Nucleare: il punto della situazione

Trasferimento del materiale radioattivo verso la Francia

Per comprendere i motivi che stanno alla base dei trasferimenti di combustibile nucleare irraggiato verso il sito di La Hague in Francia che, per quanto oggi è dato sapere, sono stati completati, è necessario andare indietro nel tempo. Questi trasporti hanno origine in provincia di Vercelli, dove c’è uno dei più importanti depositi di combustibile nucleare italiani, tanto che fino a poco tempo fa ospitava più dell’80 % di tutte le scorie radioattive del paese.
Al comprensorio nucleare di Saluggia si accede dalla strada provinciale (S.P. 37) che collega questo piccolo centro con l’abitato di Crescentino. In realtà l’accesso è interdetto fin da subito, dal punto in cui scorre la strada provinciale, per cui non è possibile avvicinarsi ai confini reali del Comprensorio.
Da lontano questo sito è insignificante; tuttavia, se si avesse la possibilità di avvicinarsi a quest’area e di muoversi al suo interno si potrebbe capire che il Comprensorio è costituito da tre nuclei diversi. Il primo grande edificio che s’incontra è quello della Sorin Biomedica S.p.A., una multinazionale che opera nel campo della medicina nucleare che produce farmaci e traccianti nucleari, nonché valvole e altre attrezzature medicali. Non è quindi collegata direttamente alla generazione di energia nucleare e neppure ha a che fare con la gestione delle scorie radioattive derivanti dalla produzione di energia elettrica; tuttavia, producendo materiali che impiegano sostanze radioattive, sono presenti in loco rifiuti capaci di emettere radiazioni ionizzanti.
Poco più avanti rispetto allo stabile della Sorin Biomedica, si incontra l’inconfondibile forma prismatica del deposito Amedeo Avogadro della Fiat Avio, (rivestito da un involucro metallico) dove, inizialmente, era ubicato un reattore nucleare di ricerca RSI di tipo a piscina, utilizzato per scopi sperimentali e mai connesso alla rete elettrica, il cui funzionamento è cessato nel 1971 diventando, a seguito di modifiche strutturali della piscina, un deposito destinato all’immagazzinamento degli elementi di combustibile nucleare irraggiato.
All’edificio sono annessi dei fabbricati nei quali sono collocati gli impianti ausiliari di raffreddamento e purificazione dell’acqua della piscina, di ventilazione e condizionamento dell’aria, di raccolta-smaltimento dei rifiuti radioattivi. Al suo interno erano custodite 164 barre radioattive, 101 provenienti dalla Centrale nucleare di Trino, sempre in Provincia di Vercelli, tra cui 52 elementi cruciformi trasferiti nel periodo maggio-luglio 2007 dall’impianto Eurex.

Ingresso della centrale nucleare di Trino Vercellese

Ingresso della centrale nucleare di Trino Vercellese

Tutte le aree sono divise al proprio interno da reti e reticolati con una moltitudine di telecamere dislocate ovunque al fine di monitorare l’intero territorio. Dopo aver incontrato i primi due siti, si dovrebbe compiere un breve percorso per poi arrivare in riva alla Dora Baltea, dove si trova il terzo complesso nucleare, quello gestito dalla Sogin S.p.A.
In questo luogo, dove ha sede l’impianto Eurex, si conservano tutt’oggi (e sono al momento inamovibili) i rifiuti radioattivi liquidi. Alcune fonti stimano questi rifiuti in 2300 m³, a cui si sommano cinque chili di plutonio. In realtà pare che il plutonio, in tutto o in parte, sia stato trasferito negli Stati Uniti. La realtà non è dato sapere.
Oggi in quest’area è in via di costruzione il cosiddetto Deposito D2, ovvero il fabbricato destinato ad ospitare queste scorie più quelle derivanti dallo smantellamento dell’impianto. Sogin ha dichiarato che il Deposito D2 è finalizzato alla custodia temporanea di questi rifiuti mentre, stante la reale situazione italiana dove non si è riusciti, fino ad ora, ad individuare un luogo idoneo per lo stoccaggio delle scorie radioattive, è assolutamente lecito ritenere condivisibile l’opinione di tutti gli esperti che affermano che alla fine questo deposito, che il governo si ostina a definire nelle previsioni “temporaneo”, sarà in realtà quello definitivo. Sogin, tuttavia, ancora recentemente ha dichiarato che questo non accadrà, nonostante stia spendendo milioni di Euro, prelevandoli dalle tasche dei cittadini, per la sua costruzione.
Tra l’altro, è su questo terreno che si sta pensando di realizzare il cosiddetto impianto Cemex che dovrà dare avvio alla cementificazione dei rifiuti liquidi impiegando un mix di calcestruzzi capaci di assorbire parte della radioattività. Infatti, solo dopo tale passaggio sarebbe possibile spostare questa tipologia di rifiuti in altri centri di stoccaggio. Su questo punto la Regione Piemonte, con Delibera del gennaio 2013, ha espresso parere favorevole alla costruzione dell’impianto con annesso deposito di stoccaggio. Ad aprile 2013 anche il Governo ha pubblicato il Decreto che autorizza la realizzazione dell’impianto Cemex e la costruzione del nuovo Deposito D3.
Ed è sempre qui che da una delle due vasche a cielo aperto presenti, la WP719, a causa delle fessurazioni, il liquido radioattivo ivi contenuto (tra cui cesio 137 e americio 241), è fuoriuscito ed ha contaminato il terreno circostante; oltremodo, ad aumentare il rischio di sversamento incontrollato nelle falde, probabilmente, ha contribuito in modo determinante la frenetica attività lavorativa connessa alla costruzione del deposito D2, per il quale il termine lavori è previsto alla fine del 2015-inizio 2016. Per diversi periodi sono stati centinaia i mezzi pesanti trasportanti cemento che sono transitati a ridosso delle vasche WP718 e WP719 ed è evidente che i rischi di lesionare le vasche, ancora una volta, non sono neppure stati considerati da Sogin.
Queste vasche esistono da 50 anni e solo poco tempo fa Sogin e Ispra sono giunte alla conclusione che, “forse”, sarà meglio realizzare una loro copertura a protezione dall’acqua piovana e dagli animali, in particolare dagli uccelli.

