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http://italy.indymedia.org/news/2006/11/1187193.php Nascondi i commenti.

ricerche italia-isfraele
by fuori i nomi! Thursday, Nov. 23, 2006 at 12:22 PM mail:

"La cooperazione universitaria italo-israeliana" e "I dilemmi di Israele come paradigma per l'Europa"
Due incontri del Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici dell'Università di Pisa (CISE)
Data e luogo
26 e 27 novembre 2006, Pisa

La cooperazione universitaria italo-israeliana
Quinta giornata di studi dell'Associazione Italiana Amici dell'Università di Gerusalemme
Pisa, Santa Croce in Fossabanda, 26 novembre 2006
h. 10,00 Saluti delle autorità

h. 10,30 Michele Luzzati (Centro interdipartimentale di Studi Ebraici dell'Università di Pisa): Gli sviluppi del progetto "A Documentary History of the Jews of Italy" del Diaspora Resarch Institute dell'Università di Tel Aviv.

h. 10,50: Manuela Consonni (Università di Gerusalemme): Il progetto sui sopravvissuti della Shoà.

h. 11,10: Andrea R. Genazzani (Università di Pisa): Procreazione medicalmente assistita: sviluppo di nuove tecnologie per azospermie e oligoastenospermie severe.

h. 11,30: Ida Zatelli (Università di Firenze): Interscambi nel settore umanistico fra l'Università di Firenze e l'Università di Gerusalemme.

h. 11,50: Mario Salmona (Istituto Mario Negri): La cooperazione tra l'Istituto Mario Negri di Milano e l'Istituto Weizmann di Rehovot.

h. 12,10: Discussione ed interventi liberi.

h. 13,00: Colazione di lavoro.

h. 14,30 Giulio Vivo (Centro Ricerche FIAT): Progetti di ricerca e collaborazioni tra Istituti ed Aziende Isreaeliane ed il Centro Ricerche FIAT.

h. 14,50: Emanuela Trevisan Semi e Marcella Simoni (Università di Venezia): Fare ricerca con Israele dall'Ateneo di Venezia.

h. 15,10: Stefania Chicca (Aurelia-microelettronica): Progetti di microelettronica.

h. 15,30: Paolo Pezzino (Dipartimento di Storia dell'Università di Pisa): La collaborazione fra l'Università di Pisa e lo Yad Vashem di Gerusalemme.

h. 15,50: Claudia Rosenzweig (Università Bar Ilan, Ramat Gan): Lo studio dell'Yddisch in Italia.

h. 16,10: Sergio Della Pergola (Università di Gerusalemme): Ricerca scientifica e sviluppo sociale in Israele.

h. 16,30: Discussione ed interventi liberi.

"I dilemmi di Israele come paradigma per l'Europa"
lunedì 27 novembre 2006, alle ore 10
Aula Liva del Dipartimento di Storia dell'Università di Pisa (Via Paoli 13)
Seminario del prof. Sergio Della Pergola, direttore della Division of Jewish Demography and Statistics dell'Università di Gerusalemme

Informazioni e contatti
Per contatti il giorno 26 novembre: 050/970911 e 348/4002091

Enti organizzatori
Università di Pisa
Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici (CISE)
Dipartimento di Storia

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che fate, segnate a dito la gente!? avete un libro nero!?
by lejba Thursday, Nov. 23, 2006 at 2:48 PM mail:

FUORI I NOMI!? QUALI NOMI!? anche un deficiente capirebbe che un conto sono i progetti di cooperazione interuniversitaria (tra Israele e l'Italia) finalizzati a ricerche aventi scopi militari, o comunque poco chiari, E CHE UN CONTO SONO I PROGETTI CULTURALI SUI SOPRAVVISSUTI ALLA SHOAH O SULLO STUDIO DELL'YDDISCH! ma ormai indymedia è il pisciatoio dove ogni imbecille può vomitare le sue frustrazioni, il suo odio, il suo antisemitismo (come il suo razzismo anti-arabo, del resto), e gli admins. ormai hanno capitolato anche loro, si sono arresi, tanto che indy forse chiuderà... brutta fine, forse immeritata ma forse il male minore...

