Portarvi la mia esperienza mi appare difficile, non vorrei fare un lungo elenco di fatti e di situazioni che potrebbero sembrarvi personali, e soprattutto non voglio essere disfattista. Mi anima una forte motivazione alla legalità per questo territorio, nel quale da oltre 30 anni cerco ogni giorno l’invenzione educativa nel mio lavoro di maestra elementare, e qui non tutti i bambini hanno validi modelli di riferimento parentali e di contesto culturale.
Il 24 prossimo saranno 2 anni dalla morte di mio figlio Massimiliano Carbone; aveva 30 anni, un diploma di geometra, pochissima allegria, uno stupore infantile conservato intatto, molte buone intuizioni che si stavano attuando in una piccola cooperativa di servizi. Da 11 anni donava il suo sangue per i piccoli talassemici assistiti nell’Ospedale di Locri, ed era iscritto nel registro generale dei donatori di midollo osseo presso gli Ospedali Riuniti di Reggio. Era generoso, bellissimo, sano, ma triste, di una tristezza presagio, che non ho saputo leggergli negli occhi, la sofferenza di non potere avere il suo bambino, nato nel 1999 da una gentile signora sposata, piuttosto incerta nelle sue decisioni.
Massimiliano sarebbe potuto andare a cercare lavoro fuori, non gli erano mancate le opportunità, ma oggi sappiamo che pure avendo un fucile spianato addosso gli bastava guardare da lontano il suo bambino.
Perciò era rimasto a Locri, a volte affiggeva manifesti fino alle 4 del mattino, poi si metteva elegante e partiva per gli uffici di Reggio, dove si organizzavano le committenze lavorative. Aveva solo il tifo per la Reggina, e qualche partitella di calcetto .
Il 17 settembre 2004 , scendeva dall’auto guidata dal fratello minore, Davide, tornavano dal calcetto verso le 20 ed un solo colpo di fucile me l’ha straziato. Ho ancora nelle orecchie i passi dell’assassino in fuga sulle sterpaglie, nel buio di una strada degradata.
L’ospedale di Locri era allertato perchè ad Africo avevano gambizzato un nipote del boss Tiradritto (Morabito), così Massimiliano poté fruire dell’immediata attenzione di medici specialisti; 6 ore di intervento chirurgico, 6 giorni di coma, 3 dialisi, infine l’arresto cardiaco.
Uno solo era il nemico che aveva, , con il movente utilitaristico di far tacere l’unica voce autorevole che avrebbe potuto svelare che in casa sua “l’onore” era stato violato.
Quel nome, quei fatti, io li ho indicati subito, immediatamente contestata da buona parte della città, che mi definisce perfida ed infame per avere con la mia denuncia turbato la serenità di quella famiglia......
Eppure, nei giorni del cordoglio, in tanti sono venuti a dire che la sorte di mio figlio era segnata da tempo, che la dissomiglianza del bimbo dai suoi fratelli era rilevata da molti, che me lo dovevo aspettare.....
Per 13 mesi è stato uno strazio di caserme e tribunali, di minacce più o meno dirette, coi pugni in faccia, con le” ambascerie”, con il confronto di fronte al PM tra me e la mamma del bimbo, algida .
Ad un anno di distanza, dopo altri 22 morti nella Locride, il prefetto D’Onofrio diceva che non c’era da allarmarsi,e per un commento della Gazzetta del sud che mi citava i CC di Locri dissero tutti indispettiti che aizzavo la stampa e che forse li credevo collusi.
Martedì 11 ottobre 2005 ho espresso la mia determinazione, ho detto agli inquirenti ed al PM che ero consapevole dei tempi procedurali, ma che trascorsi questi avrei fatto venire a Locri i mass media, perchè qualcuno mi spiegasse come mai solo qui si può uccidere nascosti dietro un muro di un metro e mezzo, e farla franca. Quel giorno mi fecero spallucce compassionevoli.
5 giorni dopo, domenica 16 ottobre, moriva Francesco Fortugno, colpito da una “sagoma nera” ( come definito dal corrispondente de "IL quotidiano”, presente al fatto) che si era fatta strada tra la gente che votava a Palazzo Nieddu.
Il resto è storia della Locride, sfilate vanesie e fiaccolate asteniche e proclami roboanti e fermenti di indignazione.
Certo i ragazzi di Locri hanno avuto slanci genuini, ma i “grandi” ci hanno marciato sopra con scarponi chiodati.
In mezzo a tanti palpiti ho creduto di potere avere un po’ di attenzione in più per la mia richiesta di giustizia, perchè ormai avete capito che solo una determinazione del Tribunale può perseguire il bene del mio nipotino, un caso difficilissimo unico e delicato, dicono quelli del mestiere.