Effetti della radioattività sugli animali umani/non umani

Le radiazioni ionizzanti sono quelle dotate di sufficiente energia da poter modificare (ionizzare) gli atomi o le molecole con cui vengono a contatto ed il trasferimento di energia che ne deriva a sua volta muta la struttura chimica delle cellule del nostro corpo. In taluni casi, nel nostro organismo vengono a riprodursi delle molecole, cioè più atomi legati tra loro, che hanno completamente perso la memoria della loro funzione originaria e, di conseguenza, si ha la trasformazione delle cellule sane in cancerose.
In altri casi, il danno può anche essere dovuto al fatto che la catena del DNA colpita dal “proiettile”, costituito dalla radiazione ionizzante, si spezzi. In questo caso il danno subito, soprattutto se riguarda i due filamenti, nella maggior parte dei casi non è più in alcun modo riparabile.
Le radiazioni possono colpire il corpo dall’esterno o dall’interno; in questo caso si parla di dosi da irradiazione esterna o interna.
L’irradiazione esterna può essere paragonata all’irraggiamento a scopi diagnostici con raggi X; il corpo è irradiato ma non emette nessuna radiazione.
Un’irradiazione interna, invece, avviene quando s’incorporano sostanze radioattive presenti nell’aria o nel cibo tramite la respirazione o attraverso l’alimentazione.
Tali sostanze possono essere assorbite dal corpo e rimanervi fino a disintegrarsi (irradiando quindi le cellule), oppure essere espulse per via metabolica prima che la loro disintegrazione sia compiuta.
Vale la pena, a questo punto, fare un richiamo più generalizzato evidenziando che tutta la materia, acqua, aria, terra, piante, esseri viventi, è costituita da minuscole particelle chiamate atomi.
L’atomo è infinitamente piccolo, tanto che il suo nucleo centrale è pari ad un milione di miliardi di volte più piccolo di un metro.
Intorno al nucleo, che ha una carica elettrica positiva, ruotano gli elettroni che hanno una carica elettrica negativa.
Il nucleo dell’atomo a sua volta è costituito da protoni (carica positiva) e da neutroni che sono neutri, ovvero non hanno alcuna carica elettrica.
La struttura dell’atomo è la stessa per tutti gli elementi chimici che conosciamo; ciò che è differente è il numero di protoni, di elettroni e di neutroni.
Il numero totale di protoni nel nucleo determina di quale elemento chimico si tratta.
Lo stesso elemento chimico, però, può avere caratteristiche diverse in funzione del diverso numero di neutroni presenti nel nucleo.
In questo caso si parla di isotopi dello stesso elemento.
Gli isotopi di taluni elementi chimici sono instabili a causa di un eccesso di protoni e/o neutroni; questo fa sì che ci sia un rilascio di particelle perché l’elemento tenta di raggiungere la propria stabilità.
Proprio il rilascio di queste particelle è definito radioattività o decadimento radioattivo. È questo il momento in cui un atomo radioattivo si trasforma in un altro elemento, che può anch’esso essere radioattivo.
Esistono tre tipi di radiazioni: alfa, beta, gamma.
La radiazione alfa si realizza quando un atomo emette una particella composta da due protoni e due neutroni. Nel mondo dell’infinitamente piccolo questa particella e molto pesante e non può percorrere più di 7 o 8 centimetri; la sua forza di penetrazione e assai debole per cui può essere fermata da un semplice foglio di carta o dagli strati superficiali della pelle.
La radiazione beta si realizza quando un atomo espelle un elettrone e un antineutrino (altra particella che è parte del mondo subatomico). La radiazione beta è più penetrante di quella alfa; può percorrere distanze di 5-7 metri e si può fermare utilizzando un foglio di alluminio; se colpisce un uomo si ferma nei primi strati dell’epidermide.
La radiazione gamma è l’emissione di un fotone, vale a dire di energia pura. L’atomo instabile ricerca il proprio equilibrio liberandosi di un surplus di energia che è molto penetrante; viaggia alla velocità della luce percorrendo molti chilometri e per bloccarla occorrono materiali ad alta densità come il piombo.
I raggi gamma sono spesso prodotti insieme ad altre forme di radiazioni come quelle alfa e beta.

Funzione strategica del comprensorio nucleare di Saluggia

Deposito Avogadro di Saluggia

Deposito Avogadro di Saluggia

Per meglio chiarire la storia del comprensorio nucleare di Saluggia occorre partire da lontano, in quegli anni in cui l’Italia si apprestava a divenire un centro primario di produzione nucleare civile e militare.
Il Piemonte fu l’area scelta del Governo di allora per la produzione del combustibile nucleare che sarebbe servito al Paese. Infatti, il centro di produzione doveva essere un piccolo abitato molto vicino alla città di Alessandria, Bosco Marengo, dove una società, la FN Nucleare, era deputata alla produzione del combustibile che sarebbe stato quindi avviato nelle centrali e utilizzato per la produzione di energia elettrica; una volta esaurito doveva poi rientrare a Saluggia dove, nel deposito sito in riva alla Dora Baltea, ovvero l’area oggi controllata da Sogin, sarebbe stato sottoposto al “riprocessamento”, tecnica questa utilizzata in taluni Stati per il trattamento del combustibile nucleare irraggiato alla fine del suo ciclo di vita all’interno dei reattori.
In effetti nel sito Eurex il riprocessamento ha funzionato per circa 15 anni e questa tecnica è oggi quella impiegata presso il sito nucleare francese di La Hague dove, via ferrovia, è stato trasferito il combustibile presente a Saluggia.

Trino Vercellese

Veduta della Centrale di Trino Vercellese

Veduta della Centrale di Trino Vercellese

A meno di 30 km da Saluggia c’è la Centrale Nucleare di Trino Vercellese che ha funzionato dal 1964 al 1987. Grandi attese per il suo smantellamento completo (fine 2024), salvo aver recentemente appreso dalla Sogin la brutta sorpresa, che sul sito rimarranno due depositi, anch’essi definiti “temporanei, i quali ospiteranno le previste 2.000 tonnellate di rifiuti radioattivi.
Tra l’altro, questa Centrale ha fatto registrare imponenti rilasci di trizio nell’atmosfera: 3 miliardi e 200 milioni di becquerel (Bq) nel 2009 e, addirittura, 5 miliardi di becquerel nel 2010, pari a 5 Gigabecquerel.
Il becquerel è l’unità di misura della radioattività ed ha dei multipli (il Kilo-becquerel, il Mega, il Giga ed il Terabecquerel).
Per dare l’idea delle proporzioni, si pensi che un uomo ha una radioattività naturale di circa 8.000 Bq.
Il trizio è stato certamente prodotto all’interno del reattore nucleare durante il suo ciclo di funzionamento ed è una sostanza radioattiva beta che bombarda le cellule causando danni al DNA in caso di inalazione o ingestione.