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Se ho ben capito.....
by Ephraim Thursday, Nov. 23, 2006 at 4:08 PM mail:

Se ho ben capito il tema del primo Convegno era:

"La cooperazione UNIVERSITARIA italo-israeliana"

A 'sto punto sfugge il perche' della presenza d'un punto in agenda quale:

"La collaborazione fra l'Università di Pisa e lo Yad Vashem di Gerusalemme".

Difficilmente sostenibile la teoria secondo la quale lo
Yad Vashem sia una struttura "accademica".

Con buona pace di coloro che adesso svuoteranno la loro
bile verdastra dandomi dell'anti-semita.

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del "pisciatoio"
by un esempio Thursday, Nov. 23, 2006 at 4:37 PM mail:

Fuori i nomi, amici cari.
Per esempio, vediamo un po' chi è il sig. Della Pergola che avrà la cura di quest'intervento:
Sergio Della Pergola (Università di Gerusalemme): Ricerca scientifica e sviluppo sociale in Israele.

il sig. Della Pergola, in occasione della visita di Fini a Gerusalemme (ricordate?) e in rappresentanza degli "ebrei italiani" (ovvero quel meno della metà degli ebrei italiani che si autoproclamano rappresentanti di tutta la "categoria", con buona pace degli altri), scrisse:

Esprimiamo qui nuovamente, attraverso la persona dell'On. Fini, la nostra commossa solidarietà ai carabinieri, ai soldati, e ai civili italiani uccisi in Irak nel compimento di una missione di pace. La mano che colpisce in Irak è la stessa che colpisce a Istanbul, a Riad, a Bali, e a New York l'11 settembre 2001. E' la stessa mano che colpisce i cittadini di Israele in una ininterrotta catena di atti di terrorismo, nella quale sono caduti anche membri della nostra comunità, e che causa il coinvolgimento della società di questo paese in una dura reazione della quale sono purtroppo a volte vittime anche persone innocenti.

La società occidentale ha a lungo cercato di ignorare e ancora non ama riconoscere l'evidente unità di intenti che accomuna queste manifestazioni di terrorismo e d'intolleranza. Noi vorremmo che la società civile in Europa si mobilitasse nel condannare la barbaria infame del fondamentalismo, e nel combattere con coraggio la battaglia per la difesa dei valori di democrazia e di civiltà che sono comunque patrimonio comune dell'Italia e di Israele. Nell'infelice sondaggio dell'Unione Europea sulla gestione della crisi irakena, gli Italiani sono la nazione che meno di tutte, in Europa, ha identificato in Israele un pericolo per la pace nel mondo. Altri recenti sondaggi ci mostrano, peraltro, che gli spettri e i pregiudizi dell'antisemitismo sono sempre presenti, anche in Italia, in forma esplicita e latente. Se è vero che è principalmente da una crassa e diffusa ignoranza che nasce gran parte del pregiudizio e dell'odio antiebraico, esiste tuttavia una pericolosa commistione nell'opinione pubblica fra i problemi che riguardano lo Stato d'Israele e la percezione delle comunità ebraiche in Italia e nel mondo. A creare questa deplorevole confusione ha contribuito un'informazione elettronica e stampata ossessivamente unilaterale, improntata spesso a una mistura di ignoranza e parzialità. L'intreccio di interessi politici ed economici, e le passioni viscerali che stanno a monte di questa campagna diffamatoria meriterebbero una lunga analisi. Falsi amici e finti compagni di strada si sono adoperati con cinismo in quest'opera quotidiana di disinformazione, di diseducazione, e di delegittimazione. I tristi risultati sono di fronte a noi e, da angolature politiche paradossalmente diverse, ci rammentano da vicino campagne diffamatorie antisemite svolte in altri tempi da giornali come il Tevere o il Popolo d'Italia o lo Sturmer .

