MIGUEL - vi invitiamo a telefonare al CIE di PONTE GALERIA per protestare

Circa una settimana fa Miguel dopo aver ingerito per protesta alle condizioni di prigionia dentro al CIE di ponte Galeria della candeggina e due pile è stato ricoverato in un ospedale di Ostia. E' stato sottoposto a numerose lastre dalla quali risultava la presenza di questi corpi estranei; dopo alcuni i giorni soltanto una delle pile risultava essere fuoriuscita, ciononostante Miguel è stato dimesso e ricondotto nel CIE. Oggi Miguel lamenta malori ma è rinchiuso nel centro e gli vengono negate le cure di cui avrebbe bisogno....

Vi invitiamo a telefonare al CIE di PONTE GALERIA per protestare : Tel. 0665854215 - 0665854228

Questa è la storia di Miguel.....

«Probabilmente io mi sono illuso tanto con l’ideale dell’Unione europea. Si dice che l’Unione europea al centro di sé ha l’Uomo, che la dignità dell’Uomo sia inviolabile, che i suoi diritti siano inalienabili: questa veramente mi sembra una utopia. Mi crea una tristezza, mi crea una grande tristezza… che menzogna, veramente! Purtroppo io mi metto a piangere. A volte dico: non è difficile diventare un sovversivo, assolutamente non è difficile diventare un sovversivo di fronte a tanta ingiustizia. Ma sa che le dico? Io mi batterò non con il fucile né con il passamontagna, bensì con la forza della parola e la ragione collettiva. È questo il mio appello a voi, veramente.»

Queste parole ci giungono dalle gabbie di Ponte Galeria e chiudono un racconto esemplare. Miguel è nato in un paese dell’America Latina. Vent’anni fa emigra in Italia e a Roma trova lavoro come domestico nelle ville dei ricchi. Per sei anni è di casa da Anna Fendi, poi ancora due anni nella villa di un pezzo grosso dei Carabinieri. «Guarda, quella villa che sta di là è la casa del Presidente Leone» - gli dice un giorno qualcuno, indicando giusto oltre il cancello.  Domestico dei ricchi, legge, studia e si informa: è nel continente dei diritti e delle libertà e il suo sogno sarebbe fare il sociologo. Ma i sogni sono sogni, e la realtà è una sola: lui è un proletario come ce ne sono tanti, ed è pure straniero. Non può fare altro che passare da un padrone all’altro senza uno straccio di contratto e senza contributi. Sfruttato e senza permesso di soggiorno: un illegale che si aggira tra i piani alti della borghesia capitolina.

Ora è arrivato il tempo «della pulizia etnica», e l’Italia si è «spogliata della sua onestà per vestirsi di potere». Un giorno la polizia lo prende e lo porta al Centro. Prima due mesi, poi gliene promette altri quattro. Lui ingoia due pile, sperando che qualcuno si accorga di lui, della sua storia, delle sue aspirazioni spezzate, della sua fiducia residua nell’Europa e nell’Occidente. Sta dodici giorni all’ospedale e nessuno va a trovarlo, neanche il suo avvocato. È messo in isolamento, guardato a vista da due carabinieri che la notte fanno casino e non lo fanno neanche dormire: lui reclama, chiede di essere trattato come un paziente qualsiasi, come uno che ha dei diritti ma loro rispondono «tu non hai niente, sei un pezzo di merda e devi stare zitto». Ieri i finanzieri di guardia hanno insistito molto perché fosse dimesso e il dottore alla fine ha obbedito, anche se Miguel non è ancora fuori pericolo. Ora è di nuovo al Centro, con una pila bloccata nella pancia e senza più illusioni sull’Europa, sui diritti e sulla democrazia. Cerca ancora qualcuno che lo ascolti, e si domanda quale sia la sua strada per cominciare a lottare.

Ven, 11/09/2009 – 16:38
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