Bosco Marengo

A Bosco Marengo, a pochi chilometri da Alessandria, la Società FN- Fabbricazioni nucleari ha prodotto combustibile nucleare dal 1973 al 1995. Le scorie nucleari presenti in loco, anche qui si ricorre all’eufemismo di “deposito “temporaneo”, secondo alcune fonti, sarebbero 80 tonnellate in 550 fusti di ossido di uranio.
Negli anni in cui in Italia si impiegava energia nucleare per produrre elettricità, in realtà si pensava anche alla produzione di energia nucleare per scopi militari. A San Piero a Gherardo fu realizzato un Centro il cui fine era quello di compiere studi e ricerche sulle armi nucleari e di giungere alla realizzazione di motori navali a propulsione nucleare per alcuni navi in uso alla Marina Militare. Già pochi anni dopo la promulgazione della Costituzione in cui l’Italia dichiarava di ripudiare la guerra, in realtà ci si stava preparando per addivenire potenza militare, dimostrandosi come uno dei paesi occidentali che da subito aveva compreso che il connubio energia nucleare civile e militare era inscindibile, tanto che nel poligono militare di Quirra, in provincia di Nuoro, si eseguono test con un razzo vettore che, nelle intenzioni era destinato ad essere armato con testate nucleari.
L’Italia oggi ha un’enorme quantità di scorie radioattive e di combustibile nucleare irraggiato da stoccare e, nella realtà, non si può certo dire che nel nostro paese l’energia nucleare abbia subito una vera interruzione per quanto riguarda l’uso militare. Vero è che, ancora oggi, nel nostro paese le testate nucleari, seppur prodotte in altri luoghi, sono presenti e pronte all’uso in un numero impressionante. E’ ragionevole ritenere che siano presenti circa 70 testate nucleari nei siti militari di Ghedi in Lombardia e Aviano nel Veneto. Queste testate nucleari sono del tipo B61, ovvero bombe che possono essere trasportate dagli aerei Tornado e che saranno aggiornate entro il 2020 per essere adattate anche ai caccia F35, aerei con caratteristiche stealth (invisibili) costruiti a Cameri e che saranno anche acquistati dal Governo italiano.
Una complicità quindi non soltanto con i paesi Nato, bensì con una responsabilità diretta nella costruzione e nella progettazione da parte di aziende come Fiat Avio e Alenia che, tra l’altro, hanno anche contribuito alla realizzazione di un altro aereo da guerra micidiale per le sue caratteristiche di armamento come il Typhoon Eurofighter.

Sogin e Areva

Non potendo più l’Italia riprocessare le proprie scorie nucleari, nel 2006 l’allora ministro Bersani firmò un accordo bilaterale Italia-Francia che prevedeva l’invio presso il sito di La Hague, entro il 2015, di 235 tonnellate di rifiuti di combustibile nucleare irraggiato. Dopo il trattamento in terra francese, è previsto dall’Accordo che le scorie debbano rientrare in Italia tra il 2020 ed il 2025, tanto che un calendario di rientro provvisorio dovrà essere siglato dai due Paesi entro il 2015, mentre quello definitivo dovrà essere predisposto entro il 2018. Il Contratto siglato allora tra i due Paesi contemplava, ma quasi impossibile conoscere i costi reali di oggi, una spesa di oltre 250 milioni di Euro escluse tutte le spese di trasporto, accessorie e di sicurezza.
L’accordo sancisce che l’uranio ed il plutonio ricavati dal trattamento rimangano nella disponibilità di Sogin che, in accordo con Areva (multinazionale che opera nel campo nucleare, il cui oltre 90% del pacchetto azionario è detenuto dal Governo francese), determinerà quale sia il loro possibile riutilizzo parziale o totale. L’accordo prevede anche che nell’ambito di questa decisione possa essere compreso un “terzo soggetto” che ragionevolmente seppur non esplicitato, può essere il colosso francese EDF in quanto maggiore azienda produttrice e distributrice di elettricità.
Non solo, ma l’accordo stabilisce pure che, se la parte francese non individua una prospettiva di utilizzo, entro il 2021 del materiale trattato, questo sarà rimesso nella disponibilità di Sogin per il rientro in Italia entro il 2025.
Può quindi verificarsi che una volta separati plutonio e uranio, se questi nella loro totalità o anche in forma parziale fossero ritenuti da parte francese non utili, torneranno anch’essi in Italia unitamente alle altre scorie riprocessate.
Ora, appena terminato il trasferimento del combustibile a Le Hague, italiani e francesi già stanno discutendo il piano di rientro in Italia del combustibile ritrattato poiché l’accordo prevede già nel 2015/2016 la programmazione dei rientri.
Tornerà quindi in Italia ciò che è stato trasferito, con costi nuovamente stratosferici, con la sola differenza i contenitori di ritorno avranno dimensioni minori lasciando del tutto immutata la pericolosità. E, cosa assai probabile, l’Italia potrà nuovamente disporre di considerevoli quantità di plutonio e uranio arricchito.

