Seconda raccolta comunicati e riflessioni sul 15 ottobre [NUOVI COMUNICATI]
Leggi anche i precedenti comunicati sul 15 ottobre 2011 a Roma.
QUANDO L'AZIONE PARLA
Roma 15 ottobre
Prima di cominciare le nostre riflessioni sulla giornata del 15 ottobre vogliamo sottolineare che per noi le azioni e i gesti di rivolta sono la concretizzazionione di un dissenso verso lo stato esistente e mettono in luce più chiaramente, rispetto a volantini e comunicati, quali sono i principali responsabili di questo malessere. Non ci interessa prendere una posizione categorica come buoni o cattivi, questo è il gioco di tv, giornali e sciacalli, mentre quello che ci definisce è descritto da ogni momento della nostra giornata e da quello che portiamo avanti.
Pensiamo sia importante chiarire come la giornata sia stata caratterizzata dalla presenza forte di persone che, non credendo più in un cambiamento riformista attraverso partiti o gruppi istituzionalizzati, hanno tentato un altro tipo d'approccio, più radicale, colpendo banche e simboli del lusso, come SUV e negozi dell'alta borghesia. La rabbia e la riappropriazione della dignità hanno portato donne e uomini a scontrarsi direttamente contro i cani da guardia che difendono gli interessi dei ricchi, degli sfruttatori. Così lo Stato, messo all'angolo, risponde attraverso i giornali creando lo spettro del "Black Bloc", ennesima distrazione mediatica che crea il mostro su cui sfogare il malessere diffuso per una vita fatta di sfruttamento e omologazione.
La guerra è davanti ai nostri occhi, in Italia come in Palestina, in Grecia come in sud America, la guerra di chi non vuole più abbassare la testa, di chi, rifiutando una vita di stenti e paesaggi deturpati, decide di prendere in mano la propria vita per scagliarla come sassi contro chi vuole gestire la nostra esistenza, contro i padroni, contro i ricchi.
LA RABBIA AUMENTA, LA RIVOLTA DILAGA
Bencivenga 15 Occupato
testo di un manifesto affisso a Rovereto e a Trento:
La nostra rabbia, la loro indignazione
A proposito dei fatti di Roma
Ai mass media non abbiamo nulla da dire.
Nulla abbiamo da rispondere ai politici che presentano i bombardamenti in Libia come un'“operazione di pace” e poi definiscono “guerra” gli scontri di Roma.
Nemmeno al cittadino medio abbiamo granché da dire.
Ci rivolgiamo agli altri sfruttati come noi, a chi in quest'ordine sociale si sente soffocare, a chi fa fatica ad arrivare a fine mese, a chi sogna la riscossa.
A costoro vogliamo dire da che parte stiamo, e come.
Che la rabbia tracimasse gli argini dell'indignazione democratica e delle sue innocue sfilate era necessario e giusto.
Quella rabbia non ha bisogno di presunti pianificatori. Fiuta le proprie occasioni e prima o poi s'incontra in una qualsiasi piazza San Giovanni.
Gli attacchi alle banche, alle caserme, agli edifici del ministero della Guerra, gli espropri dei supermercati non hanno nulla di cieco. Fra tante chiacchiere sulla crisi, sui mostri della finanza, sulle banche che affamano, le pratiche del 15 ottobre hanno portato un po' di sana e appassionata concretezza.
Altri gesti hanno espresso una rabbia tutt'altro che precisa. Ma tanti “antagonisti”, invece di indignarsi, dovrebbero chiedersi che cosa hanno fatto in tutti questi anni affinché la collera aggiustasse la mira.
Migliaia di ragazzi che si sono scontrati con la polizia e con i suoi caroselli assassini non avevano l'obiettivo di far saltare i comizi politici e i concerti ricreativi. Semplicemente, si sono incontrati in quella piazza proprio perché lo spettacolo era crollato.
Certo, se il conflitto si fosse svolto nei pressi dei palazzi del potere sarebbe stata ben altra cosa. Ma nessuno si è assunto la responsabilità di fare ciò che dicevano gli operai di Pomigliano: “Andiamo al Parlamento”.
Che Maroni e suoi pennivendoli ci indichino tra coloro a cui attribuire la responsabilità degli scontri di Roma non ci stupisce. Conosciamo le tecniche del potere.