Notiamo con soddisfazione che negli ultimi tempi si sono levate molte voci, e fra queste chiarissima quella dell'On. Fini, che hanno stigmatizzato questo stato di cose e hanno cercato di introdurre un maggiore equilibrio nelle comunicazioni di massa. E ricordiamo anche che l'Italia presiede rà tra breve la Task Force europea sul l'Educazione e la Commemorazione dell 'Olocausto .

La visita del Presidente Fini è anche quella del leader di un grande movimento politico italiano. Se la grande maggioranza tra di noi riconosce nelle contingenze attuali l'importanza della visita dell'Uomo di Stato italiano al Paese nel quale viviamo e al quale siamo intimamente legati, non vi è fra di noi ebrei italiani in Israele unanimità di posizioni e di interpretazioni riguardo ai significati della visita del dirigente di partito. Il movimento politico di Alleanza Nazionale nasce dalla radice del Movimento Sociale Italiano, che a sua volta nasce dall'eredità del disciolto Partito Nazionale Fascista. Per coloro che vissero gli anni del fascismo, le discriminazioni subite furono ignominose; le ferite nell'intimo degli affetti familiari furono irreparabili per la generazione che le subì direttamente e per quella successiva.

Coloro, e sono molti fra di noi, che dovettero abbandonare l'Italia e trovare rifugio nella Palestina degli anni '30 e degli anni '40, dimostrarono con la grande forza della loro fede di non volersi arrendere di fronte alla perdita di tutto ciò che vi era di più caro nell'amata Patria italiana, e di sapere invece ricostruire un nuova vita e una nuova società modello nella Terra dei Padri. Per molti di noi, cresciuti nell'Italia del dopoguerra, il processo di formazione e di maturazione della nostra identità ebraica è stato indissolubilmente legato alla condanna del fascismo e alla militanza antifascista. Su che base, dunque, è possibile dialogare con il nostro odierno illustre Ospite?

E' con grande sincerità che diamo atto all'On. Fini, dirigente del movimento politico di Alleanza Nazionale, di avere sviluppato nel corso degli ultimi anni un processo di crescita e di riflessione, personale e per il suo partito, che si è manifestato in gesti di grande coraggio e rilevanza politica. Volentieri riconosciamo quegli atti di limpida onestà che molto hanno contribuito a chiarire l'atmosfera del rapporto fra l'Italia e gli ebrei, e fra il passato e la sua memoria nel presente. La visita dell'On. Fini alle Fosse Ardeatine, il suo viaggio ad Auschwitz, la sua visita alla Risiera di S. Sabba, la sua condanna delle leggi razziali e della repressione dei diritti civili da parte delle massime gerarchie del regime fascista, e in seguito il suo sforzo di riforma ideologica all'interno del suo movimento politico sono sintomi importanti di una maturazione approfondita e coscienziosa tuttora in corso. Il suo impegno nell'ambito della Convenzione Europea, nella quale egli milita a favore del riconoscimento di un contributo fondatore di matrice giudaica e cristiana, comprova la grande attenzione prestata alle dimensioni etico-culturali della nuova Europa. Le sue dichiarazioni recenti sul problema delle migrazioni dimostrano una visione sociale democratica e lungimirante, oltre che - a nostro parere - una corretta lettura analitica della questione.

E' particolarmente notevole e degna di rispetto la sua pubblica dichiarazione di presa di coscienza delle responsabilità dell'Italia nelle tragiche vicende della persecuzione antiebraica. E' stato giusto, coraggioso e anticipatore il voler riconoscere una corresponsabilità del collettivo italiano, anziché demandare ad altri quei tragici torti. E in realtà, per la prima volta abbiamo udito un alto esponente politico italiano assumere questa coraggiosa posizione pubblica. In passato, è sempre stato facile incolpare "altri" delle pagine più buie della storia italiana - fossero essi forze di occupazione tedesche, o supposti usurpatori della legalità del potere. Non solo: negli ultimi decenni la Shoah è stata non di rado strumentalizzata nel perseguimento di altri obiettivi politici, o comunque è stata ridimensionata da letture che ne hanno travisato i tragici veri contenuti. L'esplicita assunzione di una responsabilità diretta nei confronti del passato, e il conseguente atto pubblico di scusa, costituiscono, invece, una garanzia nei confronti di un futuro nel quale mai più dovranno o potranno verificarsi le stesse tragiche cadute. L'uscita volontaria da Alleanza Nazionale delle sezioni più oltranziste del partito, e ancora recentemente l'espulsione dal partito di elementi estremisti potrebbero costituire un ulteriore elemento tranquillizzante.