Riprocessamento

Il combustibile nucleare è generalmente formato da piccole pastiglie di ossido di uranio arricchito, impilate a formare cilindri (barre) lunghi circa 4 metri e con un diametro di circa un centimetro. Le barre sono avvolte in guaine metalliche (in acciaio o in lega di zirconio) che permettono il passaggio di calore.
Durante le operazioni di riprocessamento le barre vengono tagliate ed il combustibile è disciolto in un ambiente acido. I liquidi radioattivi sono quindi sottoposti a un forte riscaldamento, detto processo di calcificazione.
La polvere prodotta è successivamente immobilizzata in una matrice vetrosa ed il vetro è poi inserito in contenitori di acciaio della capacità di 400 kg. Da questo procedimento si estraggono dell’uranio 235 e del plutonio 239.
Il plutonio qui prodotto, che si va a sommare alle ingenti quantità già nelle disponibilità italiane, ha essenzialmente due funzioni: una è quella di costituire nuovamente un componente per la produzione di energia nucleare, l’altra, quella principe e più utilizzata, è quella di essere il componente per eccellenza delle testate atomiche per uso bellico.
Vero che le tecniche utilizzate per la produzione di plutonio ad uso militare sono diverse da quelle impiegate per uso civile, ma è altrettanto vero che non si escludono a vicenda e, in ogni caso, il riprocessamento a sua volta genera ulteriore inquinamento radioattivo.
Gli Stati Uniti, che sono uno dei maggiori produttori di combustibile nucleare irraggiato già da molti anni, e più precisamente dalla presidenza Carter, hanno abbandonato la tecnica del riprocessamento dei rifiuti nucleari, ritenendola non solo anti economica, ma anche assai pericolosa e fondamentalmente inutile. Infatti, le scorie radioattive ritrattate non perdono la loro pericolosità, poiché continuano ad emettere radiazioni ionizzanti, ma consentono solo il recupero dei due elementi sopra citati ovvero l’uranio e plutonio, mantenendo intatte le proprie caratteristiche di pericolosità nonostante il fatto che siano state poi vetrificate e chiuse in contenitori di acciaio.
Gli Stati Uniti e altri Governi utilizzano oggi il cosiddetto stoccaggio a secco, che consiste nell’introdurre le scorie all’interno di strutture cilindriche di acciaio, senz’aria, che sono in grado di ospitare alcune decine di barre. La particolare struttura del cilindro ha anche il compito di dissipare il calore che continuamente viene prodotto. Questi contenitori, dovranno essere poi inviati per lo stoccaggio definitivo ai siti nucleari che, a tutt’oggi, non sono ancora stati individuati. Ciò significa che sul pianeta si continuano a produrre rifiuti nucleari senza poi avere una soluzione tecnica e scientifica idonea alla loro conservazione in sicurezza; anche i media diffondono informazioni non corrette per non mettere in evidenza che queste scorie rimangono assolutamente pericolose per centinaia e, in taluni casi, per migliaia di anni in condizioni inimmaginabili.

Prefetture e piani di emergenza

Per quanto riguarda il trasporto del combustibile nucleare in partenza da Saluggia le Prefetture – che per Legge sono l’organo competente in materia nucleare – i cui territori erano interessati dal transito, avevano predisposto dei piani di emergenza che prendevano in considerazione alcune ipotesi incidentali durante il trasporto.
Questi piani di emergenza, che hanno avuto pochissima evidenza pubblica, prevedevano che le popolazioni a ridosso delle linee ferroviarie utilizzate per il transito, in caso di incidente avessero dato seguito ad una serie di attività volte a preservare la propria salute.

Centro Sogin di Saluggia

Centro Sogin di Saluggia

I piani di emergenza, che per essere utili e realmente efficaci dovrebbero essere posti a conoscenza di tutta la popolazione interessata in modo assai capillare e controllato, in realtà sono pubblicati in via pressoché esclusiva sul web e distribuiti solo agli organi tecnici ed ai Sindaci. Una siffatta gestione della pianificazione di emergenza è ridicola ed assolutamente inutile. I trasporti sono avvenuti di notte e senza alcuna comunicazione preventiva alla popolazione. I Piani prevedevano che in caso di incidente durante un trasporto con rilascio radiologico, si attivassero una serie di azioni tempestive da parte delle Istituzioni, forze dell’ordine o amministrazioni locali, che dovevano avere il fine di informare la popolazione interessata dall’evento circa le azioni di protezione da intraprendersi.
Nella realtà dei fatti i soggetti deputati a queste azioni non erano assolutamente in grado di attivarsi e queste azioni non avrebbero potuto trovare alcuna concretezza poiché la popolazione non avrebbe assolutamente saputo cosa fare e, verosimilmente, avrebbero avuto il sicuro sopravvento la paura, il panico, la confusione. Peraltro, nei piani di emergenza non c’era cenno alcuno alle categorie più deboli che si sarebbero trovate a dover fronteggiare questo tipo di emergenza, così come non era prevista nessuna azione di supporto per queste persone; non sarebbe dovuto sfuggire infatti, ai principi di una pianificazione seria, la considerazione per gli anziani, per eventuali malati non trasportabili, per persone disabili, per i bambini, (le cd categorie a rischio) e per tutti coloro che non sarebbero stati neppure in grado di recepire eventuali indicazioni date.
Rimane una considerazione iniziale che sovrasta tutte le altre: come può essere dato un allarme per incidente radiologico agli abitanti che vivono nei pressi della ferrovia, in piena notte, quando queste persone fino a quel momento non sanno di essere esposte a un rischio così grave? Come ragionevolmente non pensare che a fronte di un evento di questo genere l’unico risultato raggiungibile, dalle cosiddette autorità, sarebbe stato il panico generalizzato?
Il Piano presentava poi alcune lacune di palese assurdità, anche se in taluni passaggi chi lo aveva scritto lo definiva addirittura “sovrastimato”.
Una di queste lacune era palese, giacché prendeva in considerazione un incidente ferroviario con conseguente sviluppo di un incendio della durata di 30 minuti ad una temperatura massima di 800 gradi.

Incidenti in gallerie di confine

Per comprendere quanto questa considerazione sia stata sottostimata rispetto ad un incidente reale è sufficiente ripercorre con la memoria due gravissimi incidenti stradali che hanno avuto luogo in gallerie di confine.
Il 24 ottobre 2011 all’interno del Tunnel del San Gottardo un incidente fra due mezzi pesanti causò un incendio la cui temperatura raggiunse i 1200 gradi; per spegnere l’incendio occorsero 48 ore.
Il 24 marzo 1999 nel Traforo del Monte Bianco un mezzo pesante carico di margarina e farina si incendiò e la temperatura raggiunse i 1000 gradi. Per spegnere l’incendio ci vollero 53 ore.
In questo ambito poi, lo Stato nega le sue stesse leggi, atteso che la regione Piemonte con Legge Regionale n. 5 del 18.02.2010 attesta che “La Regione ed i comuni interessati, senza che i cittadini ne debbano fare richiesta, assicurano preventivamente a tutti i gruppi di popolazione per i quali è stato stabilito un piano di emergenza radiologica, l’informazione sulle misure di protezione sanitaria ad essi applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul comportamento da adottare in tali occasioni””. Legge successivamente contraddetta da altra norma regionale che ignora persino i contenuti del “Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche” del 2010 il quale richiama espressamente le norme della Legge 230/95 in tema di radiazioni ionizzanti che, agli artt. 129-130, prevede l’obbligo dell’informazione preventiva, anche in condizioni normali, alla popolazione eventualmente interessata da questo tipo di evento.

