianeta, dove alcuni pensieri possono portare a dei dubbi, a momenti di rottura. Una rottura con questa normalità sempre più normalizzante che sempre più aliena e abitua ad uno sfruttamento che si fa di giorno in giorno più insidioso, portandoci a pensare di trovarci di fronte a un monolite a cui non ci si può opporre, se non con pratiche permeate da una mera parvenza di conflittualità.
Molti dei temi che trattiamo in questo giornale, come gli sviluppi tecnologici, l’ecologismo e l’abbattimento di una visione antropocentrica non rappresentano una novità. Negli ultimi anni si è visto crescere un’attenzione senza precedenti: nei media, nella così detta opinione pubblica e di conseguenza in ogni settore economico. Il grande critico della tecnica Jacques Ellul impiegava spesso una formula che, si è “ sempre rivelata esatta”: “ Quando in una società si parla esageratamente di un certo requisito umano è perchè questo non esiste più, se si parla esageratamente di libertà, è perchè la libertà è stata annullata”.
Questa attenzione da parte dello stato, dell’economia e di gran parte delle multinazionali è in continua crescita e si rafforza giorno dopo giorno. Questo processo non è qualcosa di separato dalla società, vengono create delle condizioni tecniche per cui questo mondo sia il più desiderabile possibile. Mai si è parlato tanto della difesa della natura come in questi tempi, non si smette di invocarla, di riferirsi ad essa e consacrarvi magniloquenti dibattiti e profondi discorsi. Tutto questo proprio in un periodo storico che vede una distruzione della natura così forte, un’avvelenamento così totale di acqua, terra e cielo, una disumanizzazione così globale che i nostri stessi corpi sono a rischio di monocoltura.
Di fatto, nostro malgrado, ci si trova ad affrontare questioni così vitali dentro ad un unico grande calderone dove imperversano associazioni ambientaliste, animaliste, organismi internazionali di protezione della natura, comitati etici... La cosa si fa ovviamente molto più complessa, soprattutto per chi vuole ancora riconoscere e dare forza ai pensieri e significato alle parole. Il processo che vede il potere accaparratore di istanze “verdi” e “antisistema” non è ineluttabile, è sempre possibile creare momenti di rottura che possano disgregarne alcune parti. Queste fermate non previste possono dare il tempo (nuovo) per allargare lo sguardo e scoprire le interconnessioni e le relazioni che legano le catene dello sfruttamento.
L’ineluttabilità del dominio sembra essere entrata profondamente in noi, tanto che spesso i progetti, le situazioni di critica e opposizione, si presentano come una mera sopravvivenza, quasi una testimonianza. Anche ambienti critici verso l’esistente a volte rimangono intrappolati nel recinto, sembra vi sia una segreta fiducia in questo sistema, si mantiene con esso un legame indissolubile che è frutto della insicurezza e della paura. Si pensa, o probabilmente si vuole pensare, che una qualche soluzione arriverà anche da questo stato di cose. In fondo non siamo sotto una dittatura fascista, non viviamo in una democrazia? Ci si abitua sempre di più a questa vicinanza, a questa coesistenza con il potere. I vari progetti e idee pagano poi il prezzo di questa visione: restano, nella migliore delle ipotesi, parziali,  o nella peggiore servono al consolidamento del potere stesso in Green, equo-solidale, animalista... Anche in ambienti critici si sente parlare positivamente delle possibilità della società tecnica. Con le nanotecnologie, si può anche far progredire la medicina e ultimamente, come ricordano a Expo, con i nanoalimenti si potrà nutrire il pianeta. Sembra di sentire i vecchi discorsi su un uso civile del nucleare e quelli sugli ogm. Ancora una volta quello che si presenta di fronte è una riscrittura della realtà su un copione già noto, cambiano solo i materiali con cui è costruito, anche la manipolazione ritorna sempre, con innovazioni sempre più ricombinabili e inafferrabili nella loro essenza e dimensione.