Ma restano ancora delle ombre che chiedono di essere eliminate perché quella lunga marcia di avvicinamento possa dirsi completata. Si tratta, in primo luogo, di verificare i punti di riferimento e gli elementi di continuità e di discontinuità fra le ideologie politiche del passato e del presente. Nelle dichiarazioni programmatiche di Fiuggi, noi troviamo una lista di personalità della politica e della cultura che rappresenterebbero il Pantheon del nuovo movimento. In proposito, nel suo importante volume su La destra e gli ebrei , scrive Gianni Scipione Rossi che vi è

"una caratteristica, il pluralismo culturale, che il postfascismo conserva con orgoglio anche dopo la nascita di Alleanza Nazionale. «Nella cultura politica della Destra - si legge nelle tesi di Fiuggi - sintesi dei movimenti intellettuali ispirati al realismo, [...] dunque, c'è posto per il decisionismo di Schmitt e le elaborazioni del sociologismo politico di Pareto, Mosca e Michels, per l'antistatalismo di don Sturzo e la critica alla partitocrazia, per il pragmatismo di Rensi e il relativismo di Tilgher, per le aperture umanistiche di Giovanni Gentile e le suggestioni "sociali" di Spirito, per Prezzolini e Papini, Marinetti e Soffici, Evola e d'Annunzio». E' un patrimonio culturale, quello di AN, «formato di molte cose», che «ci fa essere comunque figli di Dante e di Machiavelli, di Rosmini e di Gioberti, di Mazzini e di Corradini, di Croce, di Gentile ma anche di Gramsci», perché «nulla si separa, nulla si distrugge nella formazione di una memoria storica e culturale»."

Ora, chiaramente, i concetti di inseparabilità e di indistruttibilità delle fonti dell'identità politica, e anche alcuni dei nomi ora citati suscitano molte riserve e perplessità. Ma vi è un nome che rappresenta lo spartiacque fra ciò che può essere tollerabile se non legittimo, e ciò che comunque non può esserlo, fra ciò che può essere conservato, sia pure a titolo di reperto museale, nella memoria politica collettiva, e ciò che va rigettato senza possibilità di compromessi. Il nome è quello di Julius Evola. Evola non può essere considerato semplicemente un esponente del pluralismo auspicato dalla nuova grande destra costituzionale. Si tratta di uno dei grandi teorici dell'ineguaglianza e della gerarchia fra gli uomini, intesi come "razze dello spirito" ancor più che come "razze del sangue". Evola è uno degli esponenti più determinati, esaltati, insidiosi e vili dell'odio nei confronti dell'ebreo considerato abbietto e inquinante in quanto individuo, e in quanto membro di una comunità organizzata. E tale odio ossessivo finisce per manifestarsi coerentemente anche nell'additare Israele come il nemico delle nazioni. Sono queste le dottrine allucinate che hanno generato le conseguenze tragiche per la vita di decine di migliaia di persone di cui i nostri fratelli in Italia e noi qui, loro rappresentanti in Israele, siamo stati testimoni. E le successive professioni di inconsapevolezza delle conseguenze da parte dell'autore di tanto scempio non possono essere prese se non come una tardiva beffa.