Incidenti ferroviari

Eppure gli incidenti ferroviari non sono solo un’ipotesi di studio a tavolino.
Nel mese di gennaio 2013 un vagone di un treno partito dalla Centrale Nucleare francese di Tricastin con destinazione Olanda, trasportante dei fusti di uranio impoverito (ossido di uranio), è deragliato a Saint-Rambert-d’Albon, un piccolo paese situato nei pressi di Grenoble (a meno di 200 km da Torino) per il cedimento di un assale. Areva, la Società responsabile del trasporto si è subito affrettata ad affermare che la sostanza in forma di polvere, pur radioattiva, era stabile, non infiammabile, insolubile nell’acqua e non corrosiva “dimenticandosi”, però, di dire una cosa fondamentale, ovvero che l’uranio impoverito è altamente tossico.
Ancora una volta la serietà di queste Società si può misurare dalle loro stesse dichiarazioni.
L’incidente è avvenuto per il cedimento di un assale del carro ferroviario.
Fu, probabilmente, anche il cedimento di un assale di un carro che causò l’esplosione di una cisterna di gas di GPL a Viareggio il 29 giugno 2009 che causò 31 morti.
Gli incidenti ferroviari esistono, tanto che nel 2012, in Italia, ve ne sono stati 108 classificabili come “gravi” dalle Direttive Comunitarie. Tra questi si sono registrate 7 collisioni contro ostacoli e 5 svii dai binari.
Ad esempio, tragedia sfiorata a Bressanone il 6 giugno 2012, quando un treno merci della società Rail Traction Company carico di rottami di ferro è deragliato alla stazione. Sia la locomotiva che i primi nove carri sono usciti dai binari in prossimità del marciapiede della stazione, poco prima che si riempisse di ragazzi che uscivano da scuola. Solo per un caso fortunato non ci sono state vittime.
Ancora il 04 maggio 2013 paura in Belgio per il deragliamento di un treno che trasportava prodotti chimici nella zona del porto di Gand. In seguito all’incidente si è scatenato un incendio con conseguente evacuazione di trecento persone che vivevano a ridosso della zona del deragliamento. Dai vagoni in fiamme, a seguito dell’uscita dai binari, si è poi sprigionato del cianuro, sostanza cancerogena che può essere assorbita nel sangue.

Trasferimenti di elementi nucleari italiani all’estero

I trasferimenti di elementi nucleari italiani all’estero non sono certo una novità; i più recenti e i più importanti sotto il profilo delle quantità sono di seguito descritti.
Nel 2007 è stato trasportato uranio arricchito dall’impianto Euratom di Ispra (VA) alla Cerca di Romans-sur-Isere (F).
Nel 2010, propedeutico all’avvio dell’accordo italo francese sono state trasportate, con partenza da Saluggia, via strada (valico di Ventimiglia) n. 2 barre di nucleare irraggiato presso l’impianto C.E.A. di Cadarache (F). Qui, nella Francia sudorientale, alle bocche del Rodano, ha sede un impianto di ricerca e di trattamento di rifiuti nucleari.
Ovviamente anche questo materiale, dovrà poi rientrare in Italia.
Nel Regno Unito, sulla costa del mare d’Irlanda a Sellafield (GB), dal 2003 sono state trasportate per il ritrattamento 259 elementi di combustibile nucleare irraggiato di Garigliano per un totale di 53,3 tonnellate.
Il trasporto è avvenuto dalla Sifte Berti al porto di Dunquerque (F), poi via mare fino al porto di Barrow (GB).
Anche in questo luogo le scorie nucleari sono state sottoposte a riprocessamento e, pure queste, private di uranio e plutonio sono in attesa di rientrare in Italia entro il 2018.
Per quanto è dato sapere, dalle scorie italiane che erano già state inviate a Sellafield in precedenza, gli accordi bilaterali Italia–Inghilterra risalgono agli anni ‘80, è stato estratto uranio impoverito e nel 1993 la BNFL (la Società che gestisce il sito di Sellafield) ha ammesso di aver fornito questa sostanza al Ministero della Difesa inglese e il Ministero ha riconosciuto di averlo utilizzato per la fabbricazione di munizionamento da guerra.
Nondimeno Sellafield è uno dei principali luoghi d’inquinamento radioattivo al mondo, la radioattività del mare d’Irlanda è la più alta mai registrata e questo ha provocato continue proteste del Governo irlandese che ne ha chiesto ripetutamente la chiusura.