In pochi, di questi tempi, pensano di impossessarsi degli sviluppi tecnologici per un uso “altro”. In tantissimi però, apparentemente pieni di buon senso, danno il loro contributo ad alleviare le fatiche dello schiavo, ormai abbandonata qualsiasi idea di liberarsi dalla schiavitù. Lo sviluppo tecnoscientifico è questo che porta: non solo nocività che ormai sono ampie quanto il mondo, ma un’obbedienza su base volontaria, un’accettazione senza condizioni, perchè è questo l’unico mondo possibile. Un mondo dove è anche prevista la contestazione, dove ci si può indignare e creare masse anonime di indignati in comunicazione via social network.    
Anche molte situazioni di base, autogestite, informali, sono colpite da questi pericoli: il vuoto del non-senso in molti casi ha preso il sopravvento, ed ecco a sostenere pratiche di lotta o idee di cambiamento che sono meno radicali di quelle espresse dagli eco-guerrieri della Green Economy. Questi promettono di sovvertire il mondo per come l’abbiamo conosciuto fino adesso. Sappiamo che non stanno scherzando, ma che lo stanno pianificando passo dopo passo, con strumenti che neanche si riescono a cogliere e immaginarne la portata, e quando occorre c’è sempre la guerra, quella incomprensibile da lontano e terrificante da vicino.
Quando non è la fiducia al sistema a prevalere si vedono nascere progetti e si sentono idee di alternative avverse a questa realtà. Ad una economia ecocida si risponde con una conviviale e di condivisione. Spesso questi progetti, che partono da una riscoperta della natura e da un’altra convivenza con essa, sono dettati dalle migliori intenzioni. Ma si può pensare di cambiare qualcosa di questo esistente costruendo qualcosa al suo interno? Con i suoi materiali, le sue leggi, i suoi veleni e le sue imposizioni? Dal momento che si dice di coltivare biologico non si è forse già accettato una delle regole chiave della Green Economy, facendo propria la sua propaganda, dove quello che è naturale è già stato sostituito da qualcos’altro, un qualcosa di migliore, che sa di migliorato, in sintonia con la tecno-industria e i suoi supermercati del futuro?
È sicuramente importante, anzi fondamentale, pensare già da subito un mondo diverso e sarebbe importante che questo fosse già rappresentato nei nostri mezzi, nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. Ma questo non potrà mai realizzarsi senza sbarazzarsi di quello presente. Il fine non dovrebbe essere solo il chiudere un laboratorio, proteggere una foresta o una valle, dovremmo sempre avere lo sguardo verso la distruzione di questo sistema di morte. Come arriviamo a questo sogno lontano fa la differenza, si possono creare già da subito momenti concreti di libertà in cui il nostro agire, non mediato da calcoli da politicante o dal linguaggio virtuale della macchina, porta a una concreta rottura. Questa ben presto verrà ripristinata, ma saremo sempre lì a creare la prossima.
Dedichiamo questo numero del giornale a Elia Vatteroni, Baffardello anarchico,
che ci ha lasciato in questi giorni di fine estate...