Che gli sbirri rovistino nelle nostre case per l'ennesima volta non ci spaventa.
Da tempo abbiamo scelto il nostro campo.
In Nord Africa, in Grecia, in Inghilterra, in Cile la gioventù selvaggia è il detonatore di una rabbia sociale che sta esplodendo.
Ci sentiamo parte di questa collera mondiale.
Signori per bene, con il conto in banca e la delazione nel cuore, l'indignazione la lasciamo a voi.
Arrivederci nelle strade.
Solidarietà a tutti gli arrestati.
A CACCIA DI STREGHE, BLACK BLOC, ULTRAS, ANARCO-INSURREZIONALISTI,TEPPISTI, MEZZI FASCISTI E MEZZI COMUNISTI,UN PO' TERRORISTI....CON I CASCHI ED I CAPPUCCI!!!!
La gogna mediatica è durata all'incirca 3-4 giorni. Titoloni sui giornali di regime ed attacchi diretti anche da parte di quella stampa che ancora ha il coraggio di definirsi di sinistra. Speciali televisivi ben costruiti per dare il senso perverso di una giornata, che nonostante tutto, fra mille errori e contraddizioni, è stata una vera giornata di lotta.
Ora l'attenzione dei media si è notevolmente abbassata ma quei trafiletti che ancora resistono continuano ad invocare la caccia a questi fantomatici incappucciati e neri, quelli che sono scesi direttamente dal "pianeta Teppa" verso Roma per la giornata della rabbia (o dell'indignazione?) del 15 Ottobre. Le prove ci sono: molti di loro indossavano maschere antigas per affrontare il viaggio interplanetare, caschi integrali per ripararsi dai fitti lanci di comete ed addirittura sciarpe di lana per nascondere il volto verde-gelatinoso!!!!
Poi invece quando una manifestazione come quella di domenica con migliaia e migliaia di persone contro la TAV riesce a coordinare pratiche ed esperienze diverse, risultando vittoriosa e pacifica, i nostri giornalai non riescono a dedicargli più di due misere righe, incastrate fra un pettegolezzo ed una pubblicità di una multinazionale. Questo ci fa capire qual'è il livello dell'informazione in Italia. Si deduce dunque che se il 15 Ottobre non fosse stata una giornata di rabbia non avremmo forse nemmeno letto qualche notizia a riguardo del corteo.
Ma i mezzi d'informazione ormai dettano i tempi della politica e alcune testate giornalistiche hanno avuto il coraggio di far partire una ridicola ed assurda caccia ai violenti...ma questo ci puo' anche stare: ci inorridiamo se a farlo sono coloro che magari con metodi diversi, dicono di lottare per un mondo migliore! La delazione non appartiene ai compagni ed alle compagne.
Pochi hanno capito che dietro a quei volti coperti c'erano uomini e donne comuni, stanchi delle ingiustizie e della precarietà, stufi di pagare migliaia di euro per un buco d'appartamento, gente che non vuole più subire passivamente le nefandezze di questo Sistema.
La caccia alle streghe non ha tempi, la storia si ripete ma si puo' anche scrivere perchè il futuro ancora non è scritto ma c'è chi ,per fortuna ,preferisce almeno provare a prendersi il presente.
Ora, da piu' parti e da prospettive diverse, il problema è diventato la violenza come se essa fosse solo espressione di brutalità ed ignoranza. Noi crediamo che esista il teppismo fine a sè stesso che seppur impolitico sia espressione di rabbia sociale, e siamo convinti che esista la lotta politica o se preferite la violenza politica e l'azione diretta come pratiche coscienti e concrete di dissenso. Parlare di pura follia distruttiva è riduttivo e sbagliato proprio perchè si vuol far finta di non capire che un processo rivoluzionario, seppur confuso ed embrionale, è ormai in atto.