SOGIN

Muro di sbarramento del centro Sogin di Saluggia

Muro di sbarramento del centro Sogin di Saluggia

La SOGIN è stata costituita il 1° novembre 1999 in ottemperanza al cosiddetto Decreto Bersani, con il compito di controllare, smantellare, decontaminare e gestire i rifiuti radioattivi (attività riassumibili con il termine inglese di decommissioning) degli impianti nucleari italiani spenti.
Inizialmente nasce come società del Gruppo Enel, incorporandone le competenze umane e le strutture materiali che prima erano preposte alle fasi di localizzazione, progettazione, costruzione ed esercizio delle centrali elettronucleari.
Dal 3 novembre 2000, le azioni di tale società sono state interamente trasferite al Ministero dell’Economia e delle Finanze, scorporando così definitivamente dall’ex monopolista elettrico la gestione del parco nucleare italiano.
Vengono quindi conferite al predetto Gruppo le quattro centrali nucleari italiane di Latina, Garigliano (CE), Trino (VC) e Caorso (PC) di proprietà dell’Enel e anche una parte del personale di ENEA (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie).
Nel 2003 sono stati affidati in gestione a SOGIN gli ex impianti di ricerca sul ciclo del combustibile di ENEA: l’impianto EUREX di Saluggia (VC), gli impianti IPU E OPEC di Casaccia (RM) e l’impianto ITREC di Rotondella (MT).
Nel 2005, ha acquisito l’impianto di FN di Bosco Marengo (AL).
Nel 2009 viene commissariata dal Governo.
La SOGIN oggi è una società pubblica, partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia, conosciuta più per lo sperpero di denaro pubblico, per le assunzioni clientelari, per i progetti iniziati e poi abortiti, per gli alti stipendi dei suoi manager, che per l’attività di smantellamento. Una società controllata direttamente dal governo in carica senza alcun filtro parlamentare che può decidere, quando vuole, di gestirla secondo i propri intendimenti modificandone gli “indirizzi operativi”.
A 12 anni dalla sua costituzione ha realizzato circa il 12% del lavoro per il quale è stata istituita, peraltro pagato a caro prezzo dai contribuenti; in circa 10 anni avrebbe infatti speso la considerevole somma di quasi 1,7 miliardi di Euro, a fronte di un avanzamento dei lavori di smantellamento dell’1% all’anno. Gran parte delle attività svolte hanno, peraltro, riguardato attività riconducibili alla realizzazione-ristrutturazione di alcuni depositi temporanei di rifiuti radioattivi ed alla demolizione di vecchi fabbricati. L’individuazione di un’area e la successiva realizzazione del deposito nazionale definitivo dei rifiuti radioattivi sarebbero dovute avvenire qualche anno fa. Sogin, infatti, avrebbe già dovuto completare tale deposito entro la fine del 2008 ma, ad oggi, dopo oltre 4 anni, nonostante tale compito gli sia stato nuovamente assegnato attraverso uno specifico decreto del 2010, non ha ancora nemmeno la più vaga idea di dove localizzarlo.
Gli impianti che doveva dimettere, tranne Bosco Marengo, si trovano ancora, almeno nella loro struttura generale, così come erano al momento del loro conferimento a Sogin.
Per svolgere tali attività sono previsti 7,5 miliardi di Euro che saranno erogati attraverso il prelievo della componente “A2” della tariffa elettrica che pagano tutti i cittadini.
I ritardi accumulati nella realizzazione del deposito nazionale contribuiscono, oggettivamente, ad allontanare la definitiva conclusione di tali attività. Dopo 25 anni dalla chiusura delle centrali nucleari l’Italia, quindi, non ha fatto molti passi in avanti per la messa in sicurezza definitiva delle scorie nucleari e, osservando alcune dinamiche gestionali della Sogin, il futuro non sembra promettere nulla di buono.
Nel corso della sua attività SOGIN ha pensato soprattutto a spendere in ricche consulenze: come quella allo studio di Cesare Previti, o in iniziative singolari come l’esosa partecipazione al Salone del libro usato della Fiera di Milano (contributo di 257 mila euro), distante anni luce dalla mission della società, ma da sempre nel cuore del senatore Marcello Dell’Utri. Oppure a fare assunzioni per accontentare alti dirigenti interni e uomini politici, del centrodestra soprattutto, che non si sono risparmiati in segnalazioni e lettere di raccomandazione, come risulta dalla documentazione di cui qualche giornale è entrato in possesso. È il caso dell’ex sottosegretario Cesare Cursi (An) o dell’ex vicepresidente della Camera Publio Fiori, tutti in cerca di sistemazione per i loro protetti.
Sulla gestione sconsiderata della Società, sul gonfiamento degli organici e le spese folli, gli stessi apparati di Stato (Corte dei Conti e Autorità per l’energia e il gas), nonostante le collusioni e le ramificazioni trasversali, non hanno potuto fare a meno di porre dei rilievi significativi che poi, ovviamente, non hanno avuto seguito.

“Reazione a catena”

Il cuore della centrale nucleare è il reattore in cui avviene la fissione nucleare attraverso l’urto di un neutrone e un nucleo del materiale fissile che decade in nuclei più piccoli liberando energia; in questo modo si generano altri neutroni che interessano a loro volta altri atomi di materiale fissile producendo la cosiddetta “reazione a catena”. Affinché ciò si realizzi è necessario che sia disponibile una quantità sufficiente di materiale definito massa critica.
Il moderatore è un materiale posto nel reattore che ha la capacità di rallentare i neutroni prodotti dalla fissione, in modo da avere la velocità più adatta per far proseguire la reazione a catena. A seconda dei diversi modelli di reattore, il moderatore può essere grafite, acqua o acqua pesante (acqua in cui invece dell’idrogeno è presente un suo isotopo più pesante, il deuterio).
La sorgente di energia è quindi il combustibile presente all’interno del nocciolo, composto da materiale fissile (normalmente una miscela di uranio 235, uranio 238, arricchita fino al 5% in uranio 235, oppure una miscela di ossidi di uranio e plutonio denominata MOX che può nuovamente essere riutilizzato nel reattore).
Il MOX (Mixed Oxide Fuel) ed è composto da circa il 7% di plutonio e dal 93% di uranio. Al momento, nei reattori tradizionali non è possibile impiegare solo il MOX poiché deve essere abbinato a due terzi di combustibile tradizionale.
Il MOX è in grado di rilasciare più elementi tossici e livelli di radiazioni superiori rispetto ai combustibili tradizionali.
Per controllare la reazione a catena, di cui si accennava in precedenza, all’interno del reattore sono collocate, oltre alle barre di materiale fissile, anche barre di controllo che servono a controllare la reazione di fissione nucleare da parte del combustibile nucleare all’interno del nocciolo.
Tali barre possono essere composte da metalli quali argento, cadmio, indio, carburo di boro e vengono inserite a seconda delle esigenze in alternanza alle barre di combustibile fissile, ad esempio, per modulare la potenza di produzione energetica del reattore. Si utilizzano anche per arrestare il processo di fissione in caso di criticità risultando così un meccanismo di sicurezza primario nel reattore.
Quando in una centrale nucleare si verifica un evento giudicato pericoloso, di origine naturale o per guasti tecnici, la centrale si distacca automaticamente dalla rete elettrica esterna e si aprono le valvole dei condotti del vapore ad alta pressione, determinando il distacco delle turbine collegate al generatore elettrico.
In questa fase, tra le barre del combustibile del nocciolo scendono delle barre di materiale “assorbitore”. Questa interposizione provoca il rallentamento del fenomeno di fissione dei nuclei all’interno delle barre di combustibile per l’impossibilità dei neutroni liberati dalla fissione di passare da una barra all’altra.
All’interno del reattore, però, il decadimento radioattivo di ogni singola barra non cessa.
Il problema principale deriva dunque dal fatto che il nocciolo continua a riscaldarsi per il calore di decadimento che continua a prodursi.
Occorre garantire il raffreddamento del nocciolo facendo circolare l’acqua (o altro fluido di raffreddamento) tra le barre tramite grosse pompe elettriche, ricorrendo ai generatori automatici di emergenza.
Nel caso in cui, per un motivo qualsiasi, il raffreddamento non avvenga o sia insufficiente le barre si surriscaldano; superati gli 800° l’acqua di raffreddamento, già allo stato di vapore, comincia a scindersi in idrogeno e ossigeno.
L’elevata temperatura causerebbe la rottura del vessel, vale a dire il contenitore di acciaio speciale sigillato, e questo imporrebbe ai tecnici di gestire in modo controllato l’emissione del vapore mediante l’apertura delle valvole.
A questo punto, il vapore a contatto con la parete di contenimento di cemento armato della centrale condensa nuovamente in acqua (fortemente radioattiva), contaminandone l’interno, mentre i gas, più leggeri dell’aria, si raccolgono sotto il soffitto. L’idrogeno è altamente esplosivo e basta una piccola scintilla per farlo scoppiare (è quello che verosimilmente è successo a Fukushima e a Chernobyl dove l’esplosione ha provocato la rottura del soffitto della centrale).
Una volta fatto uscire parte del vapore dal vessel, il nocciolo, non più coperto totalmente di acqua, si riscalda più rapidamente fino a raggiungere i 1800°. A tale temperatura il materiale fissile fonde depositandosi sul fondo del vessel; aumentando la massa rispetto a quella contenuta in una singola barra, la fissione riprende vigore portando rapidamente alla totale evaporazione dell’acqua residua e alla necessità di ulteriori fuoriuscite volontarie di vapore per ridurre l’elevatissima pressione.
Non ha luogo un’esplosione nucleare, ma l’ulteriore innalzamento della temperatura potrebbe determinare la fusione del vessel con conseguente diffusione del materiale fissile sul basamento di cemento armato refrattario della centrale e nell’ambiente, nel caso in cui il contenitore di cemento fosse stato danneggiato dalle esplosioni dell’idrogeno di cui sopra.