QUARTO NUMERO DEL GIORNALE ECOLOGISTA RADICALE L'URLO DELLA TERRA

In questo numero:

Ricominciando dalla Natura
Lotta contro la tecnologia: alcune riflessioni
Tra-pianti di chi riceve e pianti di dona o vende
Attraversamenti postumani antispecisti
Xylella fastidiosa Stato insopportabile – Cronistoria di un'emergenza inventata e riflessioni in merito
Salti nella notte...
Una lettera alla ristorazione per Expo 2015? Analisi di un'azione controproducente
Solidarietà e complicità, sulle nocività e la necessità di opporsi – Note intorno al tentativo di attacco all'IBM in Svizzera di Silvia Billy Costa e al processo in Italia

EDITORIALE:

Cosa significa ricominciare dalla natura? Forse è stata abbandonata?
Sicuramente ce ne stiamo disinteressando proprio quando meriterebbe come non mai tutta la nostra attenzione, tutto il nostro impegno ed energie.
Sentire quotidianamente quell'urgenza verde, quel pericolo ambientale, quell'ennesima catastrofe ecologica in vista, l'ennesima specie rara e "fotogenica" che si estingue... strillato su ogni media è arrivato a saturare anche il nostro sentire empatico verso quella che sempre meno è intorno a noi o sotto i nostri piedi: la Terra. La descrizione quotidiana su quello che è l'ecocidio in atto si perde tra la valanga di fatti altrettanto gravi come la guerra; in questo groviglio inestricabile di cause ed effetti, ci si rassegna a non poter nè pensare al futuro, nè decifrare il presente, tanto che alcuni contesti ormai incapaci a guardare all'esterno arrivano anche ad appoggiare teorie misantrope ed estinzioniste del genere umano.
Quando si parla di ecologismo e ambiente il discorso è sempre diretto a quello che è il beneficio per l'essere umano e per le sue specie addomesticate. La separazione si fa sempre più radicale, si pensa che il lato selvatico sia ormai qualcosa di lontano da noi, semplicemente perchè non lo vediamo più e neanche lo sentiamo più. I cibi vegani industriali ricordano più l'agribusiness che la natura.
In un contesto dove la natura è degradata, l'intera società, che non può fare a meno della natura, ne risente e subisce le profonde conseguenze della sua degradazione. Queste si presentano sempre con tanti nomi e cause diverse, ma mai viene affrontata la vera radice del problema.
La crisi ecologica suggerisce l'indispensabilità della natura e l'impossibilità di sostituirne i processi che sostengono la vita. La risposta riduzionista alle "ecocrisi" estende la logica del farne a meno: presuppone che la base che sostiene la vita possa essere fabbricata nei laboratori e nelle industrie. Di fatto, in questa risposta alle crisi ecologiche, i confini tra laboratorio e fabbrica, tra scienza e profitto sfumano.
Si può così comprendere facilmente perchè l'artificialismo è diventato ora l'ideologia più in voga del dominio, che nega la necessità della natura e perfino la sua esistenza; questo perchè vuole diventare quello che ha sempre voluto essere: una totalità da cui gli uomini non possono più nemmeno pensare di uscire, un mondo senza fuori.
Il dominio distruggendo la natura fuori e dentro di noi vuole porsi come unica realtà: riporta al mondo naturale con ogni possibile immagine e discorso, ma di fatto è già un'altra cosa.
Da sempre il potere ha avuto il terrore  dell'esistenza di qualcosa di diverso da sé, dove potesse sorgere la sua stessa critica o addirittura la sua negazione. È evidente quindi questa impazienza di annunciare l'abolizione della natura per far posto a qualcosa di completamente altro, che passa dalle modificazioni di geni e di atomi. Decretando la soppressione del mondo a lui esterno, della natura, il dominio si libera dalla necessità di occuparsi delle proprie contraddizioni: il mondo non è che un pretesto per perfezionare la propria onnipotenza. Abolite le contraddizioni che potevano indurlo a riflettere su sé stesso, l'erosione dei suoli, la perdita della biodiversità, il cambiamento climatico, l'aumento impressionante dei tumori, gli segnalano un evidente errore di metodo, invece di tener conto di questi avvertimenti e modificare il proprio corso, esso cerca con ogni mezzo di distruggere o recuperare l'avvertimento che viene a contraddirlo: si inventa nuovi pesticidi ancora più micidiali, restringe il campo del selvatico mostrando la monocoltura come modello, crea piante che resistono alla siccità "fuori suolo" e terapie miracolose per rallentare l'avanzata delle metastasi.
Sono ben lontani i tempi in cui la catastrofe nucleare era ancora forte nel sentire delle persone e lo stesso sistema non aveva molti argomenti rassicuranti in merito, visto che Hiroshima e Nagasaki  erano ancora troppo fresche. Oggi invece la crisi ecologica, lungi da essere un segnale d'allarme costituisce al contrario un'ottima occasione di realizzare, sotto l'incalzare degli eventi, il progetto del dominio di sostituzione definitiva del vecchio mondo della natura con un universo interamente artificiale; l'occasione finalmente di spazzare via tutte le reticenze, tutti i dubbi e le obiezioni che gli opponeva ancora quel vecchio mondo fatto di natura intelligibile.
L'utopia di una "seconda natura" più efficace della prima, di una tecnosfera perfettamente sicura e purificata dalle insidie e oscurità, dai casi e rischi della vita naturale, non manterrà certamente nessuna delle sue promesse. Il surrogato di una vita sotto perfusione tecnica, costantemente invocato come ideale, si realizza nei fatti come instabilità permanente. Per chi gestisce e governa la potenza di questo tecno-mondo, ciò non rappresenta un problema, nulla importa se l'eredità e lo strascico di questo ottimismo siano fallimenti a ripetizione, crolli improvvisi, rovine, degradazioni, devastazioni grandi come il mondo.
Più questa natura viene schiacciata e distrutta, più questa ritorna ancora con più forza e imprevedibilità ricordando che il mondo non si è formato sotto bombardamenti genetici o piastre di grafene.
Ma questa natura cos'è? È quel che non è creato dall'uomo, quel mondo meraviglioso e temibile allo stesso tempo, che non sarà mai controllabile: è fuori e dentro di noi allo stesso tempo. Con la distruzione della natura corrisponde anche la nostra stessa distruzione, così come un oncotopo ha parenti solo dentro un laboratorio di ricerca.

Sab, 30/04/2016 – 17:00
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