Questi signori della morale che ancora si autodefiniscono "compagni"si sono facilmente dimenticati che purtroppo ogni piccola conquista è stata ottenuta con la rabbia in corpo e con il coltello fra i denti. Certamente, cio' che è avvenuto il 15 Ottobre a Roma deve far aprire confronti, suscitare autocritica e cercare di trovare uno sbocco ossia la costruzione orizzontale di un futuro nelle lotte sociali. Sia da un punto di vista sociale che da un punto di vista prettamente politico bisogna andare affondo nell'analisi senza fermarsi agli stereotipi ed alle ipocrisie. Sono stati fatti molti errori dettati fra l'altro dal clima di tensione creato da chi aizzava con il lessico della guerriglia un fantomatico assalto ai Palazzi del Potere. Dobbiamo quindi chiederci perchè questo attacco diretto non è avvenuto e dovremmo capire che con le parole non ci si puo' giocare troppo perchè poi qualcuno si brucia davvero. Così ha preso il sopravvento lo spontaneismo insurrezionale, lo sfogo diretto a quei pochi simboli che durante il percorso ricordavano la precarietà e la società basata sulla logica del profitto. Rabbia repressa che è esplosa legittimamente e che non deve a tutti i costi essere giudicata perchè in fondo ogni gesto ha un senso. Con questo, lo ripetiamo, non ci nascondiamo dietro un dito e siamo consapevoli che tutti insieme, lontani dagli interessi partitici, avremmo davvero potuto provarci ad inondare di ribellione il Centro del Potere. Prima di tutto però tutte e tutti dobbiamo sforzarci a guardare oltre il seminato e cercare di intercettare ogni piccolo focolaio di rivolta.
Se c'è così tanta rabbia, se i ragazzi e le ragazze dei quartieri, delle curve, dei centri sociali sono disposti a mettersi in gioco, con passione e determinazione, senza indietreggiare di fronte alle cariche indiscriminate della sbirraglia, se così tanta gente si è interposta in mezzo ai caroselli omicidi delle forze del disordine, vuol dire che qualcosa è cambiato nello scenario socio-politico di questo fottuto paese che continua a fare le sue vittime. In pochi avrebbero immaginato uno scenario del genere solo qualche anno addietro. E qui non basta invocare al complotto di una minoranza di teppisti che avrebbero deciso di rovinare il corteo di altri. Quel corteo era di tutti e di tutte, nessuno mai potrà affermare il contrario. Una cosa è certa: non era un corteo di classe ma si avvicinava molto ad un lungo torpedone di donne ed uomini diversi ed eterogenei, nelle pratiche, nelle forme, nei sentimenti che portavano dietro. Spesso, come accade da tempo in Val di Susa, è proprio la diversità ad insegnare che si puo' comunque crescere e combattere insieme.
A Roma invece, quel giorno, è accaduto il paradosso: persone che si definiscono pacifisti hanno aggredito verbalmente e fisicamente quelli che loro stessi consideravano violenti. Qualcosa qui non torna. C'è puzza di forzatura e di bigottismo alla ricerca di una leadership che nessuno mai potrà conquistare in questo clima dove ognuno ha diritto di esistere e di urlare la propria rabbia.
E se fosse anche vero che nella mischia dei ribelli insorti c'erano tanti ultras cresciuti nelle curve degli stadi, quale sarebbe il problema? Dove sta la contraddizione? Credete ancora che gli ultras siano solo dei violenti con un pallone al posto del cervello? I fatti di San Giovanni sono l'emblema della smentita. Alcune curve sono state nel tempo un vero laboratorio sociale di autogestione e resistenza al potere costituito. Ora, molti ultras, stanchi di questo calcio specchio del Capitalismo, si sono riversati nelle strade e nelle piazze come soggetti pensanti e non come entità precisa.
Dopo piu' di trent'anni di repressione brutale ai danni dei giovani curvaioli, dopo che lo Stato ha sperimentato ogni forma di controllo sociale negli stadi, questo processo di trasmigrazione dalle curve alle piazze è normale e legittimo. Le nuove generazioni ribelli si contaminano di scintille rivoluzionarie lungo un proesso insurrezionale che potrebbe esplodere da un momento all'altro. Queste forze, queste energie non possono restare solo distruttive perchè certamente anche il nichilismo è una forma di dissenso ma è indispensabile il passo successivo, quello rivoluzionario e costruttivo. Incalanare nel dissenso diffuso e cosciente queste forme di ribellione dovrebbe essere il compito di chi dice di fare politica. Peccato che ancora in pochi l'hanno intuito ed invece di analizzare, comprendere, cercare risposte, si preferisce sempre e solo il giudizio come se ognuno avesse il diritto di sentenziare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, cosa sia buono e cosa sia cattivo.