Reattori nucleari

La più diffusa modalità di classificazione dei reattori oggi esistenti si basa sul sistema di raffreddamento che li caratterizza.
La maggior parte di essi impiega un sistema di raffreddamento ad acqua e sono denominati LWR (Light Water Reactor).
In questa classe di reattori l’acqua ha la duplice funzione di raffreddamento e di moderazione delle reazioni nucleari.
Esistono due tipologie di LWR, ovvero i reattori PWR e quelli BWR.
I PWR (Pressurizzed Water Reactor) hanno un circuito primario chiuso nel quale l’acqua circola ad elevate pressioni ed un circuito secondario in cui è generato il vapore per alimentare le turbine. I due circuiti sono separati per cui alle turbine ed al condensatore non giunge acqua contaminata. Questa tipologia di reattore è quella più largamente utilizzata.
I BWR (Boiling Water Reactor) hanno un unico circuito dell’acqua, che circola a pressioni non elevate che, vaporizzata nel contenitore del nocciolo, raggiunge le turbine e poi, ritrasformandosi in forma liquida, ritorna nel vessel. Questo processo comporta la contaminazione di turbine e condensatori.
Un’altra tipologia di reattori sono i PHWR (Pressurizzed Heavy Water Reactor); simili ai PWR utilizzano come refrigerante e moderatore l’acqua pesante (anziché essere costituita da 2 atomi di idrogeno, ci sono due atomi di deuterio) che circola ad elevata pressione in due circuiti distinti. A questa famiglia appartengono i reattori canadesi CANDU.
I reattori definiti di 1° generazione appartenevano ai primi impianti di bassa potenza costruiti negli anni 50 e 60 come, ad esempio, quelli di Garigliano e Trino Vercellese.

Centrale Nucleare di Trino Vercellese

Centrale Nucleare di Trino Vercellese

I reattori di 2° generazione – costruiti dagli anni 60 agli anni 90 – sono caratterizzati da grande potenza (dell’ordine di 1000 MW) di tipo LWR nelle due tipologie BWR e PWR.
I reattori di 3° generazione iniziarono ad essere progettati a metà degli anni 90, quali evoluzione dei PWR e del sistema CANDU. Rispetto a quelli di 2° generazione dovrebbero garantire maggiore affidabilità, diversi standard di sicurezza e costi inferiori.
I reattori di 3° generazione avanzata (III+) dovrebbero avere standard di sicurezza ancora più restrittivi, ma non tutti concordano sulla reale efficacia in caso di incidente grave. Appartiene a questa generazione il reattore EPR delle centrali in corso di costruzione a Flamanville e ad Olkiuoto.
I reattori di 4° generazione “autofertilizzanti veloci” esistono solo come ipotesi progettuale. Il combustibile sarebbe fornito da uranio e torio e questo comporterebbe minori scorie e maggiore energia prodotta. Si pensa che qualche prototipo possa vedere la luce nel 2030.

Incidenti nucleari ai confini con l’Italia 2011- 2012

Nel 2011 nel mondo sono stati censiti 442 reattori nucleari.
In 16 Paesi europei sono attivi 148 reattori nucleari; 8 sono quelli al momento in costruzione: 2 in Bulgaria, 2 in Romania, 2 in Slovacchia, 1 in Finlandia, 1 in Francia.
La sola Francia ha 19 Centrali attive in cui ci sono 58 reattori operativi.
La Germania ha 9 Centrali attive in cui ci sono 17 reattori operativi.
La Svizzera ha 4 Centrali attive in cui ci sono 5 reattori operativi.
Il Belgio ha 2 Centrali attive in cui ci sono 7 reattori operativi.

Francia – Tricastin – Rodano Alpi – 16 febbraio 2011
A 300 km in linea d’aria da Torino.
2 gruppi elettrogeni della Centrale fuori uso (usura dei cuscinetti). I gruppi elettrogeni permettono di attivare i sistemi di sicurezza in caso di mancanza di energia elettrica dalla rete pubblica.
In esercizio 4 reattori PWR.

Francia – Tricastin – 02 luglio 2011
Incendio di un trasformatore in un zona attigua al reattore n. 1.

Ungheria – Budapest – 08 settembre 2011
Rilascio, protrattosi fino al 16 novembre successivo di Iodio 131 da parte dell’Istituto Nucleare di Budapest. La nube radioattiva si è diffusa in Polonia, Francia, Germania, Austria, Svezia, Repubblica Ceca.

