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http://italy.indymedia.org/news/2006/09/1153813.php Nascondi i commenti.

GENERALI ISRAELIANI PRENDONO LE DISTANZE DAI NEO-CON
by rivoluzionario Friday, Sep. 22, 2006 at 7:24 PM mail:

17 settember 2006 – Quando Israele invase il Libano, LaRouche sostenne che gli israeliani erano stati raggirati e indotti con la corruzione in quella sporca guerra, così com'era avvenuto con i parlamentari americani che approvarono la guerra in Iraq. Oggi alti ufficiali israeliani riconoscono che fu proprio così.



Il generale Moshe Ya'alon, ex capo di stato maggiore della difesa israeliana, ha dato una lunga intervista al quotidiano Ha'aretz in cui accusa i politici di aver corrotto i militari affinché intraprendessero una guerra non necessaria.
Ya'alon ha detto che in qualità di capo di stato maggiore aveva proposto di “agire politicamente e con operazioni militari molto limitate in modo da poter arrivare ad un disarmo di Hezbollah. Mi resi conto che non c'era modo di schiacciare o polverizzare Hezbollah con mezzi militari. Che non c'era modo di estirpare Hezbollah dal cuore degli sciiti in Libano. Mi resi conto anche del fatto che non c'erano espedienti che consentissero l'immediata rimozione della minaccia rappresentata dai katiuscia”.
Gli è stato chiesto se lui è favorevole ai negoziati con la Siria. “Sì”, ha risposto: “Nell'estate 2003 suggerii al Primo Ministro Sharon di acconsentire alle proposte di Bashar Assad di intavolare un negoziato ... Sharon respinse senza mezzi termini il mio suggerimento. Preferì il disimpegno”.
Ya'alon ha messo in discussione il ricorso alla forza militare contro Hezbollah: “Occorre capire i limiti della forza. Chi non li capisce non può avere la responsabilità di comandare questa forza ... Occorre capire che il ricorso alla forza militare è l'ultima ratio ... E per usare la forza militare occorre un contesto strategico legittimo. Nel caso di Hezbollah questo contesto non c'era ... Per me era chiaro che Hezbollah è un fenomeno molto radicato, che non si estirpa con l'azione militare”.
Il giornalista ha chiesto: “Lei sta in sostanza dicendo che Ariel Sharon ha corrotto i vertici delle IDF?”, le Forze di Difesa di Israele. Ya'alon ha risposto: “Non ne ho alcun dubbio ... un legame degli ufficiali con la politica non è auspicabile. E' un legame corrotto. Nella IDF oggi c'è il problema di altissimi ufficiali che sono troppo legati ad elementi politici”, e “la corruzione è la vera minaccia contro Israele. E' più pericolosa della minaccia iraniana e della minaccia palestinese”.
Su un altro fronte, la stessa ribellione contro i neocon è stata resa pubblica dal generale Giora Eiland, ex direttore del Consiglio di Sicurezza Nazionale di Israele, oggi riservista. Eiland ha affidato al Jerusalem Post del 15 settembre le sue critiche contro la politica degli Stati Uniti verso l'Iran. Da una parte Washington non avrebbe ancora fatto alcuna minaccia militare credibile a Teheran, “dall'altra non è pronta ad offrire una carota molto consistente - e cioè un drastico cambiamento della sua politica verso l'Iran, dicendo 'adesso parliamo direttamente'.” Un impegno diretto in tal senso “potrebbe fare colpo sugli iraniani. Ma gli USA sono ideologicamente contrari a farlo”.
Ha quindi parlato della riluttanza di ambienti israeliani a proporre agli Stati Uniti di cambiare tattica, nelle questioni di Iran, Palestina e Siria. “Non abbiamo osato suggerire che forse sarebbe stato meglio provare qualcosa di diverso ... Se ci pare che gli USA stiano facendo un errore dovremmo dirlo. E invece non lo facciamo. Con gli americani ci lamentiamo quando essi non sono risoluti abbastanza, ma mai del contrario”.
Ha aggiunto quindi che la politica di non parlare con l'Iran è sbagliata: “Gli Stati Uniti dicono 'non parlate con loro'. Ma non funziona. Né l'Iran né Hezbollah, né nessun altro si arrenderà. L'era degli ultimatum è finita”.