Sul piano istituzionale, la Repubblica di Salò rappresentò la coalescenza fra dottrina e potere, sia pure avendo al timone l'occupante tedesco. La Repubblica Sociale Italiana fu di fatto una sinistra parodia del vecchio regime fascista. Vuole il caso che esattamente 60 anni fa, in questi giorni di Novembre, fossero emessi l'infame Decreto di Verona e l'Ordine di Polizia n. 5. Non ci può essere stata forza interna moderatrice che possa giustificare le scelte di campo fatte da quegli Italiani che in quelle circostanze si misero al servizio dei nazisti e ne avallarono e misero in atto il regime di terrore. Il problema della responsabilità collettiva, se vale per l'Italia tutta in generale, come ha detto coraggiosamente l'On. Fini, vale a maggior ragione per la Repubblica Sociale Italiana. Ma su quest'ultimo tema non crediamo di avere ancora sentito un pronunciamento di rigetto esplicito, inequivocabile e definitivo, e se ci è sfuggito qualcosa, non guasterà udirlo nuovamente.

Notiamo infine, per inciso, che nel quadro dello sforzo in atto volto a riscrivere la storia italiana sotto nuovi profili si rischia di cadere in grossolani equivoci. Chi ha voluto di recente rievocare con nostalgia la battaglia di El-Alamein sappia che, al di là del valoroso comportamento dei singoli soldati italiani, se quella battaglia fosse terminata con diverso esito, nessuno di noi sarebbe qui oggi ad accogliere i nostri distinti ospiti perché, sfondato il fronte britannico, nulla avrebbe salvato la Palestina ebraica dalla distruzione da parte tedesca, e con essa sarebbe svanita ogni speranza di salvezza per il popolo ebraico.

Di fronte a questi inquietanti intrerrogativi, siamo ben consapevoli che non spetta a noi dare suggerimenti a una importante compagine politica italiana, a buon diritto autonoma nel cercare la propria definitiva collocazione nell'arco democratico europeo. Crediamo sia invece più importante e utile cogliere l'occasione dell'odierna visita per rivolgerci a individuare insieme quelle vie di collaborazione concreta fra la Repubblica Italiana e lo Stato d'Israele che, con l'apporto costruttivo della comunità ebraica in Italia e di quella italiana in Israele, potranno conseguire obiettivi di utilità comune. Ed è su questo futuro che puntiamo le nostre speranze.

Si tratta innanzitutto di porre un blocco all'antisemitismo e all'antiisraelismo dilagante, operando un'azione educativa in profondità che impedisca l'isolamento della comunità ebraica e poi, inevitabilmente, la sua aggressione fisica. Gli eventi alla Sinagoga di Roma del 1982 sono una testimonianza drammatica di come questo sceneggiatura sia effettivamente possible.

• Nel contesto istituzionale europeo, l'Italia può giuocare un ruolo di guida nella lotta all'antisemitismo attraverso l'attività legislativa e attraverso gli organi tecnici preposti ai programmi scolastici.
• Nella scuola pubblica italiana, vanno verificati attentamente i libri di testo sui quali si formano le nuove generazioni di Italiani, e nei quali esistono tuttora e, crediamo, in misura crescente storture e manipolazioni della storia del popolo ebraico e dello Stato d'Israele. In questo senso, l'accordo culturale fra Italia e Israele prevedeva una commissione mista italo-israeliana che sarebbe opportuno mettere in moto.
• Fatta salva l'autonomia delle università in Italia, sarebbe anche utile effettuare un'indagine conoscitiva dei programmi di corso attinenti a Israele, il conflitto Medio-orientale, l'ebraismo, e delle bibliografie rilevanti, e incoraggiare un dibattito aperto su questi temi.
• Nel quadro delle garanzie di vigilanza sulle telecomunicazioni, va prestata attenzione ai contenuti del reportage che tanto danno ha causato all'immagine di Israele e, per traslato, a quella dell'intera compagine ebraica.

eccetra, ma vi consiglio una lettura INTEGRALE della lettera:

http://www.morasha.it/zehut/sdp01_fini.html

saluti

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e ancora
by sempre io, sempre khalas Thursday, Nov. 23, 2006 at 4:54 PM mail:

“Terra in cambio di terra”: l’esperto di Sharon svela il suo piano di pace

L’esperto è Sergio Della Pergola, il maggior studioso mondiale di demografia dell’ebraismo. L’identità del popolo d’Israele all’origine del piano. Col Vaticano come modello, per il futuro di Gerusalemme

di Sandro Magister

ROMA, 2 gennaio 2006 – Due popoli e due terre. Di Israele e di Palestina. Il piano di pace che ha in mente il primo ministro israeliano Ariel Sharon si nutre di due scienze pratiche a cui egli ha sempre prestato grandissima attenzione, già come capo militare: la demografia e la geografia.