Autocritica dicevamo e proprio da lì bisogna ripartire ma non indietreggiare. Dobbiamo avanzare, compatti, in blocco caotico ma organizzato, cavalcare il conflitto e decidere noi stessi sul nostro presente e sul nostro futuro.
Vorrebbero mettere i fratelli contro i fratelli. E' la logica della guerra fra i poveri.
L'unico sforzo di un rivoluzionario dei giorni nostri potrebbe essere quello di capire sè stesso ed anche gli altri.
Costruire reti e relazioni orizzontali, sistemi per auto-difendersi ed indirizzare le passioni e la spontaneità delle diverse generazioni che compongono lo scenario di lotta.
Oltre le strutture ci sono le persone : i rapporti sociali dal basso valgono più di mille comizi.
RESPINGIAMO LA CRIMINALIZZAZIONE DELLE LOTTE:
SOLIDARIETA' E LIBERTA' PER TUTTE/I LE/GLI ARRESTATE/TI!
Giù la maschera!
da Cenere - cenere.noblogs.org
Non si avverte la propria catena quando si segue spontaneamente colui che trascina; ma quando si comincia a resistere e a camminare allontanandosi, si soffre molto.
Dopo mesi di apologia verso le rivolte nei paesi arabi, dopo mesi di crisi che hanno spazzato via ogni illusione per un possibile futuro migliore, dopo gli scontri che con empatia abbiam ammirato in molte capitali europee, arriva la solita schizofrenia italiana. Il 15 ottobre a Roma è andata in scena una farsa annunciata, non quella dei cosidetti incappucciati, additati come infiltrati, sbirri, teppisti, violenti e sciocchi più o meno consapevoli e utili alla reazione, ma quella di una società in stato di grave malattia, non puo essere altrimenti: se si confonde la violenza vigliacca di un potere sempre impunito, con la rabbia dei senza voce. Violento è chi bombarda popolazioni inermi, chi impaurisce indiscriminatamente, chi devasta interi territori, chi affama e ricatta per un lavoro di merda, chi controlla e ingabbia. All’indomani di un ennesimo ed inutile voto di fiducia che da ulteriore conferma di quanto i potenti preferirebbero la morte che rinunciare alla loro inebriante posizione di superiorità, non saranno un paio di banche ed una caserma in frantumi a fermare il capitalismo e i suoi alfieri, ma dovrebbe essere ancora più palese che passeggiare allegri, cantare, ballare e montare 20 tende sul ciglio della strada non solo sia inutile, ma è anche una idiozia che rende il sistema sicuro della sua immunità. Illusi, convinti di partecipare alla vita politica del paese tutt’al più prendono parte allo sciocco gioco dell’eventuale alternanza ai vertici dello stato. Ma come una vetrina che crolla in mille pezzi lascia nudi ed incustoditi i tanto agognati oggetti del desiderio, una vetrina in frantumi può far cadere la maschera alla società italiana. Ecco: ad essere nudi sono gli Indignati, indignati come mai; una bella marcetta allegra e colorata sarebbe stata la risposta adatta per spaventare un capitale che specula e affama e terrorizzare uno stato segregazionista, ma adesso queste cose passano in secondo piano, il vero nemico è l’uomo nero che merita indignazione e delazioni per non aver rispettato le regole del democratico dissenso. Giù la maschera per il mondo politico che si compatta in posizioni di condanna mostrando la sua unanime voglia di autorità e fascismo. Ma quanto valgono le sciocchezze pompate dai media in una campagna volta a demolire il dissenso, mentre qui fuori si continua a perdere il posto di lavoro, mentre si finisce in carcere per non avere un pezzo di carta, mentre non si sa come crescere la propria prole e come assicurargli quegli agi che luccicano dietro le vetrine di questo sistema di sfruttamento?
Non s’illuda chi pensa più ad attaccare i teppisti che a sferrare attacchi contro i criminali al potere un solco è stato tracciato e divide non da destra a sinistra ma dall’alto al basso, adesso siamo tutti a volto scoperto e possiamo benissimo vedere in faccia chi consapevolmente accetta di difendere un sistema al collasso e chi dall’altro lato chi userà ogni mezzo per riconquistare la propria vita.