http://www.movisol.org/znews174.htm

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SPQR
by Barbaro 69 Friday, Sep. 22, 2006 at 7:54 PM mail:

Anche l'impero romano, come molti altri, cadde per lo stesso tipo di cecità politiche.
Ma mi chiedo se vi siano movimenti sociali e politici capaci di capire la situazione, e di porre in atto strategie popolari progressite. Internazionali. Cominciando dall'Irak.

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vedere
by probabile golpe? Friday, Sep. 22, 2006 at 8:42 PM mail:

Haaretz sta conducendo una campagna durissima contro i neoconservatori....e la destra likudiana che sta rimontando in Israele....sarebbe importante rafforzare quest'area progressista e laica invece di dar spazio all'antisemitismo neoconservatore della destra ebraica e israeliana: vedi informazione corretta con i suoi editoriali

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le puttanate del fascio larouche
by come quelle di quel cretino di rivoluzionario Friday, Sep. 22, 2006 at 8:55 PM mail:

ci hanno rotto il cazzo

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risposta
by haaretz Friday, Sep. 22, 2006 at 9:21 PM mail:

Il sito non mi interessa: riporta nome, cognome, intervista..ecc..a nessuno interessa l'insulto: contestare i dati con altri dati ..il tempo degli specchi e degli insulti è finito ed Israele farebbe bene a svegliarsi invece di corteggiare la destra e continuare la mattanza dei palestinesi: è chiaro che ,nel caso di un attentato, di questo si assume la responsabilità l'antisemitismo della destra israeliana e company: hebron non vale una guerra

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look
by haaretz Friday, Sep. 22, 2006 at 9:23 PM mail:


Witnessing the near-perfect symmetry of Israeli and American policy has been one of the more noteworthy aspects of the latest Lebanon war. A true friend in the White House. No deescalate and stabilize, honest-broker, diplomatic jaw-jaw from this president. Great. Except that Israel was actually in need of an early exit strategy, had its diplomatic options narrowed by American weakness and marginalization in the region, and found itself ratcheting up aerial and ground operations in ways that largely worked to Hezbollah's advantage, the Qana tragedy included. The American ladder had gone AWOL.

More worrying, while everyone here can identify an Israeli interest in securing the northern border and the justification in responding to Hezbollah, the goal of saving Lebanon's fragile Cedar Revolution sounds less distinctly Israeli. Perhaps an agenda invented elsewhere. As hostilities intensified, the phrase "proxy war" gained resonance.

Israelis have grown used to a different kind of American embrace - less instrumental, more emotional, but also responsible. A dependable friend, ready to lend a guiding hand back to the path of stabilization when necessary.

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After this crisis will Israel belatedly wake up to the implications of the tectonic shift that has taken place in U.S.-Middle East policy?

In 1996 a group of then opposition U.S. policy agitators, including Richard Perle and Douglas Feith, presented a paper entitled "A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm" to incoming Israeli prime minister Benjamin Netanyahu. The "clean break" was from the prevailing peace process, advocating that Israel pursue a combination of roll-back, destabilization and containment in the region, including striking at Syria and removing Saddam Hussein from power in favor of "Hashemite control in Iraq." The Israeli horse they backed then was not up to the task.

Ten years later, as Netanyahu languishes in the opposition, as head of a small Likud faction, Perle, Feith and their neoconservative friends have justifiably earned a reputation as awesome wielders of foreign-policy influence under George W. Bush.