E ha tra i suoi modelli, per quanto riguarda Gerusalemme, la sistemazione intercorsa tra l’Italia e il Vaticano.

È quanto ha anticipato, in un’importante intervista al quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire”, uno dei consulenti più vicini a Sharon, Sergio Della Pergola, il maggior esperto mondiale di demografia dell’ebraismo.

Il piano di pace si sintetizza nella formula “terra in cambio di terra”. Prevede il ritorno di Israele a confini che per lo più corrispondono a quelli di prima del 1967, ma con consistenti scambi di territori, con un occhio attento alle popolazioni che vi abitano, arabe od ebree.

Su questo slogan, “terra in cambio di terra”, il nuovo partito fondato da Sharon, di nome Kadima che significa “avanti”, sta già impostando la sua campagna per le elezioni politiche che si terranno in Israele il 28 marzo.

Nello scambio – da trattarsi con la controparte palestinese – Israele cederebbe un triangolo di territorio a ridosso dell’attuale confine, a est di Tel Aviv e Netanya, abitato da popolazione prevalentemente araba; più un insieme di villaggi della Galilea anch’essi abitati da arabi.

La cessione riguarderebbe circa mezzo milione di arabi, un terzo di quelli che vivono entro i confini attuali di Israele.

In cambio, Israele integrerebbe entro i futuri confini alcune aree della Cisgiordania in cui attualmente risiedono circa 60.000 coloni ebrei: Ma’ale Adumin, a est di Gerusalemme; Gush Etzion, a sud di Gerusalemme sulla strada che porta a Hebron; Ariel, più a nord. I restanti coloni, circa 150.000, abbandonerebbero le rispettive aree di insediamento, che passerebbero al nuovo stato palestinese.

Per quanto riguarda Gerusalemme, il piano prevede che amministrativamente il suo territorio metropolitano resti tutto sotto controllo israeliano. Ma con settori affidati ai palestinesi, sia nella Città Vecchia attorno alla spianata delle moschee, dove continuerà a risiedere il gran mufti musulmano, sia nei quartieri orientali come Abu Dis, dove il nuovo stato palestinese avrà i suoi uffici direzionali.

Il Vaticano è stato studiato come modello poiché – pur essendo uno stato indipendente – è amministrativamente integrato all’Italia per quanto riguarda la moneta, l’acqua, l’elettricità, la fognatura, i telefoni, la ferrovia, i servizi di sicurezza.

Alla riuscita di questo piano di pace, naturalmente, gli ostacoli sono numerosi e forti. A Gaza c’è anarchia. Il terrorismo è sempre incombente. Hamas, il cui obiettivo dichiarato è la cancellazione dello stato ebraico, ha largo seguito elettorale sia a Gaza sia in Cisgiordania. Dentro Israele, la destra e i coloni contestano aspramente il piano di Sharon. Gli stessi arabi che risiedono entro i confini d’Israele nei territori del possibile scambio resistono all’idea d’essere annessi al nuovo stato palestinese, nonostante verbalmente ne esaltino la causa.

In ogni caso, per comprendere il senso profondo del piano di pace di Sharon – che ha al suo centro l’identità del popolo d’Israele – occorre leggere per intero l’intervista, riprodotta più sotto.

Il professor Sergio Della Pergola, 63 anni, è nato in Italia, vive dal 1966 in Israele, è preside di demografia e statistica alla Hebrew University di Gerusalemme ed è autore di importanti studi sulla popolazione ebraica in Israele e nella diaspora.