Io voglio il suo bene, come nella storia del giudizio di Salomone, è lui l’orfano bianco che quanto prima chiederà conto e ragione.
Ho iniziato ad espormi per mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica: ho restituito il certificato elettorale al Prefetto De Sena. Gli avevo scritto da mesi, avendone solo silenzio, ma il 6 aprile mi ha invitata a riprendere il certificato, con magnifica cordialità e assicurazioni d’impegno.
Il Primo maggio a Locri sono scesa in corteo con la foto di mio figlio e un cartello, “Un ragazzo di Locri, 590 giorni dopo il suo assassino è libero”. Avevo vicini i ragazzi della Casa della legalità di Genova e il gruppo de LA GURFATA. Solo loro mi sono solidali.
E poi i convegni del CIDS, Comitato Interprovinciale per il Diritto alla sicurezza, presieduto dal pacato equanime saggio dottore Demetrio Costantino, per me l’unico in zona che non si ferma mai e che lotta per la legalità con coerenza , in prima persona, e non si lascia mettere in soggezione.
Alla fine, ho deciso un sit in . 3 giorni sulle scale del Tribunale a mendicare la verità e la giustizia, e avrei continuato ad oltranza se non avessi ricevuto la lettera del Vescovo Bregantini e la visita del Colonnello Fiano.
Non mi hanno parlato di fedesperanzacarità, ma mi hanno raccomandato tenacia, così a loro voglio credere.
Qualche amministratore in rodaggio si è permesso di dire che “le proteste della signora Carbone disturbano l’immagine turistica di Locri”, e si è dato la pena di spiegare a Loiero, il 7 luglio a Palazzo Nieddu, che l’omicidio Carbone non è un fatto di mafia.
Per loro non merita attenzione,è solo un fatto di corna,poveraccio quell’ essere primitivo incolto che aspetta anni, e predispone un cannemozze, si fa da solo i pallettoni micidiali, lavorandoli, poi si nasconde come uno sciacallo, e presenta un mese dopo una foto che lo ritrae sotto un orologio da parete che segna l’ora dello sparo e, guarda caso, mentre sta leggendo platealmente un giornale di quel giorno ......
Ci sono voluti 22 mesi per la perizia autoptica e per quella balistica, che ha evidenziato l’inadempienza e la negligenza del ROS di Locri e del RIS di Messina. Mesi perduti, e con il tempo sono svaniti elementi essenziali.
Io continuo il mio lavoro, credo fermamente e con passione e tensione di stare facendo la cosa giusta, aspettare e chiedere giustizia per ogni bambino, che nessuno violi i suoi diritti alla serenità ed all’affetto, e che possa crescere in un paese civile.
Ormai il delitto Fortugno è diventato un parametro di riferimento, un Prima e Dopo, un Così Come, un Perchè e Dunque. Mi sembrano ancora pochi quelli che hanno capito che per una morte violenta non ci deve essere una spiegazione, un movente, se non per la classificazione criminologica e per le procedure giudiziarie.
Minniti, Loiero, De Sena, il Procuratore di Locri Carbone dicono che non ci sono delitti di serie A e di serie B. In effetti, questa è una grossolana elaborazione di frasi già abbastanza banali.
Però c’è da domandarsi come mai le risorse investigative, e dunque anche economiche, siano state convogliate in un’unica direzione..... Ho trovato fino a 8 posti di blocco da casa mia al Cimitero,in un Km e mezzo circa. Oggi, qualche pattuglia, e il tedio stampato sulle facce dei militari.
A me nessun politico ha prestato attenzione, neppure quelli a cui mi sono rivolta per e-mail. Per forza! Io non ho colore, non sono parte di una cordata, sono solo una maestra, mio figlio se l’è cercata.... 70 colleghi sono rimasti in riunione a 100 metri dal tribunale e nei giorni successivi avranno letto di me su tutti i giornali locali, eppure nessuno ha sentito di farmi una telefonata per esprimermi solidarietà.
Mi è stato detto, sic!, che la scuola non si mette in queste cose.... La legalità per i miei colleghi è una disciplina di studio, 55 minuti settimanali,ed è tutta teoria, perchè ognuno vive le proprie deroghe, e ognuno decide come risolvere i propri problemi personali ed interpersonali.
Per sopravvivere all’ipocrisia me ne starò arroccata nella mia scandalosa solitudine, i miei interlocutori sono i bambini, veri giudici . Confido nella Magistratura, nell’intelligenza determinata di alcune persone, e nella mia capacità di organizzare meglio il mio rapporto con la vita e con la morte.
Se mi fermo, mio figlio sarà morto per niente, e invece sento che ogni giorno in più è l’occasione per fare qualcosa perchè davvero i bambini di Locri abbiano un paese migliore.
Grazie
Liliana Esposito in Carbone
Locri, settembre 2006
www.massimilianocarbone.org
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