Via! via! Fuori dal corteo! Queste le richieste urlate a gran voce da sindacati e partiti travestiti abilmente da indignati. Ma noi via non siamo andati semplicemente perchè non avevamo nessun luogo in cui andare, nessun posto dove rifugiarci, niente e nessuno che ci aspetta, nulla da perdere. Allora abbiam scelto di restare, abbiam preferito difendere una linea immaginaria per quattro ore, rischiando libertà e lutti piuttosto che andare a nasconderci nel buco dell’indifferenza e della rassegnazione dove ci volevate relegare. Cinquemila son pochi rispetto alle vostre centinaia di migliaia ma non rallegratevi, se son bastati a far capitolare una delle più potenti forze di polizia occidentali, pensate che noi diseredati cresceremo e sarem pronti a spazzare in breve quello che sessanta anni di buone maniere non hanno mai intaccato.
Everybody on the Black book
Come al solito, ci risiamo: black block, anarco-insurrezionalisti... tutta colpa loro: le devastazioni, le violenze, le cariche della polizia. Forse anche la crisi!
E allora, come al solito, la ricetta è la vecchia cara rassicurante bipartisan repressione: legge reale bis, daspo, terrorismo urbano. Uno strombazzamento mass-mediatico-populista tanto familiare al popolo italiano.
“IIIITALIANI!” Gridava Totò, Nostradamus di noialtri quando ci invitava a votare Antonio La Trippa. Solo che lui scherzava. Gli iiiitaliani lo fanno sul serio!
Il signor Votantonio crede ai giornali perché gli fa comodo star sulla “sua” poltrona (finchè non gliela pignorano), telecomando in mano credendo di poter scegliere tg1, tg2 o tg3 senza accorgersi che, stringi-stringi, sono uguali: “La prossima volta li arrestiamo prima!”, come se non fosse già successo!
La domanda nasce spontanea: perché non sono venuti ad arrestarci prima? Quanti sono gli anarchici in Italia iscritti sul black book?
Quando si constaterà che la collera è più grande, che gli scontri con la polizia e la distruzione delle vetrine delle banche, delle macchine di lusso e delle madonne avverrà lo stesso, a chi sarà data la colpa?
Qui c'è un solo colpevole, Signori: è chi ci ha portato ad un passo dal baratro, arricchendosi sempre di più con le “missioni di pace”, con la delocalizzazione delle grandi fabbriche, con la precarizzazione del lavoro, della salute, della vita, facendo tutto questo in virtù del consenso democratico.
Finché c'è miseria ci sarà malcontento popolare; finché c'è malcontento popolare ci sarà una piccola parte della popolazione, di solito la più giovane, disposta a battersi con coraggio e determinazione contro i padroni e i loro servi (sbirri e sindacati). A questa parte della popolazione, animata da una sincera critica contro questo sistema e da una naturale e conseguente collera contro gli strumenti dello sfruttamento (dallo sbirro, alla banca, alla ruspa), va la nostra solidarietà e l'invito a crescere e costruire nuovi modi di stare insieme: giovani, anziani, lavoratori, disoccupati, in piazza, in strada, nella vita di tutti i giorni, nei momenti più cupi come quando si è colpiti dalla repressione, nei momenti più belli come quando si caccia l'invasore!
In Piazza San Giovanni a resistere alle cariche delle Forze dell'Ordine non c'erano solo anarchici, ma migliaia di donne e uomini, gomito a gomito a difendersi, a contrattaccare un solo nemico: la violenza dello Stato.
NOI LA CRISI NON LA PAGHIAMO E NEANCHE LA REPRESSIONE CHE NE CONSEGUE!
P.S.: scusate, ma in un momento in cui manifestano pure gli industriali con la Marcegaglia in testa al corteo e gli sbirri che piangono benzina, ridiamo per non piangere!
Di fronte ad un mondo in crisi che non ha niente da offrire non c'è più niente da chiedere.
Sbarazzarsi del cadavere dell'esistente od ostinarsi a tenerlo in piedi? Si tratta di una scelta di campo.
Sono anni che politici, media, sindacati arrivando fino ai leader antagonisti provano a convincerci ad incanalar! pàssivamen indignazione in sfilate oceaniche in cui ogni cosa è concertata con la polizia in modo da scongiurare qualsiasi possibilità di sommossa reale.
Il vento è cambiato.
Gli appelli alla calma illudono sempre di meno e la forza evocativa della rivolta torna ad essere una minaccia: un assalto a Montecitorio è realisticamente più probabile che l'ottenimento del reddito garantito.