Della Pergola è uno degli studiosi di punta del think tank più ascoltato dal governo Sharon: il Jewish People Policy Planning Institute. Ne è presidente l’americano Dennis Ross, già primo responsabile per il Medio Oriente e per le trattative israelo-palestinesi nelle amministrazioni di George Bush padre e di Bill Clinton, nonché autore nel 2004 del libro “The Missing Peace”, la pace mancata.

L’intervista è uscita su “Avvenire” del 28 dicembre 2005 ed è stata raccolta da Paolo Sorbi, professore di sociologia all’Università Europea di Roma e presidente del Movimento per la Vita di Milano:


Fioritura o declino? Il futuro del popolo ebraico

Intervista con Sergio Della Pergola


D. – Professor Della Pergola, perché questa grande attenzione del governo Sharon per le dinamiche demografiche?

R. – “Il primo ministro è approdato a questo lido con la sua pubblica riflessione al convegno di Herzliya nel dicembre 2002, appuntamento annuale della classe dirigente israeliana. C’è una sua mutazione di visione che considera semplicemente i fatti degli ultimi anni. Dunque, negli anni Novanta, Sharon aveva pensato a un grande ritorno in Israele di oltre un milione di ebrei europei e americani, acculturati e moderni. Questo non è avvenuto. Sono arrivati, al contrario, gli ebrei dalla Russia. Ha preso atto di tutto questo e si è deciso per una soluzione positiva del conflitto palestinese, a motivo della decrescente capacità d’attrazione che Israele mostra verso le componenti più moderne dell’ebraismo nel mondo”.

D. – Sono incontri operativi quelli che voi del Jewish People Policy Planning Institute fate col governo?

R. – “È interessante vedere un primo ministro come Sharon prendere diligentemente appunti su cifre e questioni demografiche e poi, alla fine di due ore di confronto, riassumere, per i ministri e per noi consulenti, i differenti reports scientifici che gli sottoponiamo”.

D. – Lei ha elaborato la proposta dello scambio di “terra con altra terra”. Ce la può spiegare?

R. – “Innanzitutto la questione va collegata al positivo sgombero avvenuto a Gaza. Esso è avvenuto in un clima che definisco di famiglia allargata. I soldati, con fermezza, hanno proceduto al completo sgombero del territorio, a stragrande maggioranza palestinese. Ma c’è anche un motivo storico. Il piano di spartizione delle Nazioni Unite nel 1947 prevedeva un determinato confine, ma siccome la parte araba lo ricusò e alla fine della guerra del 1948 la parte israeliana, imprevedibilmente, aveva migliorato le sue posizioni, Israele tracciò unilateralmente una linea diversa. Incorporando una serie di zone a prevalente maggioranza araba. Sono oggi circa un milione e trecentomila persone. C’è un’area che è denominata il Triangolo. È una zona che sta tra le città di Netanya e di Tel Aviv, a ridosso del confine. Ebbene, l’idea è di passare la sovranità del Triangolo al futuro stato palestinese. Senza assolutamente spostare né le persone né i loro beni, semplicemente spostando i confini. Non esiste più niente di intoccabile per l’attuale governo e per Sharon. Si tratta di prendere atto che le popolazioni arabe oggi residenti in Israele sono sempre più coinvolte dal destino del futuro stato palestinese, e quindi va accettato il loro rifiuto del sionismo e della bandiera bianco-blu dello stato ebraico, con tutta la sua identità e storia. E così, viceversa, è necessario integrare nello stato di Israele alcuni insediamenti ebraici contigui a Gerusalemme come Ma’ale Adumim, Gush Etzion e alcuni altri. Questi aggregati sono frutto della guerra vinta da Israele nel 1967. Invece altri insediamenti, più isolati, andranno lasciati. Bisogna ripiegare su un confine molto prossimo alla storica linea verde che separava la Giordania, nel 1967, da Israele. Lo scambio di ‘terra con altra terra’ riguarda, complessivamente, il 2, forse il 3 per cento del territorio, ma concerne circa mezzo milione di arabi che sono oltre il 35 per cento degli arabi con cittadinanza israeliana. Il che vuol dire incidere profondamente sull’equilibrio demografico di Israele e renderlo molto più compatibile con le dinamiche identitarie oggi decisive per il futuro dello stato ebraico”.

