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Op Colomba: ISRAELE Visita al Kibbuz di Metzer
by Alex - Operazione Colomba Friday, Jan. 03, 2003 at 3:28 PM mail: colomba@eudoramail.com

Terra santa e dintorni - Visita al Kibbuz di Metzer

La persona che ci accoglie ci spiega che i rapporti con gli arabi sono sempre stati eccellenti tanto che alcune festività si sono sempre festeggiate in comune.
Visitare il Kibbutz di Metzer è sicuramente per noi un occasione in più di crescita, un modo in più per comprendere la molteplicità delle sfaccettature di questa situazione. E’ un opportunità in più per ascoltare chi si oppone all'occupazione ed all'apartheid nei confronti dei palestinesi. Il posto si trova in Israele a ridosso del confine nord della West Bank e si è sviluppato nel corso di cinquant'anni. E' abitato dai discendenti di un gruppo di emigranti argentini che cercavano scampo dalla povertà in un posto dove fosse possibile sviluppare una vita civile. Il pensiero che caratterizza l'esistenza di queste comunità ha origini socialiste: i mezzi di produzione sono collettivi, vengono investite molte risorse nell'educazione e nel welfare in generale, la comunità si fa carico delle fasce deboli come anziani ed ammalati. Una libera associazione di persone in cui c'è spazio per la libera iniziativa. Chi vi aderisce lavorando all'esterno della collettività mette in comune più o meno il settanta per cento dei propri guadagni, condividendo così con gli altri la propria capacità di produrre. Uomini e donne che in questo caso sono arrivati in Israele cercando la terra promessa ma anche cercando di instaurare fin da subito un rapporto di buon vicinato con le genti arabe dei villaggi vicini. L'agricoltura, parte essenziale della filosofia di queste comunità, ha da sempre beneficiato di questo sodalizio, congiungendo la secolare sapienza dei coltivatori arabi alla tradizione dei contadini argentini, popolo di per se frutto di una miscellanea di culture di diverse parti del mondo. Ora campi verdeggianti sono stati strappati alla desolazione del deserto e ciò che un tempo per questa gente era un sogno oggi è una realtà che sorge su una terra non conquistata militarmente ma acquisita da Israele tramite un accordo col re di Giordania. Per “motivi di sicurezza” la Cisgiordania sta per essere divisa dalla terra d'Israele da una muraglia che tanto per aggiungere umiliazione ad umiliazione non viene costruita sulla linea di demarcazione internazionalmente riconosciuta. Spesso il muro viene eretto all’interno dei territori palestinesi sottraendo così ettari ed ettari di terra coltivabile a chi ha una cultura fortemente legata all’agricoltura. A venire meno non è la produzione dell'olio di oliva di un anno ma la stessa essenza della pace, sradicata come gli alberi secolari che vengono abbattuti per creare spianate di nulla chiamate fasce di sicurezza. La gente di Metzer si è apertamente schierata contro l'espropriazione delle terre palestinesi per la costruzione del muro. Il rappresentante del Kibbutz che ci ospita, fino a poco tempo fa anche direttore economico della federazione di tutti i Kibbutz d'Israele, ci racconta di come la democrazia israeliana abbia previsto per gli arabi la possibilità di presentare un ricorso contro la costruzione del muro, ma anche di come la stessa democrazia abbia decretato il coprifuoco per gli stessi arabi di quei villaggi impedendo loro di muoversi fisicamente mettendoli di fatto nelle condizioni di non poter presentare alcuna obiezione né alla costruzione del muro né all'esproprio delle loro terre per edificarlo. Parla dell'accordo siglato con gli arabi dei villaggi vicini che prevede la costruzione della divisione esattamente sul confine della green line, senza che ci siano inutili espropriazioni di terra. Ci racconta di quando il ministro Ben Elizier visitò la comunità del Kibbutz stupito da un accordo insolito, che testimoniava la possibilità di un dialogo che pochi prendevano e prendono in considerazione. Della desolazione nel veder cadere il governo pochi giorni dopo e della volontà di andare avanti che li portò ad incontrare il nuovo ministro della difesa. Racconta della drammatica incursione