Dalle strade della Grecia alle banlieues francesi, dalle insurrezioni arabe ai riot inglesi passando per le rivolte che travalicano lo studentismo come lo scorso inverno a Roma , a Londra e questo settembre in Cile, arrivando fino alle battaglie in Val Susa ed alle fiamme nei Cie, i linguaggi delle rivolte comunicano e s’impongono, pur con ovvie specificità e differenze.
Il 15 ottobre a Roma una farsa annunciata è stata l'occasione per un'esplosione di rabbia.
Rabbia che in un tripudio dionisiaco di spontaneità disorganizzata ma belligerante ha continuato ad ingrossarsi riempiendosi di giovanissimi. Meno di un centinaio di facinorosi, nel giro di poche ore si sono trasformati in alcune migliaia, attaccando, principalmente, alcune delle espressioni più concrete dello sfruttamento, espropriando e distribuendo generi alimentari e finendo per affrontare le forze dell'ordine.
Parlare di black block infiltrati, fascisti, paramilitari, professionisti della violenza, nella migliore della ipotesi significa fare un' analisi superficiale e strumentale di quanto accaduto in piazza.
Certo veder bruciare un'utilitaria, per altro accanto a dove sarebbe dovuto passare il resto del corteo, non fa piacere, eppure è difficile pensare che una camionetta dei carabinieri che va a fuoco con su scritto “Carlo vive" non commuova chi la violenza delle divise la sperimenta costantemente sulla propria pelle.
A seguito degli scontri di Roma sono state fermate venti persone. 12 arresti sono stati convalidati subito, 8 denunce sono partite nei confronti di minorenni. In un clima di linciaggio mediático, cavalcato anche da quei ruderi di movimento che
speravano di riciclarsi nelle liste di Vendola come indignados, è partita una vasta operazione su scala nazionale di “caccia al black block ed all'anarco-insurrezionalista”.
E' il solito ritornello: una rabbia che ha aggregato tantissime persone viene dipinta, per disinnescarne la portata di diffusione sociale, alla sola espressione di quegli anarchici che da sempre difendono l'azione diretta.
Dopo l'analisi dei filmati un'altra persona è stata arrestata. Polizia, mondo politico e capi degli indignados sono uniti contro la crisi che gli hanno creato i facinorosi verso i quali si sta scatenando un attacco senza precedenti. Tra gli indignati c'è anche chi istiga alla delazione invitando a consegnare le immagini dei rivoltosi alla polizia per agevolarla nell'identificazione auspicandone l'arresto in nome della “nonviolenza".
Curiosa questa concezione della “nonviolenza", che contesta le pratiche dei manifestanti “violenti" e applaude alle cariche della polizia.
Questa non è “nonviolenza” è connivenza con la violenza dello stato, è tifo per il suo monopolio.
Quello che vogliono presentare come un conflitto tra “violenti" e “nonviolenti”, è in realtà tra “manifestanti violenti”, che attaccano banche e polizia, e“nonviolenti” che attaccano, picchiano e consegnano alle forze dell'ordine i primi.
Non va dimenticato che prima degli scontri dello scorso 14 dicembre, sempre a Roma, uno di questi pacificatori ha colpito con un casco un ragazzo mandandolo in coma, solo perchè aveva tirato un mandarino contro un blindato della polizia.
All'ipocrisia di chi invoca la violenza dei servizi d'ordine per proteggere le banche rispondiamo rilanciando la solidarietà verso tutti gli arrestati, i fermati, i feriti ed i perquisiti a seguito del 15 ottobre.
Roma è stata un'occasione. Il futuro ne serberà sempre di più, i difensori di questa società lo sanno e non a caso si stanno attrezzando.
I tempi sono bui e l'ondata repressiva è stata pesante. Che così non si possa andare avanti ormai è sulla bocca di tutti.
I timidi sono troppi.
Che l'indignazione si trasformi in rabbia.
Di fronte alla certezza del baratro solo la rivolta apre spazi al nuovo ed al possibile.
II miglior modo di non rimanere passivi dinanzi alla “conflittualità indiscriminata" è indirizzare la rabbia verso i responsabili della nostra miseria: in tempi di guerra civile tifiamo per la guerra sociale.
Il 15 ottobre la rabbia è stata caotica e diffusa, in futuro bisognerà saper affinare la mira.
Anarchici
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