D. – Nella sua ipotesi c’è anche una proposta su Gerusalemme. Quale?

R. – “Il paradigma dell’indivisibilità di Gerusalemme va ben sviscerato. Nel 1967 Israele allargò l’area del municipio di Gerusalemme incorporando un territorio che è superiore a quello della città di Parigi. Fu necessario per motivi di sicurezza. Io stesso, allora studente universitario, fui testimone di bombardamenti sulla Hebrew University dalle colline adiacenti. Oggi però la proposta è di creare due municipii, uno israeliano e l’altro palestinese, riuniti da un coordinamento della Grande Gerusalemme, con questioni amministrative anche di grande rilievo discusse e decise a livello di consorzi. Le soluzioni tecniche esistono, purché ci siano la volontà e la fiducia reciproca”.

D. – Avete in programma altre riunioni con il governo?

R. – “Certamente. Già nei primi due incontri del 2004 e poi nei frequenti incontri dell’anno successivo abbiamo esaminato lo scenario globale della realtà israeliana e della diaspora ebraica nel mondo. Il mandato del Jewish People Policy Planning Institute, che è un istituto completamente autonomo, finanziato da fondi sia privati che pubblici, è impostato proprio sulla convinzione che a contare è la somma competitiva tra Israele e la diaspora. Ci sarà una nuova fioritura ebraica o entriamo in un drammatico declino? Tutto è nelle nostre mani. Ci sono importanti presenze ebraiche in tutti i campi della modernità, ma anche una forte crisi demografica e ampii processi di assimilazione. Prevediamo la formazione di una sorta di Forum mondiale dell’ebraismo con il patronato sia del governo israeliano che della presidenza della repubblica. Un Forum con personalità ebraiche, presenti nella realtà internazionale, di altissimo livello, che discutano pubblicamente con i politici israeliani sulle grandi tematiche della globalizzazione in connessione con i destini dell’ebraismo contemporaneo. Può Israele continuare, in eterno, questo conflitto con i suoi vicini? Può essere, Israele, di nuovo attrattivo per i numerosi gruppi ebraici, quasi il 90 per cento di tutti gli ebrei sparsi nel mondo, che vivono in nazioni avanzate e democratiche? Oppure Israele sarà un’entità periferica con reddito basso e, spesso, la morte nelle strade per attacchi terroristici? Potremmo divenire un punto luminoso per tutta la collettività ebraica e anche dare un contributo spirituale alle altre nazioni?”.

__________


Il quotidiano della conferenza episcopale italiana su cui è uscita l’intervista:

> “Avvenire”

__________


Il think tank di cui fa parte il professor Sergio Della Pergola:

> Jewish People Policy Planning Institute

__________


In questo sito, su questi temi:

> Focus su EBREI

__________


Sul “primato della demografia” nella nuova strategia di Ariel Sharon è uscito lo scorso dicembre in Italia questo libro:

Gigi Riva, “I muri del pianto”, UTET, Torino, 2005, pp. 104, euro 10,00.

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porcaccia zozza
by stanno male e fanno stare male Thursday, Nov. 23, 2006 at 5:42 PM mail:

garanzie di vigilanza sulle telecomunicazioni, va prestata attenzione ai contenuti del reportage che tanto danno ha causato all'immagine di Israele e, per traslato, a quella dell'intera compagine ebraica


c'è da cacasse sotto. questi arivano dapertutto

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che cazzo stai a di'...?
by antiSion Thursday, Nov. 23, 2006 at 8:42 PM mail:

"...va prestata attenzione ai contenuti del reportage che tanto danno ha causato all'immagine di Israele..."

l'ignobile israele i danni alla sua immagine - se mai ne ha
avuto una - se li fa gia' abbastanza da se'.

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