The key neocon protagonists, their think tanks and publications may be unfamiliar to many Israelis, but they are redefining the region we live in. This tight-knit group of "defense intellectuals" - centered around Bill Kristol, Michael Ledeen, Elliott Abrams, Perle, Feith and others - were considered somewhat off-beat until they teamed up with hawkish well-connected Republicans like Dick Cheney, Donald Rumsfeld and Newt Gingrich, and with the emerging powerhouse of the Christian right. Their agenda was an aggressive unilateralist U.S. global supremacy, a radical vision of transformative regime-change democratization, with a fixation on the Middle East, an obsession with Iraq and an affinity to "old Likud" politics in Israel. Their extended moment in the sun arrived after 9/11.

Finding themselves somewhat bogged down in the Iraqi quagmire, the neoconservatives are reveling in the latest crisis, displaying their customary hubris in re-seizing the initiative. The U.S. press and blogosphere is awash with neocon-inspired calls for indefinite shooting, no talking and extension of hostilities to Syria and Iran, with Gingrich calling this a third world war to "defend civilization."

Disentangling Israeli interests from the rubble of neocon "creative destruction" in the Middle East has become an urgent challenge for Israeli policy-makers. An America that seeks to reshape the region through an unsophisticated mixture of bombs and ballots, devoid of local contextual understanding, alliance-building or redressing of grievances, ultimately undermines both itself and Israel. The sight this week of Secretary of State Rice homeward bound, unable to touch down in any Arab capital, should have a sobering effect in Washington and Jerusalem.

Afghanistan is yet to be secured, Iraq is an exporter of instability and perhaps terror, too, Iranian hard-liners have been strengthened and encouraged, while the public throughout the region is ever-more radicalized, and in the yet-to-be "transformed" regimes of Egypt, Jordan and Saudi Arabia, is certainly more hostile to Israel and America than its leaders. Neither listening nor talking to important, if problematic, actors in the region has only impoverished policy-making capacity.

Israel does have enemies, interests and security imperatives, but there is no logic in the country volunteering itself for the frontline of an ideologically misguided and avoidable war of civilizations.

So what should be done, on both sides of the ocean?

It is admittedly difficult for Israel to have a regional strategy that is out-of-step with the U.S. administration-of-the-day. However, the neocon approach is not unchallenged, and Israel should not be providing its ticket back to the ascendancy. A U.S. return to proactive diplomacy, realism and multilateralism, with sustained and hard engagement that delivers concrete progress, would best serve its own, Israeli and regional interests. Israel should encourage this. Israel may even have to lead, for instance, in rethinking policy on Hamas or Syria, and should certainly work intensely with Palestinian Authority Chairm*****hmoud Abbas in encouraging his efforts to reach a Palestinian national understanding as a basis for stable governance, security quiet and future peace negotiations. A policy that comes with a Jerusalem kosher stamp of approval might be viewed as less of an abomination in Washington.

Beyond that, Israel and its friends in the United States should seriously reconsider their alliances not only with the neocons, but also with the Christian Right. The largest "pro-Israel" lobby day during this crisis was mobilized by Pastor John Hagee and his Christians United For Israel, a believer in Armageddon with all its implications for a rather particular end to the Jewish story. This is just asking to become the mother of all dumb, self-defeating and morally abhorrent alliances.

Internationalist Republicans, Democrats and mainstream Israelis must construct an alternative narrative to the neocon nightmare, identifying shared interests in a policy that reestablishes American leadership, respect and credibility in the region by facilitating security and stability, pursuing conflict resolution and promoting the conditions for more open societies (as opposed to narrow election-worship). The last two years of the Bush presidency can be an opportunity for progress or an exercise in desperate damage limitation. It sounds counter-intuitive, but Israel should reflect on and even help reorient American expectations.

Daniel Levy was a member of the official Israeli negotiating team at the Oslo and Taba talks and the lead Israeli drafter of the Geneva Initiative.



Ending the neoconservative nightmare

Daniel Levy

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