-
Come si traccia il perimetro di un sapere? Come si definisce oggi la professionalità? E come la disciplinarietà? C’è ancora bisogno delle facoltà? Senza entrare nel merito di un superficiale dibattito sul relativismo culturale è cosa evidente che i saperi contemporanei non solo tendono a differenziarsi ma anche ad assumere un carattere di non auto-sufficienza. Comporre pezzi eterogenei di conoscenze è pratica consolidata della ricerca e della sperimentazione. Anche il lavoro cognitivo non sfugge da questa trasversalità che declina anzi dentro la definizione di una nuova categoria di professionalità. Il 3+2 è stato il tentativo socialdemocratico di adeguare il sistema formativo universitario alle richieste, del resto del tutto inaffidabili, del mercato del lavoro. Questa illusione si basava sull’idea che la professionalità andasse a braccetto con la specializzazione e la settorializzazione e che fosse quindi definibile anticipatamente e in maniera ultimativa rispetto al percorso formativo. In verità la professionalità contemporanea ha a che fare con il problem solving e con la capacità di maneggiare l’imprevisto a mezzo di continua creatività. Per questo la professionalizzazione deve essere una specificazio n e variabile del percorso formativo e non il percorso formativo stesso e che quest’ultimo deve contare su un carattere ampio, critico, generale e multidisciplinare. Per questo riteniamo inattuale la divisione in facoltà dei nostri atenei e intendiamo superarla attraverso dei processi diffusi di autoformazione che facciano della relazione e della non autosufficienza dei saperi e delle competenze elemento centrale e decisivo. 4. Money, Geld, Dinero, Sous, Soldi Quando finisce lo studio e inizia la produzione, il lavoro? Trent’anni fa la risposta sembrava chiara un po’ a tutti: l’università da una parte, la fabbrica dall’altra, ma anche, che è la stessa cosa, la progettazione e la decisione da un parte e l’esecuzione dall’altra. È opinione diffusa che il modo di produrre contemporaneo ha sovrapposto e reso coincidente sapere e produzione, ideazione ed esecuzione, sentimenti, etica e lavoro. Tanto più la creatività e l’innovazione sono il cuor e della produzione di merci a mezzo di linguaggio e di conoscenze, tanto più i percorsi formativi divengono strutturalmente permanenti ed interminabili, pena la rapida obsolescenza delle competenze. La formazione poi in quanto produzione invisibile e quindi non riconosciuta come lavoro, finisce per diventare vero e proprio vettore dello sfruttamento. I contratti di formazione lavoro, apprendisatato ecc. ne sono solo un esempio. Non è una novità poi che stage e prestazioni di ricerca mettono immediatamente a lavoro gli studenti all’interno del nuovo percorso universitario convenzionale. Tutto questo ci fa pensare, con sempre maggiore radicalità, che la formazione va retribuita e che l’università e la ricerca devono smettere di essere considerate spese dello stato, quanto investimenti della società per intero, e che gli studenti hanno poco a che fare con il terreno separato dell’accademia, sono invece sempre più coincidenti con le figure ibride del lavoro atipico, cognitivo e relazionale. Per questo riteniamo che la battaglia per un reddito deve affiancarsi alla richiesta dei servizi tradizionali e che gli studenti devono richiedere diritti nuovi nelle metropoli che attraversano. Soldi e case per vivere in maniera autonoma dalle proprie famiglie durante la permanenza all’università. Accesso gratuito alle tecnologie informatiche (internet, formazione informatica). Accesso gratuito alla cultura ( teatri, cinema, musei, mostre, mediateche) perché sono i talenti e la formazione culturale in genere, con i suoi elementi di accumulazione tacita ad essere messi a valore. 5. Per una rete dell’autoformazione L’università della riforma è un’università senza comunità. O meglio a venir meno sono le trame consolidate di socializzazione e di incontro che cedono il passo di fronte alla frequenza obbligatoria, a una ridefinizione complessiva del modo di abitare lo spazio, di organizzare i tempi. L’attivitE 0 e la prassi politica che si inserivano a pieno nella povertà della socialità “ufficiale” (…ho meglio da fare che seguire le lezioni…) e negli spazi di libertà garantiti nella scelta dei propri tempi di studio e di frequenza, vengono ormai messe al margine da orari massacranti e da una socialità tutta addensata nelle classi e nei tempi di studio. Fare una assemblea diviene fatica, far sopravvivere una continuità di militanza altrettanto, praticare libera ricerca e discussione una rarità, almeno nello statuto formale della nuova università. In verità anche se vengono meno le forme tradizionali di comunità, di socializzazione e di aggregazione politica la miseria contraddistingue anche la formula efficientista della fast-university. A maggior ragione dentro la crisi dei saperi critici, della libera ricerca, nell’azzeramento di tempi e di forme di vita consolidate, l’incursione virale (“dentro e contro”) di percorsi di formazione autogestita che c hiedono crediti praticando conoscenze e linguaggi cooperativi può essere strumento utile di ricostruzione di comunità politica e di tessuto relazionale qualitativamente nuovo. L’apprendimento nelle sue forme non verticali, la ricerca sui temi messi al bando dalla didattica ufficiale quanto deboli nella politica delle assemblee e delle vertenze (non che di queste non ce ne sia bisogno) può essere, a nostro avviso, esperienza nuova di socialità, di incontro, di relazione laddove, quest’ultima, è rimasta confinata in trame neo-liceali e forsennate. Per questo è necessario provare a costituire una rete dell’autoformazione che metta assieme i progetti sparsi, sperimentali e provvisori già praticati in diverse facoltà e università romane e nazionali.
|