Francia – Mercoule – Centro Nucleare sul Rodano tra Avignone e Marsiglia – 12 settembre 2011
A 250 km in linea d’aria da Torino.
Esplosione all’interno di una fornace per riciclaggio scorie radioattive – 4 feriti, 1 deceduto.
E’ un centro di stoccaggio di rifiuti radioattivi per produzione del MOX e per il riciclo del plutonio da armi nucleari.

Belgio – Dessel – 4 ottobre 2011
Impianto di smaltimento Belgoprocess.
Recipiente contenente plutonio caduto a terra. Tre contaminati

Francia – Marcoule – Centro Nucleare sul Rodano tra Avignone e Marsiglia – 13 settembre 2011
A 250 km in linea d’aria da Torino.
Incidente all’interno di una fornace – 4 feriti, 1 deceduto.
E’ un centro di stoccaggio di rifiuti radioattivi per produzione del MOX e per il riciclo del Plutonio da armi nucleari.

Svizzera – Muhleberg, Cantone di Berna – 09 febbraio 2012
Blocco del reattore per un errore umano.
In esercizio n. 1 reattore.

Svizzera – Beznau – Canton d’Argovia – 24 marzo 2012
A 450 km da Milano.
Reattore n. 2.
Problema su una sigillatura di una pompa all’impianto di raffreddamento con fuga di vapore.
In esercizio n. 2 reattori PWR

Francia – Penly – Alta Normandia – 05 aprile 2012
Blocco automatico del reattore nucleare in seguito all’attivazione del sistema anti-incendio a causa del diffondersi di fumo denso nel complesso.
In esercizio 2 reattori.

Belgio – Doel – giugno 2012
Una crepa tra i 15 e i 20 mm è scoperta durante un test di routine nella struttura protettiva in cemento armato che circonda il nucleo.

Svizzera – Beznau – 18 giugno 2012
Nel corso della revisione annuale è riscontrata un’irregolarità in una saldatura nella parte interna del mantello del reattore.

Belgio – Anversa – agosto 2012
Individuazione di crepe nel serbatoio principale del reattore Doel 3. Il reattore è fermato e scaricato del combustibile nucleare.

Francia – Flamanville – Bassa Normandia – 25 ottobre 2012
Fuga radioattiva per 6 ore dal circuito tra il nocciolo del reattore e quello di distribuzione del calore.
In esercizio 2 reattori PWR ed in costruzione il reattore EPR (detto di terza generazione). Rispetto a quelli di seconda generazione l’EPR dovrebbe produrre scorie contenenti meno plutonio.

Belgio – Tihange – 16 agosto 2012
Reattore n. 2.
Il reattore è fermato per controlli su fessurazioni nella calotta in acciaio.
Il fermo avviene dopo l’accertamento di fessurazioni simili anche nel reattore belga di Doel nel mese di giugno.
In esercizio n. 4 reattori a Doel e n. 3 reattori a Tihange.

Belgio – Liegi – agosto 2012
Individuazione di crepe nel serbatoio del reattore n. 2 della Centrale Tihange. Il reattore viene fermato.

Francia – Fessenheim – Alsazia al confine con la Germania – 06 settembre 2012
Fuga di Perossido di idrogeno. 8 operai feriti.
In esercizio 2 reattori PWR

Francia – Flamanville – Bassa Normandia – 26 ottobre 2012
Fuga radioattiva per 6 ore dal circuito tra il nocciolo del reattore e quello di distribuzione del calore
In esercizio 2 reattori PWR ed in costruzione il reattore EPR (detto di terza generazione). Rispetto a quelli di seconda generazione l’EPR dovrebbe produrre meno Plutonio di scorie

Slovenia – Krsko – 28 ottobre 2012
La centrale nucleare dista circa 150 km da Trieste.
L’impianto viene fermato manualmente a causa dell’alto livello del fiume Sava, le cui acque servono a raffreddare il sistema. La grande quantità di foglie e detriti avrebbero potuto rendere inefficace il sistema di raffreddamento della Centrale.

Svizzera – Beznau – 21 novembre 2012
Reattore n. 2 – Fuoriuscita di vapore non radioattivo.
Altri incidenti, nel lasso di tempo considerato, anche in paesi dell’est: Romania (2), Bulgaria (1).
La quasi totalità dei minerali contenenti uranio utilizzabile è concentrato in soli 10 Paesi: Australia, Kazakhstan, Canada, USA, South Africa, Namibia, Brasile, Niger, Russia, Uzbekistan.
Tre Paesi da soli detengono circa il 58% delle riserve: Australia, Kazakhstan, Canada.

Ci stanno sterminando

Centrale Nucleare Trino

Centrale Nucleare Trino

Per concludere, si vuole evidenziare ancora un fatto che lascia esterrefatti: il 18 marzo 2011 sono giunti all’inceneritore di Vercelli 175 fusti provenienti dalla Sorin Biomedica di Saluggia che dovevano contenere rifiuti di tipo sanitario. Cinque fusti, invece, erano radioattivi, evidentemente usciti dal comprensorio nucleare di Saluggia in modo totalmente incontrollato.
Questi bidoni, colmi di radionuclidi, se fossero sfuggiti anche ai controlli eseguiti a Vercelli sarebbero stati inceneriti con relativa diffusione ambientale – a largo raggio – delle polveri radioattive.

Fusto Sorin 1 – uranio 238 e americio 241
Fusto Sorin 2 – cesio 137
Fusto Sorin 3 – cesio 137 e cobalto 60
Fusto Sorin 4 – cesio 137
Fusto Sorin 5 – cesio 137, cobalto 60, americio 241

Tutti isotopi radioattivi rilascianti radiazioni alfa, beta e gamma. Tra l’altro il cesio 137 si forma principalmente come sottoprodotto della fissione nucleare dell’Uranio.
Il Fusto n. 1 a contatto rilasciava 2,7 millisievert/ora a fronte di 1 millisievert/anno quale dose massima stabilita per la popolazione.
Il fatto, al limite della follia, ancora una volta si è saputo soltanto per caso ed ha avuto una debolissima diffusione.
E una domanda inquietante si pone: come poteva esserci in bidoni della Sorin Biomedica il cesio 137 che è l’elemento che si forma a seguito della fissione nucleare? E come poteva trovarsi l’americio 241 che si ottiene bombardano il plutonio con neutroni?
Domande, ancora una volta, senza risposte, sui cui, ancora una volta, è calato un silenzio assordante.

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Dansette