di un killer terrorista palestinese proprio il giorno dopo la visita del ministro, che ha visto morire nell'agguato una madre e due bambine freddate a casa loro. Un agguato troppo perfetto per non pensarlo organizzato nei minimi particolari da professionisti armati che avevano come unico scopo quello di distruggere quel dialogo tra le due comunità. E mentre racconta i particolari dell'agghiacciante crimine non scorda che la popolazione araba che vive nella zona ha subito preso le distanze da quanto successo e, indignata, non ha mancato di portare solidarietà ai parenti delle vittime e a tutti gli ebrei di Metzer. E concludendo ci ricorda che quasi la totalità degli arabi della zona è contraria al terrorismo e che l’unico modo di combatterlo è continuare sulla via del dialogo. Penso a quanto sia disumano tracciare mura per dividere la gente. Mentre stavamo percorrendo la strada per arrivare qui abbiamo fatto i conti anche noi con questo anacronismo storico rivivendo le scene di un passato visto in tv che alcuni speravano non potesse ripetersi e che oggi si ripropone dimostrando che dalla storia l'uomo non trae insegnamento. E' passato un decennio da quando il crollo del muro di Berlino ha concluso l'epoca del mondo bipolare per inaugurare quella dell'egemonia incontrastata del blocco occidentale. E' passato un decennio e le aspettative di poter vivere in un mondo migliore sono state tradite.
E' passato un decennio e nuovi muri vengono eretti tutti i giorni, l'ultimo proprio qui in Medio Oriente; andando via dal Kibbutz, penso all'accordo tra arabi ed ebrei, all'incursione di quel killer, alle vite stroncate di quella famiglia e al pretesto che quel sangue ha fornito per giustificare nuove incursioni militari nei territori, nuovo sangue che si aggiunge al sangue.
Sono tante le situazioni e le storie. Tutte hanno il denominatore comune dell'intollerabilità. Sulla strada del ritorno, verso Gerusalemme, ci fermiamo in un piccolo villaggio della Cisgiordania dove incontriamo il sindaco. La popolazione locale era prima dello scoppio dell'Intifada parte di quella manodopera a basso costo che in Israele occupava i lavori più faticosi e umili. Oggi le frontiere sono chiuse “per motivi di sicurezza" e le colpe dei terroristi ricadono sulla popolazione del villaggio che vanta una delle disoccupazioni più alte di tutta l'area. La gente ha aspettato con impazienza la raccolta delle olive, unica fonte di reddito rimasta, ma l'esercito con la stella di David ha agito preventivamente e per “motivi di sicurezza” ha sradicato gran parte delle piante con i bulldozer. L'olio quest'anno non potrà essere venduto in Israele perché è stato prodotto con le olive acerbe rubate dagli alberi abbattuti, proprio da chi le aveva coltivate. Rubate di nascosto per non correre il rischio che qualche pallottola sparata per “motivi di sicurezza” ammazzasse qualcuno.
Quello che ci racconta il sindaco di Kullulkarem, un villaggio arabo sul cui municipio sventola la bandiera con la stella a sei punte (in quanto fa parte di quello stato) non è certo più confortante. La disoccupazione in Israele raggiunge la soglia del nove per cento e colpisce soprattutto i suoi cittadini palestinesi. Nei villaggi arabi la ricchezza è lontana come un miraggio e la disoccupazione raggiunge mediamente una percentuale che varia dal dieci al venticinque percento. Il reddito medio degli arabi israeliani è la metà di quello degli altri israeliani, ed un terzo dei bimbi vive sotto il livello di povertà. Le statistiche parlano di una cifra vicina al cinquanta per cento per quanto riguarda il rifiuto di richieste d'accesso all'università degli arabi israeliani e di una cifra del ventun percento di rifiuto delle stesse presentate da ebrei. Questo villaggio contava nel trentasei circa tremila abitanti che disponevano di trentaseimila chilometri quadrati di terra. Oggi abitanti ce ne sono tredicimila e la terra di cui dispongono non supera i settemila chilometri quadrati. Poche cifre e poche storie che sono significative per capire. Sarà vero che la pace è funzione della giustizia? La risposta la tragga ognuno da se.
Alex

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